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CAPITOLO 16
Memoria di alcune fatiche fatte da Alfonso correndo la
primavera del 1731.
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Troppo fertile, e
troppo carica di fatiche per Alfonso l'Apostolica Campagna nella Primavera del
1731.
Si sa, che in
quest'anno fu oltremodo funesta per la Puglia, e per le Provincie adjacenti, la
notte precedente al dì diciannovesimo di Marzo. Ad ora nove, e mezza nel giorno
del Martedì Santo tale scossa ci fu di terremoto, che desolò Città, e paesi, e
non si vide dapertutto, che lutto, e terrore. Non mancarono i zelanti Vescovi
vedendo commossi i popoli, invitar Uomini Apostolici a predicarvi la Penitenza.
La Congregazione di
Propaganda non fu l'ultima ad esser richiesta, specialmente dai Vescovi delle
Provincie di Bari, e di Lecce; ed uno de' Missionarj, anzi l'unico, bisogna
dire che portò il peso di queste Missioni, fu Alfonso, perché giovine, zelante,
e non curante di se stesso. Fu voce comune, che la Grazia fece prodigi tra i
popoli per mezzo suo, ma tutte non si sanno le particolari circostanze.
L'ultima Missione fu
nella Città di Nardò, ove furono chiamati dal zelante Vescovo Monsignor Antonio
Sanfelice anche Confratello della propria Congregazione. In questa Missione
spettò ad Alfonso (il che per ordinario gli spettava) di predicare la sera al
popolo. Anche in questa Città benedisse Iddio le sue fatiche con una messe
troppo abbondante di conversione di ogni ceto di persone.
Avendo sapute le
Religiose di S. Chiara il fervore del Missionario, tanto supplicarono chi n'era
Superiore, che almeno degnate le avesse per un suo sermone. Dicono le vecchie
Monache che non sembrò uomo Alfonso, ma Serafino; e che ogni parola era saetta,
che feriva i cuori.
Tra le altre, fu così
soprappiena di lumi celesti una Religiosa di grande spirito, che Alfonso, terminata la predica, si vide in obbligo
sentirla. Attestano le Monache, che il Missionario infervorava la Religiosa, e
la Religiosa il Missionario, e che tutti e due diedero in patenti eccessi di
amor Divino.
Le Teresiane attestano
ancora un suo bell'atto di mortificazione. Era Alfonso, come si sa,
estremamente divoto della Santa Madre Teresa; ed avevasi in Monistero una
bellissima statua, che attirava la divozione, e la curiosità de' forastieri.
Essendoci andato Alfonso coi compagni per licenziarsi dalle Monache, e volendo
questi vedere, e venerare la statua, Alfonso sacrificò alla Santa la voglia,
ch'egli aveva di osservarla. Tanto mi vien riferito dall'Abate D. Nicola
Giuliani di presente degnissimo Arciprete di quella Cattedrale.
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Tra questo tempo
abbiamo Alfonso in Foggia. Se tanti luoghi della Puglia furono oggetto dello
sdegno di Dio, la Città di Foggia, che n'è la Capitale se non restò sepolta
sotto le pietre, fu molto malmenata. Iddio però, se l'afflisse per un verso,
rincorolla per un altro.
Venerasi in questa
Città un'antica ma prodigiosa Tavola di Maria Santissima, e perchè tale, vien
detta Icona Vetera. Non vedendosi
l'effigie, perchè consumata dal tempo, vien coperta da una lastra d'argento, ed
ove corrisponde la testa, ci è un ovato, ma coperto al di dentro da più veli.
Vale a dire, che si venera il luogo, ove il Sacro Volto stava impresso. Somma è
la venerazione, che si ha per questa sacra Tavola così da' cittadini, che da'
forestieri.
Rovinata la Chiesa, fu
questa trasportata in quella de' Padri Cappuccini. Mentre il popolo spaventato dalle
replicate scosse del terremoto, che tuttavia seguivano, implorava piangente il
Patrocinio di Maria Santissima, la mattina del Giovedì Santo, ventidue del
medesimo mese, la Vergine, con un portento non mai udito, indicò la special
protezione, ch'ella aveva, e la sua somma amorevolezza per la Città di Foggia.
