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Cap.29
Si rilevano varj altri sentimenti di Alfonso tra le
sue maggiori angustie; ed altre nuove iniquità del Procuratore a suo danno.
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Se la lingua esprime i
sensi del cuore, col cuore su le labbra manifestò sempre Alfonso, tra le
maggiori angustie, la sua uniformità al divino volere. Grave che fosse il
travaglio che soffriva, vedendo scisso l'Istituto, e queste Case di Regno così
angustiate, considerandolo come permesso da Dio, e preordinato dal Papa, ne
adorava le disposizioni.
Compassionando il Padre
de Paola l'amarezza che Alfonso provar potea, vedendo scissa la Congregazione,
ed egli deposto, non mancò, ottenuto il Presidentato, giustificarsi, e che
costretto erasi veduto in dargli questo grave disturbo, perché così comandato
dal Papa. Alfonso sentendo amarezza e disturbo per cosa preordinata dal Papa,
egli che ne venerava i pensieri, quasi risentito gli rescrisse: "Per grazia
di Dio io tengo il cervello giusto; e mi rallegro che V. R. sia fatta
Luogotenente. Tutto va bene, e tutto dovete accettare, essendo volontà del
Papa".
Con indifferenza soffrì specialmente il suo
discapito. Essendo stato a visitarlo il Padre Emanuele Caldera Filippino, e
seco condolendosi per la sortita divisione, sommo dispiacere dimostrò, tra
l'altro, per l'eletto Presidente. Alfonso non ascoltollo che in silenzio, ed
aprendo la bocca altro non disse: Che mi
hanno levato da Rettore Maggiore a me non preme: basta che non mi hanno levato
Gesù Cristo mio, e Mamma mia.
Malignando taluni come
ingrati i Soggetti dello Stato, Alfonso anzi che lagnarsi, diminuiva le cose il
più che poteva. Ad una Religiosa, che dimostrò voler sapere, se vero fosse lo
scisma sortito, rescrisse: "Sì Signora, tra di noi vi è stata qualche cosa
di dispiacere, perché alcuni hanno voluto dividersi da noi. Noi preghiamo Dio
per essi, ed essi non lasceranno pregare per noi, onde speriamo noi ed essi dar
gusto a Dio, e farci santi".
Non consolandosi i
nostri per la sortita divisione, Alfonso tutto rassegnato: "Il Papa così
ha voluto, lor disse, e tanto ne vuole Iddio. Quelli faranno del bene nello
Stato, e voi lo farete qui. Così vanno le cose del mondo, disse in altra
occasione: vanno come vuole Iddio. Dio le guida, e chi parla altrimenti, parla
allo sproposito. Dobbiamo dire: Iddio così ha voluto".
Il Rettore di Casa
avendo rimproverato il Padre Majone, come causa di tanto male, sapendolo
Alfonso, gli dispiacque. "Se lo vegga esso con Dio, disse ai nostri. Noi
dobbiamo dire, così ha voluto - 146 -
Iddio. Iddio l'ha voluto, perché con questo si sono avute le Case di
Foligno, e Gubbio. Se non vi era questo travaglio, non si avrebbero avute
queste Case. Iddio ha adombrate queste di Regno per dilatare, e per stabilire
la Congregazione nello Stato. Sia glorificato sempre Iddio. La volontà di Dio
accomoda tutti cervelli, e tutte le cose storte".
Discorrendosi degli
anfratti che anche passavano nelle Case dello Stato il Padre Majone e compagno,
Alfonso ripigliò: "Dio gli faccia contenti, e santi tutti e due. Essi
stanno più segnati di noi col carbone presso il Papa. Il Papa ha saputo ch'essi
sono stati i malfattori. Io non ho gusto del male loro, ma la tempesta è caduta
sopra di essi. Dio li faccia santi: se si fossero portati, come Iddio voleva,
non si sarebbero inquietati essi, e non ci saressimo inquietati noi. Così ha
voluto Dio, così sia fatto".
Ebbe sempre a cuore tra
queste vicende che conservata si fosse fra i Soggetti di queste Case, e quei
dello Stato il vincolo della carità. Motivi d'irritamento non vi mancavano.
Godendosi dai Statisti la grazia del Papa, taluni non parlavano che con
disprezzo di queste Case. "Io fatigo qui insinuare a tutt'i compagni lo
spirito della carità, così egli al Padre de Paola, e così V. R. faccia lo
stesso. Iddio ama quelli che amano la carità".
