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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap. 30 Stato di decadenza in Alfonso: ultimi sforzi del suo zelo; e sua costanza negli atti di pietà.
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Cap. 30

Stato di decadenza in Alfonso: ultimi sforzi del suo zelo; e sua costanza negli atti di pietà.

 


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Eran quasi due anni, cioè prima della catastrofe di tanti guai, che Alfonso spossato vedevasi e debilitato; ma se tale per l'innanzi, cadavere addinvenne, succeduta la congerie di tanti malanni. Facevano peso gli anni in un corpo estenuato e crocifisso; ma sopraggiunto il grave travaglio in che vide se stesso e la Congregazione, agonizzava, e non era uomo. Poco mangiava, e meno dormiva; e lo stesso mangiare, anzi che sollievo, eragli di pena. Continuato miracolo stimavasi da tutti, come l'afflitto vecchio regger potesse, e sopravvivere, e non restar soffocato in tante, e sì diverse amarezze così gravi.


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Benché così storpio, trascurato non aveva fino a quel tempo sminuzzare al popolo in ogni Sabbato le virtù della Vergine. La calca de' divoti era grande, desideroso ognuno di raccogliere, come dicevano, le ultime margarite dalla bocca di Monsignore. Non altrimenti praticato aveva nelle Novene, che precedono le sue Feste. Ogni anno nella sera del Giovedì Santo fu diritto suo il far presente al popolo l'amara Passione di Gesù Cristo. Di questo ne volle Iddio un sagrificio. Vedendosi sulla Cattedra sforzare la machina del corpo, e divenir zuppa di sudore, se gli proibì e da Medici, e dal P. Villani.

 

Ha questo di proprio la carità, che presa piede in un Anima, perfezionata si rende in mezzo a' travagli. Tutto zelo, e tutto fuoco fu sempre Alfonso per la gloria di Dio, e per il bene delle Anime, ma vie più invogliato si vide se afflitto, ed angustiato.

Nell'Ottobre, quando gli squadroni de' nostri destinavansi per le Missioni, vedevasi tutto in azione, e saper voleva per quali Paesi, e da quali Vescovi venivano richiesti, animavali a far del bene, e che carichi si facessero della gloria di Dio, e della salvezza de' peccatori. Ritornando, non riceveveli che a braccia aperte. Sentendo i rapporti di conversioni straordinarie gioiva.

Dimandando un giorno al Padre D. Giuseppe Pappacena, ove si ritrovassero i nostri, e dettosegli, che per ogni parte si avevano notizie di strepitose conversioni, tutto se ne consolò, e prorompendo in pianto, ed io, disse, che faccio? Sono inutile, e sono di peso alla Comunità.

"Faticano gli altri per voi, ripigliò il Padre, perché siete Fondatore, ci avete la vostra parte. Che Fondatore e Fondatore andate trovando, ripigliò risentito Monsignore: io sono un miserabile: solo il male posso far io: la Congregazione l'ha fondata Iddio: Dio solo n'è il Fondatore, ed io non sono stato che una mazza di scopa in mano a Dio.

 

Anzioso vedevasi per i vantaggi della Chiesa. Come capitava persona da Napoli, o altri che fosse a visitarlo, dimentico dei suoi anfratti, sollecito saper voleva come passassero ne' respettivi Regni le cose della Chiesa, e come i Sovrani fossero in armonia col Papa. Sentendo traversia, "preghiamo Iddio, diceva, affinché si stabilisca armonia e concordia tra il Sommo Pontefice, e le Potenze Cattoliche. "Povero Papa, esclamava quasi piangendo, afflitto, e trafitto da' suoi medesimi figli.

 

Agonizzava, e vedevasi in afflizione se sentiva ne' Paesi alterato il costume, ed offesa la Religione. Novità non mancavano in Napoli, come accader suole nelle Capitali, ove col buono non manca il cattivo. Povero Napoli, si fe a dire un giorno, Iddio, perché troppo offeso, non mancherà dar di mano ai castighi. Iddio non paga il Sabbato, ed una misericordia non curata si cambia in furore. Piangeva, ed affliggevasi avanti al Crocifisso che aveva a fronte, e vittima offeriva se stesso per arrestarne il colpo a danno de' peccatori.

Erano tali le sue angustie,


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e così gravi, sentendo imbarazzi per la Chiesa e per le Anime, che fattosene compassione il P. Villani proibì ai nostri di più dargli tali notizie, specialmente se disgusti passavano tra il Papa, e i Regnanti.

