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CAPITOLO 8
Contradizione sofferta da Alfonso, volendosi fare
Girolimino; e somma costanza dimostrata con suo Padre.
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La medesima sera del
gran trionfo della Grazia non fu lento Alfonso, dopo aver ratificato a Dio il
Sacrifizio di sestesso nella Chiesa della Redenzione, in portarsi dal P. D.
Tommaso Pagano. Li fa noto quanto negl'Incurabili
eragli accaduto, e che risoluto aveva farsi Prete, e volersi ritirare a
convivere con esso tra i Padri Girolimini: Non
sono cose queste, disse il P. Pagano, da stabilirsi su di un piede: per lo meno
voglio un anno di tempo, per darvi risposta. Un anno! ripigliò Alfonso, - 27 -
io non voglio differirlo neanche un giorno. Ammirò il savio
Direttore il fervore del Penitente, e l'operazione della Grazia; confortollo
nello Spirito con altri suoi santi sentimenti; e tra di tanto, gli disse, raccomandiamoci tutti e due a Gesù Cristo,
ed a Maria SS. Alfonso se fè ritorno a casa col corpo, di certo non partì
collo spirito da quella dell'Oratorio.
Tre giorni stiede S.
Paolo senza prender cibo in casa di Ananìa, e per tre giorni Alfonso, che anche
con segni straordinari fu chiamato da Gesù Cristo alla sua seguela, non volle
gustar cosa alcuna. Con questo compensar volle quell'irregolato digiuno, che un
mese addietro osservato aveva con discapito alla propria Anima; ma un gran
divario passò tra questo, e quello: nel primo non gustò, che rangore, e fiele
amaro: in quello secondo, come diceva, inondato si vedeva il cuore da un
torrente di dolcezza, e di celesti benedizioni.
La sera giunto a casa,
essendo fuori il Padre, si disimpegnò colla Madre nel non essere a tavola, e
sotto altri pretesti lo fece il dimani, e 'l dì susseguente. La Grazia, che
operava in cuor suo, altro cibo non facevagli desiderare, che il gustare i lumi
suoi, e tanto più nauseava ogni alimento corporale, quanto più lo spirito
vedevasi satollo di quella celeste manna, che nel cuor gli pioveva.
Frattanto non
mancava Alfonso conferire giornalmente
col P. Pagano suo Direttore i continuati lumi, che riceveva da Dio; la
violenza, che la Grazia facevagli al cuore; le spinte che provava; l'abborrimento
al secolo; e l'ardenza, che in se
sentiva di vedersi quanto presto sciolto da tutto , per esser tutto di
Gesù Cristo tra i figli di S. Filippo.
Vedendo il savio
Direttore, che la Grazia operava da vero; e che Iddio espugnato aveva, e fatto
tutto suo il cuore di Alfonso, lo animò anch'esso a voler corrispondere alla
divina chiamata. Se ne parlò intanto al P. Proposto, e si passò parola ai
Padri; e da tutti con unanime sentimento venne gradita ed accettata l'offerta.
Si pensava bensì volersi dare un tal passo col meno disturbo, che si poteva,
non potendosi non prevedere il dissentimento del Padre, e le gravi amarezze,
che sarebbero per suscitarsi in sua casa.
Tra questo tempo essendo
D. Giuseppe suo padre ritirato in Napoli, seppe da D. Anna, che
Alfonso per tre giorni non si era veduto a tavola. Se ne afflisse il povero
Padre, ignorando quello passava tra suo Figlio, e Dio. Vedendolo persistere
nella fatta risoluzione, di non voler vedere più i Tribunali, sommamente
rammaricavasi. Or lo pregava con tenerezza di Padre a voler desistere dal suo
proponimento, facendogli presente il grave danno, che faceva a se, ed a casa
sua; ed ora con asprezza lo rampognava, e facevasi di fuoco per questa sua mal
consigliata ostinazione.
Continui erano i
disturbi in casa, e più non vi regnava quella pace tra Padre, e Figlio, che - 28 -
per l'innanzi si godeva;
anzi tal volta si affliggeva in modo D. Giuseppe, che metteva in affanni la famiglia tutta con sommo
rammarico del Figlio, e della Madre. Alfonso però saldo nel suo proponimento
avendo Iddio con se, più non curava cosa
alcuna. Offeriva a Dio l'amarezza, che riceveva da suo Padre; e pregava Iddio a
volerlo coadjuvare, per essere fedele agl'impulsi della Grazia.
Un giorno, tra gli
altri, ritrovandosi D. Giuseppe alterato di umore, e non potendo soffrire di vedere
un Figlio, così dotato di talenti,
marcire in casa, e vivere una vita, com' ei credeva, tutta disutile: Prego Dio, disse, o che tolga me, o tolga voi dal Mondo, che non ho cuore di più
vedervi.
