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Cap.32
Fantasmi, ed illusioni diaboliche patite da Alfonso;
favori ricevuti da Dio; segni, ed altre sue profezie.
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Non potendo il Demonio
essere a capo con Alfonso oscurandogli l'intelletto, e stravolgendogli la mente
tentando per tante vie, si adoprò ancora, non potendolo ingannare, anche co'
spettri visibili, e con false apparenze; e dove vedevalo più forte, ivi cercava
indebolirlo.
Un giorno, così mi
attestò il Padre Corrado, troppo fortemente fu combattuto nella Fede. Avendomi
in fretta fatto chiamare, acceso e tutto spaventato mi disse: Qui è venuta una persona nemica mia, che mi
ha fatta una intemerata, e me l'ha fatta buona, ed è che io non ci credo, e
sono dannato.
"Voi
credete, diss'io, quello che Dio ha rivelato alla Chiesa, e la Chiesa ce
l'insegna. Sì signore, mi rispose
Monsignore, e ci do la vita.
Voi sperate, io
soggiunsi, per i meriti di Gesù Cristo la salute eterna. La spero, mi rispose, e con maggior enfasi: Tutto spero per lo Sangue di Gesù Cristo, che è morto per me.
Si quietò; ma
all'improvviso vedendosi turbato, ed inarcando le ciglia, mi dimandò chi fossi;
ed io avendogli detto essere il Padre Corrado, si rasserenò. Io non ho creduto niente, mi disse, a quello che esso mi ha detto, né mi sono posto
in dubbio. Credo quanto m'insegna la Chiesa, e spero salvarmi per li meriti di
Gesù Cristo, e di Maria Santissima. Avendo ciò riferito il Padre Corrado al
Padre Mazzini, questi gli disse, che tale tentazione travagliavalo visibilmente
ora in un modo, ed ora in un altro.
Dava all'occhio del
demonio l'umiltà di Alfonso. Non potendo innalzarlo, non lasciava mezzo per
renderlo gonfio per quello, che operato aveva a gloria di Dio in beneficio
delle Anime. Un giorno gli comparve in forma di un Missionario Napoletano.
Entrato in discorso delle sue stampe, disse, "che tutto il Mondo non
finiva magnificarlo per le tante Opere di gloria di Dio da se fatte, e che
ognuno restava ammirato del gran bene, che operava co' suoi libri".
In sentir questo
Alfonso si confonde ed umilia, attribuendolo a Dio, e non alle proprie fatighe. Ho fatto, disse, quello che ho potuto, ma tutto è stato ajuto di Dio.
"E' vero, ma sempre si dirà, ripigliò il Missionario, che sono opere
vostre, e che voi siete Autore di sì gran bene". Sentendosi titillare un
non so che di propria gloria, si umilia Alfonso, e concentra, ricorre a Dio, e
segnasi colla Croce; ma tanto fu il segnarsi, quanto veder sparire il finto
Missionario.
In altro giorno fu a
visitarlo in aspetto di un altro Prete. - 163 -
Non avendolo potuto guadagnare per un verso, voleva diruparlo per un altro.
Anche s'introdusse collo spaccio de' suoi libri. "Che vi siete affatigato,
disse, in comporre tante diverse Opere, cosa ne pretendete: quanto avete detto,
e scritto, tutto è inutile per voi: anche con questo sei dannato, né per te vi
è speranza di salute: ci vogliono altro, che stampe, e Missioni per
salvarvi". Io per me, disse
Monsignore, confondendosi in se stesso,
non ho fatto, né poteva fare cosa di buono, ed altro merito non ho presso Dio,
che i meriti di Gesù Cristo, e di Maria Santissima.
Quest'umiltà, e questa umile confidenza fe', che confuso il Prete, si vedesse
nell'istante sparito da' suoi occhi.
Gli stimoli del senso
in un cadavere sembrano cosa da non credersi, ma in Alfonso erano tali, che
forse, come dissi, non si patiscono da un giovane robusto, e sanguigno.
