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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap.25 Ottiene Alfonso dal Re, credendo dar gusto al Papa, i Giuramenti a Dio di Povertà, Vita Comune, e Stabilità, ma opponendosi in Roma il Procuratore, defraudato restò nelle sue speranze.
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Cap.25

Ottiene Alfonso dal Re, credendo dar gusto al Papa, i Giuramenti a Dio di Povertà, Vita Comune, e Stabilità, ma opponendosi in Roma il Procuratore, defraudato restò nelle sue speranze.

 


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Tra la densità di tante tenebre un raggio di luce, che consolò Alfonso, rincorò anche i nostri. Compromesso avevasi il Sovrano, come dissi, di sua reale munificenza fin dai 22. Ottobre 1779. in ragione dell'esito felice, che in promuovere la Santa Crociata, fossero per avere le fatighe dei nostri.

Benedetto avendo Iddio quest'opera per ogni dove del Regno, Alfonso volendo profittare della clemenza del Principe, avanzossi a chiedere non oro, ed argento, ma che i suoi di ogni cosa spropriar si potessero, con fare a Dio Giuramento di vivere perfettamente in Comune, ed in santa Povertà, con quello di Perpetuità nella Congregazione.

Si risolvette a chiedere i Giuramenti a Dio, perché Monsignor Cappellano non era per condiscendere ai Voti. Maggiormente avendo rilevato, che Innocenzo XI. anche commutato aveva nel 1684. a' Sacerdoti, e Chierici di S. Giuseppe, in tanti Giuramenti i Voti di Povertà, Castità, ed Ubbidienza. Credeva con questo incontrare il compiacimento del Santo Padre Pio VI, perché la promessa a Dio con giuramento minor forza del voto non aveva, anzi maggiore, per ligare con Dio le coscienze.

 

Sicuro di esser compiaciuto, così scrisse a' 2 Gennaro 1781 al Padre Cajone in Benevento: "Prego far raccomandare a Dio questa grazia cercata al Re. Se l'avremo, come speriamo, la nostra Congregazione muterà faccia. Quando Roma intenderà questi favori concessi dal Re, spero a Dio che così la Sacra Congregazione, come il Papa, non avranno difficoltà ammettere, che la Congregazione si unisca di nuovo. Noi facciamo orazione: fatela anche voi".

 

Fatto inteso in Frosinone il Presidente de Paola di questo, che trattavasi in Regno, francamente rescrisse ai 14 dello stesso mese: "Avendo il P. Tannoja scritto a Monsignor Segretario, che si sospendesse per due mesi ogni passo in Congregazione, di consenso se gli è accordato. Se veramente, ei dice, si ottiene ciò, è finita la causa, e si verrà all'unione".

Perché pendeva la discussione de' carichi nella Real Camera, ed uno di questi era la questua, che facevasi dai nostri, Alfonso chiesto avea in grazia potersi domandare in tempo di ricolta delle biade, e dell'olio qualche soccorso agli amici, e benefattori.

 

Umiliandosi la supplica al Re, Alfonso acchiudendola al Marchese de Marco, anche implora la di lui protezione. "Signor Marchese


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mio veneratissimo, così egli, Vostra Eccellenza per sua bontà, contra il mio merito, sempre mi ha voluto bene. Sarei venuto di persona a supplicarla, ma ritrovandomi storpio sopra di una sedia, ed in età di anni ottantaquattro, mi veggo afflitto in vedere trattenuto il profitto, che per la gloria di Dio, può fare la mia Congregazione. Non sapendo a chi ricorrere, ricorro a V. Eccellenza, che tanto ama la divina gloria, e supplico voler leggere questo mio memoriale a Sua Maestà, acciocché colla sua carità mi possa consolare; ed intanto mi umilio a' suoi piedi quanto posso".

 

Coi mezzi umani non lasciò Alfonso anche ajutarsi presso Dio colle preghiere così dei nostri, che di varie Anime divote; e nelle Case per nove giorni ogni sera volle che esposto si fosse il Venerabile all'adorazione di tutta la Comunità, anche con varie preci che prescrisse. Tutti i nostri si posero nello spirito di penitenza, si celebrarono molte Messe, e si allargò la mano in beneficio de' poveri.
"Facciamo quello si può per aversi l'unione, rescrisse Alfonso al Padre de Paola. Se Dio ci vuole divisi, altro non posso dire, che fiat voluntas sua. Io sto col piede alla fossa. Se dopo la morte mia si faranno due Rettori Maggiori, la Congregazione anderà a finire. Parliamo chiaro. Ancorché non torniamo ad unirci, il paese dove possiamo fare più acquisto di Anime, non sarà Roma, ma il Regno di Napoli, così abbondante di persone, ed amico di Missioni: se seguitiamo a star nemici, la Congregazione non potrà seguitare a fare quel bene, che finora ha fatto. Del resto l'unica preghiera, che ora faccio a Dio si è, che si adempisca quello, che più piace a Dio".