Ferivalo nel vivo
qualunque parola che offesa avesse tra di noi e quelli l'unione de' cuori:
troncavane il discorso, e prendevane le parti. "Tanti e tanti, disse un
giorno, che doveano fare. Il Papa gli ha obbligati a non partire, e per volontà
del Papa si trattengono in quelle Case, e fatigano". Altra volta:
"Non tutti hanno voluto dividersi da noi. Quanto vi saranno che piangono
la divisione. Volontà di Dio per essi e per noi".
Persistendo il
Procuratore, ed altri ancora insufflati dal medesimo, nella disunione. "Io
confido, disse Alfonso al P. Villani, e profetò, che un giorno quei medesimi
che ora si oppongono, questi stessi hanno da cercare essere ammessi in queste
Case, ma bisogna fare la volontà di Dio".
Ho detto che profetò.
Raffreddate le cose, tanti e tanti, detestando il passo dato, con replicate
suppliche chiesero il rimpiazzo tra di noi. Due specialmente de' più acerbi sostenitori
della divisione protestaronsi voler sedere nell'ultimo luogo. Tale fu il volo a queste Case, che vedendo il
Presidente spopolarsi quelle dello Stato, chiese al Papa, se in coscienza
permetter poteva un tal passaggio. Fu detto di no.
Sanctitas Sua,
così con suo Rescritto l'Eminentissimo Zelada, declaravit non licere transitum ad Domos Regni Neapolis, in quibus
Congregatio SS. Redemptoris legitime non subsistis. Quest'ultimo Oracolo fu
come la feccia del calice, che tranguggiar dovea Alfonso. "Se il Papa
stima così, ei disse, anche io così voglio. Benedetta - 147 -
volontà di Dio, che mi rende dolce ogni amaro.
Volontà del Papa, Volontà di Dio".
Trattava col
Presidente, come se esso medesimo eletto lo avesse, e quello non fosse che a
sua divozione. Sentendo prosperate quelle Case, e che i nostri favoriti dal
Papa operavano, e s'impiegavano per le Anime, tutto se ne consolava.
"Sento i favori, scrisse al Padre de Paola, che in Velletri, ed in altre
parti avete avuti dal Papa, e prego Dio che seguiti a consolarvi per la gloria
sua. Io mi rallegro. Prego, mentre godete la grazia del Papa, attendere a
dilatare la gloria di Dio in ogni luogo, ove potete dilatarla. Intesi parlare
delle Missioni alla Sabina: vedete metterle in piede, e così in ogni altro
luogo. Tutti i vostri progressi mi consolano, perché spero che con essi si
dilati la gloria di Dio; e quando fate altri progressi, fatemelo sapere per
ringraziarne Iddio, come sempre farò.
Pregate Iddio per me, e per i nostri compagni, acciocché tutti s'impieghino a
servire Gesù Cristo. Pregate per la morte mia che mi sta vicina; ed io prego
Iddio che vi faccia crescere sempre più nell'amore suo, e che vi mandi nuove
Fondazioni e compagni.
Qui in Napoli, ed in
Sicilia abbiamo avuti molti Soggetti. Tutto sia a gloria di Dio, e con ciò
prego Gesù Cristo, che vi benedica tutti con tutte le vostre Case e compagni.
Datemi qualche nuova de' vostri avanzi, acciocché ne ringrazj Iddio. Gesù
Cristo, e Maria vi benedicano tutti".
In un altra al medesimo
de Paola: "Tutti voi di costà non vi scordate raccomandarmi alla Messa per
la morte che mi sta vicina. Ognuno di voi io l'ho amato assai. Il Signore ha
voluto questa divisione. Sia sempre adorata la sua santissima volontà. Se
qualche volta mi potete scrivere per farmi sapere i vostri progressi, l'avrei a
caro. Gesù, e Maria benedicano tutti voi: pregateli per me".
Avendogli scritto anche
il Padre D. Gaspare Cajone, ragguagliandolo della Missione con sommo frutto
fatta in Velletri, applauso del popolo, e compiacimento dell'Eminentissimo
Albani; Alfonso godette estremamente delle conversioni accennate, e tale
compiacimento ne mostrò, che volle più volte riletta la lettera. "Gesù
Cristo mio, esclamò tutto allegro, si faccia la gloria tua, e si facci da chiunque".