Tra queste angustie un
giorno il demonio fu da lui in aspetto di un nostro Congregato. Alfonso volendo
trovar qualche ristoro, e con umiliarsi svergognare la tentazione, confidavagli
la ribellione, che soffriva: "non è niente, gli fu detto: io anche sto
soggetto a questo: sono cose naturali, e segno è, che la natura vuol sgravarsi:
io senza scrupolo sfogo da per me, e mi tolgo d'angustie:" così dicendo,
animava Alfonso a far lo stesso.
In sentir Alfonso
questa chiusa, tutto si raccapriccia, ed invocando Gesù e Maria, quasi sbalzò
dalla sedia; ma tanto fu invocare i Nomi Sagratissimi, quanto veder scomparito
il finto Congregato.
Avuto aveva Alfonso
della confidenza con un gentiluomo, e perché uomo dabbene, ne aveva tutta la
stima. Anche in forma di questo gli comparve il demonio. Attaccando varj
discorsi portavalo alla sconfidenza. Ajutavasi Monsignore confessando i suoi
demeriti, e facendosi forte coi meriti di Gesù Cristo. "Ma che sperar
potete, soggiunse il gentiluomo, e che sperar poss'io, se siamo nella massa
dannata". Anche nell'Inferno, ripigliò
Alfonso, voglio amare Gesù Cristo: la mia
speranza non sta nelle mie opere, ma nei meriti della sua Passione. Confuso
il demonio si manifestò, e disparve.
Mi attestò il P.
Mazzini, che tutto ciò mi riferì, che negli ultimi anni accadevano spesso
queste illusioni, e che Monsignore chiamandolo, per essere illuminato, e
confortato nello spirito, non finiva ringraziarlo per la carità, che se gli
usava.
Non è, che mancassero
ad Alfonso tra questi diabolici cimenti i ristori del Cielo. Siccome nel
deserto, dopo essere stato tentato, e superato avendo il Salvatore i varj
assalti del demonio, subentrando gli Angioli lo glorificavano, e prestavano
omaggio: così tentato Alfonso, e superando col divino ajuto questi, ed altri
diabolici assalti, anch'esso onorato vedevasi da Dio, e reso glorioso in faccia
all'Inferno. Le sue estasi, ed i suoi rapimenti di spirito frequenti lo erano,
ed a veduta di ognuno.
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Ritrovandomi in Nocera
nell'Ottobre del 1784., ed essendo uscito colla Messa in atto, che Monsignore
se ne stava innanzi all'altare del Sagramento, l'intesi far rumore co' piedi,
come se puntellandoli sulli mattoni, fosse sdrucciolato. Avendo inteso il
medesimo rumore a capo di momenti, ed entrato in sospetto, che fossero moti
soprannaturali, guardandolo, lo vidi saltare in aria, e sbalzar di sedia non
una, ma più volte, ancorché a stento ed ajutato dal servitore, e dal Fratello
calar potesse in Chiesa, e con maggior stento, da che erasi seduto, rimettevasi
in piedi da tutti e due.
Terminata la Messa,
osservai da sopra del Coro replicati i medesimi sbalzi; e postomi in causa, mi
posi ad osservarlo più giorni dallo stesso luogo; e replicatamente vidi gli
stessi slanciamenti in aria, non altrimente che se fosse una piuma.
Un altra mattina stando
in Chiesa avanti l'altare del Sagramento fu veduto dai nostri che leggeva, e
che un raggio di luce dalla sua fronte riverberava sopra il libro che aveva
nelle mani.
Passeggiando il P.
Volpicelli nel Corridojo, intese dare da Monsignore nella sua stanza un gran
grido. Accorso, non sapendo cosa fosse, ritrovato lo aveva rimpetto al
Crocifisso buttato al solito sulla sua sedia, colle braccia aperte, ed alzate
in aria, ma immobile, e fuori di sensi: che a capo di molto tempo spalancando
gli occhi, estatico fissati li teneva in faccia al Crocifisso, ed il volto da
pallido che era, addinvenne tutto di fuoco. Che così guardato lo aveva per un
pezzo, ma temendo non se ne avvedesse, ne andiede via.
Il suo unico ristoro
tra queste angustie, non potendo celebrare, era come dissi, la Comunione.
Assistendo alla Messa vedevasi contemplare il gran Mistero, e comunicato
trattenersi le ore nel rendimento delle grazie. Vi è da credere, che durando le
specie Sagramentali, era sensibile nel suo cuore la grazia del Sagramento.