 

 Non mancò il Re con sua clemenza accordare quanto Alfonso avevagli chiesto. "Informato il Re, così il Marchese de Marco a' 24. Febrajo 1781., dello zelo, e delle indifesse fatighe, colle quali i Missionarj da VS. Illustrissima istruiti hanno promossa la pia opera della Crociata; e volendo dare un contrassegno del suo reale gradimento, si è degnato la Maestà Sua accordarle la grazia delle tre dimande da lei fatte nella sua supplica.

Accorda, e permette, che i Missionarj del suo Istituto giurino a Dio di vivere perfettamente in Comune, ed in Povertà, senza pregiudizio però del dominio de' proprj beni patrimoniali, e dell'usufrutto dei medesimi. In secondo luogo permette Sua Maestà, che li medesimi Missionarj prestino a Dio il giuramento di perseveranza nella Congregazione, ma da potersi rilasciare dal Capo della medesima per cause ragionevoli. Finalmente si è degnata permettere, che i Missionarj in tempo della ricolta delle biade, e dell'olio, possano dimandare ai loro amici, e benefattori qualche soccorso".

 

Gioì Alfonso avendo ottenuto questo Dispaccio. Respirò, credendo rimarginata la piaga; e ringraziando Iddio così rescrisse al P. Corrado. "Il Signore ci ha consolati: sia sempre benedetto. Neppure io me lo credeva, ma il Signore, coll'intercessione della Vergine, e di S. Giuseppe, ci ha fatta la grazia".

Sul medesimo piede ne da parte alle Case, e volle, che esposto il Venerabile, si fossero resi a Dio, ed a Maria SS., i dovuti ringraziamenti. Inculcò a tutti osservanza più rigorosa della Regola, e maggiore esattezza nel divino servizio. "Vi mando la grazia del ricevuto Dispaccio, così a 24. Febrajo al P. D. Celestino de Robertis, Superiore allora nella Casa di Caposele. Andate nel Coro a ringraziare il SS. Sagramento, e Maria Vergine. Quanto più si disperava di ricevere una tal grazia, ricevuta l'abbiamo per miracolo della Madonna. Miracolone! Sappiamo essere grati a Gesù Cristo, ed a Maria SS., acciocché Gesù Cristo, e Maria Vergine mettano in piedi da capo l'osservanza, perché in buona parte stavamo ruinati. Ora si ha da rinnovare tutta la Regola, perché finora poco si è atteso ad osservarla. La benedico, e vi abbraccio uno per uno".
Terminata la lettera soggiunge: "Voglio che tutti voi mi rispondiate con quale allegrezza, e con quali ringraziamenti a Dio avete ricevuto questa grazia.

 

Estro di gioja vi fu in tutte le Case. Non sono cose queste da esprimersi per lettera, specialmente se gli rescrisse dal Rettore della Casa d'Iliceto. "La consolazione ha soprabbondato l'angustia, in cui eravamo. Da morti, a dispetto dell'Inferno, ci siamo veduti vivi. Si sono fatti de' fuochi in varj luoghi a vista d'Iliceto: vi è stato un superbo sparo di mortaletti, e quantità di folgori in aria. Il popolo conscio dei nostri travagli anche ne ha sperimantata somma consolazione. Il Capitolo ha mandato il suo Procuratore a rallegrarsi; e l'Agente del Principe con altri gentiluomini sono stati con noi a pranzo. Iddio, che ci ha consolati, preghiamolo, che finisca di mettervi la pace. Messe se ne sono dette in quantità prima di aversi la grazia, e se ne dicono ancora".

 

Non fu tardi Alfonso, uscito il Dispaccio, in mandarne copia al Cardinal Zelanda, che per la morte dell'Eminentissimo Caracciolo, presedeva come Prefetto nella Sagra Congregazione. Accenna di nuovo il suo inganno, rileva coi Giuramenti a Dio essersi rimarginata la piaga, e posegli in veduta il bisogno delle Anime in questo Regno, ed il grave danno, che risultato sarebbe, se i Congregati non erano aggraziati dal Santo Padre.

"Non lascerò, rescrisse a' 2 di Marzo l'Eminentissimo Zelada, passare in Congregazione la sua medesima lettera, ed annesso Dispaccio, affinché si unisca alla Posizione, ed il tutto si ponga sotto l'occhio del Signor Cardinale Ghilini, che n'è il Ponente, cui è commesso esaminare il tutto, che appartiene a questa causa. Intanto per quella picciola parte, che io potrò avervi, non lascerò


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unicamente avere in vista que' giusti fini che si debbano a vantaggio della Religione, e de' Fedeli, e può esserne sicura".