A vista di un'immenso popolo, si vide comparire nell'ovato della Tavola, con
istupore di tutti, e consolazione insieme, come il volto di una donzella, il
Sacro Volto della Vergine; e non una, ma più volte si diede a vedere nei giorni
susseguenti, guardando e contemplando i suoi cari Foggiani.a
Gran romore fece in
Regno quest'apparizione di Maria Santissima, ed in circostanze così critiche.
Terminata la Missione in
Nardò, anch'essi invogliati si videro i Missionarj, massime Alfonso, di
visitare la Sacra Tavola. Capitarono tutti in casa del nostro P. D. Francesco
Garzilli, allora Canonico in quell'insigne Collegiata, perchè amico del Paroco
D. Bernardo Lignola uno de' Missionarj.
Per questo incidente
abbiamo qualche notizia dell'operato da Alfonso in Nardò. Discorrendo il
Lignola col Garzilli, e magnificando questi e gli altri lo zelo di Alfonso, le
tante conversioni da esso operate, e le grandi fatiche, che senza risparmio
addossate si aveva, dissero tra l'altro, che una delle sere pose in tale
aspetto la bruttezza del peccato, e l'ingiuria che col peccato si fa a Dio, che
compunta una donna morì di dolore nella stessa Chiesa; e tre altre, se non
morirono in Chiesa, morirono in casa. - 59 -
Che in tutte le Prediche la compunzione era stata così grande, che gli uomini,
anzichè schiafeggiarsi e percuotersi il petto, davano, per la veemenza del
dolore, di testa al muro, e colla fronte sul pavimento. Che non solo in Nardò,
ma per ogni dove erasi Alfonso estremamente segnalato col suo zelo, e che da
per tutto vi erano state delle molte e molte conversioni.
Come Alfonso fu in
Foggia, non fu ricevuto da quei Signori, che con segni di doppia stima. Non era
che troppo fresca, tra quei Cittadini, la memoria di Monsignor Giacomo
Cavaliere suo Zio. Appena si seppe il suo arrivo in Città, non ci fu Gentiluomo
che non fosse a visitarlo, sì perchè nipote di quel santo Prelato, sì ancora
per l'alta idea, che dilui avevasi di uomo Apostolico, e tutto zelo. Monsignor
Faccolla, che ritrovavasi in Foggia, fu tra i primi con buona parte del Clero a
visitarlo; e così ci furono Regolari ed altri.
Era la Città per anche
sbigottita, e tremante pel fiero terremoto, che danneggiata l'aveva, e temevasi
di peggio. In vedersi Alfonso in Foggia, venne subito invitato, così da
Monsignor Vescovo, che da' Preti, e Gentiluomini per una Novena a Maria
Santissima. Maggior premura gli fecero D. Nicolò Scarafone attuale Governadore
della Cappella dell'Icona Vetera, e
D. Francesco Mascoli, in quel tempo Regio Percettore. Scusavasi Alfonso di non
poterli compiacere, non avendo il permesso dal Superiore; ma istando quei
Signori, e compromettendosi Monsignor Faccolla, anch'esso Confratello della
medesima rispettabile Adunanza, di essere risponsabile in Napoli col comune
Superiore, condiscese, anche perchè il popolo stava commosso, e tutti vedevansi
famelici della divina parola.
Predicò in questa
Novena nella Chiesa di S. Giovanni, ove la sacra Tavola dalla Chiesa de' Padri
Cappuccini erasi trasportata. Fu tale il concorso, che stando il Popolo più
fuori, che dentro, si dovè porre la Cattedra alla porta della Chiesa , e
dirimpetto a quella ogni sera situar dovevasi la Sacra Tavola di Maria
Santissima.
Non è da ridirsi quale
e quanto fosse il frutto, che Alfonso riportò con questa Novena. Tale
compunzione si vide nel popolo, che non si poteva dai Confessori (e non erano
pochi tra Secolari, e Regolari) dar sodisfazione alla prodigiosa folla de'
Penitenti. Contestano tutti, che Foggia si vide riformata, e Monsignor Vescovo,
e tutti i zelanti non finivano ringraziare Iddio, per quel momento, in cui
Alfonso era capitato in Foggia.
Sei miglia distante
dalla Città vi è in Foggia, dentro un bosco, un Santuario molto celebre di
Maria Santissima, detta l'Incoronata. La festa si celebra nell'ultimo Sabbato
di Aprile; ed il concorso è tale da tutte le Provincie, per tutta l'ottava, che
fa stupore. Non vi vanno i Foggiani nel Sabbato, ma nella Domenica, che
sussiegue; - 60 -
e si ha
questo giorno, come giorno di stravizzo.