 

Non potendo applicare per la Religione, e dare più Opere alle stampe, perché impotente, vedevasi le più ore impiegare nel leggere nuovi libri, che ne trattavano la difesa. Leggeva specialmente di continuo il P. Valsecchi, ed il P. Bennetti. Tutto consolavasi ove incontravasi in argomenti che non pativano eccezioni, e tutto allegro comunicavali ai nostri, o ad altri che venivano da lui.

Entrandosi da lui una sera dopo cena, egli chiudendo Valsecchi che aveva tra le mani, tutto lieto si pose a dire. "Bisogna ringraziare Iddio che ci ha fatto nascere nella Fede, e nel colmo della Fede. Il Vangelo si era sparso, ma fu attraversato da mille eresie. Noi siamo nell'Europa, e dentro l'Europa nell'Italia, ch'è il centro della Fede".
Soggiunse, e disse: "Poveri noi se non avessimo avuti Gesù Cristo, Gesù Cristo è la Speranza nostra, e non è conosciuto: Dolores nostros Ipse portavit. Nel giorno del giudizio oh quanti pochi saranno quelli, a' quali sarà detto: Venite alla mia destra".
Così godeva delle Opere dell'Abate Nonnotte, e di altri contro gli errori di Voltaire, e di Rossò.

 

Godeva e ringraziavane Iddio ove sentiva gli Operarj protetti da' Vescovi, e maggiormente se da Sovrani. Vedendo stabiliti i Gesuiti nella Russia Bianca, e presso il Re di Prussia, non finiva ringraziare Iddio, e magnificare la pietà dell'Augusta Caterina. "Dicono che sono Scismatici, ma si parla allo sproposito. Sovrano che il Papa li riconosce per membri della Chiesa, e li protegge. Preghiamone Iddio per questi santi Religiosi, perché l'Istituto è Opera, che ajuta le Anime, e fiancheggia la Chiesa. Che Scismatici e Scismatici. Voce di Dio fu Papa Ganganelli che li volle umiliati, e voce di Dio è Pio VI. che li protegge. Iddio è quello che mortifica, e vivifica, preghiamolo, che non mancherà benedirli".

 

Passavagli il cuore, e vedevasi in amarezza, se notizia gli perveniva di miscredenza in taluni, o cosa che a questo disponesse. Maggior rammarico ei provava, ove trionfar sentiva i zelanti Giansenisti, com'ei chiamavali. "Povero Sangue di Gesù Cristo conculcato e malmenato, sentivasi ripetere, e quel ch'è peggio colla purità della dottrina, come questi dicono, e col zelo di ravvivare nei popoli il primo spirito della Chiesa. Col bacio di pace Giuda tradì Gesù Cristo, e col bacio di pace anche questi tradiscono Gesù Cristo e le Anime. Altre volte: questo veleno non si conosce, e prima si muore, che sentesi avvelenato".

Aveva egli fin dai primi anni che fu in Scala accorsata nella Costiera di Amalfi con profitto delle Anime la frequenza de' Sagramenti.


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Avendo saputo tra questo tempo che un Religioso di stretta osservanza imbevuto dello spirito di Antonio Arnaldo, anzi che invogliarne, allontanavane i Fedeli dalla Santa Comunione, e che col pretesto di non essersi avanzati nella perfezione, non permettevala se non dopo anni ed anni, ne piangeva per dolore.
"Non fu congresso di Giansenisti in Borgofontano, ei diceva, ma congresso di demonj; e miglior mezzo trovar non poteva Antonio Arnaldo per rendere inaccessibile questo gran Sagramento, quanto alterarne le disposizioni che S. Paolo ricerca per degnamente riceverlo. So, ripeteva, che gli Angeli non ne sono degni, ma Gesù Cristo ne ha degnato l'uomo per sollevarlo nelle sue miserie. Tutto il bene l'abbiamo da questo Sagramento: mancando questo ajuto, tutto è ruina".

Maggiormente era in affanno in sentire, che il Religioso sostenuto da altri alzato aveva cattedra, e tirato al suo partito tanti buoni Parrochi e Confessori. Non potendo operare da sé il povero vecchio, perché impotente, mezzo non lasciava per opera dei suoi per disingannare specialmente i Confessori, e volle che in suo nome avvertito si fosse Monsignor Puoti che n'era Arcivescovo.

