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Cap. 30
Stato di decadenza in Alfonso: ultimi sforzi del suo
zelo; e sua costanza negli atti di pietà.
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Eran quasi due anni,
cioè prima della catastrofe di tanti guai, che Alfonso spossato vedevasi e debilitato;
ma se tale per l'innanzi, cadavere addinvenne, succeduta la congerie di tanti
malanni. Facevano peso gli anni in un corpo estenuato e crocifisso; ma
sopraggiunto il grave travaglio in che vide se stesso e la Congregazione,
agonizzava, e non era uomo. Poco mangiava, e meno dormiva; e lo stesso
mangiare, anzi che sollievo, eragli di pena. Continuato miracolo stimavasi da
tutti, come l'afflitto vecchio regger potesse, e sopravvivere, e non restar
soffocato in tante, e sì diverse amarezze così gravi.
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Benché così storpio,
trascurato non aveva fino a quel tempo sminuzzare al popolo in ogni Sabbato le
virtù della Vergine. La calca de' divoti era grande, desideroso ognuno di
raccogliere, come dicevano, le ultime margarite dalla bocca di Monsignore. Non
altrimenti praticato aveva nelle Novene, che precedono le sue Feste. Ogni anno
nella sera del Giovedì Santo fu diritto suo il far presente al popolo l'amara
Passione di Gesù Cristo. Di questo ne volle Iddio un sagrificio. Vedendosi
sulla Cattedra sforzare la machina del corpo, e divenir zuppa di sudore, se gli
proibì e da Medici, e dal P. Villani.
Ha questo di proprio la
carità, che presa piede in un Anima, perfezionata si rende in mezzo a'
travagli. Tutto zelo, e tutto fuoco fu sempre Alfonso per la gloria di Dio, e
per il bene delle Anime, ma vie più invogliato si vide se afflitto, ed
angustiato.
Nell'Ottobre, quando
gli squadroni de' nostri destinavansi per le Missioni, vedevasi tutto in
azione, e saper voleva per quali Paesi, e da quali Vescovi venivano richiesti,
animavali a far del bene, e che carichi si facessero della gloria di Dio, e
della salvezza de' peccatori. Ritornando, non riceveveli che a braccia aperte.
Sentendo i rapporti di conversioni straordinarie gioiva.
Dimandando un giorno al
Padre D. Giuseppe Pappacena, ove si ritrovassero i nostri, e dettosegli, che
per ogni parte si avevano notizie di strepitose conversioni, tutto se ne
consolò, e prorompendo in pianto, ed io, disse, che faccio? Sono inutile, e sono di peso
alla Comunità.
"Faticano
gli altri per voi, ripigliò il Padre, perché siete Fondatore, ci avete la
vostra parte. Che Fondatore e Fondatore
andate trovando, ripigliò risentito Monsignore: io sono un miserabile: solo il male posso far io: la Congregazione l'ha
fondata Iddio: Dio solo n'è il Fondatore, ed io non sono stato che una mazza di
scopa in mano a Dio.
Anzioso vedevasi per i
vantaggi della Chiesa. Come capitava persona da Napoli, o altri che fosse a
visitarlo, dimentico dei suoi anfratti, sollecito saper voleva come passassero
ne' respettivi Regni le cose della Chiesa, e come i Sovrani fossero in armonia
col Papa. Sentendo traversia, "preghiamo Iddio, diceva, affinché si
stabilisca armonia e concordia tra il Sommo Pontefice, e le Potenze Cattoliche.
"Povero Papa, esclamava quasi
piangendo, afflitto, e trafitto da' suoi
medesimi figli.
Agonizzava, e vedevasi
in afflizione se sentiva ne' Paesi alterato il costume, ed offesa la Religione.