Così godette della Missione fatta in Frosinone, e della richiesta per cinque
Missioni fatta al Presidente dall'Abbate di Montecassino.
Ritrovavansi tra questo
tempo ammessi per Novizi in Roma due Tedeschi, cioè Giovanni Clemente
Hoffbauer, e Francesco Hibla, tutti e due di Vienna. Vennero questi in tal
risoluzione, mossi dall'esemplarità de' nostri, maggiormente, che Istitutore
della Congregazione era Monsignor Liguori accreditato in Germania per santità,
e dottrina. - 148 -
Accesi di zelo questi
buoni Tedeschi ardevano veder stabilita anche in Vienna una nostra Casa; anzi
la tenevano stabilita, togliendo la veemenza del desiderio ogni ostacolo in
contrario. Ognuno di noi ridevasi di questa Casa sognata dai Statisti in
Germania. Non così Alfonso.
Reso inteso de' santi
desiderj di questi due Tedeschi ne godette estremamente. "Iddio, disse,
non mancherà propagare per mezzo di questi la gloria sua in quelle parti.
Mancando i Gesuiti, quei luoghi sono mezzo abbandonati. Le Missioni però sono
differenti dalle nostre. Ivi giovano più, perché in mezzo de' Luterani, e
Calvinisti, i Catechismi, che le prediche. Prima devesi far dire il Credo, e poi disporsi i popoli a
lasciare il peccato. Possono farvi del bene questi buoni Sacerdoti, ma hanno
bisogno di maggiori lumi. Io li scriverei, ma Iddio non vuole, che vi abbia
ingerenza. Gesù Cristo mio, confondetemi sempre più, e si facci la gloria
vostra".
Successe in seguito la
Fondazione, come altrove dirò, non in Vienna, ma in Warsavia.
Come le Case dello Stato
vedevansi fiorire, così queste di Regno vedevansi languire. Alfonso siccome si
consolava per la prosperità di quelle, così era in afflizione, vedendosi queste
mancanti di Soggetti, e desolate. Rappresentandogli il P. Villani l'impotenza
della Casa d'Iliceto a poter sostenere lo Studentato, e che affacciando povertà
e miserie il Rettore de' Ciorani, anch'esso era restio a contribuirvi.
"Ora tutte le Case se ne cascono a pezzi, sospirando disse Alfonso. Ah
Signore, si faccia la volontà tua, e ne venga che ne venga".
Soddisfatto non era il
livore del Procuratore, benché umiliato vedesse Alfonso e queste Case. Atti
tali, e così amorosi di Alfonso, se intenerivano i macigni, non mollificarono
il suo cuore. Volendo maggiormente avvilirlo, chiese al S. Padre Pio VI che con
suo particolar Breve individuato avesse quali e quante fossero le vere Case del
Redentore che fossero in sua grazia, e che goduto avessero il favore della
Santa Sede.
Fu compiaciuto, e con
particolar Breve: Datum Romae apud
Sanctum Petrum sub annulo Piscatoris, die decima septima Decembris 1784.,
il Papa dichiarò, togliendo ogni equivoco in contrario, essere membra della
Congregazione del Redentore le sole Case di Benevento, e S. Angiolo; quelle di
Scifelli, e Frosinone; le due di Spello, e Gubbio, e l'altra aperta in Roma
nella Chiesa di S. Giuliano.
Ad istanza del medesimo volle ancora il S. Padre che la Casa di S. Giuliano si
avesse come Casa Generalizia, e Capo di tutta la Congregazione: Nos igitur ejusdem Procuratoris votis hac
in parte, quantum cum Domino possumus favorabiliter annuere, Domum Sancti
Juliani de Urbe in Caput Congregationis constituimus ac declaramus.
Altro con questa
dichiarazione ebbe in mira il Procuratore con tal - 149 -
supplica. Rodevagli il cuore, e non trovava pace per
la comunicazione delle Grazie, e Privilegj che fin dall'Aprile dell'anno
antecedente il Papa accordato aveva ad Alfonso colle Case dello Stato. Volendo
intorbidar l'acqua, chiese ed ottenne quanto volle. Sorprendendo il Cardinal de
Comitibus, che distender doveva il Breve, presentandogli i Rescritti
antecedenti, inserir fece quanto in quelli eravi stabilito a nostro danno, cioè
che confermate restavano alle Case dello Stato della S. Sede, e private queste
di Regno, perchè refrattarie: Nec esse membra
ejusdem Congregationis, et uti ac frui
omnibus Privilegiis, Gratiis, et
Indultis, ab hac Sancta Sede eidem Congregationi concessis.