 

Soffrir non potette specialmente fino all'ultima età un certo che di abbominio che da questa razza di Confessori si ostenta verso i peccatori. Voleva, ed inculcavalo, che quanto più fossero tali, maggiormente si abbracciassero. Non altrimente, ei diceva, fu la condotta di Gesù Cristo. Piangeva, e compassionava il loro stato, ma voleva che con carità si accogliessero.

Non li spaventate, ripeteva, con dilazioni di mesi e mesi, com'è la moda che corre. Questo non è ajutarli, ma ruinarli. Quando il penitente ha conosciuto, e detesta il suo stato, non bisogna lasciarlo colle sole sue forze nel conflitto colla tentazione: bisogna ajutarlo, ed il maggior ajuto si colla grazia dei Sacramenti. Il Sacramento supplisce quello che non può colle sole sue forze. Differire l'assoluzione per mesi e mesi è dottrina Giansenistica. Questi tali non hanno impegno di affezionare, ma rendere inutili a' Fedeli i Santi Sacramenti.

In altra occasione disse: Tanti vengono indisposti, ma si compungono rilevandosi la gravezza del peccato, e l'offesa fatta a Dio; il Paradiso perduto, e l'Inferno aperto. Qui si vede la carità del Confessore. Taluni li vorrebbero cotti e passati di fuoco. Che si stirino il braccio.

 

Qualunque occasione di poter giovare alle Anime, anche in questo stato, non era trascurata. Essendovi in Casa Missione di Santi Esercizj, vedendosi inabile a porgere la meditazione, aveva in costume l'ultima sera farsi calare in Chiesa, e dare dei ricordi per conservarsi in grazia.

Una delle volte, ancorché la mattina si avesse cavato sangue dalla mano, volle calare per i soliti avvertimenti. Si spaziò sull'amore che ci portano Gesù Cristo, e Maria Santissima. Non furono avvertimenti, ma predica intera che fece quasi per un ora sopra la corrispondenza che lor


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si deve; e cominciò con dire: Amor con amor si paga. Volendo in fine dar la benedizione col gran Crocifisso, che poggiato stava all'altare, in prenderlo se gli aprì la ferita, e benedicendo gli Esercizianti pioveva sangue dalla mano. Salendo in Casa, ma consolato per la mossa che vide in Chiesa, e non accorgendosi del sangue che usciva né esso, né chi lo assisteva, asperso si vide tutto il cammino dalla Chiesa alla sua stanza. Avvedutisene gli Esercizianti, fecero tutti a gara per inzupparne i fazzoletti.
Non mancavano in Chiesa certi spiriti forti che per l'innanzi sentivano male della Religione, e due specialmente, figli di un convinto miscredente, radere si videro anche la terra, ove il sangue era caduto.

 

Trattenendosi tra di noi Secolari, o Ecclesiastici, sia per propria elezione, o perchè destinati da' Vecovi, o dal Sovrano, chiamandoli nella sua stanza, lor faceva leggere le Vittorie de' Martiri, o altro libro sulla Passione di Gesù Cristo, o su le Glorie di Maria Santissima.

Così imbevevali di sentimenti santi, e confermare cercavali nella pietà e nella divozione. Sopra tutto invogliavali in ossequiare Gesù Sagramentato, e visitarlo per lo meno una volta il giorno: così nell'essere divoti della Vergine. "Se tutti che vengono qui, disse a taluni, fossero divoti, e ricorressero alla Madonna, solo con questo si salverebbero". Sorpreso da estro di spirito "Madonna mia, esclamò, io sempre voglio stare ai piedi tuoi, perché in Te stanno tutte le mie speranze".

 

Ancorché così travagliato anche veniva spesso invitatoMonasteri delle Monache. Troppo anziose dimostravansi quelle Madri di voler sentire la sua voce. Alfonso volentieri compiacevale, e non mancava consolarle con familiari discorsi.
Nel Giugno del 1781. fu per l'ultima volta nel Monistero della Purità. Parlò del distacco che aver si deve dalle cose di questa terra, dell'amore che è dovuto a Gesù Cristo, e della filiale confidenza che aver dobbiamo con Maria Santissima. Quasi due ore durò il sermone, ma sembrò un momento a quelle Reverende Madri. Volendosegli dare un mazzetto di fiori, ringraziolle, ma suggerendosegli, che presentarlo poteva a Maria Santissima, così se 'l prese.

