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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap.26 Congresso de' nostri col Presidente in Benevento: buoni officj fatti col Papa a Terracina dall'Eminentissimo Banditi: Alfonso destina due de' nostri a Roma; ma opponendosi il P. Procuratore, confirmata restò la divisione, e la privazione delle Grazie per queste Case di Regno.
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Cap.26

Congresso de' nostri col Presidente in Benevento: buoni officj fatti col Papa a Terracina dall'Eminentissimo Banditi: Alfonso destina due de' nostri a Roma; ma opponendosi il P. Procuratore, confirmata restò la divisione, e la privazione delle Grazie per queste Case di Regno.

 


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Troppo di mira aveva preso l'Inferno la Congregazione, perché troppo opposta a' suoi disegni; né sapevansi da Alfonso quali fossero i profondi giudizj di Dio. Affatigavasi l'afflitto vecchio per rialzare le torri della desolata Gerosolima; ma con suo rammarico diroccato ritrovavasi di mattina ciò, che erasi rialzato di sera. Se si afflisse per lo risultato in Roma, disanimato non si vide per ricuperarsi la grazia del Papa.

Essendo per arrivare il P. Presidente in Benevento, sollecito a sei di Marzo, ritrovandosi in Napoli il P. Corrado pregollo, che portato vi si fosse per


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concertare col medesimo i mezzi per l'unione. "A Benevento, gli scrisse, (cioè a quelle due Case) si è fatta gran festa per la grazia ricevuta dal Re di ammettersi la Perseveranza, ed il Cardinale molto se n'è rallegrato; ma se il negozio non si seguita a conchiudere sarà perduta ogni cosa. Io sono povero storpio, ed appena mi posso muovere. Si faccia animo, perché Dio l'ajuterà".

 

In una mattina di Venerdì, cioè a' 3. Aprile, vi fu cosa in Benevento quasi prodigiosa. Non consapevoli gli uni degli altri, senza per precedente appuntamento, quasi sul medesimo punto ci vidimmo giunti io da Iliceto, i Padri Corrado, e Costanzo da Nocera, da Caposele il Padre Rettore d'Agostino, e da S. Angelo il Padre Rettore D. Carmine Picone.

Uniti gli animi, amichevolmente si convenne col Padre Presidente nei punti dell'unione. Tra l'altro, che si stabilissero due Provincie, ed egli Vicario di quella dello Stato. Perché le cose stavano prodotte avanti al Papa ci compromisimo destinar quanto prima due Soggetti per Roma. In tutto si stimò sincero il P. Presidente, maggiormente che chiese a' Padri in mia assenza, destinarsi me per Roma, comecchè ben veduto da Monsignor Carafa, e dall'Avvocato Zuccaro Prosegretario della medesima.

 

Troppo a male ebbe il Procuratore questo pacifico abboccamento. Minacciò, essendosi disgustato col Presidente, voler ruinare colle Case del Regno anche quelle dello Stato. Il livore conceputo per queste Case, e per Alfonso, anzi che digerito, fomentavalo di vantaggio. Giurò non farne una buona, ed attraversare qualunque fatta convenzione. Questo gusto, disse, non sarà mai per averlo da me Monsignor Liguori, e i suoi Satrapi.

Non voleva la pace, perché temeva la guerra. Se Monsignor Liguori, dissemi in Roma, mi ha nelle mani, di me ne fa stracci. Operava da disperato, non potendo prevedere per se né pace, né quiete.

 

Essendo per portarsi il Pontefice dopo Pasqua alle Paludi, si avanzò Alfonso a 6 Aprile pregare l'Eminentissimo Banditi volersi incomodare portarsi di persona per informarlo a voce. "So che Vostra Eminenza ha scritto più volte a favore dell'unione: ma io spero molto più di profitto con una parlata, che con tutte le lettere". Così pregò Monsignor Bergamo, Vescovo di Gaeta, perchè ben veduto dal Papa.

Fu Pio VI. in Terracina, ma molto preoccupato a danno di Alfonso, e di queste Case. Avendogli Monsignor Bergamo posto in veduta l'innocenza di Alfonso, e quello erasi operato contro i suoi sentimenti dal P. Majone, accertò il Santo Padre, che non erano in pratica le innovazioni già fatte. Così espose le comuni angustie, ed il gran bene che si operava dalla Congregazione, quasi unica a fatigare nelle Provincie del Regno. Che espongono, disse il Papa, tutto l'accaduto con verità, perché non è ben fatto mutarsi la Regola di una


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Comunità Religiosa senza l'autorità della Santa Sede.

Rilevando Monsignor Bergamo la santità di Monsignor Liguori, l'attacco avuto in ogni tempo per la Santa Sede: So, rispose il Papa, che sia un santo, e che attaccato lo sia sempre stato alla Cattedra, ma in questo caso, non è stato tale.
Rappresentandogli il Cardinale il suo stato, la sua impotenza, e l'infedeltà de' due consaputi Soggetti, il Papa altro non disse: Che mi si faccia assistere in Roma. Avendolo pregato Monsignor Bergamo voler benignare Alfonso della sua benedizione, sì, disse, con tutto il cuore lo benedico, come intendo per tutti i Congregati.

