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Cap. 33
Nuovo abbattimento di forze corporali in Alfonso, e
complesso di virtù, tra i suoi maggiori travagli.
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Se a momento mancar si
vedevano in Alfonso le virtù del corpo, non così sperimentavansi quelle dello
spirito. Anelando sempre più perfezionarsi, anzi che infievolirsi, vedevansi
maggiormente in vigore. Come alla meta, quanto più si è vicino, tanto più si
avanza il passo; così Alfonso vedendosi carico di anni, e prossimo al termine,
maggiormente sforzavasi dar gusto a Dio, e rendersi ricco di nuovi meriti.
Tutte le virtù anche negli estremi facevano gara in lui, nè si vide taluna o
attrassata, o ad altra posposta.
Uniformato al divino
volere, comunque si aggravassero i suoi acciacchi, non eravi cosa che lo
contristasse. Avendo dimandato non so che al P. Villani, e non capendolo la
prima e la seconda volta, che ho da fare,
ei disse, se il Signore mi ha mandato
a tempo anche la sordia. Sia sempre benedetto. Una sera leggendo, e capir
non potendo - 171 -
un passo
di Scrittura, lepidamente disse: Quando
uno è vecchio perde l'udito, e perde la vista. Se così vuole Iddio, deve aver
pazienza, e non v'è rimedio.
L'umiltà, che sempre
più gli fu a cuore, maggiormente riluceva in questi ultimi anni. Altro impegno
par che non aveva, che nascondere se stesso, ed abbassarsi. Essendosegli
presentate un giorno alcune persone malconce, esponendo le loro infermità, se fossi santo, lor disse, e sapessi far miracoli, sanerei me stesso,
che sto storpio, e non vaglio una pubblica. Eravi presente il P. Lettore
Panza, Minor Riformato, in sentir ciò "me ne vado, disse, più edificato di
quest'umiltà di Monsignore, che di tutta la sua santità".
Trattenendosi talvolta
nella porteria per respirare un po' d'aria, se vedevasi accerchiato da persone,
che desideravano la benedizione, avevaci del ribrezzo. Essendosi consigliato
coi Padri Villani, e Mazzini, se doveva negarla, o no, gli fu detto, esser
proprio de' Vescovi il benedire, e che non conveniva negarla. Così si quietò.
Vedendosi un giorno in mezzo a varj figliuoli innocenti, ne godeva Alfonso, e
scherzando, disse: vedo tanti passarelli
d'intorno ad una coccoreggia.
Ci fu cosa con D.
Gabriele Genga, Canonico del Duomo di Napoli, che se l'ammirazione di quel
savio uomo, e di noi tutti. Essendosi portato il Canonico a visitarlo, egli
avendo compreso essere il Canonico attuale Superiore della sua Congregazione
delle Apostoliche Missioni, ne dimostrò compiacimento. Avendogli detto il
Canonico, che voleva la sua benedizione, Alfonso concentrandosi in se stesso, voi, disse, dovete benedire me, perché vi son suddito, e siete mio Superiore. Fu bello il conflitto. Istava il Canonico per
essere benedetto, ed istava Monsignore per esser benedetto dal Canonico.
Dovette questi cedere per non contristarlo; ma a patto, che esso lo benediceva
come Superiore, ed Alfonso come Vescovo. Così si fece; ma non fu che una
picciola modificazione di mano, anzi delle dita, e non della mano.
Lo spirito di
ubbidienza, che nasceva dalla stessa umiltà, anche fu segnalato in Alfonso.
Ancorché in età cadente, non che Superiore, e Vescovo, volendo il merito di
questa virtù, soggettavasi ai Superiori di Casa, come ogni altro Individuo.
Avendo sete, e necessitandogli un poco di acqua, mancando il Rettore, mandava
il servitore, o Fratello per il permesso al Ministro di Casa. Una delle volte
avendola avuta gelata, benedetto Iddio, disse, quante belle cose ha fatto per noi.
Così voleva se gli fosse benedetto il caffè, o altra bevanda; e dir soleva benedicite anche a qualunque Padre, che
con esso si ritrovava.
Posso dire, che non
avrebbe voluto respirare senza il permesso del Rettore, o di chiunque
presiedeva in Casa. Avendolo esortato, ma non - 172 -
comandato il Padre Mazzini, essendo Rettore, a non caricarsi
di altre orazioni vocali; Alfonso vedendosi spinto, e fu a' 31. Luglio 1785. a
recitar alcune preci per le Anime del Purgatorio, "va, disse al servitore
Alessio, e dite a D. Giovanni, che mi benedica tanti Pater noster, che voglio applicarli in suffragio delle Anime
Purganti; ma ditegli, che ne voglio dir molti, e che me li benedica
tutti"; né cominciò la recita, né si vide quieto, se non ebbe la risposta.
