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Cap.28
Ricorso de' Vescovi al Papa; relazione di Monsignor
Pronunzio; Alfonso vedesi in parte aggraziato da Pio VI, e giustificato avanti
al Sovrano per le sognate criminalità dell'Avvocato Fiscale.
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Decadute le Case di
Regno dalla grazia del Papa, meno sensibile della nostra non fu l'afflizione in
cui furono i Vescovi. Si videro questi costernati vedendo mancare per essi una
Congregazione di Operarj, ch'erano a parte delle loro sollecitudini. Afflitti,
pochi furono quelli, che non fecero presente, chi al Santo Padre, chi
all'Eminentissimo Zelada, e chi a Monsignor Carafa l'innocenza di Alfonso, e
de' suoi, e quelle triste conseguenze ch'erano per risultare alle Diocesi, se
la clemenza di Pio VI. non era per rimettere Alfonso, ed i nostri nella
pristina sua grazia.
Fra gli altri che si
segnalarono presso il Santo Padre colle loro rappresentanze furono gli
Arcivescovi di Capua, di Amalfi, di Matera, di Conza, e di Salerno. Così tra
Vescovi, Monsignor Sanfelice, Vescovo di Nocera, Monsignor Lopez, Vescovo di
Nola, Monsignor Amato, Vescovo di Lacedonia, Monsignor Nicodemo, Vescovo di S.
Angelo, e Bisaccia; e Monsignor Bonaventura, Vescovo di Nusco. - 138 -
Ommettere non voglio
talune di queste lettere per così contestare la di loro amarezza, l'innocenza
di Alfonso, e la grave afflizione in cui si gemeva.
Monsignor Amato, questo
zelante Prelato così noto per la sua probità, e prudenza, dopo essersi mostrato
inteso dell'inganno in cui fu Alfonso, e del Pontificio Rescritto, così dice.
"La colpa, Beatissimo Padre, come l'è noto, non è stata che de' due
Individui. Tutti gli altri, per quanto rilevo, sono innocenti. Tal'è Monsignor
Liguori, Soggetto così benemerito della Santa Sede per lo zelo, che in ogni
tempo ha dimostrato colla voce, colle stampe, e con tutte le sue operazioni. Il
povero vechio in età di anni ottantacinque non potendo da se, ed avendo dovuto
fidare ad altri, senza sua colpa è restato ingannato. Se la Congregazione viene
a patire in Regno, il castigo non è de' due Individui, ma della Congregazione
tutta, massime del povero Monsignor Liguori, ed è miracolo come sopravvive a
tant'afflizione".
Avendo fatto Monsignore l'apologia di Alfonso,
e de' nostri, rileva il grave danno, ch'era per risultare alle Anime.
"Questo Regno, così egli prosiegue, quanto è bisognoso di ajuti
spirituali, altrettanto di presente è destituito di Operarj. E' vero che ve ne
sono nella Capitale, ma o non escono da Napoli, o non è che per poche Missioni.
Tutto il di più non ad altri può dirsi affidato, che alla sola Congregazione
del Redentore. Questi soli per otto mesi continuati indefessamente s'impiegano
a beneficio di tante Diocesi. Questi nelle Calabrie, luoghi abbandonati: essi
nella Terra di Lavoro, ne' due Apruzzi, nella Basilicata, nella Provincia di
Lecce, e per ogni dove del Regno. Questi si veggono impiegati, specialmente in
ajutare tanti poveri villani, che vivono abbandonati per gli Paesetti, e per le
vaste campagne della Puglia. Non vi è Diocesi, che non partecipi delle loro
fatighe, e se regna il buon costume, ed il timor di Dio in questa mia, e nelle
vicine Diocesi, tutto è dovuto.
Beatissimo Padre, a
questi Operarj, ed al zelo indefesso di Monsignor Liguori. Mancando loro
l'Apostolica Benedizione, ne soffrirebbe questo Regno un danno assai grave, e
quasi privo resterebbe di ogni spirituale ajuto".