 

Correndo nel Monistero delle Chiariste le Indulgenze della Porziuncula, anzioso di guadagnarle, vi si volle portare. Invitato, e pregato dalle Monache per qualche divoto sentimento, parlò, ma troppo enfaticamente, dell'amore che aver si deve verso Gesù Sagramentato, e della divozione verso Maria Santissima. Rilevò tra l'altro il gran beneficio della Vocazione Religiosa, e l'obbligo che assisteva ad ognuna, ma troppo stretto, di osservare la propria Regola. Ingolfatosi di nuovo nell'amore di Gesù Cristo, e dell'obbligo di amarlo, se non sopraggiungeva la notte, Monsignore non avrebbe finito di predicare.

 

Anche in questo stato, non lasciava di veduta il bene


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della Congregazione. Voleva che prima dell'Orazione, ognuno si ci fosse preparato. Questo comando, disse, ce lo fa lo Spirito Santo; ed avendosi chiamato chi teneva l'orario, ordinò che la sera mezzo quarto prima dell'orazione avesse dato alcuni tocchi colla campanella, affinché ognuno ritirandosi in Coro, si fosse raccolto. Essendosi informato, e non restando soddisfatto dei libri che leggevansi a tavola, volle che si leggessero le Vite dei Santi, perché istruttive, non già libri eruditi, che, come diceva, illustrano l'intelletto, e non muovono la volontà.

 

Voleva che le preci comuni dette si fossero con tutta divozione. Ritirandosi una mattina dalla solita ora di cammino, entrò in Coro nell'atto che facevasi l'esame comune. Troppo sollecito fu l'Eddomodario nella recita delle Litanie. "Che modo è questo, ei disse, postosi in contegno, di salutar la Vergine. Con questo non si onora, ma si disprezza Maria Santissima".

 

Avendo celebrato una mattina un Padre giovanetto, nol fece, perché angustiato da scrupoli, che con fretta e poca posatezza.

Se ne scandalizza Monsignore, e non conoscendo chi fosse, né sapendo le sue angustie, ritirandosi dalla Chiesa, entra nel Coro, ove radunata eravi la Comunità per l'esame comune, e con presenza di spirito rileva quanto grave indecenza sia mancarsi nelle rubriche, e non darsi alla Messa il giusto tempo che si ricerca.

"Noi ci lagniamo, disse, delle persecuzioni. Io tremo, se in Congregazione s'introducono le Messe corte. A me dispiace il disprezzo che si fa a Gesù Cristo. Povero Gesù Cristo!" Così dicendo proruppe in pianto.

 

Erangli a cuore soprattutto i giovanetti Chierici. Essendoglisi detto in atto che cibavasi, che in Iliceto eransi ripigliati gli studj, esultò, tutto si scosse, e non una, ma più volte, quasi estatico ripetè, Gloria Patri. Dimandando chi Autore si leggesse, approvò il Padre da Brescia. Chiedendo chi leggesse, e dettosegli, il P. Costanzo, scrisse al medesimo: "Voi mi avete sollevato con farmi sapere che avete accettato ad istruire i giovani.

Quelli i quali ricusavano quest'impiego, non so come possono trovar pace avanti a Dio, vedendo che questo fosse chiara volontà di Dio. Io vi benedico, e vi ringrazio, e prego Dio che vi tenga molto consolato per quest'atto di ubbidienza. Cogli studj aveva a cuore il costume. Credo, scrisse al medesimo Padre, che dal Prefetto si faccia osservare ai Chierici la loro antica Costituzione; ma sul dubbio se si osserva o no, prego far sentire esser mia volontà che quella interamente, e puntualmente si osservi".

 

Essendosi portati da Iliceto i nostri Chierici per godere di sua benedizione, egli compiacevasi vederseli d'intorno, e quelli non saziavansi di ascoltarlo.

Un giorno in atto che stava mangiando eruttò loro questi ricordi. "S. Francesco di Sales diceva alla Madre di Chantal,


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"Dunque volete darvi tutta a Dio senza riserba, ed in tutto rinunciare al mondo per piacere solo a Dio. Lo stesso io dico a voi, e spero che tutti siate risoluti farvi santi. Poi soggiunse: innamoratevi di Gesù Cristo ora che siete giovani. Nelle tentazioni invocate subito Gesù Cristo e la Madonna, perché tutti e due vanno uniti. L'orazione fatela sempre sopra la Passione di Gesù Cristo.