Se in ogni tempo non
dimostrò Alfonso aria di comando, in questi ultimi specialmente vedevasi
totalmente sottomesso al volere degli altri. Parola di comando, o di mala
soddisfazione con chi lo serviva, non se gli vide mai in bocca. Incidenti non
ci mancavano; ma comunque andassero le cose, ubbidiva, e sottomettevasi ai
cenni del Fratello Francescantonio, e del servitore Alessio. Questi ne
disponevano a talento, e Monsignore ringraziavali, ma coi termini i più umili,
della carità che se gli prestava.
Il suo ossequio ai
precetti della Chiesa fu sempre costante sino agli ultimi suoi respiri. Una mattina
di Venerdì, e fu a' 14. Ottobre 1785., essendosegli dato un poco di prigiotto
triturato nella minestra, ed in seguito un poco di pesce, Monsignore mangiava,
e pensava, e mangiava a stento. Avendo dimandato che giorno fosse, ed
essendosegli detto essere Venerdì, e che celebravasi la Festa di S. Teresa: E' Venerdì, ripigliò Monsignore, ed io ho avuto carne, e pesce.
Avendogli detto il P. Corfano d'aver mangiato solo pesce: Io ho fatto giudizio certo, rispose Monsignore, che ho mangiato carne, e pesce.
Il vero si è, che vi
era del prigiotto, ma il Padre non erasene accorto. Non si quietò Monsignore
sul dubbio d'aver trasgredito il precetto; né si dié pace, se il P. Mazzini non
l'avesse assicurato sulla propria coscienza, che non vi era peccato.
Avendosi sposato colla
santa povertà facevagli orrore qualunque proprietà. Girando colle sedia
rotabile, fu introdotto nella libreria. Vedendo il cembalo, dimandò al Padre
Pappacena ivi presente, che cosa è
questa? "Questo è il vostro cembalo, se gli disse, che vi fu donato
dal vostro Signor Fratello". Alfonso in sentir vostro cembalo, quasi sorpreso da sacro orrore, cembalo vostro, ripigliò! Io non ho cosa mia, questo fu donato non a
me, ma alla Comunità.
Tutto eragli di pena,
ogni ombra di cosa, che offender poteva questa virtù. Essendosegli destinato
per suo uso dal Rettore di Casa forchetta, e cucchiajo di argento, mal
volentieri lo soffriva. Non volendo vendere santità: mangiando facevasi vedere
inquieto, che la forchette non afferrava: "questa, disse, non mi giova,
datemi quella di ferro, che usa la Comunità, perché quella afferra, ed è
buona".
Tante volte se ne lagnò, che si stimò compiacerlo. Contento si vide Alfonso, e
così praticò - 173 -
per più
giorni. Stimandolo indecente il Padre Villani, anche capitando forestieri, lo
proibì. Non parlò più Monsignore; ma ognuno si avvide, che con pena faceva uso
della forchetta di argento.
Il vitto, se agli altri
è ristoro, per Alfonso era di pena. Mangiava con pace quando il vitto era
usuale, ma non campeggiando la povertà, vedevasi inquieto, e tante volte
restavane digiuno. Siccome in Arienzo, così in Nocera, altro pesce non voleva
che sardelle, perché di minor prezzo: Io
son povero, diceva, e debbo cibarmi
da povero. Essendosegli presentate due triglie, s'inquietò, e non volle
toccarle: A che servono queste triglie, disse, ma fattosi di fuoco, comprate le sardelle, perché anche le
sardelle sono buone. Si quietò per essersegli detto, che non eransi
comprate, e che era un regalo del Signor D. Lucio Tortora; ma se toccolle, fu
per fare cosa grata a quel gentiluomo.
Una mattina
essendosegli posto avanti un pero spadone; ed avendo capito, che compravansi in
Napoli un carlino il rotolo, tanto bastò per non toccarlo. Lo guarda, lo
maneggia, e per quanto dal servitore venisse animato, non fu possibile che sel
mangiasse.
Era così scrupoloso in
questo, che non si sapeva dal servitore, e Fratello come ingannarlo. Una
mattina a' 25. Ottobre 1786. restò totalmente digiuno. Vedendosi con somma
inappetenza da più giorni, se gli apparecchiò una triglia. Vedendola, chiese
che cosa fosse. Non volle dir triglia il servitore, per non arretrarlo. E'
pesce, disse. Resta sospeso Monsignore, e non mangia. "Dite, che è
triglia, disse un Padre, affinché se la mangi con piacere".
Fu tutto in opposto. In
sentir triglia videsi commosso Alfonso:
"Leva leva, disse, questo non è mangiare de' poveretti".
