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Cap.26
Congresso de' nostri col Presidente in Benevento:
buoni officj fatti col Papa a Terracina dall'Eminentissimo Banditi: Alfonso
destina due de' nostri a Roma; ma opponendosi il P. Procuratore, confirmata
restò la divisione, e la privazione delle Grazie per queste Case di Regno.
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Troppo di mira aveva
preso l'Inferno la Congregazione, perché troppo opposta a' suoi disegni; né
sapevansi da Alfonso quali fossero i profondi giudizj di Dio. Affatigavasi
l'afflitto vecchio per rialzare le torri della desolata Gerosolima; ma con suo
rammarico diroccato ritrovavasi di mattina ciò, che erasi rialzato di sera. Se
si afflisse per lo risultato in Roma, disanimato non si vide per ricuperarsi la
grazia del Papa.
Essendo per arrivare il
P. Presidente in Benevento, sollecito a sei di Marzo, ritrovandosi in Napoli il
P. Corrado pregollo, che portato vi si fosse per - 129 -
concertare col medesimo i mezzi per l'unione.
"A Benevento, gli scrisse, (cioè a quelle due Case) si è fatta gran festa
per la grazia ricevuta dal Re di ammettersi la Perseveranza, ed il Cardinale
molto se n'è rallegrato; ma se il negozio non si seguita a conchiudere sarà
perduta ogni cosa. Io sono povero storpio, ed appena mi posso muovere. Si
faccia animo, perché Dio l'ajuterà".
In una mattina di
Venerdì, cioè a' 3. Aprile, vi fu cosa in Benevento quasi prodigiosa. Non
consapevoli gli uni degli altri, senza per precedente appuntamento, quasi sul
medesimo punto ci vidimmo giunti io da Iliceto, i Padri Corrado, e Costanzo da
Nocera, da Caposele il Padre Rettore d'Agostino, e da S. Angelo il Padre
Rettore D. Carmine Picone.
Uniti gli animi,
amichevolmente si convenne col Padre Presidente nei punti dell'unione. Tra
l'altro, che si stabilissero due Provincie, ed egli Vicario di quella dello
Stato. Perché le cose stavano prodotte avanti al Papa ci compromisimo destinar
quanto prima due Soggetti per Roma. In tutto si stimò sincero il P. Presidente,
maggiormente che chiese a' Padri in mia assenza, destinarsi me per Roma,
comecchè ben veduto da Monsignor Carafa, e dall'Avvocato Zuccaro Prosegretario
della medesima.
Troppo a male ebbe il
Procuratore questo pacifico abboccamento. Minacciò, essendosi disgustato col
Presidente, voler ruinare colle Case del Regno anche quelle dello Stato. Il
livore conceputo per queste Case, e per Alfonso, anzi che digerito, fomentavalo
di vantaggio. Giurò non farne una buona, ed attraversare qualunque fatta
convenzione. Questo gusto, disse, non
sarà mai per averlo da me Monsignor Liguori, e i suoi Satrapi.
Non voleva la pace,
perché temeva la guerra. Se Monsignor
Liguori, dissemi in Roma, mi ha nelle
mani, di me ne fa stracci. Operava da disperato, non potendo prevedere per
se né pace, né quiete.
Essendo per portarsi il
Pontefice dopo Pasqua alle Paludi, si avanzò Alfonso a 6 Aprile pregare l'Eminentissimo
Banditi volersi incomodare portarsi di persona per informarlo a voce. "So
che Vostra Eminenza ha scritto più volte a favore dell'unione: ma io spero
molto più di profitto con una parlata, che con tutte le lettere". Così
pregò Monsignor Bergamo, Vescovo di Gaeta, perchè ben veduto dal Papa.
Fu Pio VI. in
Terracina, ma molto preoccupato a danno di Alfonso, e di queste Case. Avendogli
Monsignor Bergamo posto in veduta l'innocenza di Alfonso, e quello erasi
operato contro i suoi sentimenti dal P. Majone, accertò il Santo Padre, che non
erano in pratica le innovazioni già fatte. Così espose le comuni angustie, ed
il gran bene che si operava dalla Congregazione, quasi unica a fatigare nelle
Provincie del Regno. Che espongono, disse
il Papa, tutto l'accaduto con verità,
perché non è ben fatto mutarsi la Regola di una - 130 -
Comunità
Religiosa senza l'autorità della Santa Sede.
Rilevando Monsignor
Bergamo la santità di Monsignor Liguori, l'attacco avuto in ogni tempo per la
Santa Sede: So, rispose il Papa, che sia un santo, e che attaccato lo sia
sempre stato alla Cattedra, ma in questo caso, non è stato tale.
Rappresentandogli il Cardinale il suo stato, la sua impotenza, e
l'infedeltà de' due consaputi Soggetti, il Papa altro non disse: Che mi si faccia assistere in Roma. Avendolo
pregato Monsignor Bergamo voler benignare Alfonso della sua benedizione, sì, disse, con tutto il cuore lo benedico, come intendo per tutti i Congregati.
