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Cap.25
Ottiene Alfonso dal Re, credendo dar gusto al Papa, i
Giuramenti a Dio di Povertà, Vita Comune, e Stabilità, ma opponendosi in Roma
il Procuratore, defraudato restò nelle sue speranze.
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Tra la densità di tante
tenebre un raggio di luce, che consolò Alfonso, rincorò anche i nostri. Compromesso
avevasi il Sovrano, come dissi, di sua reale munificenza fin dai 22. Ottobre
1779. in ragione dell'esito felice, che in promuovere la Santa Crociata,
fossero per avere le fatighe dei nostri.
Benedetto avendo Iddio
quest'opera per ogni dove del Regno, Alfonso volendo profittare della clemenza
del Principe, avanzossi a chiedere non oro, ed argento, ma che i suoi di ogni
cosa spropriar si potessero, con fare a Dio Giuramento di vivere perfettamente
in Comune, ed in santa Povertà, con quello di Perpetuità nella Congregazione.
Si risolvette a
chiedere i Giuramenti a Dio, perché Monsignor Cappellano non era per
condiscendere ai Voti. Maggiormente avendo rilevato, che Innocenzo XI. anche
commutato aveva nel 1684. a' Sacerdoti, e Chierici di S. Giuseppe, in tanti
Giuramenti i Voti di Povertà, Castità, ed Ubbidienza. Credeva con questo
incontrare il compiacimento del Santo Padre Pio VI, perché la promessa a Dio
con giuramento minor forza del voto non aveva, anzi maggiore, per ligare con
Dio le coscienze.
Sicuro di esser
compiaciuto, così scrisse a' 2 Gennaro 1781 al Padre Cajone in Benevento:
"Prego far raccomandare a Dio questa grazia cercata al Re. Se l'avremo,
come speriamo, la nostra Congregazione muterà faccia. Quando Roma intenderà questi
favori concessi dal Re, spero a Dio che così la Sacra Congregazione, come il
Papa, non avranno difficoltà ammettere, che la Congregazione si unisca di
nuovo. Noi facciamo orazione: fatela anche voi".
Fatto inteso in
Frosinone il Presidente de Paola di questo, che trattavasi in Regno,
francamente rescrisse ai 14 dello stesso mese: "Avendo il P. Tannoja
scritto a Monsignor Segretario, che si sospendesse per due mesi ogni passo in
Congregazione, di consenso se gli è accordato. Se veramente, ei dice, si
ottiene ciò, è finita la causa, e si verrà all'unione".
Perché pendeva la
discussione de' carichi nella Real Camera, ed uno di questi era la questua, che
facevasi dai nostri, Alfonso chiesto avea in grazia potersi domandare in tempo
di ricolta delle biade, e dell'olio qualche soccorso agli amici, e benefattori.
Umiliandosi la supplica
al Re, Alfonso acchiudendola al Marchese de Marco, anche implora la di lui
protezione. "Signor Marchese - 125 -
mio veneratissimo, così egli, Vostra Eccellenza per sua bontà, contra il
mio merito, sempre mi ha voluto bene. Sarei venuto di persona a supplicarla, ma
ritrovandomi storpio sopra di una sedia, ed in età di anni ottantaquattro, mi
veggo afflitto in vedere trattenuto il profitto, che per la gloria di Dio, può
fare la mia Congregazione. Non sapendo a chi ricorrere, ricorro a V.
Eccellenza, che tanto ama la divina gloria, e supplico voler leggere questo mio
memoriale a Sua Maestà, acciocché colla sua carità mi possa consolare; ed
intanto mi umilio a' suoi piedi quanto posso".
Coi mezzi umani non
lasciò Alfonso anche ajutarsi presso Dio colle preghiere così dei nostri, che
di varie Anime divote; e nelle Case per nove giorni ogni sera volle che esposto
si fosse il Venerabile all'adorazione di tutta la Comunità, anche con varie
preci che prescrisse. Tutti i nostri si posero nello spirito di penitenza, si
celebrarono molte Messe, e si allargò la mano in beneficio de' poveri.
"Facciamo quello si può per aversi l'unione, rescrisse Alfonso al Padre de
Paola. Se Dio ci vuole divisi, altro non posso dire, che fiat voluntas sua. Io sto col piede alla fossa. Se dopo la morte
mia si faranno due Rettori Maggiori, la Congregazione anderà a finire. Parliamo
chiaro. Ancorché non torniamo ad unirci, il paese dove possiamo fare più
acquisto di Anime, non sarà Roma, ma il Regno di Napoli, così abbondante di
persone, ed amico di Missioni: se seguitiamo a star nemici, la Congregazione
non potrà seguitare a fare quel bene, che finora ha fatto. Del resto l'unica
preghiera, che ora faccio a Dio si è, che si adempisca quello, che più piace a
Dio".
