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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO I
    • CAPITOLO 5 Raffreddamento di Alfonso nella divozione e nuovo suo fervore nello spirito.
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CAPITOLO 5

Raffreddamento di Alfonso nella divozione e nuovo suo fervore nello spirito.


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Troppo segnalata, sino a questo tempo, fu la virtù di Alfonso; ma non v'è cosa tanto da temersi nell'uomo, quanto la propria incostanza. Le passioni nate, e cresciute in noi, benchè addormite per l'educazione, e per l'assistenza della Grazia, sono però così delicate di senso, che toccate di lontano, anche si risvegliano, e sono in armi.

Confessava Alfonso, essendo vecchio, che in quest'età sofferto aveva non poco raffreddamento nello spirito, e che erasi veduto in pericolo di perdere Iddio, e l'Anima. Le continue conversazioni, nelle quali da suo Padre veniva introdotto; il teatro, che per ubbidire al medesimo, spesso spesso frequentava; l'assistere, o sedersi a tavolini, benchè in giuoco di puro divertimento, avevano a poco a poco divagato in maniera il suo cuore, che più non provava, come per l'innanzi, quell'ardore per la virtù; piu gradiva quella manna, che per l'addietro faceva la delizia del suo cuore. Aggiungasi l'applauso, che da per tutto godeva; le richieste in matrimonio; i felici auguri de' servidori; i saluti, che non mancavono, o dalle Signorine, o dai loro Parenti: tutte queste cose titillarono in modo le sue passioni, che alterato il cuore, più non sperimentava il solito fervore.

Così intiepidito qual'era, picciolo che fosse il motivo, tralasciava volentieri or uno, or un altro esercizio di pietà. Se più persistito fosse, come ei diceva, in questo suo raffreddamento, non poteva mancare di piombare un giorno in qualche fosso. La Provvidenza però, che sopra di lui vegliava, non mancò con paterna cura soccorrerlo a tempo, e farlo entrare in se stesso.


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Viveva Alfonso in istretta amicizia con D. Francesco Capecelatro de' Duchi di Casabona, Giovanetto anch'esso, ma ottimo, e virtuoso Cavaliere. Questi, o che vedesse divagato l'amico, o che desìo avesse d'infervorarli con esso nello spirito, invitollo, essendo tempo di Quaresima, a voler fare con esso i Santi Esercizj nella Casa della Missione.

In quel tempo in Napoli, come lo è di presente, una delle Case Religiose, ove, come in tante fornaci di amor divino, attempravansi i cuori nei santi Esercizj, e spogliavansi d'ogni scoria, era la Casa della Missione di S. Vincenzo de' Paoli. Unito coll'amico, a'ventiseei di Marzo, correndo l'anno 1722, ci entrò anch'esso Alfonso con altra quantità di Gentiluomini, e Cavalieri. Porgeva gli Esercizj quell'uomo tutto di Dio, e sempre degno di memoria, il P. D. Vincenzo Cutica, Superiore in quel tempo. Questi, avendo Iddio nel cuore, e sulle labbra, ponderò così bene ciocchè passa tra il temporale, e l'eterno; e pose in tale aspetto la bruttezza del peccato, ed il bello della virtù, che riuscirono gli Esercizj una messe soprabbondante, e troppo copiosa per il gran Padre di Famiglia.

Tra i tanti, che si approffittarono, non mancò approfittarsi Alfonso. La Grazia che lo seguiva, e non volevalo abbandonare, facendosi sentire alla porta del cuore, li fe conoscere qual'era il divario tra il tempo presente, ed il passato: che seguendo il mondo anche saziavasi di ghiande; amando Iddio per l'addietro, e sedendo alla Mensa dell'Agnello, vedevasi satollo, non avendo che desiderare.