Non soddisfatto
Monsignore del suo operato, avendo troppo a cuore la pace di Alfonso, ed il
bene della Congregazione, licenziandosi dal Papa, ripregarlo non mancò di sua
clemenza per Alfonso, e queste Case. "Che
vengano, replicò il Pontefice, e
rappresentino con sincerità l'accaduto". Verranno, disse Monsignore,
ai piedi di V. Santità, e fedelmente esporranno il tutto. Maneggi fece ancora
Monsignore Bergamo col Cardinal nipote, e con Monsignor Contessini,
Elemosiniere della Santità Sua.
Nella fine di Maggio
animato Alfonso da Monsignor Bergamo, e dall'Eminentissimo Banditi, spedì ai
piedi del Papa, ritrovandomi io incomodato, i PP.D. Bartolomeo Corrado, e D.
Francesco Saverio di Leo. Contava i momenti l'afflitto vecchio per vedersi coi
suoi figli riaggraziato dal Papa. Orazioni e Sacrificj intimò per queste Case,
ed animò quelle di S. Angiolo e Benevento a cooperarsi anch'esse per meritarsi
una tal grazia.
Tra queste comuni
angustie, e così gravi, nelle quali tra questo tempo ritrovavasi Alfonso, altra
ve n'era che non capivasi da noi, e per Alfonso era la massima. Aveva egli
Voto, per non offendere il Voto di Povertà, dipendere dal Rettore di Casa, come
ogni altro Soggetto, in qualunque dubbio di proprietà. Non essendo di presente
legittimi Superiori delle Case i Rettori in Regno, perché tali non conosciuti
dal Papa, e non avendo egli a chi ricorrere, credeva stare di continuo in
pericolo di peccato.
Non avendo animo
presentarsi al Papa, perché colla sopraveste di reo, e sotto del suo più severo
giudizio, scrisse, ed incarica il P. Corrado volercelo esso rappresentare.
"Sappia V. R., così egli, che
trovandomi in legato al Papa secondo la Regola di osservare il Voto fatto della
Povertà, io la voglio osservare secondo mi sono obbligato; ma per osservarla
come debbo, dovrei ne' miei particolari dubbj dipendere dalla dispensa dal
Superiore della Casa. Presentemente io non ho in Congregazione alcun Superiore
da poter dipendere, onde sono in una terribile agitazione, ed il demonio mi
tenta a disperarmi.
Io non voglio offendere
Dio in menoma cosa. Prego V. R. parlare al Papa, e palesargli questa mia
agitazione, - 131 -
che per
li tanti dubbj che in questo stato mi vengono, mi mantiene in una continua
morte, e supplicarlo che in tutt'i dubbj io dipendessi dal giudizio del
Rettore, o Confessore".
Prosiegue di vantaggio
e dice: "Supplichi Sua Santità ad usarmi questa pietà, ricordandole che un
tempo per sua bontà mi ha voluto bene".
Fe capo il P. Corrado
non dal Papa, ma dal Cardinal Penitenziere. Ammirò questi la delicatezza di
Alfonso, e questo suo voto, come cosa nuova in chi è Superiore in materia di
povertà: Acquiescat suo Confessario:
disse il Cardinale. Se letta si fosse questa lettera di Alfonso da Pio VI., di
certo si sarebbe intenerito.
Non furono in Roma per
Alfonso e per i nostri così prospere le cose, come si speravano. E' fatalità
delle scissure, siccome facili a succedere, così difficili a rimarginarsi. Non
essendo il Regolamento, che avevasi in mira dal Procuratore, ma scuotere
volendo il giogo di Alfonso, tutto svanì in fumo l'operato in Benevento, e Terracina.
Umiliata al Papa la
supplica di Alfonso, e rimessa in Sacra Congregazione, a' 22. di Giugno fu
rescritto: Audiatur Procurator Generalis
Congregationis praesens in Curia. Si rappresentò dai nostri l'inganno
sortito, la grazia de' Giuramenti ottenuti dal Re, e l'integrità con cui la
Regola si osservava.
Anch'esso il P.
Procuratore a' 9 di Luglio presentò il suo voto. "Su le prime, ei disse,
io non ho mai saputo, ironicamente parlando, emanato alcun decreto che privi
l'Oratore (cioè Alfonso) e suoi seguaci delle grazie della S. Sede. Se volesse
intendere che col disertare dal professato Istituto, adottato avendo un nuovo
sistema, abbia bisogno dell'assoluzione, dipenderà dalla vostra clemenza,
Eminentissimi Signori; e perché l'assoluzione non rendesi frustranea colla loro
perseveranza nella diserzione, bisogna dispensarli ancora dai Voti della loro
professione:"
Questo fu il principio del suo voto. Quali e quante stravaganze potette ei
dire, per non dir eresie, mi rincresce individuarle.
Tra l'altro con petto
apostolico rimproverò, come bandita nelle Case di Regno con ruina
dell'Istituto, la Povertà Evangelica, unico sostegno della Vita Comune. Disse,
che volendo la Regola amministrati da Superiori i fruttati de' patrimonj, il
Regolamento lasciavali alla disposizione de' Soggetti.