"La piaga, Santo
Padre, così egli termina, posta nelle vostre mani non è irreparabile.
Accordandosi il beneficio del tempo, non mancherà Monsignor Liguori
rimarginarla, siccome ha fatto nelle tante controversie, che altronde ha
sofferte".
Monsignor Sambiasi,
Arcivescovo di Conza avanzò lettera all'Eminentissimo Zelada. "Io non
posso bastantemente esprimerle, tra l'altro, ei dice, quanto sia grande il
profitto spirituale che da tali Apostolici Operarj ritraggono i miei
Diocesani... Posso ben dire che se io non avessi l'assistenza di questi Padri,
non avrei a chi altri affidare la grande - 139 -
Opera delle Missioni, e degli Esercizj spirituali, non meno in questo mio
Seminario, che negli altri luoghi della Diocesi. Mi viene rappresentato, che
oggi più non godono la protezione del Santo Padre. Se questo è vero, e sia ciò
stato per sinistro rapporto, io umilmente ardisco pregare Vostra Eminenza a
volerli proteggere, accertandole della loro costante divozione, e rispettoso
attaccamento alla Santa Sede".
Non altrimenti si
spiega Monsignor Arcivescovo con Monsignor Carafa. "Quanto io debba vivere
interessato per questa Congregazione, può argomentarlo, ei dice, dall'aver io
in questa mia Diocesi una di loro casa, e nutrisco per essi particolare stima,
ed affezione, prevalendomi per le Missioni e per altri Esercizj di pietà. Sento
oggi che la Congregazione sia caduta in disgrazia del Santo Padre, e che
intende sottrarle le sue beneficenze. Io posso assicurarla, che gl'Individui di
questa Casa vivono con esemplarità, e si professano così divoti alla Santa
Sede, che non meritano essere dalla medesima poco considerati, e forse mal
veduti. Supplico per tanto quanto più posso voler interporre i suoi più caldi
officj, perché si degni il Santo Padre restituirli nella sua grazia, se l'hanno
perduta; o di confermarla, se la posseggono".
Non fu meno impegnato
il zelante Monsignor Tortora, ora Vescovo di Fondi, ed allora Vicario
Capitolare in Bovino. Tra l'altro, così si spiega: "I motivi, Beatissimo
Padre, onde vengo incoraggiato a supplicarla, altro oggetto non hanno, se non
la salvezza delle Anime, il bene della Chiesa, e l'utile di questa Diocesi. Io
considero questi Missionarj come veri Operarj della vigna del Signore. Questi
soli, posso dire, predicano Cristo Crocifisso: questi fanno vedere, come si
ponga la vita per la salute delle Anime.
Se questi non
sussistono, o protetti non si veggono da Vostra Santità, non solo questa, ma
tutte le Diocesi adjacenti, anzi tutta la Puglia resterebbe abbandonata. Questi
soli si affatigano continuamente a beneficio de' Cleri, de' Seminarj, e de'
Monasteri delle Monache. Soprattutto dalla fine di Ottobre per tutto Giugno
impiegati si veggono nelle Sante Missioni a beneficio comune".
"Il passo dato,
Beatissimo Padre, dai due Individui, così egli prosiegue, non è Soggetto che
non lo condanni, ma non è in lor potere il rimediarvi. Mi costa bensì, che non
lasciano mezzi per far vedere quanto vivono addetti, e dipendenti dai vostri
oracoli. Meritano tutti compassione, perché innocenti, e sagrificati; e molto
più Monsignor Liguori, perché ingannato ed in età cadente, e così travagliato da
tanti acciacchi".