Profondato in queste meditazioni, furono per esso questi Esercizj un'acqua serotina, che cadde a tempo sopra un terreno, che già già minacciava inaridirsi; e germogliare si viddero in cuor suo quei semi di pietà, che le spine delle passioni, se non estinte, per lo meno incominciato avevano a soffocare. Entra a momento la luce di Dio nell'Anima sua; piange Alfonso il suo divagamento; e risoluto promette a Dio emendare in meglio quello, che stolto aveva intrapreso. Questo che abborrì piangendo a' piè del Crocifisso in questi Esercizj, quest'istesso detestava anche vecchio con lagrime di dolore. E nell'introduzione, che fa alla Visita del Sacramento, così confessa, e detesta: Credetemi, che tutto è pazzia; festini, commedie, conversazioni, spassi: questi sono i beni del Mondo; ma beni tutti di fiele, e di spine: credete, soggiugne, a chi n'ha l'esperienza, e la sta piangendo.

 

Spettacolo vi fu, che maggiormente fece entrare Alfonso in se stesso. Era fresca in quel tempo, tra i Padri della Missione di S. Vincenzo, l'apparizione di una Dama, o altra donna che fosse, accaduta in Firenze ad un Cavaliere, che faceva gli Esercizj nella lor Casa, ma morta dannata per un attacco, che tra essi ci era stato. Pregava il Cavaliere per quella disgraziata; ma questa comparendogli: Non pregate per me, gli disse, che sono dannata; e mettendo la mano in faccia ad un quadro, avanti di cui orava il Cavaliere, in segno del vero, quanto vi toccò, tanto vi restò bruciato. Questo quadro, che allora conversavasi nella Casa di Napoli, fu portato da Firenze dal Padre Scaramelli, e dal Padre Cutica presentato all'udienza, facendo la predica dell'Inferno.

Diede molto da riflettere a più d'uno questo successo; ma Alfonso restò così sorpreso, che risolvette non sapere più di Mondo, e molto più di ammogliarsi, o di altra vanità mondana. Prostrato a piè del Crocifisso, propone voler vivere una vita celibe, ed attendere solo a Dio, ed a se stesso. Tanto ebbe la Grazia, quanto chiese; e se più avesse richiesto, più avrebbe ottenuto; ma Iddio differì per altro tempo ciocchè ne' suoi decreti riserbato si aveva.

 

Riconobbe sempre Alfonso questi tanti Esercizj, come la massima Misericordia di Dio sopra l'Anima sua. Menzionandoli co' nostri, lo faceva co'sensi di sua somma confusione; e soleva dire, che se giovanetto non si vide schiavo del Mondo, e fatto preda delle passioni; ne conservava tutta l'obligazione prim'a Dio, e poi al Cavalier Capecelatro suo amico. Essendo in età d'anni 78, e facendo dono dell'Opera sopra i Salmi al P. Lemetre Superiore della Casa della Missione, in fine della lettera, così si spiega: Resto intanto con tutto l'ossequio protestandomi Figlio, e servo di V. P., e di tutti li Padri vostri; mentre io in cotesta Casa, cogli Esercizj Spirituali fatti da me più volte, ho conosciuto Iddio, e lasciato il Mondo.

Come si dichiara Alfonso in questa lettera col P. Lemetre, e come di ordinario spiegavasi co' nostri, ci motivo da credere, che tra questo tempo degenerato avesse dalla sua Innocenza; ma non è così.

Tale fu sempre il linguaggio de' Santi, accusarsi rei, ove non sono: Esso medesimo viaggiando, essendo vecchio, col nostro P. D. Bernardo Maria Apice, parlando de' pericoli, che ci sono ne' Teatri, non volendo disse: Io ho frequentato i Teatri, ma grazie a Dio non ci commisi un peccato veniale: ci andava per dilettarmi della Musica; mi fissava in questo, e non pensava ad altro.

Rilevasi ancora la sua Innocenza da non pochi di coloro, che ebbero in mano la sua coscienza. Attestano tutti, che il vizio non prese mai piede nel suo cuore, o che tale sia stata la sua condotta, che offeso avesse Iddio con colpa mortale.

