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CAPITOLO 15
Si ritira Alfonso a convivere nella Congregazione
detta de' Cinesi; sua vita penitente, e suoi progressi a pro delle Anime.
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Viveva Alfonso con
troppo rincrescimento nella casa paterna, e molto angustiato, vedendosi in
mezzo al Mondo, ed altro non sospirava, per gustare con Dio quella pace, che
godere non si può tra i tumulti del secolo, che una cella romita, lontana da
ogni occasione. La sospirava, perchè ne assaggiava, se non altro, le miche,
diciam così, in quei giorni di ritiramento, che faceva di volta in volta coi
suoi compagni ogni mese sopra S. Gennaro fuori di Napoli.
Ma Iddio, che mai sempre favorivalo ne' suoi
santi disegni, anche in questo gli diede un mezzo, per cui le sue brame
restarono soddisfatte.
Era già ritornato con
sua gloria dalla Cina fin dal Novembre del 1724 quel Uomo tutto di Dio, e tutto
zelo per le Anime, il famoso Missionario D. Matteo Ripa, esemplare degli Uomini
Apostolici in quel vastissimo Impero, e sostegno della Cristianità, per la
grazia goduta presso quel Monarca.
Avendosi prefisso
questo zelante Operario voler dilatare, sostenere, e perpetuare tra quei
Idolatri la Santa Fede di Gesù Cristo, portò seco di là con istupore non che
dell'Italia, ma di Europa tutta, un Dottor Cinese, con quattro ferventi
Giovanetti con idea di voler fondare in Napoli un Colleggio di quei nazionali.
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Si prefisse quest'Opera
il Ripa, persuaso che aperto il commercio, si potessero avere di colà altri
Giovanetti, e rimandarsi già fatti Sacerdoti; e che insorgendo qualche persecuzione,
perchè nazionali, potessero aiutare i Fedeli, e non cadere in sospetto di
essere Cristiani. Benedisse Iddio le sue rette intenzioni, ed a' 14 Aprile 1729
aperta si vide in Napoli, non senza suoi gravi stenti e travagli, ma con
soddisfazione non poca del Sommo Pontefice Benedetto XIII, e con non minor
compiacimento dell Augusto Carlo VI questa Missione Cinese.
Esaminando Alfonso
l'eccellenza dell'Opera, e le rare qualità del Fondatore, il gran fervore, che
vi era tra quei Congregati, così Cinesi, che Napoletani, e come Gesù Cristo
veniva amato da tutti tra la povertà, e l'incomodo, risolvette unirsi al Ripa,
e partecipare anch'esso in qualità di Convittore de' primi fervori di quel
santo luogo. Non tanto il chiese, che l'ottenne. Troppo ben conosceva il Ripa,
chi egli fosse, e quale acquisto facevasi in Congregazione, ricevendosi un
Soggetto così degno, e tanto interessato per la gloria di Gesù Cristo, e per la
salute delle Anime.
Vi fu dunque ammesso
Alfonso con consolazione così sua, che di quei Congregati verso la metà di
Giugno del medesimo anno 1729. Questa risoluzione fuori di aspettativa, anche
dispiacque e non poco a D. Giuseppe suo Padre, ricrescendogli il vedersi privo della
presenza di un figlio, ch'ei considerava, non più come figlio, ma come Angelo
visibile di Casa sua. Se ne afflisse sì, ma non ebbe cuore di contraddirlo.
Non avendo Alfonso di
questo Colleggio la soggezione de' Parenti, diede sfogo con maggior libertà a quell'ardenza,
che aveva di crocifiggere se stesso, e far guerra alle proprie passioni. Non si
saprebbe il tenor di vita menato in questo Collegio, se individuato non me
l'avesse il P. D. Gennaro Fatigati, uno dei primi Alunni del Ripa, che convisse
insieme, e fu testimonio delle sue operazioni. Di qual peso sia la
testimonianza del Fatigati, non occorre si rilevi da me, essendo la sua
integrità nota a tutta Napoli.
