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Cap. 18
Contradizione, e somma angustia, che Alfonso soffrì in
Napoli, determinandosi a voler fondare la sua Congregazione.
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Le operazioni della
grazia se esser sogliono in pace, ed in tranquillità, anche questa volta in
Alfonso furono tra mille agitazioni, ed affanni. La luce interna, che
l'assisteva, i consigli altrui, e di uomini così illuminati, che maggiormente
l'animavano, erano per esso motivi di confidenza: per l'opposto considerando se
stesso, le forze sue, e li pochi talenti, che in se conosceva, erano per lui
motivi di angustia, e di affanno. Voleva per dar luogo alla luce, che
l'assisteva, eseguire quanto credeva, che Iddio ricercasse dal suo ministero:
non voleva, - 66 -
e vedevasi
agitato credendosi ardimentoso, e temerario.
Così angustiato
qual'era, giunto in Napoli si portò subito dal P. D. Tommaso Pagano, aprendogli
il cuore, e confidandogli quanto in Scala eragli accaduto. Avendo considerato
per più giorni il prudente Direttore un negozio di tanta conseguenza, e così
delicato, non esitò dire, che l'Opera era di gloria di Gesù Cristo, e di certo
vantaggio delle Anime.
Diffidando di se il P.
Pagano, e volendo procedere con maggior cautela, volle, che Alfonso avesse
preso anche il parere di altri uomini più illuminati. Lo rimise intanto al P.
D. Vincenzo Cutica, Superiore della Casa della Missione di S. Vincenzo de
Paoli, ed al P. Manulio Gesuita, amendue in quel tempo tenuti in Napoli in
somma venerazione. Anche questi furono d'accordo col P. Pagano, che l'Opera era
di gloria di Dio, e di certo vantaggio per la Chiesa. Furono tutti e due così
persuasi del volere di Dio, che animarono Alfonso a voler eseguire, ma senza
perdita di tempo, quanto Iddio esigeva dal suo ministero.
Non contento di questo,
chiese anche consiglio Alfonso da altri Religiosi di sperimentata virtù; nè vi
fu persona, che conosciuto ci avesse dubbio in contrario. Accertato Alfonso
della volontà di Dio, si animò, e prese coraggio; e facendo a Gesù Cristo un
sacrificio totale della Città di Napoli, si offerse menar i suoi giorni dentro
proquoi, e tugurj, e morire in quelli attorneato da' Villani, e da' Pastori.
Non poteva l'Inferno
non contradire una opera così santa, ed opposta a' suoi interessi. Uscito fuori
il secreto, e vociferato per Napoli un tal disegno, si vide subito in campo
contrario Alfonso una tempesta assai fiera. Chi diceva, che era impazzito e
stravolto di senno; chi avevalo per infanatichito e visionario; e chi dicea,
che gonfio di se stesso, eragli dato in testa il troppo fumo, che da ogni ceto
di persone tuttogiorno riscuoteva. Furono di sentimento opposto per primo tutti
i Compagni, che con esso convivevano nel Collegio de' Cinesi.
Ritrovavasi il P. Ripa
in Roma, ed avendo inteso, ripatriato che fu in Napoli, una tal novità, spina gli
fu questa, che gli trafisse il cuore; maggiormente, perchè sopra di lui, come
sù ferma base, poggiar credeva l'edificio tutto di sua nuova Congregazione. Non
potendolo dissuadere, e credendolo travolto di mente, non mancava
rimproverargli in pubblico, ed in privato le stravanze così credute. Con questo
si univano ancora i continuati rimbrocci degli altri compagni, e chi
mottegiavalo per un verso, e chi deridevalo per un altro.
Fatta anche nota la
visione della Monaca, credevasi da tutti, ma s'ingannava ognuno, che sopra di
quella si facesse da Alfonso tutto l'appoggio. Con questo supposto maggiormente
incalzarono i dolori, e chiaramente avevasi da tutti per illuso.
Nel tempo istesso si
mossero contro di Lui anche i Fratelli tutti della rispettabile Congregazione
di Propaganda. - 67 -
Di
questi più, che ogn'altro, sotto colorito pretesto, servissi il Demonio per
attraversar l'Opera, e rendere Alfonso disanimato, e vinto. Avendo a sommo
scorno questi illustri Congregati, che si desse in tali ciampanelle da un
Fratello così illuminato, e che da tutti stimavasi il miglior membro della loro
Adunanza, maggiormente se gli accanirono.
Venivano stimati in
quel tempo, come due luminari in tutta Napoli, il Canonico D. Giulio Torni,
ch'era attuale Superiore della Congregazione, ed il Canonico D. Matteo Gizzio
Rettore del Seminario, e Zio di Alfonso.
Non vi fu contradizione
più amara, nè più violenta di quella, che Alfonso soffrir dovette da questi due
sì degni Soggetti: soprattutto dal Zio, avendo questi maggior autorità sopra di
lui. Opponevasi il Canonico Torni, credendolo di certo stravolto di capo, e,
quello ch'è più, da una donnicciuola. Perchè amavalo, più che figlio, avendogli
fatto da Maestro nelle dottrine Dogmatiche, e morali, rincrescevagli vederlo
perduto, e reso inutile per la gloria di Dio, e per lo bene delle Anime.