Avendo al solito celebrato nel suo Oratorio il Padre Garzilli anch'esso, come
dissi, nonagenario, Monsignore essendosi comunicato, e trattenendosi nel
rendimento delle grazie, rivolgendosi al Fratello Francesco Antonio, Garzilli, disse, sta mattina non ha consagrato. Restò stupito il Fratello; ed
esaminatosi il fatto col servitore Alessio, che servito aveva la Messa,
rilevarono esser passato il Padre Garzilli dal memento de' vivi a quello de'
morti. Vale a dire, che nel cuore non s'intese Monsignore i soliti effetti, che
sperimentar gli faceva il Divin Sagramento.
Mi attesta il Padre D.
Archangelo Maria Falcone, che volendo entrare da Monsignore, essendo Novizio,
per baciargli la mano, trattenevasi avanti la stanza, perchè occupato nel
rendimento di grazie. Alzando curioso per poco la portiera, lo vide così acceso
e trasformato nel volto, che sembrogli un Serafino.
La sera del Mercoledì
Santo, stando Monsignore verso sera solo - 167 -
ed abbandonato sul letto, s'intese esclamare dal servitore, che stava al di
fuori: Dimani è la Festa, e
replicavalo tutto giulivo: dimani è la
Festa del Sangue di Gesù Cristo. Avendo il servitore inteso replicare lo
stesso circa dieci volte, chiamando il Fratello Francescantonio, senti, gli
disse, che dice Monsignore. Entra il Fratello, e trova, che Monsignore
festeggiando seguitava a ripetere: dimani
è la Festa del Sangue di Gesù Cristo.
"Così è, disse il
Fratello, dimani è Giovedì Santo, ed è la commemorazione del Corpo, e Sangue di
Gesù Cristo". Tacque Monsignore, vedendo, che non era più solo; ma è da
riflettersi essere in tale stato, che non sapeva più da tanto tempo innanzi, nè
poteva sapere, che mese, e molto più che giorno corresse.
Una mattina, che
vedevasi tutto allegro, e sollevato, avendo fatto chiamare dopo tavola i nostri
Chierici, volle, che gli spiegassero una strofe della canzona di S. Giovanni
delle Croce. Niuno ci diede in mezzo, non capendosi il mistico significato.
Monsignore cominciò egli a spiegare i sensi della canzona, ma con unzione sì
grande di spirito, e con abbondanza di tanti lumi soprannaturali, che quanti vi
erano, e Padri, e Chierici restarono tutti ammutoliti, ed ammirati.
Stando Monsignore un
giorno buttato sopra la sua sedia, ed in silenzio, il Fratello Giuseppe, che
stava in un angolo per quello poteva occorrere, osservò, che Monsignore
estatico, e fuori di se si slanciava in modo verso l'altare, come se prendere
volesse, o abbracciare qualche cosa. Replicò questo più volte.
A tempo entrò il Fratello Francescantonio, e vedendo, che slanciavasi verso il
quadretto di Maria Santissima, che stava sull'altare, lo prese, e ce lo pose
avanti. Monsignore con impeto l'afferra, e contemplandolo incominciò a fare
mille atti amorosi: disse, ma cosa disse, non si penetrò. Poi dopo un pezzo
esclamò rapito, e fuori di se: Non posso,
non posso distaccarmi dall'amore di Gesù Cristo; ma lo disse con tal
enfasi, e con tal estro di cuore, che sembrava non uomo, ma Serafino.
Girando per i
Corridori, andava freneticando sopra gli obblighi, che non soddisfaceva, e
vedevasi manchevole.
In sentirlo così angustiato
il P. Volpicelli, se gli fe sopra con dirgli, che in quello stato, ed età non
era tenuto ad obbligo alcuno, e che con un atto di amore soddisfaceva tutti. Con un atto di amore, ripigliò ammirato
Monsignore: Sì, disse il Padre, con un atto di amore soddisfate tutto; ed egli:
imparatemi disse, come si fa quest'atto
di amore. Perchè sordastro, se gli fe sopra il Padre Volpicelli, dicendo a
voce alta: Dio mio vi amo con tutto il
cuore. Ripigliando Alfonso, Dio mio
vi amo, sorpreso da un ratto, si vide saltare da un palmo, e più in aria; e
perché il Padre gli stava al di sopra, saltando gli diede colla testa sotto del
mento.