I Canonici di Foggia, ommettendo i sentimenti
di tanti illustri Prelati, avendo sperimentato mesi prima le fatiche de'
nostri, non mancarono - 140 -
avanzar
supplica al Papa. "SS. Padre, essi dissero, umilmente rappresentiamo, come
i Padri di questa Congregazione sono alle Anime di un infinito giovamento; ed i
supplicanti toccano giornalmente colle mani il vantaggio spirituale, che si
ricava questa popolata Città dai medesimi esistenti nella vicina Diocesi di
Bovino. Raffreddandosi in essi, o per mancanza d'Individui, o per difetto della
Pontificia protezione un esercizio così pio, risulta di certo alle Anime un
danno notabilissimo, e specialmente a questa Città che tanto ne profitta".
Anche D. Vincenzo di
Sangro, Principe di S. Severo, che ne' suoi Feudi goduto aveva poco prima il
frutto delle nostre fatiche, non esitò rappresentare al Santo Padre il danno
che, mancando la Congregazione, era per risultare al Regno. Avendo enumerate le
opere dei nostri, "Veda Vostra Santità, ei disse, quanto questa
Congregazione sia meritevole della vostra Apostolica Benedizione. Con questa,
godendosi del beneficio del tempo, potranno i Soggetti rimarginare quella
piaga, che senza colpa di Monsignor Liguori, e della massima parte di essi,
anzi di tutti, si trova fatta".
Troppo tardi nel suo
disimpegno, perché troppo cautelato fu Monsignor Pronunzio. Non prima de'
diciassette del passato Ottobre umiliato aveva agli Eminentissimi in Sacra
Congregazione la sua Relazione. Avendo accennati i gravi travagli della
Congregazione, e che tuttavia soffrivansi con evidente pericolo di vedersi
soppressa, rivanga come Alfonso era caduto nell'inganno, e mette in veduta la
sua costernazione, ed innocenza. Che avendo ricevuto il nuovo Regolamento con
lettera di Officio di Monsignor Cappellano, sorpreso rivocò subito la procura
al Padre Majone, ed intestolla ad altro Padre in Napoli; che immediatamente
convocò un Assemblea per consultarne gli espedienti, e per ottenere dal Sovrano
i provvedimenti opportuni.
Rivangato avendo il di
più, che vi fu nell'Assemblea, e quali furono i sentimenti di Monsignor
Liguori, "credo, ei dice, essersi portato in maniera, che la sua condotta
non merita essere redarguita per le imputazioni, che dai ricorrenti delle Case
dello Stato Pontificio gli vengono accagionate; né debba conseguentemente
meritare la disapprovazione dell'Eminenze Vostre".
Venendo Monsignor
Pronunzio alle quattro pretenzioni affacciate al Santo Padre dai Soggetti
Statisti, cioè di convocarsi Capitolo, di darsi alla Congregazione un interino
Presidente, di non darsi esecuzione alle ordinazioni dell'Assemblea, e degli
Officiali eletti, e che gl'Individui dello Stato non siano di là smossi, dice,
"che oltre il portare con se un aperta separazione senza dipendenza da Monsignor
Liguori, che veniva venerato, e riguardato in Regno per Superiore Maggiore dal - 141 -
Ministero, e dalla
Corte, urtano, ed apertamente si oppongono alla polizia del Regno".
Rappresenta finalmente
essere troppo utile in Regno, ed interessante per il vantaggio de' popoli la
sussistenza di questi Missionarj, ed essere stato assicurato da più Vescovi, e
da altre rispettabili persone dello zelo ed utilità dei medesimi. "Stimo
mio debito, conchiude, pregare ed implorare la benignità degli Eminentissimi
Porporati per proteggere, e mantenere nella sua unione, ed armonia una tale
Congregazione, cosicché possa questa proseguire a fare quel bene, per cui fu
istituita da Monsignor Liguori, e per cui era stata sostenuta e favorita dalla
Real Corte di Napoli".
Tanto disse Monsignor
Pronunzio, ma il taglio era già dato.