Novità non mancavano in Napoli, come accader suole nelle Capitali, ove col
buono non manca il cattivo. Povero
Napoli, si fe a dire un giorno,
Iddio, perché troppo offeso, non mancherà dar di mano ai castighi. Iddio non
paga il Sabbato, ed una misericordia non curata si cambia in furore. Piangeva,
ed affliggevasi avanti al Crocifisso che aveva a fronte, e vittima offeriva se
stesso per arrestarne il colpo a danno de' peccatori.
Erano tali le sue
angustie, - 152 -
e così
gravi, sentendo imbarazzi per la Chiesa e per le Anime, che fattosene
compassione il P. Villani proibì ai nostri di più dargli tali notizie,
specialmente se disgusti passavano tra il Papa, e i Regnanti.
Non potendo applicare
per la Religione, e dare più Opere alle stampe, perché impotente, vedevasi le
più ore impiegare nel leggere nuovi libri, che ne trattavano la difesa. Leggeva
specialmente di continuo il P. Valsecchi, ed il P. Bennetti. Tutto consolavasi
ove incontravasi in argomenti che non pativano eccezioni, e tutto allegro
comunicavali ai nostri, o ad altri che venivano da lui.
Entrandosi da lui una
sera dopo cena, egli chiudendo Valsecchi che aveva tra le mani, tutto lieto si
pose a dire. "Bisogna ringraziare Iddio che ci ha fatto nascere nella
Fede, e nel colmo della Fede. Il Vangelo si era sparso, ma fu attraversato da
mille eresie. Noi siamo nell'Europa, e dentro l'Europa nell'Italia, ch'è il
centro della Fede".
Soggiunse, e disse: "Poveri noi se non avessimo avuti Gesù Cristo, Gesù
Cristo è la Speranza nostra, e non è conosciuto: Dolores nostros Ipse portavit. Nel giorno del giudizio oh quanti
pochi saranno quelli, a' quali sarà detto: Venite
alla mia destra".
Così godeva delle Opere dell'Abate Nonnotte, e di altri contro gli errori di
Voltaire, e di Rossò.
Godeva e ringraziavane
Iddio ove sentiva gli Operarj protetti da' Vescovi, e maggiormente se da
Sovrani. Vedendo stabiliti i Gesuiti nella Russia Bianca, e presso il Re di
Prussia, non finiva ringraziare Iddio, e magnificare la pietà dell'Augusta
Caterina. "Dicono che sono Scismatici, ma si parla allo sproposito.
Sovrano che il Papa li riconosce per membri della Chiesa, e li protegge.
Preghiamone Iddio per questi santi Religiosi, perché l'Istituto è Opera, che
ajuta le Anime, e fiancheggia la Chiesa. Che Scismatici e Scismatici. Voce di
Dio fu Papa Ganganelli che li volle umiliati, e voce di Dio è Pio VI. che li
protegge. Iddio è quello che mortifica, e vivifica, preghiamolo, che non
mancherà benedirli".
Passavagli il cuore, e
vedevasi in amarezza, se notizia gli perveniva di miscredenza in taluni, o cosa
che a questo disponesse. Maggior rammarico ei provava, ove trionfar sentiva i
zelanti Giansenisti, com'ei chiamavali. "Povero Sangue di Gesù Cristo
conculcato e malmenato, sentivasi ripetere, e quel ch'è peggio colla purità
della dottrina, come questi dicono, e col zelo di ravvivare nei popoli il primo
spirito della Chiesa. Col bacio di pace Giuda tradì Gesù Cristo, e col bacio di
pace anche questi tradiscono Gesù Cristo e le Anime. Altre volte: questo veleno
non si conosce, e prima si muore, che sentesi avvelenato".
Aveva egli fin dai primi
anni che fu in Scala accorsata nella Costiera di Amalfi con profitto delle
Anime la frequenza de' Sagramenti. - 153 -
Avendo saputo tra
questo tempo che un Religioso di stretta osservanza imbevuto dello spirito di
Antonio Arnaldo, anzi che invogliarne, allontanavane i Fedeli dalla Santa
Comunione, e che col pretesto di non essersi avanzati nella perfezione, non
permettevala se non dopo anni ed anni, ne piangeva per dolore.
