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LIBRO II
Cap. 1
Apre nella città di Scala Alfonso la sua
Congregazione: sua povertà, suo fervore, e sue Opere Apostoliche.
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L'Anno da Dio
preordinato al nascimento felice di nostra Congregazione, fu l'anno 1732. Sedeva
sul Vaticano Papa Clemente XII, e reggeva coll'Impero questo Regno di Napoli
Carlo Augusto, Sesto di questo nome.
Alfonso, ottenuta la
benedizione dal Ven. P. Fiorillo, e dal P. D. Tommaso Pagano suo Direttore,
cavalca alla peggio, l'ottavo giorno di novembre, un giumento da soma, e
celandolo a' suoi parenti, ed a' suoi più cari amici, lascia Napoli, e portasi
nella Città di Scala. Monsig. Santoro, che con ansia l'attendeva, lo accolse
come un Angelo del Cielo, e benedisse Iddio, che tal giorno avea veduto.
Tutta la Città di Scala
fece plauso al suo arrivo, la Nobiltà, il Clero, ed il popolo: nè di altro da
pertutto si parlava, ma con estri di gioja, che de' nuovi Missionarj, della
nascente Congregazione, del zelo di Alfonso, e del gran bene, che dapertutto
operava. In quel giorno, che Alfonso lasciò Napoli, uopo è dire, che trionfò
all'intutto della carne, e del sangue, anzi del Mondo intero. Giorno quanto
glorioso a Dio, ed a se stesso,
altrettanto funesto all'inferno, per una vittoria così segnalata, e cotanto
combattuta.
Prima che Alfonso dato
avesse l'ultimo addio alla Casa paterna, esigette Iddio dal suo cuore un
perfetto olocausto, in compimento de' - 82 -
tanti suoi Sacrificj. Se a tutti era nota la risoluzione già fatta,
maggiormente lo era a D. Giuseppe suo Padre.
Viveva questi nella più
sensibile amarezza, sul riflesso di dover perdere, e forse più non vedere un
figlio, ch'egli amava, non più come figlio, ma come Padre, che tuttogiorno co'
suoi detti, ed esempj lo rigenerava alla Grazia. Sin dal mese di Agosto erasi
Alfonso ritirato in Casa da sopra i Cinesi, per dar sesto a' suoi affari.
Un giorno, riposando
sul letto, entra D. Giuseppe addolorato, vi si butta anch'esso, e strettamente
abbracciandolo, Figlio, se li fe a
dire piangendo, perchè mi lasci, e
volermi abbandonare: Figlio non merito io, nè aspettava da te questo dolore.
Fu questa una battaglia troppo amara per Alfonso: nè fu conflitto di momenti.
Per tre ore continue D. Giuseppe tenne strettamente abbracciato Alfonso, ripetendo
sempre: Figlio non mi abbandonare: e
per tre ore Alfonso si vide in un continuo contrasto tra la Natura, e la
Grazia: fu dolorosa la pugna; ma non vi fu guadagno per l'uno, nè vi fu perdita
per l'altro. Alfonso confortato da Dio, resistette a tutto. Le preghiere, e le
lagrime non fecero impressione nel suo cuore, nè punto si smosse dalla fatta
risoluzione.
Quest'atto non si
sapeva, ma pochi anni prima della morte, enunciando Alfonso al P. Villani i
tanti benefizj ricevuti da Dio, confessò, che in vita sua sperimentato non
aveva tentazione più cruda, nè conflitto più amaro. Pentito bensì di aver tal
cosa confidata, imposegli subito stretto segreto.
Giunto Alfonso nella
Città di Scala, parte ritrovò de' suoi Compagni, ed altri ne attese, ed in
tutto furono in numero di otto. Vi fu con esso D. Vito Curzio, già ricevuto per
fratello. Mancò, come dissi, il Mazzini, avendo voluto il suo Direttore
sperimentar di vantaggio la di lui vocazione: non vi fu il Sarnelli, e vi mancò
anche il Dottor Tosquez, perchè non isbrigati dai loro affari. Vi è lettera del
Tosquez ad Alfonso de' 21. Decembre, che dice così: "Beati voi, che patite
per Gesù Cristo fame, e freddo, com' esso patì specialmente in questi tempi. Io
sono indegno, D. Alfonso mio caro, ed il Signore non mi vuole nella sua Opera
sì presto, com' io bramava: vorrà egli depurare la mia violenta inclinazione,
ed io voglio fare la sua Santissima Volontà.
Ricca, e troppo
magnifica fu l'abitazione, che Monsig. Santoro fe ritrovar preparata, ma tutta
in conformità de' desiderj di Alfonso, e dei Compagni. Fu questa l'Ospizio
delle Monache, quanto povere di arredi, altrettanto disadatto, ed angusto.
