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Cap.35
Presenza di spirito in Alfonso, ed altre sue profezie
nell'ultimo anno di sua vita.
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Siamo nell'anno
novantesimo di Alfonso, e del secolo il 1786. Com'egli accostavasi al termine,
così vieppiù cercava sbrigarsi dalle creature, e da ogni cosa che a Dio nol
portasse. Troppo importune riuscivano per lui le visite di schietto
complimento. Non mancavano queste, specialmente di persone rispettabili, che
passando per Nocera, o erano di ritorno, o portavansi in Napoli. Volendosene
sbrigare non dava udienza a veruno. La situazione del corpo, quel non vedersi
di faccia, la sua sordia, quel non dar risposta, e non interloquire al
discorso, ognuno, credendolo alienato di mente, davasi in dietro.
Non succedeva così,
essendovi persone Religiose, o essendovi cosa di rilevanza. In questi casi
sembrava risvegliarsi Monsignore, e richiamando i sensi, interloquiva, e dava a
tempo le sue risposte. Essendo venuti per visitarlo da S. Agata il gentiluomo
D. Pasquale de Robertis col P. Maestro Carotenuto, Minor Conventuale, per
quanto il De Robertis si sforzava per darsi a conoscere, Monsignore, non
volendo attaccar discorso, non diede a capire averlo conosciuto. Accostandosi
il P. Maestro, e sentendo esser Religioso, chiese se fosse Sacerdote.
Esponendogli questi i suoi bisogni, diedegli tutta la soddisfazione.
Furono da lui in questi
ultimi tempi altri due Padri Conventuali. Fattosegli capire che uno, essendo
Sacerdote novello, voleva baciargli la mano, Monsignore in sentir Sacerdote, esclamando
disse: Gran dignità, gran dignità la
dignità Sacerdotale. Raccomandandosi quello alle sue orazioni. Io sono un miserabile, rispose
Monsignore, pregate voi il Signore per
me: son vicino a dare il gran passo dal tempo all'Eternità, e debbo presentarmi
innanzi al Tribunale di Dio. Lo disse così acceso di volto, e con tale
spavento, che, atterriti i due Frati, se ne calarono dicendo, se Monsignore
teme, di noi che sarà?
Era così grande l'idea
che aveva della dignità Sacerdotale, che pensandoci trasecolava, ed usciva di
se. Essendo ascesi al Sacerdozio i nostri giovani Pappacena, e Pizzo, e
portandosi da Monsignore per ringraziarlo, e baciargli la mano, Monsignore, in
ossequio del Sacerdozio ricevuto, volle baciarla ad essi, e baciandola esclamò: oh la gran dignità, oh la gran dignità del
Sacerdote: ora siete più voi, che qualunque Sovrano, Re, o Imperatore.
Capitò in Casa nostra
nell'Ottobre dell'anno 1786 con sua moglie e col Marchese di S. Lucia, il
Consigliere D. Gaetano Celano. - 184 -
Professavasi da Monsignore, e da tutta la Congregazione al Celano una somma
obbligazione. Egli solo in tutt'i nostri passati anfratti ci aveva sostenuti.
Licenziandosi vollero baciar la mano a Monsignore. In atto stava mangiando; ed
in sentir il Consiglier Celano, si sbriga, e fa togliere il tavolino.
Complimentò quei Signori il meglio, che potè; e volgendo il discorso, esortò
marito e moglie ad amarsi scambievolmente, rilevando, che il bene del marito è
il bene della moglie, così per l'opposto, e che essendo una medesima cosa
marito e moglie, aver dovevano un medesimo volere, ed odiare tra di loro
qualunque disparità di sentimento. Anche al Marchese disse: io sempre ho fatto
stima della casa vostra.
Vale a dire, che
capiva, quando voleva, e diveniva stolido, quando non voleva.
La rettitudine di mente
non però, e la sua presenza di spirito sperimentavasi negli affari, che
maggiormente facevano peso, ed erano intrigati. Essendosi determinata in
Consulta l'espulsione di un Soggetto; e necessitandovi il consenso di
Monsignore, riflettendo, richiese se tutti i Consultori erano stati uniformi.
"Se vi è stato, disse, taluno in contrario, voglio sentirne i motivi, e la
difesa; e se per i suoi trasporti era stato altre volte corretto". Non
contento di questo, dimandò, se i Consultori erano stati divisi, cercandosi il
voto per imbasciata, o tutti uniti in un medesimo luogo: quando si sta unito, soggiunse, la cosa si esamina con altra
posatezza, la verità riluce, e si fa manifesta con altra chiarezza. Così
fattosi carico di tutto, prese la penna, e firmò la Consulta.
Essendosi rappresentato
dal P. Villani, che pensavasi dare un certo impiego ad un Soggetto, ma più per
farlo inteso, che per altro, Monsignore riflettendoci, non sapete, gli disse, che costui nella tale occasione si portò
così così. Fu tale il suo riflesso,
che si desistette da quello si era pensato.
Pervenne da Napoli, per
consigliarsi con esso, il P. Folgori, Pio Operario. Fatto inteso Monsignore,
disse, che foss'entrato, e per circa un quarto di ora l'intese a soddisfazione.
Uscendo fuori il Padre Folgori disse, "che prima di venire eragli stato
detto, che Monsignore era stonato di testa; e che avendoci parlato non era
così, avendo ben capito tutto ciò, che avevagli proposto, e che in tutto dato gli
aveva congrua risposta".
Con istupore di ognuno
anche la memoria non gli mancava. Tempo innanzi il Signore D. Lucio Tortora
mandò pregandolo per il Fratello Leonardo che raccomandato avesse a Dio suo
fratello D. Tommaso. Essendo stato a visitarlo agli otto di Novembre con D.
