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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap. 27 Ospizio concesso ai nostri da Pio VI in Roma; nuove Case aperte in Gubbio, e Foligno; e consolazione di Alfonso, essendone informato.
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Cap. 27

Ospizio concesso ai nostri da Pio VI in Roma; nuove Case aperte in Gubbio, e Foligno; e consolazione di Alfonso, essendone informato.

 


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Iddio, che dal male sa cavarne il bene, se permise tra queste turbolenze, che umiliato si vedesse Alfonso, glorificata volle la Congregazione. Il S. P. Pio VI. conoscendo quanto questa proficua fosse allo Stato, ed utile alla Chiesa, situò i nostri, con suo compiacimento, in Roma, e propriamente nella Chiesa di S. Giuliano, in vicinanza di S. Maria Maggiore.

Fu subito divolgato in Regno questo favore del Papa. Richiesto Alfonso da un amico, se cosa sapesse di questa nuova Casa aperta in Roma: "Non so niente, rispose, né ci entro più io; e sarebbe delitto, se mi ci volessi intrigare. Iddio così vuole, Gloria Patri. Voglio scrivere però come si debbono portare, e che non si mettessero su la polizia Romana".

Volendosi accertare, così scrisse a' 29. Gennaro 1781. al medesimo Presidente: "Quì si è vociferato, che voi della Romagna state per avere una Fondazione in Roma. Avvisatemi di quello che vi è. Bisogna che seguitiamo a trattarci da fratelli, ed amici. Non credo che voi abbiate a sospettare, che io guasti le vostre facende". Considerava que' figli, anche tra queste, e sì gravi amarezze, non altrimenti che per l'innanzi, anzi ne parlava con affetto, e con segni di somma tenerezza.

 

Non contento Pio VI. di aver situati i nostri in Roma, riguardando i bisogni dello Stato, e dilatando sempre più la sua protezione, situolli ancora in Gubbio, ed in Spello, Diocesi di Foligno, né lasciava mezzo per farli a parte delle sue grazie.

Ragguagliato Alfonso dal Padre Francesco de Paola, già Presidente, e specialmente della Casa aperta in Roma, non considerando la propria depressione, ne godette estremamente; e benché alieno ei fosse, come altrove già dissi, di veder situati i nostri in Roma, di presente concorrendovi la volontà del Papa, che egli venerava come volontà di Dio, ne gioì, e compiacque, come se sua fosse l'Opera, ed egli riconosciuto per Capo.

Rescrivendo al medesimo Presidente a' 23. Novembre 1781, così si espresse: "Jeri ventidue del corrente con mia consolazione


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ricevei la vostra carissima, in dove ho saputo con distinzione le due Fondazioni di Foligno, e Gubbio, ed anche l'Ospizio in Roma. Ne ho avuto doppia consolazione, perché così non solo ajuterete queste nuove Case, ma avrete campo ancora di fare molte altre Missioni in questi tempi, ove da per tutto regna la corruzione. Perciò bisogna predicar sempre le massime eterne, Morte, Giudizio, Inferno, e Paradiso".

 

Avendolo riscontrato ancora il P. de Paola del florido Noviziato che aveva, "Godo assai, ei seguita a dire, de' quindici Novizi ricevuti, perché ora per le Missioni in coteste nuove Case, avete bisogno di maggior copia di Soggetti".

 

 Festeggiando i nostri in Roma per le due Case aperte in Gubbio, e Foligno, scrissero essere acclamati anche in Ravenna, e già facevano veder aperta quell'altra casa. "Gli Statisti, disse Alfonso, si trovano contenti, perché hanno acquistata terra nuova. Ho gusto che si è presa Ravenna: si faccia quello che vuole Iddio; ma vedrete, che Ravenna non prenderà piede. Del resto avrei a gusto che andasse avanti". Come predisse, così fu. Ravenna non si prese, e furono vuoti tutt'i maneggi.

 

Avendogli scritto il Padre de Paola, essersi Iddio servito della di lui persona per tutto il bene, che si operava.

"Anch'io ringrazio Dio, rescrisse Alfonso, che per mezzo mio si è servito di dar principio a tutto il bene, che poi si è fatto per mezzo vostro, e principalmente dal Papa, che Dio ha voluto consolarlo con tante altre Opere di gloria sua.