Oltre un divoto, ma povero Oratorio, non in altro consisteva l'abitazione, che
in tre camere, ed una piccola sala, e tutto il mobile raggiravasi in tanti
pagliacci da letto coperti nella maniera la più povera, ed in pochi vasi di
creta per uso di tavola, e di cucina.
In quest'abitazione,
così angusta per lo corpo, ma spaziosa per lo - 83 -
spirito, si allogarono contenti i Candidati
Apostolici. Il dì susseguente al loro arrivo, che fu il nono di Novembre,
essendosi tutti radunati nel Duomo, premessa una lunga meditazione, si cantò la
Messa dello Spirito Santo, e resi a Dio i dovuti ringraziamenti, diedesi
principio alla tanto bramata Congregazione, sotto il titolo del Salvadore, cioè
sotto la protezione del Capo di tutt' i Missionarj.
Architettar volendo
Alfonso questa grand'opera a gloria di Dio, ed a vantaggio di S. Chiesa, non mancò,
qual saggio. Architetto, formarsene il disegno. L'unico intento proposto, altro
non fu, che di unire in un corpo tanti zelanti Sacerdoti, che altro fine non
avessero, che la gloria di Dio, e la salvezza delle Anime. Soprattutto un
vivere Apostolico, tutto uniforme alla Vita Sacrosanta di Gesù Cristo, cioè
umile, e povero, espropriato totalmente di se stesso, e delle cose di questa
Terra.
Le virtù, che a prima
aggiunta occuparono lo spirito di Alfonso, e de' nuovi Congregati, furono
l'Orazione, e la Penitenza.
Si vedevano così accesi
di amor di Dio quei buoni Sacerdoti, che non sapeansi distaccare dalla di lui
presenza; ed erano così nemici di se stessi, che non erano per dare verun
sollievo al proprio corpo.
Tutti vedeansi armati
di cilizi, e di catenette pungenti: parco era il mangiare; e quel poco che si
avea, veniva attossicato da erbe amare, come centaurea, nascenzo, ed altro. Chi
mangiava ginocchioni, e chi disteso a terra: Altri non sapendo come più
avvelenarsi quel misero ristoro, mangiando a ginocchioni, appendevansi al collo
una grossa pietra, e non cibavansi che come condannati. Tanti privavansi della
carne, se pur carne si dava, e chi della frutta, o altro. Erano così
attossicate le vivande, che come mi dicevano i PP. Villani, e Mazzini, anche i
poveri rifiutavano i sopravvansi.
Vi è cosa dippiù:
durante la tavola, non mancavano delle umiliazioni, e delle altre penalità.
Taluni si vedevano strascinar prima la lingua, e poi dar ristoro al corpo:
altri vi erano, che in tempo della tavola si trattenevano ginocchioni con le
braccia distese in croce: e tanti con ispirito di umiltà si vedevano girare
intorno, e baciare i piedi a tutti.
Vito Curzio, che
deposta la spada, già vestiva una lacera tonaca, facendo da cuoco senza saper
di cucina, anch'egli ci aggiungeva del suo: ora si aveva la minestra o scotta,
e salsa in estremo, ed ora o cruda, e scondita. Ci fu volta, che impastò anche
il pane senza lievito; e tale, che per divozione ne vollero essere a parte i
Signori di Scala. Quest'era la vita de' nostri Penitenti; ed uopo è dire, che
sembrava la Casa non copia, ma originale di quella Scala, che S. Gio: Climaco
individua de' suoi Celebri Penitenti.
Tra tutti segnalavasi
Alfonso. Il suo vivere, ch'era di sprone, e faceva l'ammirazione di tutti, non
era impiegato, che o con Dio nell'orazione,
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e nella lezione de' libri santi, o per Dio in opere di gloria
sua, e di bene delle anime. Era tale questa sua continuata applicazione, che
non eravi minuzzolo di tempo, che da esso si vedesse barattato. La sua Messa
era lunghissima.
Mi dicono i vecchi, che
vi persisteva le ore intiere, e di vantaggio. Molto tempo impiegava
nell'apparecchio, e più era quello, che consumava nel rendere a Dio i dovuti
ringraziamenti. Oltre ai tempi, che dava all'orazione in comune, vedevasi tutto
fuoco le più ore in Chiesa innanzi al Sacro Ciborio, e com'era sbrigato da'
negozj, così vedevasi, ricorrere assetato al fonte delle sue consolazioni.