Michele Tortora, sovvenendo a Monsignore la preghiera già fatta, richiese D.
Lucio come ne stesse il suo Fratello D. Tommaso. Questa reminiscenza stupiti fe
restare quei due gentiluomini.
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Mesi prima della morte
ci fu cosa, che sbalordì ognuno. Avendogli scritto dal Monistero di S.
Marcellino D. Brianna Carafa, che D. Teresa sua Nipote danneggiavasi nella
salute colla soverchia astinenza, si dovette stentare per farcelo capire.
Essendo stato sospeso per un pezzo, chiese chi fosse Superiora, ed essendosegli
detto, che era la medesima D. Brianna, riflettendo e sapendo la di lei
condotta, volle si fosse scritto alla Nipote, che avesse ubbidito; vale a dire,
che prima giudicò della qualità della Superiora, e poi si determinò. Soggiungendosegli,
esservi anche lettera di D. Teresa, che diceva non farlo per mortificazione, ma
perché lo stomaco nol ricercava, Monsignore, cambiando decreto, disse: ora ci vuole un terzo. Fe rescrivere a
D. Brianna, che rimettevasi al Confessore, ed alla Nipote, che dipeso avesse da
chi la diriggeva.
Con questa prudenza giudicava Alfonso anche in età, che quasi abbandonato
vedevasi dal vigore dello spirito, e che sembrava a tutti non uomo, ma
cadavere, anzi ombra di cadavere, e non di uomo.
Contava già con
consolazione comune gli anni 90. compiti. La mattina de' 27. Settembre 1786. il
P. Villani avendo celebrato una Messa solenne coll'assistenza della Comunità in
ringraziamento a Dio, che degnavasi conservarci il comun padre, unito coi
nostri si portò da Monsignore per augurargli felicissima l'entrata del
novantesimo anno. Si confuse Alfonso a tal notizia: Non merito tanto, rispose:
tutto è misericordia di Dio; e così dicendo proruppe in un dolce pianto.
Soggiungendo il P. Villani, che coll'assistenza della Comunità erasi cantata
Messa solenne in ringraziamento a Dio,
resto obbligato ai Padri, disse Monsignore, Iddio li paghi la carità per la Messa celebrata.
A' 10. Novembre del
medesimo anno, il P. D. Francesco Garzilli, che precedevalo negli anni passò all'eternità.
Fattone inteso Monsignore per raccomandarlo a Dio, sentendolo morto, si
rassegnò al Divino volere. Avendo recitato coi nostri un De profundis, disse: anche io
sono uno di questi giovanetti.
Come accostavasi al
termine, così investendolo sempre più lo spirito di Dio, in Dio vedeva ciò, che
eragli nascosto. Essendo caduto infermo nel Decembre del 1786. il Medico D.
Francesco Tortora, che assisteva Monsignore nelle sue indisposizioni, mandò
pregandolo per il Fratello Leonardo, che l'avesse raccomandato a Dio. Diciamo un Ave Maria alla Madonna, disse Monsignore, e recitò anche le Litanie.
Licenziandosi il
Fratello, disse che avesse continuato a pregare Dio, e Maria Santissima; ma
egli senza punto esitare, rispose: è
morto. Il giorno appresso fu di nuovo a ricordargli il Fratello Leonardo di
raccomandarlo a Dio; ma Monsignore non diedegli risposta. L'infermità non era
mortale, ma dopo due giorni cioè a 27. del Mese, D. Francesco, fuori di
aspettativa, passò all'altra vita.
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Stava infermo nel
Monistero di S. Pietro Martire in Napoli il P. Maestro Caputo, quell'istesso,
che in qualità di Rettore del Seminario convivuto aveva con Alfonso in S.
Agata. Avendolo saputo le Monache Domenicane in Nocera, in dove vi era stato
Priore, mandarono da Monsignore per averlo presente nelle sue orazioni. A capo
di più giorni (erano gli otto di Ottobre 1786.) Monsignore volgendosi, verso le
ventidue, al Fratello Francescantonio, disse: Il P. Maestro è morto; e
quegli dicendogli, che era vivo, e che le Monache volevano l'avesse
raccomandato a Dio, via mò, ripigliò
Monsignore, è morto. Di fatti in quel
giorno alle ore due della notte il P. Maestro fu all'eternità, ed alle 22 era
entrato nell'agonia.
Abbiamo altra cosa, che sorprende.
Avevasi in casa per sovrano comando sul principio dell'anno 1787 un giovine
Napoletano, ma discolo, ed incorreggibile. Questi di sera ebbe la temerità
introdurre in camera una donna travestita da militare. Monsignore verso un ora
di notte cominciò a gridare: Vi è donna
in Casa, cacciate via la femmina. Il Fratello, e servitore credendola
debolezza di mente, quietatevi, gli dissero, che la Casa è chiusa, e non vi
sono donne.
Di nuovo il giovine la sera susseguente
introdusse la medesima donna, e di nuovo Monsignore incominciò a strepitare: Ve l'ho detto, e torno a dire, che vi è
donna in Casa: or ora cacciatela fuori. Né
anche se ne fe caso.
Essendo calati alla seconda tavola il
Fratello, ed il servitore raccontavano agli altri, facendosi delle risate,
questo supposto vaneggiamento. Stava anch'esso il giovine a tavola. In sentir
questo ebbe a morire. Sale su, e fa uscire in fretta la donna; ma dubitando non
fosse scoverto, di soppiatto la mattina per tempo ritirossi in Napoli. Tanto
confidò il medesimo giovine ad un Seminarista della Cava, imbrattato anch'esso
di simil farina.
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