Non potevasi dar pace
il Canonico Gizzio, nè sapeva persuadersi, come un uomo di tanto senno dovevasi
veder perduto tra visioni, ed inezie. Più volte tutti e due tentarono distoglierlo
da tal'impresa. Saldo Alfonso nel suo proponimento, se ossequiava il Zio, e
rispettava il Maestro, non smuovevasi bensì dal sentimento del suo Direttore.
Questa sua costanza,
perchè troppo l'amavano, non poteva non affliggere Soggetti così rispettabili. Non giovando le persuasive, si
venne a riprenzioni e rampogne. Non è
Iddio che vi guida, irato li disse un giorno il Canonico Gizzio, ma la fantasia di una Monaca, che non
credete, e tener dovete per illusa: Io non mi regolo colle visioni, rispose
umilmente Alfonso, ma col Vangelo.
Mi disse D. Silvestro
Catone Gentiluomo di Vietri, e Missionario Napoletano, che trovandosi un giorno
nella camera del Canonico Gizzio, questi dillegiandolo gli disse: che pensieri disperati sono questi; ed
Alfonso, chi confida in Dio, Signor Zio,
può tutto, e spera tutto. Un altro giorno, e vi erano presenti varii
Canonici, essendosi reso ristucco il Canonico Gizzio di più vederlo così
ostinato, non mancò sgridarlo avanti a tutti, e chiamarlo senza cervello, Uomo
di propria intenzione, ed adoratore di se medesimo.
Anche questo è poco.
Essendo entrato una mattina Alfonso nella Sacristia dell'Arcivescovato, o per
dir Messa, o per altro, persone di somma autorità non esitarono fargli in
pubblico, alla presenza di persone anche rispettabili, una tiritera di
rimprocci. Tra l'altro che dovevasi far
scorno di sua presunzione, ed ostentare nella Chiesa fondazioni, e nuovi
Istituti. Ammutolì Alfonso, si umiliò in se stesso, e col capo chino non
ebbe il coraggio di proferir parola in sua discolpa.
Regolavasi nello
spirito il Canonico Gizzio, e dipendeva in tutto - 68 -
dal Ven. P. Fra Ludovico Fiorillo, uomo santo,
Maestro Domenicano, e zelante Missionario. Vedendo la persistenza di Alfonso, e
non potendoci essere di sopra, perchè, gli
disse un giorno, non regolarvi per questo
che avete in mente col P. Fiorillo; anzi vi consiglio a prendervelo per
Direttore. Io non mi regolo di capo mio, rispose Alfonso, ma dipendo in tutto dal P. Pagano. Sentendo
questo, tacque il Canonico. Essendosi Alfonso portato dal P. Pagano, li fe
presente quanto col Gizzio eragli accaduto: Io
anche l'approvo, disse il P. Pagano,
se dice il P. Fiorillo, che Iddio vuole quest'Opera, la voglio anch'io: se dice
di no, no dico anch'io.
Non ancora si
conoscevano di persona Alfonso, ed il P. Fiorillo, benchè tutti e due si
stimassero, e si sapessero per fama. Un giorno essendosi incontrati in camera
del Canonico Gizzio, chiese il P. Fiorlillo ad Alfonso chi egli fosse; sentendo
Alfonso Liguori, con volto a riso, profetizando, li disse, Iddio non è contento di Voi, vi vuole tutto suo; e vuole altre cose da
Voi. Quest'incontro, benchè casuale, fu troppo fortunato per Alfonso.
Sentendo così parlare
il P. Fiorillo respirò, e s'intese nel cuore, com'ei diceva, una sensibile
consolazione. Fattosi animo in segreto gli disse, che aveva premura di
abboccarsi con esso, ma voleva l'ora ed il giorno per andarlo a trovare.
Convenuto in questo col P. Fiorillo, non mancava Alfonso macerarsi innanzi a
Dio, e pregare il Padre de' lumi a volergli far conoscere, per mezzo di quel
santuomo il suo santo volere, e quello che più era espediente per se stesso, e
per lo bene delle Anime.
Contemporaneamente si
adoprò Alfonso in far porgere a Dio da varie Anime sante, in varj luoghi, delle
fervide preghiere. Si raccomandò in ispezialità alle Religiose del Monistero di
Scala. Queste, tra le altre, si posero in una quasi continua orazione. Ogni
giorno vi era una mezz'ora di disciplina in comune: continue erano le
astinenze, e i digiuni: chi cingevasi di catenette di ferro, e chi usava altra
penitenza, e tutte vedevansi impegnate per ottenere da Dio ai Direttori di
Alfonso quella luce, che si desiderava.
Fra questo tempo
abbiamo un caso, che sorprende. Alcune Monache, così capacitate da alcuni Preti,
anche non credevano, che quest'opera della Congregazione si volesse da Dio.
Discorrendosi colla Serva di Dio, che ricevuto aveva la rivelazione, e
raccontandosi quello, che da' Preti si asseriva, una di queste soggiunse, che
anch'essa ne dubitava. Ma la Serva di Dio, quasi trasformata e tutta accesa, l'Opera è di Dio, disse, e lo vedrete cogli
effetti. Lo crederò, soggiunse la
Monaca, quando Suor Maria Maddalena si
vede sana, (era questa Suor Maria Maddalena Pandolfi resa pazza da molti
anni). Non ancora erasi questo proferito, che la pazza si vide in retto
sentimento.
Tanto operava Iddio; ma non per questo si dava per
vinto il Demonio, e desisteva l'Inferno dalle sue aperte contraddizioni.
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