Vedevasi Alfonso in
questo Collegio cinto di continuo in tutto il corpo con varj ordigni, ma troppo
aspri, di catenette di ferro: più volte al giorno flagellavasi, e spesso a
sangue, come rilevavasi dai suoi pannilini, che vedevansi tutti intinti di
sangue, ed inzuppati: scarsissimo era il cibo, che prendeva, e quel poco,
attossicato da mirra, e da altre polveri amare. La centaurea, e l'assenzio
erano per esso le ordinarie confetture: frutta poche o niente ne vedeva: ogni
Sabbato in onore della Vergine passavalo in pane, ed acqua; e quasi di continuo
non cibavasi, che ginocchione, o stramazzone a terra. Questo anch'è poco. Nella
stanza non vedevansi mai seduto, ma studiava in piede, e col libro tra le mani.
Di più, dentro le scarpe aveva delle petruzze, per isperimentare un continuato
tormento.
Soleva dire - 52 -
Mons. Coppola
Vescovo di Cassano, ch'era consapevole di queste, e di altre sue austerità, e
lo diceva con enfasi: Le penitenze di
Alfonso Liguori sono tali, che sapendosi, supereranno di molto anche quelle di
S. Pietro di Alcantara.
Oltre di queste
penalità, che Alfonso volontariamente si addossava, ve n'erano ancora in
Congregazione delle indispensabili, e comuni.
In quel tempo tutto era
patimento,e miseria. Benchè per lo vitto stabilito ne fosse minestra e lesso,
carne poco o nulla se ne provava; e quella, che si aveva, non era che delle
rimasuglie avanzate ne' macelli, o carnaccia di bufalo, o vacca stantìa, non
più che a grana sei il rotolo; o in vece di questa, un poco di nero
soprassalato. Tante volte in luogo della carne si compravano delle ossa, per
ritrarne un misero brodo. Nella Quaresima non vedevasi pesce. Molto meno in
altri giorni, ma una saraca sopra la minestra faceva la lautezza di ognuno, o
se prendevasi del pesce una volta o al più due in Quaresima, non avevasi che
quando era dell'ultimo prezzo.
Essendosi sementato di
ravanelli un orticello, che si aveva di fianco al Collegio, non si ebbe per
minestra per più mesi, che ravanelli cotti, e non altro , o se si comprava, non
era che di bietole unite con altre erbe di poco valore. Tal volta si faceva
pasto ne' giorni di magro con una
saraca, ed un poco di semola condita con olio. Anche il pane era nero, e delle
farina la più ordinaria.
Questo era il pranzo
della mattina; ma di sera la cena non era meno lauta. In quel brodo de'
ravanelli, o delle bietole, che avanzava la mattina, si mettevano ad ammollire
avanti tempo dentro un caldajo a fuoco lento biscotti duri, e neri, che
risultavano dalla crusca un po' più raffinata, e di questa zuppa così delicata
se ne dava per cena un cocchiarone a Soggetto.
Tra questi patimenti (
e non potevano essere da meno in una Comunità nascente) non solo non si vide in
Alfonso, come attestava il Fatigati, verun rincrescimento, che anzi godeva di
patire, e confortava gli altri a volerli soffrire, per così farsi Santi, e dar
gusto a Dio.
L'unico cibo fra queste penalità, che godeva
Alfonso, e sollevavano nello spirito, era orare, e leggere Vite de' Santi: con
queste s'istruiva, e si animava ad imitarli, e coll'Orazione si accendeva di
maggior desiderio in amare Dio. Oltre all'Orazione in comune, in cui mai
mancava, ogni giorno impreteribilmente se ne stava per lo meno un'ora e mezza,
e talvolta le due, sempre immobile avanti al Sacramento, ove vi erano le
Quarantore.