Un altro giorno Monsignore anche voleva essere imparato come farsi l'atto di - 168 -
amore. Lo fece il Padre
Volpicelli, ma non piegandosi, fatto cauto a proprie spese. Ripigliollo
Monsignore, e di nuovo sorpreso si vide dal solito ratto.
Essendosi da Napoli
portato in Nocera per osservare le fabbriche della nostra Chiesa D. Giuseppe di
Mauro, uno degli Architetti della Casa Reale, in che si presentò ad Alfonso per
ossequiarlo, anzioso gli domandò se in Napoli frequentavansi i teatri, e se suo
nipote D. Giuseppe vi assisteva. "Monsignor mio, rispose il Mauro, così
porta la corrente del secolo".
Tacque Alfonso per un
poco, ma con maggior anzia soggiunse: e
le Cappelle si frequentano? "Sì, rispose enfaticamente D. Giuseppe, e
non potete credere il bene, che si fa, e che quantità di gente bassa vi
concorre: vi si veggono ancora de' cocchieri santi".
Stava Monsignore
sdrajato, e rilasciato quasi cadavere nel suo letto. In sentir cocchieri santi,
esultando gridò: cocchieri santi a
Napoli, Gloria Patri; così dicendo, come se spinto fosse da una balestra,
salta in alto da un palmo e più. Attesta il Signor Mauro, che tre volte ripetendo cocchieri santi, e Gloria Patri, tre
volte lo vide sorpreso dal medesimo ratto.
Fu tale quest'estro,
che la notte non dormì; e chiamando ora il servitore, ed ora il Fratello,
replicava sempre: a Napoli cocchieri
santi, che vi pare: voi l'avete inteso D. Giuseppe, Gloria Patri, cocchieri
santi a Napoli.
Benché Alfonso negli
ultimi suoi anni, come morto al mondo non vivesse in Nocera, che una vita
troppo oscura; ed altra premura non avesse che nascondere se stesso, ed
umiliarsi in faccia a tutti, tuttavolta non volendo, sospinto dalla carità,
manifestatosi si vedeva. Iddio istesso volendo far note le di lui virtù, e
quanto caro gli fosse, animava i popoli per ricorrere alle sue Orazioni.
Nuova ruina una sera
minacciava la Montagna di Somma a danno della Torre della Nunciata. Verso un
ora di notte con orrore dalla nostra Casa vedevasi, che slanciando quantità di
saette in aria, gran fuoco vomitava verso quella Terra. Spaventati i nostri in
vista di tal flagello, ne avvisano Monsignore. Il povero vecchio ancorché
storpio si strascina anch'esso, e vedendolo si affligge, e smarrisce perché
cosa inusitata.
Pregato voler benedire
la Montagna, fu restìo; ma violentato dai nostri, alzando la mano, Ti benedico, disse, in nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Così
dicendo, nell'istante videsi rasserenata l'aria; e dando la Montagna un grande scoppio, il fuoco diedesi indietro in
un anfratto di velle nella parte opposta verso Ottojano. Si disse, che vomitava
pietre anche di più cantaja.
Aveva un figlio di
circa otto anni D. Teresa Desiderio di Nocera, che da più anni vedevasi così
travagliato da varie indisposizioni, che non gli davano vita. Avendolo portato
nella nostra Casa, chiese che - 169 -
benedetto si fosse da Monsignore. Essendosi trovato in porteria D. Tommaso
Desiderio suo parente, portò questi il figliuolo da Monsignore facendogli
presente le di lui infermità. Monsignore avendolo benedetto, gl'impose, che
recitato avesse ogni giorno tre Ave a
Maria Santissima. Nell'istante il figliuolo videsi libero da ogni
travaglio; seguitò a star bene, si chiericò, nè più soffrì delle solite
indisposizioni. Così mi attestarono D. Gaetano, e D. Tommaso Desiderio dopo
anni sette dal ricevuto beneficio.