Correvano mesi
diciassette, che Monsignor Liguori, stando nel fondo dei suoi gran mali,
deplorava la sua irreparabile disgrazia, cuore non aveva, diciam così, alzare
gli occhi al Cielo, e prostrarsi al Santo Padre, ed abbandonato vedevasi anche
da tanti Eminentissimi, che per lui avuto avevano una speciale venerazione.
Deplorava in questo stato il povero vecchio non il suo discredito, e molto meno
le proprie angustie, ma l'Opera delle Missioni, che per mancanza delle facoltà
Apostoliche sfiancata vedeva, e resa men utile con grave danno delle Anime.
Incoraggiato dalla sua
innocenza, ma molto più dalla clemenza del Papa, avanzò supplica nel Marzo
susseguente, ma in termini così scarsi, come colui, che prega, e non ha animo
esporre i suoi bisogni.
Beatissimo Padre.
"Monsignor Alfonso
Maria de Liguori prostrato ai piedi della Santità Vostra, supplica umilmente
voler concedere ai suoi Missionarj tutte le Grazie, Facoltà, e Privilegj,
accordate dalla Santa Sede alla Venerabile Congregazione del Santissimo
Redentore dello Stato Ecclesiastico, che ecc".
Non poteva non far
impressione nel cuore di Pio VI la Relazione di Monsignor Pronunzio, e le
suppliche di tanti Vescovi, contestandosi da tutti l'innocenza di Alfonso,
l'attacco suo, e de' suoi alla Santa Sede, ed il danno grave, che risultava
alla Chiesa, ed alle Anime.
Considerando anch'esso
il Santo Padre lo stato delle cose, se per altri giustissimi suoi fini non
riconobbe la Congregazione come Corpo Ecclesiastico, benignò in parte delle sue
Grazie Alfonso, e tutti, ma tanto che adempir potevasi l'Opera delle Missioni.
Concesse in vita ad Alfonso, ed a tutti i Congregati presenti, e futuri tutte
le Indulgenze, e tutte le Grazie spirituali, che anche si godevano nello Stato - 142 -
dalla Congregazione del
Redentore in tempo di Missione, ed in qualunque altra funzione ecclesiastica.
Sanctissimus ex speciali gratia, così il Cardinal Zelada a' 4. Aprile 1783., concedit Oratori quoad vixerit et singulis
Missionariis, qui idem exercitium assumpserunt, vel in posterum assumpserint,
usquequo quilibet eorum in suscepto exercitio perseveraverit, Indulgentias, et
Gratias spirituales tantum, ad instar illarum, quibus ex Apostolico Indultu
gaudent in Missionibus peragendis, aliisque ecclesiasticis functionibus
Presbyteri Comgregationis Sanctissimi Redemptoris, quae existit in Statu
Eclesiastico.
Punse il cuore al Padre
Procuratore questo Rescritto. Si rode, vedendo in parte aggraziato Alfonso, e queste
Case. Non sapendo come eludere la Grazia, fingendo supplica al Papa in mio
nome, egli medesimo la presenta, affacciando dubbj, e cercando individuate le
grazie. Credeva, assistendovi esso, ridurle a potersi benedire medaglie, e
corone. Venne fallito il disegno, perché si disse non capirvi spiega.
Contemporaneamente
restò Alfonso consolato da Dio, vedendosi discaricato nella Real Camera, e
giustificato innanzi al Principe da tutti i carichi criminali, che dal Fiscale
gli furono addossati.
Prefisso il giorno per
discutersi i rapporti, e decidersi o di grazia, o di condanna per noi, sel
figuri ognuno che gruppo di Avvocati unir si potette dai nostri Contraddittori,
e che apparecchi di cavilli a nostro danno. Benedisse Iddio la decisione.
Distinsero anch'essi que' savj Senatori, come fatto aveva il Fiscale, la causa
pubblica dalla privata.