La sua Messa in questo
tempo quanto era divota, altrettanto era lunga, e lungo era il rendimento di
grazie; ma non per questo vedevasi soddisfatto. Continue erano di notte le sue
vigilie o nella stanza, o in Chiesa avanti al Venerabile; - 53 -
e quel poco di sonno, che prendeva, non era che a
stento, e con suo grave incomodo. Tante volte la nuda terra o una tavola era il
suo letto.
Non è però che il cuore
di Alfonso, tra queste tante penalità, e vigilie gustato avesse in parte, non
che con soprabbondanza, di quelle dolcezze, che sperimentar si sogliono dalle
Anime predilette, e che l'amaro della penitenza raddolcito venisse dal dolce
dello Spirito.
Avendo Iddio ritirata
la mano alle solite sue consolazioni, non viveva, dimorando in questo Collegio,
che una vita arida e desolata. Nella Messa non ritrovava divozione: l'Orazione
gli era di tedio: cercava Iddio, e nol
rinveniva. Mi disse il P. Fatigati, che navigava di continuo contr'acqua, e che
volendo esprimere il suo stato, soleva dire: vado da Gesù Cristo, e mi ributta: ricorro alla Madonna, e non mi
sente. Vale a dire, che quant'operava tra queste oscurità, tutto era
guidato dalla pura fede, e non facevalo, che colla punta dello spirito,
risoluto di dar gusto a Dio, ancorchè per esso non vi fosse nè Paradiso, nè
Inferno.
Grande in questo
Collegio furono ancora le mostre del suo zelo. Un cuore acceso di Dio non può
non aver fame delle Anime , e della sua Gloria.
Mi attestava il P.
Fatigati, ch'esso solo Alfonso teneva
accorsata, e soddisfatta la Chiesa.Ogni Venerdì predicava ad una mondo di gente le Glorie di
Maria Santissima, e recitava la Coroncina de' suoi dolori. Varie tra l'anno
erano le Novene, che celebrava, e vi sermocinava così in onore della Vergine,
che della sacra Famiglia, titolare di quella Congregazione: ed ogni anno
porgeva gli Santi Esercizj, con frutto assai copioso di chiunque vi concorreva.
Vedevasi di continuo quella Chiesa così affollata di popolo, che ogni giorno,
sembrava giorno festivo.
Volendo soddisfare a'
Penitenti, un boccone di cibo nol prendeva che a stento, ed un pezzo dopo la
seconda tavola, e talvolta finita la ricreazione. Persona, che v'era presente
in Chiesa, mi dice, che concorrevasi da lui o per confessarsi, o per sentire le
sue prediche non solo da Fonzeca, dalle
Vergini, e dalla Sanità; ma ben anche dal Mercato, dagli Orefici, e da
altri luoghi di Napoli, anche più lontani.
Dippiù ritornando la sera dalle Quarantore, si ritirava il zelante
operajo, con un seguito di uomini, e tirava a confessar questi anche le più
ore, avanzata la notte.
Non voglio lasciare a gloria di Alfonso
ciocchè nelle Memorie di quella Congregazione lasciò scritto il medesimo P.
Ripa:
"Conviveva fra di
noi, così egli, anche il Signor. D. Alfonso Liguori, Sacerdote di molto
credito, non tanto per la nascita, essendo Cavaliere di questa Città, quanto
per la bontà di sua vita, e per lo dono di Dio, che aveva nel missionare. Venne
a convivere in questa casa in qualità di Convittore fin da' primi mesi, che io
con i Cinesi venni - 54 -
ad
abitarla; e benchè non fu ascritto a questa nostra Congregazione, viveva però
col desiderio di ascriversi, anzi nutriva un animo assai pronto per andare
nella Cina a predicare il S. Vangelo come più volte si era espresso col proprio Direttore. Fidandomi io del suo
zelo e talento, aveva lui commesso quasi tutto il peso di questa Chiesa, in
quello, che spetta il confessare e predicare, ed egli disimpegnava tutto con
molto profitto delle Anime".