Volendolo ingannare il servitore, la sminuzzò nell'aceto, e ce la presentò come
se fosse un altro piatto. Essendosene accorto, ne anche toccolla. Avendosi a
tempo un bianco mangiare, questa è semola, se gli disse: mangiatela, che è cosa
di poveri. L'assaggia Monsignore, e conoscendosi ingannato, lo dà indietro. A
buon conto non avendo toccato le frutta, perché Mercoledì, restò digiuno.
Altra volta, vedendo
che poco niente aveva mangiato, se gli presenta un pezzetto di pane di spagna.
Monsignore lo guarda, e nol tocca; ed animato dal servitore a mangiarlo, Come? gli disse, ma con atto ammirativo,
non l'ho mangiato quando stava bene, e
volete che ora me lo mangi?
Tra i suoi travagli non
compativa se stesso, ma compativa chi lo stava servendo. La sedia portatile,
che si credeva di sollievo per Monsignore, gli fu di pena. Vedendo essere
d'incomodo al Fratello, e servitore che dovean guidarla, con rincrescimento vi
si adattava. Avrebbe voluto privarsi di questo sollievo, per non esser loro di
peso; ma dovette soggiacere al comando de' Medici, e molto più al P. Villani,
ed al Rettore di Casa, che ce l'imposero.
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Anche in quest'età aveva
a male qualunque cosa, che fosse per offendere l'osservanza. Riflettendo, che
la sedia col rumore delle rotelle poteva in tempo di silenzio, ed anche di
studio essere di disturbo agli altri, entrò in una nuova angustia. Volendo
ubbidire a' Medici, e non essere di peso alla Comunità, pregò non una, ma più
volte, che le rotelle vestite si fossero di cuojo; né si diè pace, se non lo
vide eseguito.
Anche cadente, ed in
età così avanzata avendo a cuore la santa purità, vedevasi geloso della
modestia cristiana. Non permetteva, qualunque fossero le sue necessità
corporali, che parte nuda del corpo se gli vedesse da chi stavalo assistendo.
Benché storpio, spogliandosi, e vestendosi dal servitore, o dal Fratello,
adattavasi in modo che denudata non si vedesse, o che toccata se gli fosse
parte nuda del corpo.
Un giorno levandolo di
letto il Fratello Francescantonio, ed osservando le unghie de' piedi
estremamente avanzate, fermò il piede per volercele tagliare. Monsignore
sentendosi tocco, con ispavento si rannicchia. Dicendogli il Fratello che
tagliar voleva le unghie, egli con enfasi, va,
gli disse, e tagliale ai cani.
Calando un giorno, dovendo fare li suoi bisogni, scorgette il Fratello
Francescantonio lo scroto estremamente gonfio. Volendolo osservare, non fu possibile.
Per indursi, dovette venire il Medico. Questi ne fe caso; ma Monsignore, per
non farsi osservare, sosteneva che pativane da un pezzo. Cedette, premuto dal
comando. Con orrore il Medico temette di cancrena. Essendosegli ordinati gli
emollienti per intromettersi le viscere, Monsignore quello che poteva
applicarsi da se, non permetteva se gli applicasse dal Fratello.
Non solo in se, ma
anche negli altri zelava purità, e modestia. Non vedeva, e vedeva; era sordo,
ed udiva. Scherzando avanti la porta della sua stanza un Padre ed un Convittore
in atto che egli mangiava, quasi nello scherzo si presero per le braccia.
Monsignore, sospendendo il mangiare, e volgendosi con sopracciglio verso la
porta, scherzate, lor disse, ma colla lingua. Queste burle con le mani
io non le voglio.
Girando per i Corridori
sopra la sua sedia, si avvide che un figliuolo di nove in dieci anni, figlio o
discepolo di un Falegname, che travagliava in Casa, usciva da una stanza. In vederlo
si disturba; ed alzando la voce, non finiva ripetere: I figliuoli dentro le stanze de' Padri! Questo non lo voglio. S'inquietò
in modo, che per capacitarlo non esservi del disordine, si dovette chiamare il
P. Villani; ma persistette in dire, che non voleva figliuoli in Casa.
La mortificazione se in
ogni tempo gli fu cara, anche in questo gli fu carissima; nè sapeva a chi dar
la destra, se alla povertà, o alla mortificazione. Cosa di suo gusto, ora con
un pretesto, ed ora con un - 175 -
altro, o non assaggiavala, o appena
la toccava. Mettendolo a tavola il servitore, "mangiamo, gli disse un giorno, che
vi ho fatta una bella cosa", "Ma non sai, rispose Monsignore, che il bello non è fatto per noi".
In un altro giorno, non so come, disse al
Fratello Francescantonio, ora saranno uscite le focetole. Credendo il Fratello
che ne avesse voglia; e voglia n'ebbe in quell'atto, ne procurò due. Avendole a
tavola, le guarda, e ne discosta il piatto. Il giorno susseguente, essendosi
fatte riscaldare, ce le presentò di nuovo, ma Monsignore non volle toccarle: io son povero, disse, e debbo vivere da povero, ed i poveri non
mangiano cose delicate.