Non mancò il Re con sua clemenza accordare
quanto Alfonso avevagli chiesto. "Informato il Re, così il Marchese de
Marco a' 24. Febrajo 1781., dello zelo, e delle indifesse fatighe, colle quali i
Missionarj da VS. Illustrissima istruiti hanno promossa la pia opera della
Crociata; e volendo dare un contrassegno del suo reale gradimento, si è degnato
la Maestà Sua accordarle la grazia delle tre dimande da lei fatte nella sua
supplica.
Accorda, e permette,
che i Missionarj del suo Istituto giurino a Dio di vivere perfettamente in
Comune, ed in Povertà, senza pregiudizio però del dominio de' proprj beni
patrimoniali, e dell'usufrutto dei medesimi. In secondo luogo permette Sua
Maestà, che li medesimi Missionarj prestino a Dio il giuramento di perseveranza
nella Congregazione, ma da potersi rilasciare dal Capo della medesima per cause
ragionevoli. Finalmente si è degnata permettere, che i Missionarj in tempo
della ricolta delle biade, e dell'olio, possano dimandare ai loro amici, e
benefattori qualche soccorso".
Gioì Alfonso avendo
ottenuto questo Dispaccio. Respirò, credendo rimarginata la piaga; e
ringraziando Iddio così rescrisse al P. Corrado. "Il Signore ci ha
consolati: sia sempre benedetto. Neppure io me lo credeva, ma il Signore,
coll'intercessione della Vergine, e di S. Giuseppe, ci ha fatta la
grazia".
Sul medesimo piede ne
da parte alle Case, e volle, che esposto il Venerabile, si fossero resi a Dio,
ed a Maria SS., i dovuti ringraziamenti. Inculcò a tutti osservanza più
rigorosa della Regola, e maggiore esattezza nel divino servizio. "Vi mando
la grazia del ricevuto Dispaccio, così a 24. Febrajo al P. D. Celestino de
Robertis, Superiore allora nella Casa di Caposele. Andate nel Coro a ringraziare
il SS. Sagramento, e Maria Vergine. Quanto più si disperava di ricevere una tal
grazia, ricevuta l'abbiamo per miracolo della Madonna. Miracolone! Sappiamo
essere grati a Gesù Cristo, ed a Maria SS., acciocché Gesù Cristo, e Maria
Vergine mettano in piedi da capo l'osservanza, perché in buona parte stavamo
ruinati. Ora si ha da rinnovare tutta la Regola, perché finora poco si è atteso
ad osservarla. La benedico, e vi abbraccio uno per uno".
Terminata la lettera soggiunge: "Voglio che tutti voi mi rispondiate con
quale allegrezza, e con quali ringraziamenti a Dio avete ricevuto questa
grazia.
Estro di gioja vi fu in
tutte le Case. Non sono cose queste da esprimersi per lettera, specialmente se
gli rescrisse dal Rettore della Casa d'Iliceto. "La consolazione ha
soprabbondato l'angustia, in cui eravamo. Da morti, a dispetto dell'Inferno, ci
siamo veduti vivi. Si sono fatti de' fuochi in varj luoghi a vista d'Iliceto:
vi è stato un superbo sparo di mortaletti, e quantità di folgori in aria. Il
popolo conscio dei nostri travagli anche ne ha sperimantata somma consolazione.
Il Capitolo ha mandato il suo Procuratore a rallegrarsi; e l'Agente del
Principe con altri gentiluomini sono stati con noi a pranzo. Iddio, che ci ha
consolati, preghiamolo, che finisca di mettervi la pace. Messe se ne sono dette
in quantità prima di aversi la grazia, e se ne dicono ancora".
Non fu tardi Alfonso,
uscito il Dispaccio, in mandarne copia al Cardinal Zelanda, che per la morte
dell'Eminentissimo Caracciolo, presedeva come Prefetto nella Sagra
Congregazione. Accenna di nuovo il suo inganno, rileva coi Giuramenti a Dio
essersi rimarginata la piaga, e posegli in veduta il bisogno delle Anime in
questo Regno, ed il grave danno, che risultato sarebbe, se i Congregati non
erano aggraziati dal Santo Padre.
"Non lascerò,
rescrisse a' 2 di Marzo l'Eminentissimo Zelada, passare in Congregazione la sua
medesima lettera, ed annesso Dispaccio, affinché si unisca alla Posizione, ed
il tutto si ponga sotto l'occhio del Signor Cardinale Ghilini, che n'è il
Ponente, cui è commesso esaminare il tutto, che appartiene a questa causa.
Intanto per quella picciola parte, che io potrò avervi, non lascerò - 127 -
unicamente avere in
vista que' giusti fini che si debbano a vantaggio della Religione, e de'
Fedeli, e può esserne sicura".