Credeva il Procuratore
isconpigliare di nuovo le Case di Regno con questa Pontificia dichiarazione; né
mancò con sue lettere farne partecipi tanti e tanti, facendoci vedere peranche
anatematizzati, e come l'abbominio della Sede Apostolica. Meglio riflettendo, e
che troppo male inteso si sarebbe dal Papa, se i nostri si fossero risentiti,
soffocò il Breve, e non fecene più parola.
Non contento il buon
Padre aver così denigrato ed avvilito Alfonso, spacciarlo non mancava per
scimunito e mentecatto. Essendosi portato in S. Giuliano Monsignor Ruffo, ora
Cardinale, e chiedendo al Procuratore, non sapendo il di più, come ne stasse
Monsignor Liguori. "Povero vecchio, ei disse, fa compassione. E' così
debilitato di mente che non è più uomo, e quello ch'è più, anche prorompe in
isciocchezze. Parlandosi del Papa, e di cosa che interessava la Chiesa, con
enfasi si vide ripigliare: Che Papa e Papa, e che Chiesa e Chiesa. In una
parola, è così uscito di mente, che non è più uomo".
Anche non mancò
togliersi la gloria di Fondatore. Avendo recitata con lode un giovanetto
Teatino, nipote cugino di Alfonso, non so che Orazione Panegirica, un Prelato
portandosi in S. Giuliano, ed encomiando il Religioso, si congratulava coi
nostri, come nipote del Fondatore. "Quando mai Monsignor Liguori, egli con
enfasi ripigliò, fu nostro Fondatore. Fondatore fu Monsignor Falcoja, e non
esso".
Non poté il Prelato, vedendone il disprezzo, non dare in bestia. "Non
sarebbe vostra picciola gloria, ei disse, aver per Fondatore un Cavaliere, ed
un uomo eminente in santità e dottrina, come Monsignor Liguori". Anche non
mancò, per far vedere Fondatore Monsignor Falcoja, e non Alfonso, impegnarsi
per introdur causa di quel Servo di Dio nella Congregazione de' Sacri Riti.
Scrisse a Castellammare, ma carte non ebbe, che gli potessero giovare.
Invanito per le due
Case aperte in Gubbio, e Spello, mutò linguaggio. "Monsignor Liguori, è
vero, ei diceva, che fondò la Congregazione, ma esso medesimo l'ha distrutta.
Fondatore sono io, ed a me, non a Monsignor Liguori, se la Congregazione
sussiste, si ha tutta - 150 -
l'obbligazione,
perché io l'ho sostenuta, e la sostengo". Altre sciocchezze non mancano,
che io tralascio. a
Conobbe, ma troppo
tardi, Pio VI di qual carata ei fosse il buon uomo. Anche nella Corte
Pontificia, con disturbo del Papa, non mancò intrecciarvi discordia.
Conosciutane l'indole, se gli fe sentire di più non avere ardire accostare in
palazzo.
Conosciuto fu ancora,
ne più ebbe lo spirito metter piede nella Congregazione de' Vescovi, e
Regolari. Mutando stato l'infelice, non mutò natura. In altri eccessi egli
diede non men lagrimevoli; ed altri travagli minacciava all'afflitta
Congregazione.
Alfonso fin da che lo conobbe
istromento dell'inferno, e favorito, ne deplorava il fine. Un gran castigo, disse, un
giorno il Padre N. ha d'avere da Dio.
Colto l'anno scorso da grave infermità,
e non facendone conto, all'improvviso ritrovossi al mondo di là, e nel medesimo
giorno che celebravansi tra di noi i Fasti solenni del SS. Redentore. Non
volendo sentir Medici, anzi spropositando, lusingavasi di star bene. Ammonito
per il Viatico, disse, non esservi necessità; ma sorpreso coll'estrema unzione,
in vedersi chiusa la scena, e falliti i disegni, alzando il braccio in alto,
calandolo, e forte percotendo colla mano il letto, dando un sospiro, non disse
più parola.
Così finì di vivere chi tanto bersagliò
Alfonso, e causa fu in Congregazione di tanti disturbi, e rancori.
Posizione Originale Nota - Libro IV, Cap. 29,
pag. 150
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