Cercate Dio solo, e non altro. Oh che bella cosa quando un giovane sta unito con Gesù Cristo". Così dicendo, sospendendo il mangiare, videsi per un pezzo trasformato, e tutto fuoco nel volto. Elasso qualche tempo "Certo si è, lor disse, che Dio vi vuol santi. Due cose vi raccomando: ubbidienza anche al cuoco. L'ubbidienza è quella che ci mantiene: chi manca all'ubbidienza, manca a Dio, e Dio ne lo caccia dalla Congregazione.

Vi raccomando la povertà, perché la povertà ci stringe con Dio. Io tengo per difetti capitali, i difetti di ubbidienza e di povertà".

 

Benché così malconcio non lasciava fare ai nostri ogni Sabbato il solito sermone. L'ultima volta che lo fece, fu nel Novembre del 1780., e si distese sull'efficacia della preghiera. Fe vedere il grande utile che si ritrae da chi prega, e l'indispensabile necessità che abbiamo di pregare. Lo fece con tal veemenza di spirito, e con tale abbondanza di sentimenti, che ogni uno restò ammirato.

 

Meno interessato non era per gli bisogni corporali; né mancava informarsi come nel vitto era trattata la Comunità. Avendo preinteso che si pativa, non si diede pace. Avendosi chiamato il P. Villani, "io, disse, non so chi è Rettore, e chi è Ministro: caliamo digiuni, e saliamo digiuni dal refettorio. E' di giustizia che si dia alla Comunità, e non si neghi a forestieri quello che spetta. Io non so niente. Voi che assistete al refettorio, voi dovete saperlo. Dite al Rettore e Ministro che badino a non far lagnare la Comunità, se non vogliano che io dia di mano a penitenze".

 

Se tanto eragli a cuore la santità negli altri, maggiormente la ricercava in se medesimo. Inabile a poter celebrare, non credevasi tale per assistere ai Divini Misterj. Ogni mattina avendo ascoltato la Messa nel suo Oratorio, fattasi la Comunione, e rese le grazie, calava in Chiesa coadjuvato dal servitore, e dal Fratello Francesco Antonio e situar facevasi di fianco all'altare maggiore. Ivi inchiodato, per più ore sopra una sedia, assisteva contemplando alle cinque e sei Messe. Il giorno di nuovo facevasi calare in Chiesa, e trattenevasi le più ore avanti il Sacro Ciborio. Attesta il Fratello Francesco Antonio, che Monsignore tra mattina e giorno, per lo meno persisteva le cinque e sei ore avanti il Sagramento.

 

Somma pena sperimentava vedendosi privo della Messa. Essendosi portato a visitarlo un giovanetto Cinese, dimandogli come ne stasse


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il P. Fatigati: che stava bene, disse, ma troppo non vedendoci, il Papa accordato gli aveva la Messa della Madonna. "Beato lui, esclamò Monsignore, che può dire quella bella Messa, che io non posso dirla più; e rivolgendosi ai nostri, pregate Dio, lor disse, per questo Collegio, si tratta convertire gl'Infedeli, e propagare il nome di Gesù Cristo".
Celebrava ogni mattina nel suo Oratorio il P. D. Francesco Garzilli, vecchio anch'esso nonagenario, ma snello nelle operazioni. Ammirandolo Alfonso, e quasi invidiandolo, Gesù Cristo, disse, non vuole che io celebri più: sia sempre fatta la divina volontà.

 

Affettuosa più che mai, tra questo tempo, era la sua amorevolezza verso Maria SS.; e tale come da faccia a faccia vi trattasse. Grato alla Divina Madre, non vi era ossequio che ommettesse. Avvi ne' Pagani portentosa Statua della Vergine, chiamata la Madonna delle Galline.

Portandosi quella processionalmente nell'ottava di Pasqua, e l'ultima Domenica di Luglio, ed offerendosele dai divoti delle galline, come queste si mettono a piè della Statua, così restano immobili. Girando per la Città, e sapendosi dal Clero la divozione, ma troppo tenera, che egli aveva per Maria SS., non si mancava entrarla nella nostra Chiesa.

Alfonso per fintanto che poté calare in Chiesa, non lasciava presentarle ogni volta due grosse galline. Talvolta ritrovandosi mangiando, e capitando la Statua, levandosi da tavola, non calava, ma volava per prestare alla Vergine un tale ossequio.

 

Minuzzolo di tempo anche in questo tempo non era trascurato. Occupato vedevasi in leggere e meditare o la Vita del B. Giuseppe da Calasanzio, o quella di S. Teresa sua Avvocata, o le gesta dei primi Eroi Teresiani. Rilevando cosa di maggior peso, la sera dopo cena comunicavala a quei che da lui andavano per tenergli conversazione.