Avendo saputo Alfonso
il gran disordine, ed i gravi peccati, che ci si commettono, dovendo dare la
benedizione al popolo in fine della Novena, spiegossi che benediva tutti, ma
non intendeva chi nel giorno della Festa era per andare all'Incoronata: Festa,
come ei disse, non di onore, ma, per li tanti peccati, che nell'allegria si
commettono, di sommaoffesa per Gesù Cristo, e per Maria Santissima: consigliò
bensì, che in altro tempo si andasse a venerare la Vergine, ma con ispirito di
penitenza, e divozione.
Abbiamo per Alfonso
cosa di vantaggio in questa Novena. Fu egli così preso dalla Sacra Tavola di
Maria Santissima, che non sapeva allontanarsene. Una sera, tra le altre,
essendo uscito il popolo di Chiesa, ed essendosi la Tavola riposta sull'Altare,
salì sopra di quello, e volle contemplarla da vicino; ma tanto fu il
presentarsi avanti la sacra Tavola, quanto il vedersi assorto e fuori di se; e
così estatico ci stiede quasi un'ora. Gradendo la Vergine la sua divozione, lo
rese appieno contento, con manifestargli in modo particolare il suo
Sacratissimo Volto.
Attestò Egli medesimo,
averla veduta quasi giovanetta in età di tredici in quattordici anni, coperta
con un velo bianco, che movevasi a destra ed a sinistra; e che non era il Sacro
Volto come dipinto, ma rilevato come di donzella vivente.
Sparita la visione,
appena disceso dall'Altare intonò, ma tutto ebbrio di gioja, con quanti stavano
in Chiesa, e non erano meno da trenta tra Preti, e Gentiluomini, L'Ave Maris Stella. Avendo poi la mattina
chiamato il Pittore, ma indicandone esso le fattezze, volle, che ritratta ne
avesse l'Immagine, ed è quell'appunto, che di presente si conserva nella nostra
Casa di Ciorani.
Nel 1777 trattandosi in
Foggia far coronare questa sacra Tavola dal Capitolo di S. Pietro, tra gli
altri fu richiesto Alfonso, essendo Vescovo, anche in contesto di tanti altri,
che più volte avean veduta la Vergine, e non si spiega, che co' termini già
indicatib
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Da Foggia, desiderando
Alfonso prestare i suoi omaggi all'Arcangelo S. Michele, passò al Gargano.
Giunto in Manfredonia fu subito complimentato da Monsignor di Marco, che n'era
Arcivesvovo, da' Canonici, e da molti di quei Gentiluomini. Tanto fu sentirlo
arrivato in Città, che venne pregato da Mosignore, e da quei gentiluomini di
voler predicare al Popolo la Penitenza. Rincrebbe l'invito ad Alfonso,
scusandosi non poterli compiacere, non essendo esso di sua ragione. Qualunque
fossero le premure, entrò in iscrupolo di farlo, non avendo il permesso di chi
poteva comandarlo. Dio faccia, disse
a Monsignore, se non sarò penitenziato in
Napoli per aver condisceso in Foggia.
La mattina susseguente
fu sopra al Gargano, visitò e profuse i suoi affetti per molto tempo a piè
dell'Altare dell'Arcangelo. Essendosi veduto celebrare con una divozione non
ordinaria, e tutto assorto in contemplazione, attirò a se l'ammirazione di
tutti. Divulgato chi egli fosse, e da quale spirito veniva animato, furono a
complimentarlo e Canonici e Gentiluomini. Anche quivi si voleva, che predicato
avesse la Penitenza; ma egli sacrificò all'Obbedienza, che non aveva, anche
tutto quel bene, che far poteva sopra del Gargano.
Verso la metà di Maggio pervenne egli in Napoli.
Profetizò quanto disse, che temeva di essere penitenziato. Il Canonico D.
Giulio Torni, ritrovandosi Superiore in quel tempo della Congregazione di
Propaganda, o che realmente avesse avuto a male, aver fatto in Foggia insaputa
sua la Novena, o che avesse voluto umiliarlo, e sperimentarne lo spirito,
aspramente in pubblica Congregazione lo corresse, e mortificò. Non aprì bocca
Alfonso; ne diede luogo a scusa; anzi godette vedersi in quel congresso così
rispettabile vilipeso, ed umiliato.
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