Avendo avuto tre pesci
il Fratello Francescantonio, due a tavola ce gli apparecchiò, levando la spina,
e l'altro no. Avendosi mangiati li due primi, ed avendo appetenza era per dar
di piglio al terzo. "Lasciatelo, disse il Fratello, perchè è
spinoso". Non replicò cosa Monsignore. Vedendo ciò il Padre Errico, fe
segno al Fratello, che ce l'avesse apparecchiato.
Egli credendola
immortificazione, è peccato, disse, né volle toccarlo.
A motivo di lubricargli
il corpo, nella minestra, o altro ci si mettevano molte uve passe. Monsignore
trovandovi del piacere, come incontravale, mettevale da parte, ed ordinò che
più non se ne mettessero. Dovette imporgli il P. Villani, che come medicamento,
se le avesse mangiato.
Il Mercoledì, Venerdì,
e Sabbato, ancorché dispensato da' Medici, cercava evitar la carne il meglio
poteva. Una mattina essendosegli presentati certi fegatelli di pollo, credendo
esser giorno di Mercoledì, come se fosse svogliato, se ne asteneva: la carne,
disse, non mi trase nello
stomaco. Animandolo il Fratello, che gli avrebbe giovato, vedendosi
insistito, oggi, disse, è Mercoledì, ed io l'osservo, perchè tengo
l'Abitino; ma dicendosegli che era Martedì, mangiò, e non fu più lo stomaco
nello stato di ributtarla.
Proposito egli aveva,
se pur non era Voto, di non toccare le frutta novelle, che la prima volta se
gli presentavano; ed in quest'età non ci fu caso che le toccasse. Essendosegli
date delle ciliegie primaticcie in giorno di Sabato, per l'uno, e per l'altro
motivo se ne astenne. Maneggiandole, e non toccandole, non ne voglio, disse, sono
acerbe. Spinto a mangiarne, "non
ne voglio, replicò, e fu questo un ripiego, perché mi possono far danno allo stomaco".
Non ancora era uscita
l'uva. A tempo una mattina, che poco o niente aveva mangiato, coi fichi se gli
presentò un uva primaticcia. "Mangiatela, disse il servitore, che è
ottima, e ve l'ha mandata l'Abbate Tortora". Mangiò i fichi Monsignore, ma
quando fu all'uva, avendola in mano la guardò, e riguardò, e di nuovo la
ripose. - 176 -
Istando i
Padri per farcela mangiare, si sbrigò con dire; il magazzino è pieno.
Insipido eragli qualunque
cibo, se mancava il sale della mortificazione. Avendo provveduta la saccaja
delle solite erbe amare, e perché secche, ridotte in polvere, benché decrepito,
e così malconcio, come presentavasegli una misera minestra, era pronto a
condirla coi suoi aromi. Anche le frutta intingevale nel sale, per mortificare
il piacere.
Negli anni antecedenti,
prima di porsi a letto la sera, per conciliarsi il sonno, beveva due dita di
vino. Anche di questo negli ultimi tempi volle privarsi; e covrendo la
mortificazione col diletto, vale più, dir
soleva, un poco di acqua, che tutti i
nettari del mondo. Vedevasi così invogliato per crocifiggere se stesso, che
piativa di continuo col Direttore, e con altri, che menava vita comoda, e non
faceva penitenza. Non fu questa la vita
de' Santi, ripeteva spesso con sentimenti di dolore.
Non potendo, come
voleva, crocifiggere la propria carne coi soliti ordegni di penitenza, n'ebbe
uno alla mano, che mai gli mancò. Costantemente si osservò cosa in Monsignore,
che sembra incredibile. In quel sito che, levandolo di letto la mattina, veniva
agiato sulla sua sedia, in quel medesimo sito si vedeva sino a che il dopo
pranzo lo rimettevano di nuovo, senza che voltato si fosse a destra, o a
sinistra, o che segno dimostrasse di rincrescimento. Vedendolo seduto un giorno
il servitore in sito molto penoso, "Monsignore, gli disse, raddirizzatevi
che state sconcio:" ed egli lepidamente: Per quanto mi raddirizzo, sempre storto mi ritrovo.
Questa insensibilità, senza un oimè, le cinque e sei ore
continuate, non capivasi da veruno. Non sembrava corpo vivente, ma un tocco di
marmo. Così vedevasi da che il giorno levavasi di letto, sino a sera.
Quest'atto, come dissi, si ammirò in Arienzo anche dal suo Vicario il Canonico
Rubino, e seguitollo Alfonso per quasi anni venti. Io, che lo vedeva, e lo
considerava, non ancora finisco di ammirarmi.
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