Soggiunge, e dice:
"Ringrazio VS. Illustrissima del pio officio, che mi presta, e del quale
mi confesso bisognoso; con tenermi presente nelle sue sante orazioni; e con
pregarla di altri suoi riveritissimi comandi pieno di stima la più distinta, e
sincera, resto baciandole di tutto cuore le mani".
Mentre le Case, non che
del Regno, ma dello Stato ancora vivevano anziose per la sospirata unione,
l'unico che in Roma tempestava, ed opponevasi di polso era il Procuratore.
Troppo rincrescevagli il dare ad Alfonso una tal consolazione; e maggiormente
il veder disfatto quanto a suo danno operato aveva.
Alfonso per l'opposto,
non facendosi carico del suo operato anzi come se interessato fosse per queste
Case, così gli scrisse a' 26. Marzo.
"Padre mio, trattando io col Padre de Paola circa la nostra unione, gli
scrissi che aveva certa speranza, che il Re ci accordasse la grazia della Vita
Comune, della Povertà, e di poterci obbligare alla Perseveranza, mi rispose,
che se dal Re ci fossero accordate queste grazie, tra di noi si sarebbe
aggiustato tutto. Per grazia di Dio dal Re ci sono state concesse. Atteso
questo, prego V. R. volersi cooperare per conchiudersi l'unione dall'una, e
dall'altra parte desiderata. Spero che Gesù Cristo voglia consolarci con farci
di nuovo vedere uniti; nè credo, che V. R. voglia opporsi".
Conoscendo l'indole del
Soggetto, e credendolo non facile a spostarsi, entra dolcemente ad ammonirlo.
"Prego riflettere, così soggiunge, terminata la lettera, che se V. R.
seguita a mantener la disunione, ed otterrà l'intento, io non posso credere,
che vedendo la Congregazione così divisa, abbia a restarne contenta per tutta
la vita, quando più non potrà darvi rimedio. Prego, per amore di Gesù Cristo,
considerar questo punto, posto a' piedi suoi da solo a solo. L'abbraccio, e
prego Dio che le faccia fare la sua santa volontà. Questa è l'unica preghiera,
che io sempre faccio: Dio mio non mi fate uscire un punto dalla vostra volontà.
Così prego vedendomi la morte così vicina".
Trattandosi queste cose in Roma, non mancò
Alfonso pregare in Benevento l'Eminentissimo Banditi a volerlo coadjuvare
anch'esso presso il Santo Padre.
Tutto sembrava
prospero; ma non mancò al solito il Procuratore opporsi col suo zelo. "Troppo
ne vuole Monsignor Liguori, - 128 -
ei disse, presentandosi in Sagra
Congregazione, o vuol farla da Papa, o non fa conto del Papa. Questi Giuramenti
sono un altro contorno che vuol fare della Regola. Il Papa non riceve, ma dà legge a tutti. Oltre
di ciò lo sconcio è in tutta la Regola. Noi vogliamo la Regola data da
Benedetto XIV., e non la riformata da Monsignor Liguori".
Mettendo in nuovo
prospetto il grave reato di Alfonso, lo fa vedere un Greco Scismatico, non
degno di clemenza. Preoccupati com'erano quei Eminentissimi, e soprafatti dalle
enfatiche assertive del Procuratore, alieni essi furono dalla desiderata
unione. Correva il solo Procuratore, perché, persistendo i disturbi tra questa
Corte e quella di Roma, non era in libertà Alfonso destinarvi taluno de' suoi
per assistere in Sagra Congregazione.
Aveva l'Eminentissimo
Zelada per Monsignor Liguori una special venerazione. Sapendo il costante suo
attaccamento alla S. Sede, e la stima che n'ebbero i due Sommi Pontefici
Clemente XIII e XIV, e non poteva darsi a credere quanto di lui si asseriva.
Considerando l'età così avanzata, e che dovendosi fidare di altri, credevalo di
certo innocente, ed ingannato. Compassionando il savio Porporato la di lui
umiliazione, e l'amarezza in cui viveva, progettò in Congregazione aversi del
riguardo per lui, e venirsi ad un qualche temperamento, per così riunirsi le
rispettive Case nello stato di prima.
Fu solo il Zelada di questo sentimento.
Tutti gli altri Eminentissimi, e specialmente il Cardinal Ghidini, come Ponente
della causa, si opposero in contrario. Il Papa mal informato da Monsignor
Segretario, assistendovi il Procuratore, non solo non si degnò di grazia, ma
persistette nell'operato. Riscontrato Alfonso, voglio, disse, ciocchè vuole
Iddio. La volontà di Dio riaddrizza tutte le cose storte.
Per le Case vi fu lutto e travaglio.
Godette il Procuratore di questa nuova sconfitta, e festoso ne diede parte agli
amici.
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