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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.6 Avendo Alfonso acquistato nuovi Compagni, va colle missioni nella Diocesi di Cajazzo, e fonda un'altra Casa nella Villa de' Schiavi. Vicende del Tosquez, e premura del Mandarini per l'Unione.
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Cap.6

Avendo Alfonso acquistato nuovi Compagni, va colle missioni nella Diocesi di Cajazzo, e fonda un'altra Casa nella Villa de' Schiavi. Vicende del Tosquez, e premura del Mandarini per l'Unione.


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Bonacciata la tempesta, e posto in pace il cuore, godeva Alfonso nella solitudine di Scala un Paradiso anticipato. Tutta la numerosa famiglia, non consisteva, che fra lui, lo Sportelli, ed il fratello Vito Curzio; ed uscendo egli ad operare collo Sportelli ancor secolare, non componevala, che il solo Curzio. Questi, ancorchè Laico, e solo, non mancava, con edificazione di tutta Scala, toccare la Campanella per gli Atti comuni nelle ore determinate. Egli era il primo, ed egli l'ultimo ad entrare ed uscire di Chiesa, e solo soddisfaceva, diciamo così, ai doveri di una moltitudine. In questo desolato Romitaggio se la divertiva Alfonso tra esso, e Dio.

A poco a poco però vide di nuovo, con sua consolazione, popolata la Casa, parte da' soggetti per essere ammessi in Congregazione, e parte per coadjuvarlo nelle Missioni. Godeva Alfonso, vedendo non defraudate le sue speranze; e sembrava a tutti quella Casa un picciolo Paradiso. Qui non si pensa, così scriss'egli a 14 Luglio in Castellammare al Sacerdote D. Giuseppe Cerchia, a casa, a parenti, a guai: si pensa solo ad amare Iddio, e fare perfettamente la sua volontà.

 

Tra questo tempo, passò Alfonso ad abitare coi Compagni in una Casa detta di Anastasio, ma disadatta non meno della prima. Consisteva questa in quattro picciole stanze, ma così scommode, che restringer si


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dovevano i letti fino a quattro per ogni stanza: se non si vuol dire, che formavasi della stanza un solo letto per tutti. Ancorchè mi si fossero individuate le circostanze dai Padri Villani, e Mazzini, curioso, volle portarmi nella Città di Scala, per osservare di persona questa pomposa abitazione.

Faceva capo alla Casa una sala larga palmi diciotto, e lunga quattordeci. Questa destinò Alfonso per Oratorio comune; e nel mezzo vedevasi situato, a vista di tutti, un gran Crocifisso, ma così straziato, che attirava le lagrime a chiunque.

Per Chiesa adattò Monsignor Santoro un sottano di palmi sedici in quadro, che aveva piuttosto figura di catacomba, che di Chiesetta. La povertà regnava da pertutto e nella Casa, e nella Chiesa. Non avendosi un tabernacolo per riporvi il Divin sacramento, lo ripose Alfonso in una scatola, che rese abbellita con fettucce e pannicelli di seta. Poverissimo era l'altare, ma adornato il meglio che si poteva con rose e carofali artificiali. Tuttavolta questa picciola Chiesa ispirava divozione, e raccoglimento. Quivi Alfonso, e tanti de' suoi consumavano parte della notte orando, o strappando a terra un poco di sonno avanti  Gesù Sacramentato.

 

Sortita la divisione tra Alfonso, ed i compagni, non mancò nella Città di Scala lo spirito di penitenza, e di orazione, che anzi dai nuovi Missionarj si accrebbe di vantaggio. Anche in questo tempo, tutto era tra i soggetti crocifissione e maceramento di se stessi. Alfonso specialmente si segnalava al solito più che ogni altro nello strapazzo del proprio corpo, e facendosi capo a tutti coll'esempio, maggiormente animavasi ognuno a volerlo imitare.

Vedevasi nella Città di Scala affianco di questa casa di Anastasio, una grotta mezzo rovinata, dove si vuole, che faceva di se giornalmente un'aspra carnefioina.
Vi è tradizione tra quei Cittadini, che ivi più volte, martorando se stesso, li sia comparsa la Vergine, ed abbialo arricchito con molti doni. Anche avanzato in età sospirava Alfonso, potevasi dimenticare di questa grotta. Mi attesta il Canonico D. Angelo Criscuoli, che andando a Scala, non lasciava visitarla, e sentivasi tutto fuoco esclamare: Oh grotta mia: oh grotta mia: oh potessi godere di questa grotta. In buon senso questa grotta, era per Alfonso, quella mistica cella, donde ne usciva tutto ebrio di amor di Dio, e tutto zelo per la salvezza delle Anime.