Godo, che andate fra breve a far le Missioni per le Case nuove di Foligno e Gubbio. Spero che Dio si servirà di voi per altri aumenti della gloria sua, ed io non lascerò pregarne il Signore. La ringrazio dell'Avemaria ogni sera, e specialmente l'applicherete per la mia buona morte".

 

Non contento di questo, anche fa carico il Padre de Paola in questa lettera di ciò, che interessavalo per le Anime:

"Aggiungo, disse, più cose molto utili, e prego insinuarle a' compagni. Insinuate il predicare il gran mezzo della preghiera, della quale io ne ho stampato un libro a posta. Iddio vuol fare le grazie, ma vuole essere pregato: chi non prega, non ottiene.
Raccomandate sempre la divozione alla Madonna per chi si vuol salvare. Procurate, che ogni Sabbato si faccia la predica della Madonna, e di farsi sempre questa predica in tutte le Missioni, facendo vedere quanto sia utile il raccomandarsi a Maria, specialmente in tempo di tentazioni, con dirsi Ave Maria. Queste cose ad alcuni pajono cose di feminelle, ma queste possono salvare molte Anime. Più Congregazioni hanno introdotto in Missione di far la predica della Madonna, come li Padri


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di S. Vincenzo de Paoli. Così anche negli Esercizj, predicandosi a Monache, o a Sacerdoti. Resto intanto abbracciandovi e pregando Dio che vi facci tutto suo con tutt'i vostri compagni".

 

Rescrivendo il Padre Villani al medesimo Presidente de Paola, contesta anch'esso l'allegrezza e sommo compiacimento di Alfonso per questi progressi nello Stato del Papa. "La ringrazio, così egli, delle belle notizie che ci delle benedizioni del Signore, e l'assicuro che si sentono con consolazione comune. Specialmente n'esulta per la gioja Monsignor nostro Padre, ne benedice il Signore, e frequentemente ne parla, ed io l'accerto che l'acchiusa è tutta sua dettatura".

 

L'età, gli acciacchi, e le domestiche discordie se a Monsignore non tolsero la vita, notabilmente ce l'abbreviarono. Ancorché cadavere non mancava spesso spesso ricordarsi dei cari figli che dimoravano nello Stato. Non reggendogli la testa per dettare, comunicava, e faceva loro scrivere i suoi sentimenti dal Fratello Francescantonio.
"Questo Monsignor nostro Padre, così questi al Presidente de Paola in data de' 9. Maggio, ben due volte mi ha incaricato di scrivere da parte sua a vostra paternità Reverendissima, facendovi sapere, che certamente vi abbraccia, e vuole che pregate Iddio per esso, e farlo pregare dai vostri compagni. Dice che si sente male, e che vi ricordiate che vi è stato compagno. Queste parole tali quali mi ha ordinato che ve le avessi scritte".

 

Avendolo ragguagliato il Presidente de' progressi che faceva la Congregazione sotto il proprio governo: che avevasi presente nelle orazioni comuni; e che passando all'eternità, applicate se gli sarebbero le Messe già prescritte nelle Costituzioni. Per questa esibizione delle Messe con specialità ne godette Alfonso, e non mancò coi sensi più teneri avanzarne i ringraziamenti.

Erano i 21. Giugno 1782. ed ancorché oppresso dai suoi incomodi, esso medesimo nello stesso giorno volle dettarne la risposta. Mi giova tal guale riportarla, perché non restino in dimenticanza i sinceri sentimenti di un cuore così innamorato di Dio, e così appassionato per li suoi figli.

"Ringrazio V. R., ed i suoi compagni, così egli, che si ricordino di me, e sappiate che io ancora mi ricordo di voi. Da ora vi ringrazio con tutto il cuore, come ringrazio i vostri compagni della buona intenzione di dirmi le Messe nella mia morte. Quando potete, scrivetemi un verso, perché le vostre lettere mi consolano. Mi consolo del Noviziato di Scifelli con ventidue giovani.

Prego Dio che sempre più vi accresca il fervore dell'amor suo. Io ringrazio sempre Dio che fa sempre avanzare le vostre Case, e mi fa morire umiliato. Segno che mi vuol perdonare i peccati.

Di nuovo vi ringrazio della memoria che avete di me. Io non lascio raccomandarvi a Gesù Cristo, che vi riempia dell'amor suo. Questo amore prego impetrarmi


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sempre da Gesù, e da Maria, e pregate Dio che mi faccia morire con confidenza nella sua Passione. Di nuovo vi prego raccomandarmi a Gesù, ed a Maria; ed io non lascerò farlo per tutti voi, acciocché vi riempiano del loro amore. Con ciò vi abbraccio con tutti i vostri compagni".