"Non fu congresso di Giansenisti in Borgofontano, ei diceva, ma congresso
di demonj; e miglior mezzo trovar non poteva Antonio Arnaldo per rendere
inaccessibile questo gran Sagramento, quanto alterarne le disposizioni che S.
Paolo ricerca per degnamente riceverlo. So, ripeteva, che gli Angeli non ne
sono degni, ma Gesù Cristo ne ha degnato l'uomo per sollevarlo nelle sue
miserie. Tutto il bene l'abbiamo da questo Sagramento: mancando questo ajuto,
tutto è ruina".
Maggiormente era in
affanno in sentire, che il Religioso sostenuto da altri alzato aveva cattedra,
e tirato al suo partito tanti buoni Parrochi e Confessori. Non potendo operare
da sé il povero vecchio, perché impotente, mezzo non lasciava per opera dei
suoi per disingannare specialmente i Confessori, e volle che in suo nome
avvertito si fosse Monsignor Puoti che n'era Arcivescovo.
Soffrir non potette
specialmente fino all'ultima età un certo che di abbominio che da questa razza
di Confessori si ostenta verso i peccatori. Voleva, ed inculcavalo, che quanto
più fossero tali, maggiormente si abbracciassero. Non altrimente, ei diceva, fu
la condotta di Gesù Cristo. Piangeva, e compassionava il loro stato, ma
voleva che con carità si accogliessero.
Non li spaventate, ripeteva, con dilazioni di mesi e
mesi, com'è la moda che corre. Questo non è ajutarli, ma ruinarli. Quando il
penitente ha conosciuto, e detesta il suo stato, non bisogna lasciarlo colle
sole sue forze nel conflitto colla tentazione: bisogna ajutarlo, ed il maggior
ajuto si dà colla grazia dei Sacramenti. Il Sacramento supplisce quello che non
può colle sole sue forze. Differire l'assoluzione per mesi e mesi è dottrina
Giansenistica. Questi tali non hanno impegno di affezionare, ma rendere inutili
a' Fedeli i Santi Sacramenti.
In altra occasione
disse: Tanti vengono indisposti, ma si
compungono rilevandosi la gravezza del peccato, e l'offesa fatta a Dio; il
Paradiso perduto, e l'Inferno aperto. Qui si vede la carità del Confessore.
Taluni li vorrebbero cotti e passati di fuoco. Che si stirino il braccio.
Qualunque occasione di poter
giovare alle Anime, anche in questo stato, non era trascurata. Essendovi in
Casa Missione di Santi Esercizj, vedendosi inabile a porgere la meditazione,
aveva in costume l'ultima sera farsi calare in Chiesa, e dare dei ricordi per
conservarsi in grazia.
Una delle volte,
ancorché la mattina si avesse cavato sangue dalla mano, volle calare per i
soliti avvertimenti. Si spaziò sull'amore che ci portano Gesù Cristo, e Maria
Santissima. Non furono avvertimenti, ma predica intera che fece quasi per un
ora sopra la corrispondenza che lor - 154 -
si deve; e cominciò con dire: Amor
con amor si paga. Volendo in fine dar la benedizione col gran Crocifisso,
che poggiato stava all'altare, in prenderlo se gli aprì la ferita, e
benedicendo gli Esercizianti pioveva sangue dalla mano. Salendo in Casa, ma
consolato per la mossa che vide in Chiesa, e non accorgendosi del sangue che
usciva né esso, né chi lo assisteva, asperso si vide tutto il cammino dalla
Chiesa alla sua stanza. Avvedutisene gli Esercizianti, fecero tutti a gara per
inzupparne i fazzoletti.
Non mancavano in Chiesa certi spiriti forti che per l'innanzi sentivano male
della Religione, e due specialmente, figli di un convinto miscredente, radere
si videro anche la terra, ove il sangue era caduto.