Le sue austerità
giungeano all'eccesso. Quanto di afflittivo praticavasi dagli altri, non
facevasi che per imitarlo. Sasso al collo in tavola e ben grande, lingua per
terra, bacio di piedi, ed umiliazioni in atto della mensa erano cose ordinarie
in Alfonso. Non mangiava che a stento, o ginocchione, o stramazzone a terra; e
per lo più il suo vitto non consisteva che in una sola minestra mal condita
senza lesso, o altro. L'aloe, e la mirra, oltre dell' erbe amare, erano il suo
condimento.
Mi attestava il P.
Villani, che malamente ne soffriva l'odore chi gli stava dappresso. Il Sabbato
nol passava, che in pane, ed acqua, ma condito co' medesimi aromi. Tutto il
corpo vedevasi continuamente cinto di varie catenette, ed aveva un giacco, che
in vederlo, dava dell'orrore. Varj istrumenti aveva alla mano, come cardi,
crocette aculeate, ed altro per crocifiggere se stesso. Ogni giorno
disciplinavasi anche le due volte, con cordelle di torte, e sempre fino al
sangue, e spesso con discipline armate di stellette di ferro, o con cannuoli di
piombo intrecciati di aghi.
Colla santificazione di
se stesso, e de' suoi Compagni non trascurò Alfonso la santificazione di Scala.
Piantò subito nella Cattedrale la meditazione al Popolo ogni mattina, e di
sera, la visita a Gesù Sacramentato, ed a Maria Santissima. Ogni Giovedì ci era
il sermone, e l'esposizione del Venerabile, ed ogni Sabbato un sermone in onore
di Maria Santissima; ma nelle Domeniche, e negli altri giorni festivi, perchè
il popolo era tutto in Città, non si mancava istruirlo ne' proprj doveri colla
predica, e colle lezioni catechistiche.
Oltre di ciò eresse due
Congregazioni, una per gli Gentiluomini, e l'altra di bracciali ed artieri.
Similmente due altre, una per gli figliuoli, e l'altra per le zitelle, e nelle
Domeniche vi erano da parte altre due istruzioni rispettivamente per questi.
Scala si vide santificata con estremo compiacimento di Monsign. Santoro.
Soprattutto vi trionfava la virtù della verginità, e le giovanette zitelle
attiravano a se l'ammirazione di tutto il vicinato.
Vedendosi Alfonso
accerchiato da tanti valenti operarj, prese anche di mira i luoghi convicini.
Amalfi, Conca, Ravello, Atrani, Minori - 85 -
partecipavano tutti del suo zelo. Povero
D. Vincenzo, cosi egli a Mons. Falcoja, in data de' venti Decembre, studia come cane, per apparecchiarsi a
questa Missione di Tramonti, e li farò fare l'Istruzione. Forse appresso
anderemo colla Missione anche in Agerola, come già ne siamo stati parlati.
Ne' giorni festivi
specialmente i Missionarj erano tutti in armi a danno dell'Inferno. Vedevasi
Alfonso, e vedevansi i compagni girar appiedi i paesi della Costa, e combattere
il peccato nelle proprie trincee. Aprì con altri tre Padri la Missione in
Campinone, ed un'altra alle Pietre con altri quattro Soggetti. Approssimandosi
il Carnovale, predicò la penitenza in Pocara, ed in Ajeta, e diede gli esercizj
ad un Monistero di Monache, con sommo profitto di quelle Claustrali, e con non
minore compiacimento di Monsignore Scorza Arcivescovo di Amalfi.
Divulgata la notizia
de' nuovi Missionarj, istituiti da Alfonso in ajuto specialmente de' villaggi,
e de' luoghi abbandonati, non furono poche le richieste, ch'ebbe da molti
Vescovi per avere delle Missioni in varj luoghetti, anzi tanti, e tanti
s'invogliarono avere stabilmente i Missionarj nelle proprie Diocesi. Se ne
consolava Alfonso, e da tutti si rendevano grazie a Dio, vedendosi benedetta
l'Opera, ma mancando i Soggetti, non era nello stato Alfonso a potergli
compiacere.
Il Vescovo di
Cajazzo ci aspetta, e conta i momenti,
così Alfonso al suo Direttore Monsig. Falcoja a' ventinove dello stesso
Decembre: quello di Cassano lo stesso: a
Salerno anche siamo desiderati. Bisogna ci sieno Soggetti istruiti, al che ci
vuole il tempo, e, quello che più importa, dello stesso sentimento. Vedete
mandarmi presto Sportelli. Scrivendo al medesimo a' nove di Febrajo, così
replica: Padre mio, molte Fondazioni ci
si fanno avanti, ma siamo troppo pochi. Tuttavolta non diffido di Dio.
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