Questa lettera, così attesta al medesimo Presidente il Fratello Francescantonio, fu tutta dettata da Monsignor nostro Padre.

Riconoscendo suo Superiore il Padre Presidente, non termina così questa, che le altre lettere con dargli la benedizione, ma scrive: Prego Gesù Cristo che vi benedica tutti con tutte le vostre Case e compagni; né si soscrive che coll'usata formola scrivendosi al Superiore Maggiore, cioè Affezionatissimo, ed obbligatissimo Fratello Alfonso Maria del SS. Redentore.

 

Non bisogna dire che non pungevagli il cuore il vedere queste case prive delle Apostoliche grazie. Specialmente si rilevò questo, vedendosi esinanito, e mal ridotto da una lunga emorragia. Abbattuti i sensi, freneticando e vaneggiando dicea: "Come? Non siamo noi la Congregazione del SS. Redentore? Non ricevemmo noi la Regola dal Papa Benedetto XIV.? Se osserviamo la Regola del Papa, perché non siamo della Congregazione?". Altra volta: "Noi abbiamo la Regola del Papa, noi abbiamo fato i Voti, e l'osserviamo; dunque perché non siamo della Congregazione?"

Freneticando un altro giorno: "Si può forse dubitare, ei diceva, che quella Regola si è osservata, e quella si osserva, che a noi fu proposta dal Papa Benedetto XIV., come ora ci abbiamo da trovare fuori? Dio così vuole, pazienza". Facendoci compassione, e volendolo distogliere da simili pensieri, se gli diceva, che noi eravamo i veri Congregati: così acchetavasi, e davasi pace. Meraviglia ci faceva, che anche in questi vaneggiamenti parola non uscivagli di bocca che indicato avesse disgusto col Papa, o amarezza per veruno.

 

Essendosi portato per chiedergli la benedizione una Compagnia de' nostri ritornando dalla Missione di Somma; Alfonso, che sempre una cosa pensava, in vederli. "Non posso capire, lor disse, come si possa dire (era peranche convalescente) che noi non siamo la Congregazione del SS. Redentore, quando la Regola a noi fu concessa da Benedetto XIV., e questa Regola si è osservata, e si osserva.

Questo è fuori di dubbio, rispose il Padre D. Alessandro di Meo, ed VS. Illustrissima n'è chiamata Fondatore così dal Papa, che dal Re.
"Io non voglio essere nominato più nel mondo, rispose Monsignore: voglio si sappia che la Regola che si osserva è quell'istessa ricevuta dal Papa, e che noi non ci siamo appartati".

"Sì Signore, così è, disse il Padre, e sempre si dovrà confessare che qui sta la Congregazione, e che si osserva la Regola, che dal Papa fu data a D. Alfonso Liguori"; 


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ed un altra volta D. Alfonso Liguori, quasi disturbato ripigliò Monsignore: io che ne voglio fara di questo? Mi preme si sappia che siamo ossequiosi al Papa. Benedetto Dio, che tanto ha disposto".

 

 Trionfò l'Inferno non vi ha dubbio. Alfonso benché vedesse il naufragio, e così infranto il picciol suo legno, non per questo scemata si vide in lui quella fiducia, che superiori ci rende a qualunque travaglio. Un giorno, ed era nel colmo delle angustie, avendo chiesto ai nostri cosa potevasi fare per darvi del riparo, ed essendoglisi detto che più non ci pensasse. "Ed io vi assicuro, ripigliò Monsignore, che Dio ha voluto e vuole la Congregazione nel Regno, per il Regno io l'ho fondata, e per questo Iddio me ne diede la vocazione".

Sperava sempre, qualunque fosse la tempesta, che Gesù Cristo, e Maria SS., com'ei diceva, abbandonata non avrebbero un Opera di tanta gloria di Dio, e di tanto bene delle Anime. Non era speranza in esso, ma fiducia. Abbattuti che fossimo, ei rincoravaci colla certezza di vederci riuniti, e ricuperata la grazia del Papa. "Non ci sconfidiamo, disse un giorno, anche Lazzaro quatriduano si vide in vita: portiamoci bene con  Dio, che Dio può tutto; preghiamolo, e rassegniamoci".

Questa sua fiducia, e tale uniformità confondeva tutti noi, e stupidi diventavamo in faccia al suo imperturbamento.




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