Trattenendosi tra di
noi Secolari, o Ecclesiastici, sia per propria elezione, o perchè destinati da'
Vecovi, o dal Sovrano, chiamandoli nella sua stanza, lor faceva leggere le
Vittorie de' Martiri, o altro libro sulla Passione di Gesù Cristo, o su le Glorie
di Maria Santissima.
Così imbevevali di
sentimenti santi, e confermare cercavali nella pietà e nella divozione. Sopra
tutto invogliavali in ossequiare Gesù Sagramentato, e visitarlo per lo meno una
volta il giorno: così nell'essere divoti della Vergine. "Se tutti che
vengono qui, disse a taluni, fossero divoti, e ricorressero alla Madonna, solo
con questo si salverebbero". Sorpreso da estro di spirito "Madonna
mia, esclamò, io sempre voglio stare ai piedi tuoi, perché in Te stanno tutte le
mie speranze".
Ancorché così
travagliato anche veniva spesso invitato né Monasteri delle Monache. Troppo
anziose dimostravansi quelle Madri di voler sentire la sua voce. Alfonso
volentieri compiacevale, e non mancava consolarle con familiari discorsi.
Nel Giugno del 1781. fu per l'ultima volta nel Monistero della Purità. Parlò
del distacco che aver si deve dalle cose di questa terra, dell'amore che è
dovuto a Gesù Cristo, e della filiale confidenza che aver dobbiamo con Maria
Santissima. Quasi due ore durò il sermone, ma sembrò un momento a quelle
Reverende Madri. Volendosegli dare un mazzetto di fiori, ringraziolle, ma
suggerendosegli, che presentarlo poteva a Maria Santissima, così se 'l prese.
Correndo nel Monistero
delle Chiariste le Indulgenze della Porziuncula, anzioso di guadagnarle, vi si
volle portare. Invitato, e pregato dalle Monache per qualche divoto sentimento,
parlò, ma troppo enfaticamente, dell'amore che aver si deve verso Gesù
Sagramentato, e della divozione verso Maria Santissima. Rilevò tra l'altro il
gran beneficio della Vocazione Religiosa, e l'obbligo che assisteva ad ognuna,
ma troppo stretto, di osservare la propria Regola. Ingolfatosi di nuovo
nell'amore di Gesù Cristo, e dell'obbligo di amarlo, se non sopraggiungeva la
notte, Monsignore non avrebbe finito di predicare.
Anche in questo stato,
non lasciava di veduta il bene - 155 -
della Congregazione. Voleva che prima dell'Orazione, ognuno si ci fosse
preparato. Questo comando, disse, ce lo fa lo Spirito Santo; ed avendosi
chiamato chi teneva l'orario, ordinò che la sera mezzo quarto prima
dell'orazione avesse dato alcuni tocchi colla campanella, affinché ognuno
ritirandosi in Coro, si fosse raccolto. Essendosi informato, e non restando
soddisfatto dei libri che leggevansi a tavola, volle che si leggessero le Vite
dei Santi, perché istruttive, non già libri eruditi, che, come diceva,
illustrano l'intelletto, e non muovono la volontà.
Voleva che le preci
comuni dette si fossero con tutta divozione. Ritirandosi una mattina dalla
solita ora di cammino, entrò in Coro nell'atto che facevasi l'esame comune.
Troppo sollecito fu l'Eddomodario nella recita delle Litanie. "Che modo è
questo, ei disse, postosi in contegno, di salutar la Vergine. Con questo non si
onora, ma si disprezza Maria Santissima".
Avendo celebrato una
mattina un Padre giovanetto, nol fece, perché angustiato da scrupoli, che con
fretta e poca posatezza.
Se ne scandalizza
Monsignore, e non conoscendo chi fosse, né sapendo le sue angustie, ritirandosi
dalla Chiesa, entra nel Coro, ove radunata eravi la Comunità per l'esame
comune, e con presenza di spirito rileva quanto grave indecenza sia mancarsi
nelle rubriche, e non darsi alla Messa il giusto tempo che si ricerca.