Anche in questo tempo, chiamato da lui tempo di corruzione, e di alienazione da Dio, era tenuto presso tutti, come sempre l'era stato, per un Cavaliere onestissimo, e di un costume tutto santo, ed illibato. Viveva stretto Alfonso come dissi, in somma familiarità con D. Baldassarre Cito. Richiesto questi negli ultimi suoi anni dal nostro P. D. Baldassarre Apicella, se mai scorto avesse nell'età giovanile di Alfonso qualche trasporto, o altra leggerezza, il venerando Vecchio richiamando se in se medesimo,


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e chinandosi profondamente colla testa, come in atto di ossequio: Fu sempre, disse, morigeratissimo giovine; e soggiunse: direi un sacrilegio, e lo replicò due volte: direi un sacrilegio, se dir volessi il contrario.

 

Fra i tanti frutti, che ricavò Alfonso in questi santi Esercizj, il massimo fu una speciale confidenza, ed una tenera divozione verso Gesù Sacramentato.

Oltre la Comunione, che frequentava più volte nella settimana, giornalmente si diede a visitarlo esposto alla venerazione delle Quarant'ore in qualunque Chiesa vicina, o lontana che fosse. Non corteggiavalo per momenti, come si suole da' mezzanamente divoti; ma stavasene a contemplarlo per più ore, con edificazione del pubblico, e con soddisfazone non poca del proprio cuore. Godeva vederlo corteggiato gli Altari, e maggiormente se con pompa di apparato. Ei medesimo comprava de' fiori, come confessò essendo già vecchio, e facevane ricco nella sua Parrocchia l'altare, ove ne stava il Divin Sacramento.

Quest'ossequio di adornare il sacro altare di varj fiori fu costante in Alfonso in tutta la sua vita. Vivendo tra noi, anche procurava i semi più preziosi, e colle proprie mani cogliendone i fiori nel giardino, rendevane adorno l'Altare. Invidiava quelle innocenti creature, come si spiega in una sua canzone, che avevano in sorte stare notte, e giorno d'intorno al loro Creatore. Questo istesso raccomandava ai Rettori delle Case; e godeva se gli altari, ove stava il Sacramento, vedevansi ricchi di varj fiori, e di erbette odorifere.

 

Siccome Alfonso non mancava esser grato a Gesù Sacramentato, così Gesù Sacramentato fu per esso, nel decorso di sua vita, la sorgente di tutte le grazie. Se si vide fuori del Mondo, e vittorioso di se stesso, non ad altri si dichiara tenuto, come attesta ei medesimo nel suo librettino della Visita, che a Gesù Sacralentato: Io, per questa divozione di visitare il SS. Sacramento, così egli si spiega, benchè praticata da me con tanta freddezza, ed imperfezione, mi ritrovo fuori del Mondo, dove per mia disgrazia sono vivuto fino all'età di ventisei anni. Questa tenerezza del Divin Sacramento fu troppo singolar in Alfonso, ed ebbela in sommo fervore sino all'ultimo della vita; se gli fa arbitrio, se per autonomasia il vogliamo chiamare l'Innamorato del Divin Sacramento.

 

Il sussequente anno 1723., e propriamente ai venti di Marzo, ritrovandosi in Napoli suo Padre D. Giuseppe, Alfonso in unione del medesimo si ritirò di nuovo, per rivedere i conti con Dio, nella medesima Casa della Missione. Siccome le replicate acque rendono più fecondo il terreno: così questi nuovi Esercizj furono per Alfonso un'altra piena di grazie. Ci predicava ancora il P. Cutica; ed Alfonso al nuovo lume delle verità eterne vieppiù si confermò nella fatta risoluzione di solo attendere a Dio, ed a se stesso, e di non voler sapere di Matrimonio.

In questo tempo risolvette ancora voler cedere la primogenitura a D. Ercole


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suo Fratello senza lasciare i Tribunali. Così soavemente la Grazia andavalo disponendo, per conseguire ciò che prefisso si aveva; così Alfonso corrispondeva anch'esso, non sapendone i motivi, e togliendone gli ostacoli.




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