Non soddisfatto Monsignore del suo operato, avendo troppo a cuore la pace di Alfonso, ed il bene della Congregazione, licenziandosi dal Papa, ripregarlo non mancò di sua clemenza per Alfonso, e queste Case. "Che vengano, replicò il Pontefice, e rappresentino con sincerità l'accaduto". Verranno, disse Monsignore, ai piedi di V. Santità, e fedelmente esporranno il tutto. Maneggi fece ancora Monsignore Bergamo col Cardinal nipote, e con Monsignor Contessini, Elemosiniere della Santità Sua.

 

Nella fine di Maggio animato Alfonso da Monsignor Bergamo, e dall'Eminentissimo Banditi, spedì ai piedi del Papa, ritrovandomi io incomodato, i PP.D. Bartolomeo Corrado, e D. Francesco Saverio di Leo. Contava i momenti l'afflitto vecchio per vedersi coi suoi figli riaggraziato dal Papa. Orazioni e Sacrificj intimò per queste Case, ed animò quelle di S. Angiolo e Benevento a cooperarsi anch'esse per meritarsi una tal grazia.

 

Tra queste comuni angustie, e così gravi, nelle quali tra questo tempo ritrovavasi Alfonso, altra ve n'era che non capivasi da noi, e per Alfonso era la massima. Aveva egli Voto, per non offendere il Voto di Povertà, dipendere dal Rettore di Casa, come ogni altro Soggetto, in qualunque dubbio di proprietà. Non essendo di presente legittimi Superiori delle Case i Rettori in Regno, perché tali non conosciuti dal Papa, e non avendo egli a chi ricorrere, credeva stare di continuo in pericolo di peccato.

Non avendo animo presentarsi al Papa, perché colla sopraveste di reo, e sotto del suo più severo giudizio, scrisse, ed incarica il P. Corrado volercelo esso rappresentare.
 "Sappia V. R., così egli, che trovandomi in legato al Papa secondo la Regola di osservare il Voto fatto della Povertà, io la voglio osservare secondo mi sono obbligato; ma per osservarla come debbo, dovrei ne' miei particolari dubbj dipendere dalla dispensa dal Superiore della Casa. Presentemente io non ho in Congregazione alcun Superiore da poter dipendere, onde sono in una terribile agitazione, ed il demonio mi tenta a disperarmi.

Io non voglio offendere Dio in menoma cosa. Prego V. R. parlare al Papa, e palesargli questa mia agitazione,


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che per li tanti dubbj che in questo stato mi vengono, mi mantiene in una continua morte, e supplicarlo che in tutt'i dubbj io dipendessi dal giudizio del Rettore, o Confessore".

Prosiegue di vantaggio e dice: "Supplichi Sua Santità ad usarmi questa pietà, ricordandole che un tempo per sua bontà mi ha voluto bene".

Fe capo il P. Corrado non dal Papa, ma dal Cardinal Penitenziere. Ammirò questi la delicatezza di Alfonso, e questo suo voto, come cosa nuova in chi è Superiore in materia di povertà: Acquiescat suo Confessario: disse il Cardinale. Se letta si fosse questa lettera di Alfonso da Pio VI., di certo si sarebbe intenerito.

 

Non furono in Roma per Alfonso e per i nostri così prospere le cose, come si speravano. E' fatalità delle scissure, siccome facili a succedere, così difficili a rimarginarsi. Non essendo il Regolamento, che avevasi in mira dal Procuratore, ma scuotere volendo il giogo di Alfonso, tutto svanì in fumo l'operato in Benevento, e Terracina.

Umiliata al Papa la supplica di Alfonso, e rimessa in Sacra Congregazione, a' 22. di Giugno fu rescritto: Audiatur Procurator Generalis Congregationis praesens in Curia. Si rappresentò dai nostri l'inganno sortito, la grazia de' Giuramenti ottenuti dal Re, e l'integrità con cui la Regola si osservava.

Anch'esso il P. Procuratore a' 9 di Luglio presentò il suo voto. "Su le prime, ei disse, io non ho mai saputo, ironicamente parlando, emanato alcun decreto che privi l'Oratore (cioè Alfonso) e suoi seguaci delle grazie della S. Sede. Se volesse intendere che col disertare dal professato Istituto, adottato avendo un nuovo sistema, abbia bisogno dell'assoluzione, dipenderà dalla vostra clemenza, Eminentissimi Signori; e perché l'assoluzione non rendesi frustranea colla loro perseveranza nella diserzione, bisogna dispensarli ancora dai Voti della loro professione:"
Questo fu il principio del suo voto. Quali e quante stravaganze potette ei dire, per non dir eresie, mi rincresce individuarle.

Tra l'altro con petto apostolico rimproverò, come bandita nelle Case di Regno con ruina dell'Istituto, la Povertà Evangelica, unico sostegno della Vita Comune. Disse, che volendo la Regola amministrati da Superiori i fruttati de' patrimonj, il Regolamento lasciavali alla disposizione de' Soggetti.