"Noi ci lagniamo,
disse, delle persecuzioni. Io tremo, se in Congregazione s'introducono le Messe
corte. A me dispiace il disprezzo che si fa a Gesù Cristo. Povero Gesù
Cristo!" Così dicendo proruppe in pianto.
Erangli a cuore
soprattutto i giovanetti Chierici. Essendoglisi detto in atto che cibavasi, che
in Iliceto eransi ripigliati gli studj, esultò, tutto si scosse, e non una, ma
più volte, quasi estatico ripetè, Gloria
Patri. Dimandando chi Autore si leggesse, approvò il Padre da Brescia.
Chiedendo chi leggesse, e dettosegli, il P. Costanzo, scrisse al medesimo:
"Voi mi avete sollevato con farmi sapere che avete accettato ad istruire i
giovani.
Quelli i quali
ricusavano quest'impiego, non so come possono trovar pace avanti a Dio, vedendo
che questo fosse chiara volontà di Dio. Io vi benedico, e vi ringrazio, e prego
Dio che vi tenga molto consolato per quest'atto di ubbidienza. Cogli studj
aveva a cuore il costume. Credo, scrisse al medesimo Padre, che dal Prefetto si
faccia osservare ai Chierici la loro antica Costituzione; ma sul dubbio se si
osserva o no, prego far sentire esser mia volontà che quella interamente, e
puntualmente si osservi".
Essendosi portati da
Iliceto i nostri Chierici per godere di sua benedizione, egli compiacevasi
vederseli d'intorno, e quelli non saziavansi di ascoltarlo.
Un giorno in atto che
stava mangiando eruttò loro questi ricordi. "S. Francesco di Sales diceva
alla Madre di Chantal, - 156 -
"Dunque
volete darvi tutta a Dio senza riserba, ed in tutto rinunciare al mondo per
piacere solo a Dio. Lo stesso io dico a voi, e spero che tutti siate risoluti
farvi santi. Poi soggiunse: innamoratevi di Gesù Cristo ora che siete giovani.
Nelle tentazioni invocate subito Gesù Cristo e la Madonna, perché tutti e due
vanno uniti. L'orazione fatela sempre sopra la Passione di Gesù Cristo.
Cercate Dio solo, e non
altro. Oh che bella cosa quando un giovane sta unito con Gesù Cristo".
Così dicendo, sospendendo il mangiare, videsi per un pezzo trasformato, e tutto
fuoco nel volto. Elasso qualche tempo "Certo si è, lor disse, che Dio vi
vuol santi. Due cose vi raccomando: ubbidienza anche al cuoco. L'ubbidienza è
quella che ci mantiene: chi manca all'ubbidienza, manca a Dio, e Dio ne lo
caccia dalla Congregazione.
Vi raccomando la
povertà, perché la povertà ci stringe con Dio. Io tengo per difetti capitali, i
difetti di ubbidienza e di povertà".
Benché così malconcio
non lasciava fare ai nostri ogni Sabbato il solito sermone. L'ultima volta che
lo fece, fu nel Novembre del 1780., e si distese sull'efficacia della preghiera.
Fe vedere il grande utile che si ritrae da chi prega, e l'indispensabile
necessità che abbiamo di pregare. Lo fece con tal veemenza di spirito, e con
tale abbondanza di sentimenti, che ogni uno restò ammirato.
Meno interessato non
era per gli bisogni corporali; né mancava informarsi come nel vitto era
trattata la Comunità. Avendo preinteso che si pativa, non si diede pace.
Avendosi chiamato il P. Villani, "io, disse, non so chi è Rettore, e chi è
Ministro: caliamo digiuni, e saliamo digiuni dal refettorio. E' di giustizia
che si dia alla Comunità, e non si neghi a forestieri quello che spetta. Io non
so niente. Voi che assistete al refettorio, voi dovete saperlo. Dite al Rettore
e Ministro che badino a non far lagnare la Comunità, se non vogliano che io dia
di mano a penitenze".