Restò giustificato col
medesimo Dispaccio della Maestà Sua de' 21. Agosto 1779. il grave delitto di
viversi dai nostri in forma di Comunità con Regole, e Statuti, e con Superiori
alti, e bassi. Entrando similmente nello spirito della Legge a noi data dal Re
Cattolico nel 1752., rappresentarono al Re che benché Sua Maestà Cattolica
dichiara non reputar le Case di essi Missionarj Collegio, o Comunità, non è che
proibisca il potersi vivere con Regole, e Superiori, come vivono non solo i
Seminarj, ma anche i Reclusorj de' vagabondi. Se i Cioranisti, essi dicono,
vivono in unione, nol fanno con volontà tacita, ma con chiaro permesso della
Maestà Cattolica.
Smentiscono la calunnia
dell'indipendenza dai Vescovi, così cogli attestati dei medesimi Vescovi, che
colla Regola istessa esibita dal medesimo Fiscale. Non entrano nella dottrina,
e condotta de' Missionarj, avendola il Re comprovata; e con suo compiacimento
con altro Dispaccio de' 22. Ottobre 1778.. Si passa in silenzio il carico della
questua, perché con altro Dispaccio anche accordato dalla Maestà sua.
Conchiudono non potersi obbiettare per ciò, che interessa lo Stato, né
illegittimità per l'Adunanza, né rilasciatezza per la Dottrina. Quindi passano
alla causa privata.
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Lo scopo del Barone, in
constatare le sognate criminalità, non era, come dissi, che per conseguire la
vigna: caduta la criminalità, cadde anche ogni ragione di quella. " Quando
si parlava di questa causa, così Alfonso ai suoi nel primo Gennajo 1783,
facevano timore le asserite controvenzioni; ma, avendosi presentemente il
favore del Re, difficilmente può perdersi, perché il favore del Re ha tolta la
forza alle controvenzioni, sulle quali il Barone faceva tanta forza; ed in
un'altra: Io sto allegramente, perché mi pare, che la Madonna voglia certamente
farci uscire salvi da questa tempesta".
Così fu. I Signori
Senatori avendo inteso più volte i respettivi Avvocati con anche il Fiscale
della Corona, concordemente rappresentarono al Re: "che niun dritto, o
ragione ravvisavasi nel Sarnelli per vendicarsi il controvertito fondo; giacché
per sovrana disposizione, e volontà dell'antico proprietario D. Andrea suo
fratello, la vigna trovavasi donata in proprietà all'Arcivescovo di Salerno, e
per li frutti addetta all'alimento de' Padri Cioranisti con un tarì al giorno
per ciascheduno, ed il di più in soccorso dei poveri. Che oltre d'incontrare il
Barone Sarnelli l'opposizione della volontà del donatore, suo defunto fratello,
implicitamente approvata dalla suprema Potestà, e con particolare disposizione
di Sua Maestà Cattolica, incontra ancora l'ostacolo della sua stessa volontà
dichiarata a favore de' Padri Cioranisti col divisato istromento di transazione
sortito a 6. Settembre 1755. tra esso Barone, e l'Arcivescovo di Salerno".
Tanto la Real Camera in
discarico di tutti i capi rappresentò al Re a' 4. Febraro 1783.; ed il Re con
gloria di Alfonso, e con piena soddisfazione del suo real animo, a dieci Aprile
dispacciò per la Segreteria del Marchese della Sambuca non aver luogo le
pretenzioni affacciate dal Barone Sarnelli anche per esecuzione della Sovrana
dichiarazione di Sua Maestà Cattolica de' 19. Dicembre 1752.
Respirò Alfonso per
l'una, e per l'altra provvidenza, vedendosi guardato con occhio non severo dal
Capo della Chiesa, e giustificato coi suoi innanzi al Sovrano. Si consolò non
per se, ma per l'Opera delle Missioni rassodata in questo Regno. Volle, che da
tutti in tutte le Case si fossero rese delle grazie a Dio, ed a Maria
Santissima per questo miracolone,
com'ei diceva, che si era ottenuto. Di fatti un miracolo ci voleva, e tutto fu
frutto, bisogna dire, dell'orazione, e della penitenza di Alfonso, e della
somma confidenza, ch'egli aveva nella protezione di Maria Santissima.