 

Non erano passati i quattro mesi dalla dolorosa divisione, che Alfonso con questi nuovi Compagni, si vide in istato di uscire in Missione. Predicò la penitenza nel mese di Luglio nella Città di Ravello, e diede gli Esercizj anche al Clero. Verso Settembre si portò con quattro altri a Raito, ed a Benincasa; e nel Novembre, con somma soddisfazione di Monsignore Scorza Arcivescovo di Amalfi, andò colla santa Missione in tre Casali nel ristretto di Aggerola: cioè in San - Lazaro, in Campoli, ed in Pomerano. Quivi diede ancora gli Esercizj a molti


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Ecclesiastici, che concorrevano dai vicini Casali, e furono per tutti di sommo profitto. Così seguitò a fatigare in altri luoghi della Costa sino alle feste di Natale.

 

Fu consolato da Dio Alfonso tra queste Missioni, col vedersi in Congregazione il Sacerdote D. Gennaro Sarnelli, quanto amico di cuore, altrettanto uniforme nello spirito. Nel principio di Gennaro, volendolo compiacere, si portò col medesimo, per dare gli Esercizj, nella Baronia de' Ciorani. Ancora è viva tra quei naturali, la memoria di queste prime fatighe, che Alfonso fece in quella Terra, non meno a beneficio proprio, che con profitto de' Casali, che vi concorrevano.

 

Sin dall'anno antecedente, erasi dichiarato Monsig. Vigilante Vescovo di Cajazzo, di volere in quella Diocesi, perchè piena di ville, e manchevole di Operaj, una Casa della nascente Congregazione. Prese di mira a tal effetto, nello stato di Formicola, tenuta dal Principe di Columbrano, una Chiesa di ragione del pubblico, con mediocre abitazione, nel Castello, che dicesi, de' Schiavi, dedicata a Maria SS.

Ottenuto il consenso de' Reggimentarj, ed anche quello del Principe, e l'assenso dell'Augusto Re Carlo, allora Re di Napoli, invitò Alfonso sulla fine di quest'anno a volersi portare colla Missione nella Città di Cajazzo. Vi fu Alfonso sul principio di Gennaio 1734 con tre altri compagni. Questa missione invogliò maggiormente i Diocesani per la sospirata nella Casa della Villa. Fu tale il frutto, e furono tanti i prodigj, che per suo mezzo operò la Grazia, che si vide tra tutti una generale riforma. Avrebbe voluto Monsignore, che disteso si fosse in altri luoghi della Diocesi; ma soddisfece solo il Casale di Dracone, luogo quanto popolato, altrettanto di spirituale ajuto.

 

Fra i tanti, che si vedevano impegnati, per questa Fondazione, era il Giovanetto D. Saverio Rossi del Casale di Regale, di fresco asceso al Sacerdozio. Sono i Rossi Patrizi Capuanj, ricchi ancora di facoltà temporali, come lo sono nello splendore de' natali.

Questi prese a petto la Fondazione; e fin dall'anno antecedente avevala intavolata con Alfonso, e con Mons. Vigilante. Egli fu sollecito pel consenso del pubblico, e del Principe: a costo suo aveva ammanito del materiale; e fatto venire un'Architetto nella Villa, aveva ideata l'abitazione, e posto mano alla fabbrica. Vedendo Alfonso la bell'Anima, ch'era D. Saverio, e la sua sollecitudine per quelle nuova Casa, graziosamente li ripeteva: D. Saverio, Iddio vuole Voi, e non la Fondazione. Profetava: ma i giudizj di Dio non erano ancora per isvelarsi. Amava l'Opera il Rossi, e voleva la Fondazione; ma se ammirava in Alfonso una vita così povera e stentata, non aveva il coraggio di abbracciarla.

Una mattina, che tutto altro pensava, si offerse, per sua divozione, a servirgli la Messa, veggendo, com'ei dicea, sull'Altare non un uomo, ma un Serafino, si sente


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delle mosse a seguitarlo. Alfonso che avevalo preso di mira, non lasciava anch'esso di mira, nell'atto del Sacrificio, di far violenza al cuore di Dio, per guadagnarlo. Fu tale l'urto della Grazia in D. Saverio, e furono così efficaci le preghiere di Alfonso, che sel vide gettato ai piedi, terminata la Messa, e tutto lagrime chiedere di essere ammesso in Congregazione. Sospese il passo Alfonso, volendo provare la di lui costanza; ma tali segni diede il Rossi di sua fermezza, che Alfonso non difficultò aggregarlo tra' Candidati fu questa un'altra pietra angolare di nostra Congregazione: vi fece del bene, e vi morì da Santo, com'è noto.