Si rispose, che essendo
equivoca la Regola, Monsignor Liguori , per non interessare i congiunti, volle
fin dalle prime, che rilasciati si fossero a beneficio di quelli; che non
altrimenti praticava esso Procuratore, e praticavasi da tutti nelle Case dello
Stato. Oppose similmente, che ottenuto il Giuramento di Stabilità, vedevasi il
Papa tolto di mezzo, riserbandosi al Superior Maggiore, e non al Papa la
dispensa, come se tal facoltà non si dasse dalla Regola, all'uno ed all'altro.
Uomo freddo era il
Procuratore; non agitavasi, né commovevasi, - 132 -
anzi non parlava, e feriva. Così preoccupati
restarono quei Eminentissimi dalle sue enfatiche assertive, che dichiararonsi
in contrario. Informato il S. Padre, e tutt'altro essendoglisi rappresentato,
che quello umiliato se gli era in Terracina dal Cardinal Banditi, e da
Monsignor Bergamo, l'ebbe così a male, che ne restò maggiormente formalizzato.
A 24 Agosto con nostro doppio travaglio fu rescritto: Standum in decisis per Sanctissimum sub die 23. Sptembris 1780.; e
con doppio trionfo del Procuratore fu detto:
Et amplius non admittantur preces.
[Questa conferma del
Pontificio Oracolo fu come l'ultimo trionfo del Procuratore. Gonfio per la
vittoria riportata, avendo conseguito quanto voleva, cioè queste Case di Regno
spogliate di Grazie, e Privilegj, e denigrato Alfonso presso del Papa, e presso
gli Eminentissimi; non finiva anche per lettera, ed a voce discreditarlo con
chiunque.
Ritrovandosi colla
Missione in Narni, e raccontando a Monsignor Vescovo quanto in Regno, ed in
Roma era accaduto, malmenando Alfonso, ripetere non finiva: Si ha giuocato l'altare. Così scandalizzato restò Monsignore di
questo vantato trionfo, che ove prima non mancava ogni giorno assistere in
Chiesa al Catechismo, che egli faceva, più non vi calò, e non trattavalo, che
con suo rincrescimento. (Aggiunta che sta in fine del libro)]
In Novembre ritornarono
i Padri da Roma. Informato Alfonso di questa decisione, uniformando il suo col
volere di Dio, e del Papa, disse con somma pace: Questa è stata la mia preghiera sono sei mesi: Signore voglio quello
che vuoi tu. Così Monsignor Liguori sagrificò a Dio in perfetto olocausto
un Opera travagliata, ma sostenuta per anni quarantadue, e con questo l'onor
suo, la sua pace, la sua riputazione, e quanto di singolare egli aveva in
questo mondo.
I divini giudizj,
benchè ignoti, sono tutti adorabili. Non altrimenti venne trattato Alfonso
Liguori. Alfonso che per tanti riflessi costantemente in sua vita erasi sempre
veduto dipendente e tutt'ossequioso al Capo della Chiesa. Anche il Divin Padre,
benché amasse il suo Figlio, non mancò castigarlo, riguardandolo colla veste di
peccato. Amava Pio VI Alfonso con tenerezza di Padre, e se ne sono vedute le
ripruove, ma credendolo manchevole, perché tale se gli rappresentava, non
lasciò mortificarlo, e privarlo di sua grazia.
Non è che fu poi così
considerato dopo morto dal medesimo Pontefice. Esaminandosi le sue gesta nella
Congregazione de' Sagri Riti, e con quella religiosità e rigore ch'è noto,
tutto altro fu rilevato di quello si disse. Questa è quella bilancia, che non è
manchevole nel Santuario.
Ne pianse, disingannato
il Santo Padre, e non esitò dichiarare a' 29. Aprile 1796 con suo oracolo Pontificio
esser stato Alfonso in vita sua ossequiosissimo, e tutto addetto all'Apostolica
Sede: Memoria tenemus pietatem
singularem, et observatiam Servi Dei erga hanc Sanctam Apostolicam Sedem, voce
saepe, come ei si spiega, rebus
gestis, et scriptis ab ipso testatam; anzi con silenzio perpetuo ha
imposto, che nel decorso della causa in ordine alla di lui Canonizzazione,
fatta non si fosse più parola di tal supposto reato. Sicque... per quoscumque Judices, Ordinarios, et
Delegatos etiam Causarum Palatii Apostolici, Auditores, S. R. E. Cardinales,
etiam de latere Legatos, et Apostolicae Sedis Nuncios, sublata eis, et eorum
cuilibet quavis aliter judicandi, et interpretandi facultate, et auctoritate,
judicari, et definiri debere, ac irritum, et inane, si secus super his a
quocumque quavis auctoritate scienter, vel ignoranter contingerit attentari,
non obstantibus Constitutionibus, et Ordinationibus Apostolicis, - 132 -
caeterisque contrariis
quibuscumque.
Ciò sia detto, affinché chi legge
maggiormente si disinganni, riserbandosi a chi spetta, ed al suo tempo
individuar le pruove che rilevate si sono in quella Sagra Congregazione, ove
non che le opere, anche i respiri si esaminano di chi si presenta, ed è per
mettersi sull'Altare.
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