Benchè tali fossero in
questo Collegio, e così penose le fatiche di Alfonso, si animava con tutto ciò,
e maggiormente s'impiegava, vedendo il gran bene che risultava alle Anime. Non
è quì luogo da poter dire quanti, e quali peccatori da ostinati che erano, ed
invecchiati nel peccato, invogliati si videro ad amare Gesù Cristo. Una celebre
meretrice convertita da lui, e poi diretta, addivenne singolare in santità.
Attestava il P.
Fatigati che Alfonso aveva nel confessare un dono di Dio tutto particolare,
ed era, che compungeva ognuno. Come i peccatori si vedevano a suoi piedi, mi disse, così restavano compunti e contriti; ed il medesimo Alfonso,
essendo vecchio, soleva dire non ricordarsi aver licenziato taluno senza vederlo contrito, e senza averlo
assoluto.
Innumerabili ancor
furono le Anime, che sollevò da una perfezione ordinaria ad una santità sublime.
Tante, che già erano impegnate pel mondo, voltarono le spalle al Mondo, e si
diedero a Gesù Cristo. Ne' primi Esercizj che diede in questa Chiesa, mi
attestò una santa donna, che quindeci zitelle nella prima predica che fece, e
fu quella della Misericordia di Dio, generose fecero a Dio di se stesse, e
della loro Verginità un intero sacrificio.
Era così acceso Alfonso
nell'encomiare i pregi della Castità, che chi l'udiva anche non volendo, doveva
restarne innamorato. Fortunata Trotta zitella di grande spirito, avendo inteso
da Alfonso i pregi della Verginità, ancorchè contratto avesse gli sponsali,
giunta in casa, Il mio sposo, disse a sua Madre, è Gesù Crocifisso. Guidata da Alfonso
visse una vita penitente, ed avanzata in età, morì con fama di somma
perfezione.
Due figlie del Dottor
Parisi, Angela, e Vittoria, concepirono tale abbominio al senso, che
rinunciarono qualunque partito di vantaggioso Matrimonio, e vissero da Monache
santamente in casa.
Due altre zitelle
figlie di un ricco Mercante, morto il Padre, diedero a' poveri il meglio che
avevano, e frequentando Alfonso, morirono da sante.
Anche i conjugati da
lui diretti si rendevano così stufi del Mondo, che di consenso si risolvevano
ad una vita tutta pura. Antonia Tavolieri, moglie di un ricco Mercante nella
Giudea, fu così presa con suo Marito dall'amore della Castità, che divisi di
letto, si diedero al sollievo de' poveri, e morirono da santi.
Ometto, per non
tediare, altri fatti, perchè noti e consimili; - 55 -
ma non posso tralasciare l'istantanea, e quasi
prodigiosa conversione di un'altra zitella chiamata Maria. Era questa una
Giovane quanto vuota di Dio, altrettanto piena di Mondo. Ricorrette ad Alfonso
la madre, raccomandandogli lo stato di questa figlia. Alfonso la chiama, e
corregge: profittò Maria, ma ritornò da capo. La chiama di nuovo Alfonso,
premuto dalla madre, e con tuono di spirito le fa presente il suo stato:
compunta Maria, si ritira in un angolo di Chiesa, e tutta si consuma in pianto.
Come Alfonso si disbrigò dal Confessionale, la chiama di nuovo, e le dice: Maria ti sei data tutta a Dio? tutta,
rispose la Zitella; ma tutta, e di cuore,
ripigliò Alfonso? Tutta, con veemenza
di spirito, rispose Maria: Essendo così,
va, e tagliati i capelli, le disse Alfonso, e vestiti Teresiana. Ubbidì Maria, e giunta in casa si vestì
Monaca. Addivenne questa zitella un'Anima: fu visibilmente per tanti anni
perseguitata da Demonj; e Iddio, che spurgata la voleva da ogni scoria, non
mancò perfezionarla nel crogiuolo del travaglio. Morì santa; ed invocata dopo
morta, operò molti prodigja.