Se tanto eragli a cuore
la santità negli altri, maggiormente la ricercava in se medesimo. Inabile a
poter celebrare, non credevasi tale per assistere ai Divini Misterj. Ogni
mattina avendo ascoltato la Messa nel suo Oratorio, fattasi la Comunione, e
rese le grazie, calava in Chiesa coadjuvato dal servitore, e dal Fratello
Francesco Antonio e situar facevasi di fianco all'altare maggiore. Ivi
inchiodato, per più ore sopra una sedia, assisteva contemplando alle cinque e
sei Messe. Il giorno di nuovo facevasi calare in Chiesa, e trattenevasi le più
ore avanti il Sacro Ciborio. Attesta il Fratello Francesco Antonio, che
Monsignore tra mattina e giorno, per lo meno persisteva le cinque e sei ore
avanti il Sagramento.
Somma pena sperimentava
vedendosi privo della Messa. Essendosi portato a visitarlo un giovanetto
Cinese, dimandogli come ne stasse - 157 -
il P. Fatigati: che stava bene, disse, ma troppo non vedendoci, il Papa
accordato gli aveva la Messa della Madonna. "Beato lui, esclamò
Monsignore, che può dire quella bella Messa, che io non posso dirla più; e
rivolgendosi ai nostri, pregate Dio, lor disse, per questo Collegio, si tratta
convertire gl'Infedeli, e propagare il nome di Gesù Cristo".
Celebrava ogni mattina nel suo Oratorio il P. D. Francesco Garzilli, vecchio
anch'esso nonagenario, ma snello nelle operazioni. Ammirandolo Alfonso, e quasi
invidiandolo, Gesù Cristo, disse, non vuole che io celebri più: sia sempre
fatta la divina volontà.
Affettuosa più che mai,
tra questo tempo, era la sua amorevolezza verso Maria SS.; e tale come da
faccia a faccia vi trattasse. Grato alla Divina Madre, non vi era ossequio che
ommettesse. Avvi ne' Pagani portentosa Statua della Vergine, chiamata la Madonna delle Galline.
Portandosi quella
processionalmente nell'ottava di Pasqua, e l'ultima Domenica di Luglio, ed
offerendosele dai divoti delle galline, come queste si mettono a piè della
Statua, così restano immobili. Girando per la Città, e sapendosi dal Clero la
divozione, ma troppo tenera, che egli aveva per Maria SS., non si mancava
entrarla nella nostra Chiesa.
Alfonso per fintanto
che poté calare in Chiesa, non lasciava presentarle ogni volta due grosse
galline. Talvolta ritrovandosi mangiando, e capitando la Statua, levandosi da
tavola, non calava, ma volava per prestare alla Vergine un tale ossequio.
Minuzzolo di tempo
anche in questo tempo non era trascurato. Occupato vedevasi in leggere e
meditare o la Vita del B. Giuseppe da Calasanzio, o quella di S. Teresa sua
Avvocata, o le gesta dei primi Eroi Teresiani. Rilevando cosa di maggior peso,
la sera dopo cena comunicavala a quei che da lui andavano per tenergli
conversazione.
Quello che più di tutti
ammiravasi in Alfonso Liguori era la costanza negli Atti della Comunità, e ne'
suoi divoti esercizj. Esatto negli esami mattina e sera; attento nella lettura
spirituale, e nell'orazione vespertina; e sollecito per quelle regolarità che
osservar poteva. Ogni Sabbato non mancava godere del beneficio dell'assoluzione
Sagramentale.