 

Quello che più di tutti ammiravasi in Alfonso Liguori era la costanza negli Atti della Comunità, e ne' suoi divoti esercizj. Esatto negli esami mattina e sera; attento nella lettura spirituale, e nell'orazione vespertina; e sollecito per quelle regolarità che osservar poteva. Ogni Sabbato non mancava godere del beneficio dell'assoluzione Sagramentale.


Anche le Stazioni della Via Crucis passavale giornalmente, ancorché con grave incomodo; così soddisfaceva ogni altro esercizio di pietà, che fin dai primi anni prefisso si aveva. Questa costanza negli atti divoti fu sempre la caratteristica di Monsignore. Non voglio cose grosse, dir soleva anche a noi essendo giovanetti, ma quidquid modicum, dummodo sit costans.

 

Non erangli di peso in questo stato le sue penalità, ma pena provava conoscendosi d'incomodo agli altri. Se chiamava taluno, nol faceva, che con ribrezzo, pregando, e con sentimenti di umiltà. Credendo d'incomodo, e per se soperchia parzialità il mangiare in stanza,


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voleva cogli altri calare in refettorio. Fu questa per tutti materia da ridere. Non si arrese, qualunque motivo se gli portasse in contrario. Cedette sul solo riflesso, che trattenendosi a lungo nel mangiare, riusciva di peso a tutti gli altri.

 

Sino al 1784. Monsignore mattina e sera era uscito in carrozza. Premeva ai Medici, e molto più alla Comunità conservarlo in vita. Spettacolo di somma edificazione era questa uscita.

Un giorno si vide perduto, e fu il 19. Settembre di questo medesimo anno, avendo egli di età anni 88. Non essendo nello stato di reggere se stesso, rilasciandosegli le viscere col moto tremolo della carrozza, gli piombarono nello scroto. A stento a mezzo cammino, e come meglio si poté, fu situato sopra un letto in una Casa sottana di una Villanella. Tutti l'ebbero per morto. All'avviso correttero i nostri, chi in pianella, e chi senza con un seguito di popolo. Riuscì a Chirurgi rimettere le viscere, ma fu riportato a Casa più morto che vivo.

 

Conoscendo i Medici il preciso bisogno del moto che egli aveva per mantenersi in vita, ordinarono che uscito fosse in sedia. In sentir sedia Monsignore ritrova mille pretesti in contrario. Essendosegli detto dal Rettore che vi era ordine del Medico, si c'indusse. Il giorno susseguente non fu possibile di smuoverlo; ed insistendo il Rettore, e i Padri, egli quasi piangendo, come io, disse, mi ho da far portare sulle spalle da quei poveretti. Jeri riflettendo a questo ci trovai pena, e non sollievo.
Insistendo i nostri, che avvezzi quelli a tal fatiga, e che così procacciavansi il pane, non per questo si arrese. Non volendo i Medici affliggerlo di vantaggio, se gli prescrisse per i Corridori di Casa una sedia rotabile.

 

Sgravato dal peso della carrozza, mandandosi i cavalli a vendere in Napoli, così scrisse al Fratello Ilardo a' 24. Settembre. "Per questi cavalli che mando, io voglio restare senza scrupolo. Manifestate che uno patisce nelle mascelle, e non può masticare la paglia, e la biada: l'altro, cioè il più vecchio, patisce di male di luna, e da quando in quando si butta a terra. Ha giovato ad alzarlo, afferrarlo per l'orecchio. Spiegate tutto questo, perché io voglio restar senza scrupolo; uno si vendette ducati quattro, e l'altro carlini 21". Così finì in Monsignor Liguori lo sfarzo della sua ricca e superba carrozza.

In questo medesimo anno, essendo egli in età di anni ottantotto, volle Iddio da Alfonso il massimo de' sacrificj.

La Messa, tra i tanti guai, era per esso l'unico ristoro, ancorché dicendola, vi agonizzasse; maggiormente che volendo essere esatto nelle rubriche, genuflettendo fino a terra, le vetti vi volavano per rialzarlo.

Vedendolo il P. Villani estremamente scaduto, e tante volte in procinto di non terminarla,


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pregollo essere volontà di Dio doversene astenere. In sentire Alfonso volontà di Dio, e volontà del Direttore cala la testa, ed a' 25. di Novembre in giorno di Venerdì fece a Dio un sì solenne sacrificio.




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