Oltre queste tante
fatiche, che Alfonso si addossava, vivendo tra Cinesi, si univano le altre, che
operava dentro Napoli. Non vi era giorno, che non predicasse ora in una Chiesa,
ora in un'altra. Vi sono persone che se le ricordano dare gli Esercizj in varie
Parrocchie, e sortirvi delle stupende conversioni: soprattutto era invitato, e
si voleva ove vi erano le Quarantore. Pronto era ancora a' cenni de' Superiori
della sua Congregazione.
Facendosi ogni anno la
Missione nell'Arcivescovado, tante volte toccava a lui di predicare, ed ogni
anno usciva di Napoli in missione, unito con gli altri in varj luoghi del
Regno: Per quanto rifletto, ed ho veduto
con gli occhi, così il P. Fatigati,
non perdeva Alfonso Liguori, vivendo tra di noi, un minuzzolo di tempo: o
predicava, - 56 -
o confessava, o faceva orazione, o
studiava. Vale a dire, che non ci era per esso ne' sollievo, ne' riposo.
Si sa la grave epidemia
che travagliò Napoli nel 1729.
Anche in questa
occasione, come attestavano i Vecchi, fe' mostra Alfonso del suo zelo. Se tutti
li Fratelli di sua Congregazione nell'Arcivescovado si segnalarono, assistendo
ai tanti infermi, egli si sagrificò più d'ogni altro. I poveretti specialmente erano
l'oggetto più caro della sua ardente carità.
Essendosi aperta una
general Missione nella gran Chiesa dello Spirito Santo, contestavano i vecchi,
ch'esso con modo speciale si sagrificò tra tutti, ajutando i peccatori. Furono
tali le mostre del suo zelo, che avvenne memoria registrata nei libri di
quell'adunanza.
A 29 Gennaro dell'anno
susseguente predicò di mattina nella Missione di Marano, e di giorno
catechizzava le zitelle. Nell'Aprile fece la Predica grande nella Regal Villa
di Capodimonte. Anche quì si vuole, che non furono pochi i peccatori, che
ridusse a penitenza. Questa Missione appena terminata, portossi in soccorso
dell'altra, che aperta si era nel Monistero dell'Annunciata. Fu tale e tanto lo
strapazzo di se medesimo, che, non reggendogli le forze, si vide attaccato ne'
polmoni anche col sistole e da altri ascessi marciosi. Per un mese e più si
tenne in forse della vita: e se fu salvo, come mi attestò il medesimo P.
Fatigati, non fu che evidente miracolo di Maria SS.
Troppo di mira teneva
l'Inferno così Alfonso, che il Ripa, perchè tutti e due opposti a'suoi disegni,
ma tutti e due sperimentarono sempre chiara la protezione di Dio.
Un giorno, e fu a' 13
Luglio 1729, mentre il Ripa ed Alfonso verso le due della notte confabulavano
con altri Congregati di cose divote nella comune ricreazione, essendosi mosso
un fiero temporale, un fulmine cadendo nel mezzo di essi, se non gli estinse,
poco loro lasciò di vita. Il Ripa fu colpito nella fontanella della gola, ed
Alfonso, e gli altri furono talmente offesi, che si credettero vittima del
fuoco. Si riebbe Alfonso, e si riebbero gli altri, ma il Ripa non si vide in
vita, che dopo un quarto di ora.
Questo accidente invogliò Alfonso, ed il Padre Ripa a
maggiormente impiegarsi per la gloria di Dio, e per lo bene delle Anime la
protezione fu chiara. Se il fulmine girato avesse per la camera, come di
ordinario accadde, essendo quella angusta, avrebbe tutti inceneriti, e tolti di
vita.
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