Non furono meno di anni
diciannove su i Tribunali di Napoli i nostri travagli, e confessar debbo che
altro sostegno non ebbe la Congregazione, dopo Dio, e Maria Santissima, che la
sola clemenza del Sovrano, e dopo questa l'imparziale giustizia del Marchese de
Marco.
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Questi spezzava le armi
in mano ai nemici, e ben sapeva l'indole intraprendente di quello d'Iliceto;
egli metteva in aspetto al Re la nostra innocenza, e discolpava le accuse; egli
ci protesse, e favorì Alfonso in tutti i rincontri; né uscì carta dalla sua
Segreteria, che offeso ci avesse, o che non fosse stata in vantaggio di
Alfonso, e di noi tutti.
Raffreddate le cose,
varj incidenti vi furono, che maggiormente ingrossarono gli animi tra queste
Case, e quelle di Sicilia, e tra queste, e quelle di Romagna.
Volendo il Procuratore
veder maggiormente stabilita nello Stato la Congregazione, mezzo non lasciò per
ribattere il chiodo, e fissarlo. Ottenuto il consenso del Papa, Capitolo si
convocò a' 15 Ottobre 1783 nella Casa di Scifelli, ed eletto restò in Rettore
Maggiore il medesimo Presidente de Paola. Anch'essi i Siciliani si dichiararono
divisi da noi, e fu eletto Rettore Maggiore in quell'Isola il Padre D. Pietro
Blasucci. Vale a dire, che scissi, ed alienati gli animi, disperata per noi si
vide qualunque risorta. Temendo i nostri restare acefali nella morte di
Monsignore, anch'essi nel medesimo mese, tenuto Capitolo, col permesso del Re
nella Casa de' Ciorani, elessero di lui Coadjutore colla futura successione il
Padre D. Andrea Villani.
Io non entro in altre
particolarità di queste vicende, riserbandole a che sarà per tesserne il filo.
Dico solo, che tra questi anfratti, non mancò mai in Alfonso la confidenza di
veder sotto un Capo ristabilita la Congregazione. Vedendoci afflitti non una,
ma replicate volte ripetette in varie occasioni: "Portatevi bene con Dio,
che Iddio non è per abbandonare la Congregazione, e le cose dopo la mia morte
si accomoderanno". Un giorno tra gli altri, così disse al Padre Cardone:
"Io desiderava veder in vita aggiustate le cose: ne ho pregato, e ne prego
continuamente la Madonna, ma non è volontà di Dio. Si aggiusteranno le cose, ma
dopo la morte mia".
Così fu, come predisse.
Quattro anni dopo la di lui morte, per un tratto inaspettato di provvidenza,
già veduti ci siamo sotto un Capo, concorrendovi il S. Padre Pio VI colla
pienezza delle sue grazie, e colla sua pietà e clemenza Ferdinando IV nostro
Augusto Sovrano. Questi con suo Dispaccio de' 29. Ottobre 1790 volle che
osservata si fosse la Regola a noi data dal Papa Benedetto XIV, e con altra
real carta permise l'unione tra noi, e quelli dello Stato. Così Pio VI,
essendomi io portato in Roma, aggraziò a' 5. Agosto 1791. queste Case, volendo
che fatta l'unione in Capitolo Generale, di consenso eletto si fosse un solo
Rettore Maggiore, e che di tutto formato si fosse un ovile, ed un Pastore.
Un gruppo di miracoli fu questo; e
tenuti noi siamo alla potente intercessione presso Dio di Monsignor nostro
Padre, colla fiducia che voglia sempre più proteggerci per bene nostro, e per
vantaggio di Santa Chiesa.
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