Si rispose, che essendo equivoca la Regola, Monsignor Liguori , per non interessare i congiunti, volle fin dalle prime, che rilasciati si fossero a beneficio di quelli; che non altrimenti praticava esso Procuratore, e praticavasi da tutti nelle Case dello Stato. Oppose similmente, che ottenuto il Giuramento di Stabilità, vedevasi il Papa tolto di mezzo, riserbandosi al Superior Maggiore, e non al Papa la dispensa, come se tal facoltà non si dasse dalla Regola, all'uno ed all'altro.

Uomo freddo era il Procuratore; non agitavasi, né commovevasi,


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anzi non parlava, e feriva. Così preoccupati restarono quei Eminentissimi dalle sue enfatiche assertive, che dichiararonsi in contrario. Informato il S. Padre, e tutt'altro essendoglisi rappresentato, che quello umiliato se gli era in Terracina dal Cardinal Banditi, e da Monsignor Bergamo, l'ebbe così a male, che ne restò maggiormente formalizzato. A 24 Agosto con nostro doppio travaglio fu rescritto: Standum in decisis per Sanctissimum sub die 23. Sptembris 1780.; e con doppio trionfo del Procuratore fu detto: Et amplius non admittantur preces.

[Questa conferma del Pontificio Oracolo fu come l'ultimo trionfo del Procuratore. Gonfio per la vittoria riportata, avendo conseguito quanto voleva, cioè queste Case di Regno spogliate di Grazie, e Privilegj, e denigrato Alfonso presso del Papa, e presso gli Eminentissimi; non finiva anche per lettera, ed a voce discreditarlo con chiunque.

Ritrovandosi colla Missione in Narni, e raccontando a Monsignor Vescovo quanto in Regno, ed in Roma era accaduto, malmenando Alfonso, ripetere non finiva: Si ha giuocato l'altare. Così scandalizzato restò Monsignore di questo vantato trionfo, che ove prima non mancava ogni giorno assistere in Chiesa al Catechismo, che egli faceva, più non vi calò, e non trattavalo, che con suo rincrescimento. (Aggiunta che sta in fine del libro)]

 

In Novembre ritornarono i Padri da Roma. Informato Alfonso di questa decisione, uniformando il suo col volere di Dio, e del Papa, disse con somma pace: Questa è stata la mia preghiera sono sei mesi: Signore voglio quello che vuoi tu. Così Monsignor Liguori sagrificò a Dio in perfetto olocausto un Opera travagliata, ma sostenuta per anni quarantadue, e con questo l'onor suo, la sua pace, la sua riputazione, e quanto di singolare egli aveva in questo mondo.

 

I divini giudizj, benchè ignoti, sono tutti adorabili. Non altrimenti venne trattato Alfonso Liguori. Alfonso che per tanti riflessi costantemente in sua vita erasi sempre veduto dipendente e tutt'ossequioso al Capo della Chiesa. Anche il Divin Padre, benché amasse il suo Figlio, non mancò castigarlo, riguardandolo colla veste di peccato. Amava Pio VI Alfonso con tenerezza di Padre, e se ne sono vedute le ripruove, ma credendolo manchevole, perché tale se gli rappresentava, non lasciò mortificarlo, e privarlo di sua grazia.

 

Non è che fu poi così considerato dopo morto dal medesimo Pontefice. Esaminandosi le sue gesta nella Congregazione de' Sagri Riti, e con quella religiosità e rigore ch'è noto, tutto altro fu rilevato di quello si disse. Questa è quella bilancia, che non è manchevole nel Santuario.

Ne pianse, disingannato il Santo Padre, e non esitò dichiarare a' 29. Aprile 1796 con suo oracolo Pontificio esser stato Alfonso in vita sua ossequiosissimo, e tutto addetto all'Apostolica Sede: Memoria tenemus pietatem singularem, et observatiam Servi Dei erga hanc Sanctam Apostolicam Sedem, voce saepe, come ei si spiega, rebus gestis, et scriptis ab ipso testatam; anzi con silenzio perpetuo ha imposto, che nel decorso della causa in ordine alla di lui Canonizzazione, fatta non si fosse più parola di tal supposto reato. Sicque... per quoscumque Judices, Ordinarios, et Delegatos etiam Causarum Palatii Apostolici, Auditores, S. R. E. Cardinales, etiam de latere Legatos, et Apostolicae Sedis Nuncios, sublata eis, et eorum cuilibet quavis aliter judicandi, et interpretandi facultate, et auctoritate, judicari, et definiri debere, ac irritum, et inane, si secus super his a quocumque quavis auctoritate scienter, vel ignoranter contingerit attentari, non obstantibus Constitutionibus, et Ordinationibus Apostolicis,


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caeterisque contrariis quibuscumque.

Ciò sia detto, affinché chi legge maggiormente si disinganni, riserbandosi a chi spetta, ed al suo tempo individuar le pruove che rilevate si sono in quella Sagra Congregazione, ove non che le opere, anche i respiri si esaminano di chi si presenta, ed è per mettersi sull'Altare.




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