Un gentiluomo della
Diocesi di Nola avendo un figlio sordo, lo portò da Monsignore, pregandolo
volerlo benedire. Lo fece; ed il figliuolo non ritornò a casa, che coll'udito
sano, e spedito. Grato il gentiluomo, ritornò in Nocera a capo di tempo col
medesimo figlio per ricevere di nuovo la benedizione, e ringraziarlo.
Aveva Monsignore una
special tenerezza per i bambini, riconoscendo in quelli l'immagine
dell'innocenza. Per lo passato, camminando per le strade quando usciva in
carrozza, se gli facevano presenti le madri coi figli infermi tra le braccia
per vederli benedetti. Egli tutto carità faceva fermare la carrozza, e
prendendosi i bambini dal servitore, egli ponendo loro le mani sulla testa, e
facendo delle preghiere, raccomandateli
alla Madonna, diceva alle Madri, restituiva i bambini liberi da ogni male.
Non uscendo più in
carrozza, si portavano i bambini nella nostra Casa, e portandosegli sopra dal
servitore, vedevansi risanati da Monsignore colla sola imposizione delle mani.
Attestano il servitore Alessio, ed il Fratello Francescantonio, che quasi
giunsero a migliaja.
In questi ultimi tempi non mancò, ma si
accrebbe in Alfonso il dono del profetare. Tempo prima fu da lui preveduta la
morte del nostro Padre D. Alessandro di Meo.
Fra giorni, disse ai nostri, la
Congregazione dovrà soffrire una disgrazia. Così fu. Predicando in Nola il
Padre D. Alessandro, sorpreso da un tocco apopletico morì nella medesima
Chiesa, ove predicava. Disgrazia fu per la Congregazione, mentre troppo egli
l'accreditava, specialmente col suo zelo, e colla sua dottrina. Né vi fu altro
travaglio per la Congregazione.
Pervenne in Nocera un
giovine Napoletano mandato dal Consiglier Celano, ma indisposto, per godere di
quel clima. Essendosi questi una sera portato da Monsignore, pregollo che
raccomandato l'avesse a Dio, ed impetrata una perfetta guarigione. Monsignore
non se ne sbrigò che con poche parole. Pregate
la Madonna, gli disse, che vi faccia
fare una buona morte. Non consolato, ma atterrito si licenziò il povero
giovine. Portatosi in Napoli dopo pochi giorni si vide sul cataletto.
Abbiamo cosa di non
minor rimarco. L'entrata delle Armi Francesi in Napoli, e quant'altro vi fu, in
confuso fu compianto, e preveduto da Alfonso. Un giorno in un estro di spirito,
ed eranvi presenti - 170 -
i
Padri D. Bartolomeo Corrado, e D. Gian Maria d'Agostino, stando inchiodato, e
meditando su la sua sedia, esclamò: Un
gran guajo ha da passar Napoli nel novantanove, e pure è buono, che non mi ci
trovo. Ciò detto seguitò a starsene profondato nelle sue meditazioni. Quali
e quanti furono questi guai non occorre si ridicano.
Le cose più recondite
anche gli erano presenti. Essendosi portato in Nocera un gentiluomo con una sua
sorella, che da più tempo si diceva ossessa, avrebbe desiderato che calando
Monsignore l'avesse benedetta, e raccomandata a Dio. Fattosegli il racconto, e
premurato Monsignore di volerla consolare, egli avendo sollevato più volte gli
occhi verso l'immagine del Crocifisso, e della Vergine Santissima, dando un
forte sospiro, disse al Padre che ne gli parlava: Che spiriti e spiriti: ditele che si confessi bene. Si accostò al
Confessionale la giovane; e nel Confessionale vi restò lo spirito maligno che
l'infestava.
Un giorno quasi risvegliandosi,
rivolgendosi ai nostri disse: Qua vicino
vi sta una mala pratica; e replicollo più volte con sua grande
inquietudine.
Ognuno non sapeva che pensare. Avendo
voluto che si fosse chiamato il Parroco, querelossi col medesimo della cattiva
donna che vi era nel nostro vicinato, e che vi avesse dato provvidenza. Restò
sorpreso il Parroco.
Così è, disse. "Questa è una
figliuola che anche si è sgravata di un figlio, ma per me non si è mancato, né
ho lasciato mezzo per togliere un tale scandalo".
Era così occulto il male che non
sapevasi dal vicinato.
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