Soggiunge, e dice: "Ringrazio VS. Illustrissima del pio officio, che mi presta, e del quale mi confesso bisognoso; con tenermi presente nelle sue sante orazioni; e con pregarla di altri suoi riveritissimi comandi pieno di stima la più distinta, e sincera, resto baciandole di tutto cuore le mani".

 

Mentre le Case, non che del Regno, ma dello Stato ancora vivevano anziose per la sospirata unione, l'unico che in Roma tempestava, ed opponevasi di polso era il Procuratore. Troppo rincrescevagli il dare ad Alfonso una tal consolazione; e maggiormente il veder disfatto quanto a suo danno operato aveva.

Alfonso per l'opposto, non facendosi carico del suo operato anzi come se interessato fosse per queste Case, così gli scrisse a'  26. Marzo. "Padre mio, trattando io col Padre de Paola circa la nostra unione, gli scrissi che aveva certa speranza, che il Re ci accordasse la grazia della Vita Comune, della Povertà, e di poterci obbligare alla Perseveranza, mi rispose, che se dal Re ci fossero accordate queste grazie, tra di noi si sarebbe aggiustato tutto. Per grazia di Dio dal Re ci sono state concesse. Atteso questo, prego V. R. volersi cooperare per conchiudersi l'unione dall'una, e dall'altra parte desiderata. Spero che Gesù Cristo voglia consolarci con farci di nuovo vedere uniti; credo, che V. R. voglia opporsi".

 

Conoscendo l'indole del Soggetto, e credendolo non facile a spostarsi, entra dolcemente ad ammonirlo. "Prego riflettere, così soggiunge, terminata la lettera, che se V. R. seguita a mantener la disunione, ed otterrà l'intento, io non posso credere, che vedendo la Congregazione così divisa, abbia a restarne contenta per tutta la vita, quando più non potrà darvi rimedio. Prego, per amore di Gesù Cristo, considerar questo punto, posto a' piedi suoi da solo a solo. L'abbraccio, e prego Dio che le faccia fare la sua santa volontà. Questa è l'unica preghiera, che io sempre faccio: Dio mio non mi fate uscire un punto dalla vostra volontà. Così prego vedendomi la morte così vicina".

 

 Trattandosi queste cose in Roma, non mancò Alfonso pregare in Benevento l'Eminentissimo Banditi a volerlo coadjuvare anch'esso presso il Santo Padre.

Tutto sembrava prospero; ma non mancò al solito il Procuratore opporsi col suo zelo. "Troppo ne vuole Monsignor Liguori,


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ei disse, presentandosi in Sagra Congregazione, o vuol farla da Papa, o non fa conto del Papa. Questi Giuramenti sono un altro contorno che vuol fare della Regola. Il  Papa non riceve, ma legge a tutti. Oltre di ciò lo sconcio è in tutta la Regola. Noi vogliamo la Regola data da Benedetto XIV., e non la riformata da Monsignor Liguori".

Mettendo in nuovo prospetto il grave reato di Alfonso, lo fa vedere un Greco Scismatico, non degno di clemenza. Preoccupati com'erano quei Eminentissimi, e soprafatti dalle enfatiche assertive del Procuratore, alieni essi furono dalla desiderata unione. Correva il solo Procuratore, perché, persistendo i disturbi tra questa Corte e quella di Roma, non era in libertà Alfonso destinarvi taluno de' suoi per assistere in Sagra Congregazione.

 

Aveva l'Eminentissimo Zelada per Monsignor Liguori una special venerazione. Sapendo il costante suo attaccamento alla S. Sede, e la stima che n'ebbero i due Sommi Pontefici Clemente XIII e XIV, e non poteva darsi a credere quanto di lui si asseriva. Considerando l'età così avanzata, e che dovendosi fidare di altri, credevalo di certo innocente, ed ingannato. Compassionando il savio Porporato la di lui umiliazione, e l'amarezza in cui viveva, progettò in Congregazione aversi del riguardo per lui, e venirsi ad un qualche temperamento, per così riunirsi le rispettive Case nello stato di prima.

Fu solo il Zelada di questo sentimento. Tutti gli altri Eminentissimi, e specialmente il Cardinal Ghidini, come Ponente della causa, si opposero in contrario. Il Papa mal informato da Monsignor Segretario, assistendovi il Procuratore, non solo non si degnò di grazia, ma persistette nell'operato. Riscontrato Alfonso, voglio, disse, ciocchè vuole Iddio. La volontà di Dio riaddrizza tutte le cose storte.

Per le Case vi fu lutto e travaglio. Godette il Procuratore di questa nuova sconfitta, e festoso ne diede parte agli amici.




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