Anche le Stazioni della Via Crucis
passavale giornalmente, ancorché con grave incomodo; così soddisfaceva ogni
altro esercizio di pietà, che fin dai primi anni prefisso si aveva. Questa
costanza negli atti divoti fu sempre la caratteristica di Monsignore. Non voglio cose grosse, dir soleva anche
a noi essendo giovanetti, ma quidquid
modicum, dummodo sit costans.
Non erangli di peso in
questo stato le sue penalità, ma pena provava conoscendosi d'incomodo agli
altri. Se chiamava taluno, nol faceva, che con ribrezzo, pregando, e con
sentimenti di umiltà. Credendo d'incomodo, e per se soperchia parzialità il
mangiare in stanza, - 158 -
voleva
cogli altri calare in refettorio. Fu questa per tutti materia da ridere. Non si
arrese, qualunque motivo se gli portasse in contrario. Cedette sul solo
riflesso, che trattenendosi a lungo nel mangiare, riusciva di peso a tutti gli
altri.
Sino al 1784.
Monsignore mattina e sera era uscito in carrozza. Premeva ai Medici, e molto
più alla Comunità conservarlo in vita. Spettacolo di somma edificazione era
questa uscita.
Un giorno si vide
perduto, e fu il dì 19. Settembre di questo medesimo anno, avendo egli di età
anni 88. Non essendo nello stato di reggere se stesso, rilasciandosegli le
viscere col moto tremolo della carrozza, gli piombarono nello scroto. A stento
a mezzo cammino, e come meglio si poté, fu situato sopra un letto in una Casa
sottana di una Villanella. Tutti l'ebbero per morto. All'avviso correttero i
nostri, chi in pianella, e chi senza con un seguito di popolo. Riuscì a
Chirurgi rimettere le viscere, ma fu riportato a Casa più morto che vivo.
Conoscendo i Medici il
preciso bisogno del moto che egli aveva per mantenersi in vita, ordinarono che
uscito fosse in sedia. In sentir sedia Monsignore ritrova mille pretesti in
contrario. Essendosegli detto dal Rettore che vi era ordine del Medico, si
c'indusse. Il giorno susseguente non fu possibile di smuoverlo; ed insistendo
il Rettore, e i Padri, egli quasi piangendo,
come io, disse, mi ho da far portare
sulle spalle da quei poveretti. Jeri riflettendo a questo ci trovai pena, e non
sollievo.
Insistendo i nostri, che avvezzi quelli a tal fatiga, e che così procacciavansi
il pane, non per questo si arrese. Non volendo i Medici affliggerlo di
vantaggio, se gli prescrisse per i Corridori di Casa una sedia rotabile.
Sgravato dal peso della
carrozza, mandandosi i cavalli a vendere in Napoli, così scrisse al Fratello
Ilardo a' 24. Settembre. "Per questi cavalli che mando, io voglio restare
senza scrupolo. Manifestate che uno patisce nelle mascelle, e non può masticare
la paglia, e la biada: l'altro, cioè il più vecchio, patisce di male di luna, e
da quando in quando si butta a terra. Ha giovato ad alzarlo, afferrarlo per
l'orecchio. Spiegate tutto questo, perché io voglio restar senza scrupolo; uno
si vendette ducati quattro, e l'altro carlini 21". Così finì in Monsignor
Liguori lo sfarzo della sua ricca e superba carrozza.
In questo medesimo anno, essendo egli
in età di anni ottantotto, volle Iddio da Alfonso il massimo de' sacrificj.
La Messa, tra i tanti guai, era per
esso l'unico ristoro, ancorché dicendola, vi agonizzasse; maggiormente che
volendo essere esatto nelle rubriche, genuflettendo fino a terra, le vetti vi
volavano per rialzarlo.
Vedendolo il P. Villani estremamente
scaduto, e tante volte in procinto di non terminarla, - 159 -
pregollo essere volontà di Dio doversene astenere.
In sentire Alfonso volontà di Dio, e volontà del Direttore cala la testa, ed a'
25. di Novembre in giorno di Venerdì fece a Dio un sì solenne sacrificio.
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