Questa esclamazione
così enfatica fu un'altra spinta, che confirmò
Alfonso nella già fatta risoluzione:
Dunque, disse tra sè, io sono un tale abominio nell'animo di mio
Padre, che prega Iddio a levar me, o esso dal Mondo: solo Iddio è quello che ci
contenta, e che resta soddisfatto di noi. Cosa poss'io sperar dal Mondo, se
anche mio Padre mi abomina, e non è contento di me. Così dicendo, di nuovo
fa a Dio un offerta totale di quanto vi è nel Mondo: rinova il sacrificio di se
stesso, e con una volontà risoluta si protesta, volerlo senza riserba,
costantemente amare, e giammai appartarsi dal suo servizio.
Non aveva Alfonso fino
a questo tempo manifestata al Padre la sua risoluzione; ma vedendo, che sperar
non si poteva quella bonaccia, che si desiderava, fattosi animo un giorno così
prese a dirgli: Sig. Padre, io vi vedo
afflitto per me; ma sono a dirvi, che io non sono più di questo Mondo: ho
risoluto perchè Iddio così m'ispira, farmi Girolimino: prego non averlo a male,
e farmi degno di vostra benedizione. A tal proposta restò di gelo D. Giuseppe, proruppe in pianto; e voltandogli le spalle; si
ritirò addolorato nella propria stanza.
Vedendo l'Inferno, che
con Alfonso non poteva averci delle sue, ciocchè ottenuto non aveva, e non
poteva sperar coll'asprezza, cercò conseguirlo colla dolcezza, e colla
preghiera. Scoraggito D. Giuseppe, considerando
la fermezza del Figlio, si rivolse alle lagrime, ed alla mediazione degli
amici.
Troppo amaro fu per
Alfonso questo conflitto. Si adoprò tra gli altri, per ismuoverlo dal suo santo
proponimento, il P. di Miro, Fratello del Regente di Miro, ed Abbate in
San-Severino. Questi, credendo Alfonso dominato da umor malinconico, non lasciò
mezzo, come Alfonso diceva, per disingannarlo. Fecegli presente la
primogenitura che godeva; i talenti, che Iddio donati gli aveva; il favore, che
i suoi godevano nella Corte di Vienna; e gli avanzamenti, che far potea per sé,
e per tutti li Fratelli. Così per l'opposto misegli avanti il discapito suo, e
degli altri; e sopratutto, come credeva, e lo giurava, che non era lume di Dio,
ma diabolica illusione l'ispirazione ch'ei vantava. Non fecero impressione in Alfonso, benchè reiterate fossero, e
troppo pressanti le - 29 -
persuasive
dell'Abbate.
Fermo egli nel suo proponimento: Persuadetevi, P. Abbate, gli disse, come ne sono io persuaso, che Iddio non mi
vuole nel Mondo, ma mi vuole Ecclesiastico; ed io debbo, e voglio corrispondere
alla chiamata di Dio, e non a' desiderj di mio Padre. Vi si provò ancora,
oltre tanti amici e parenti, il Caporuota della Vicaria D. Muzio di Maio; ma fu
inutile ogni sforzo sì di questo, che degli altri. Alfonso, anzichè cedere,
rispondeva ad ognuno: Iddio mi chiama,
non posso contradire.
Ritrovandosi in Napoli
Monsignor Cavaliere, non mancò Alfonso ricorrere dal Zio per protezione; ed
essendosi anche da parenti fatto capo da Monsignore per persuaderlo in
contrario: Oh bella! disse
Monsignore, io ho rinunciato al Mondo, ed
alla primogenitura per salvarmi; e volete, che mi perdo l'anima, e vada
all'Inferno io, e mio nipote? vi fu chi disse, e fu un Ecclesiastico di
sommo riguardo: Ho fatto la parte del
Demonio con Alfonso Liguori, ma non mi è riuscito guadagnarlo.
Tra queste amarezze,
che soffriva Alfonso, erano per esso, e difendevano la di lui causa, oltre
Monsign. Cavaliere, il P. D. Vincenzo Cutica Superiore della Casa della
Missione, il P. Pagano Girolimino, ed il Canonico D. Pietro Gizzio anche suo
Zio. Col mezzo di questi, ma con sua pena, e contro sua voglia, cedette D. Giuseppe, a patto bensì, che suo figlio non si fosse fatto
Girolimino, ma che da Prete restato si fosse in casa sua.
Stimò Monsign.
Cavaliere, e così stimarono gli altri, che per evitarsi ogn'altra opposizione,
si fosse per allora ceduto a D. Giuseppe.
Conchiuso così, ei medesimo D. Giuseppe si
vide in obbligo, benchè con suo dolore, presentare Alfonso all'Eminentissimo
Pignatelli. Restò sorpreso il Cardinale in sentire una tal risoluzione: Costui, disse maravigliandosi con D. Giuseppe, vorrà farsi
Prete! Così non fosse, rispose piangendo l'addolorato Padre; ma il fatto sta, che così ha risoluto.
Non altrimenti che tra le contradizioni, ed amarezze, ma con sua gloria Alfonso Liguori
trionfò del Mondo, e del sangue; e nel giorno ventisettesimo del mese di
Ottobre, correndo l'anno 1723, avendo di età anni ventisei, e giorni
ventisette, lasciò l'abito secolare, e vestì con gioja la divisa di Gesù
Cristo.
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