 

Troppo a genio di Alfonso fu questa Fondazione della Villa, perchè nel centro di quattro Diocesi, cioè Capua, Cajazzo, Caserta, e Piedemonte, e tutta circondata da quantità di Villaggi e Casali.

Sul principio di Marzo si vide effettuato quanto bisognava. Quattro stanze in pian terreno di fianco alla Chiesa, abitazione dei Romiti, vennero cedute pe 'l soggiorno de' Soggetti, e quattro Cappellanie giornali non più, che a carlino, furono assegnate per sostentamento. La Chiesa restò come prima in proprietà del pubblico, ed i Padri non ebbero, che il solo uso per le funzioni del proprio ministero. Questo fu tutto il fondo, e tutta l'abitazione per una casa di Missionarj: ma Alfonso cercava Anime, e non danaro, e contentavasi per se, e per li suoi, come la sua avvocata S. Teresa, di una casuccia, e di una campanella.

 

Non fu lento Alfonso, effettuata che fu la Fondazione, ad intrecciare, come aveva fatto nella Città di Scala, varie opere in sollievo di quei naturali, e degli altri Casali circonvicini. Vaglia per questo, la testimonianza, che me ne fa D. Carmine Festa Arciprete del medesimo luogo.

"Non lasciava, così egli, mandare delle Missioni, non solo nello Stato di Formicola, ma facevalo benanche in altri luoghi di queste vicinanze, ed egli era il primo ad andarci. Ogni Giovedì esponeva il Venerabile, e vi predicava: così ogni Sabbato anche predicava delle Glorie di Maria Santissima. Ogni mattina di Domenica vi era la Congregazione degli uomini, e venivano i Fratelli le tre, e quattro miglia di lontano. Anche di presente ve ne sono molti tra vivi, che conservano lo spirito di veri Cristiani. La Domenica al giorno predicava, e dopo la Predica si faceva dai detti Fratelli, e dal Popolo anche la Via Crucis. Ogni mattina vi era l'orazione mentale al Popolo, ed ogni sera la Visita al Sacramento; ma nella Domenica si faceva la Dottrina ai figliuoli, e si dispensavano ai più poveri dell'elemosine".

 

Non tanto fu conchiusa la Fondazione, che animati si videro i terrazzani per la fabbrica. Anche le prime Gentildonne de' vicini Casali vedevansi unite col popolo al trasporto de' materiali. Tutto era allegrezza, e fervore. Alfonso stesso era il primo, che some facchino si


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sottometteva al travaglio. Pregato dai Gentiluomini a voler desistere, con un sorriso rispondeva: tutto è poco: anch'io voglio esser a parte del merito comune.

Oltre il Festa, confessano altri, che un giorno non fu per mancarci un caso funesto. Una povera donna, chiamata Anna Maria Perrella, nell'atto che trasportava una gran pietra, le cadde sopra dall'alto dell'andito un altro sasso ben grosso, e talmente la colpì, che cadendo, si credette già morta. Alfonso in vedere il pericolo da lontano, entra di fretta in Chiesa: e tanto fu il prostrarsi avanti la Vergine, quanto vedersi la donna fuori di pericolo: si accorre, e trovasi ridente e tutta lieta.

Tra i tanti che concorrevano all'Opera, vedevasi tutto fuoco per la fabbrica, il novizio Rossi. Questi; quanto ritraeva da un suo pingue Beneficio, tutto impiegavalo in sussidio di quella. Questo anche è poco. Sollecito andava in cerca per quei Casali di altre limosine, e più sollecito assisteva sopra gli operaj, accostando materiale, ed accorrendo per ogni dove, senza far conto di acqua, di sole.

 

Si fermò Alfonso in questa Casa fino ad Agosto: quivi restò consolato da Dio colla venuta in Congregazione del Sacerdote D. Giovanni Mazzini, quello stesso, che nella Città di Scala avevalo animato alla grand'Opera. Sino a questo tempo il saggio Gesuita negato aveva al Mazzini il permesso di ritirarsi. Tenevalo a bada, non sapendo l'esito della novella Congregazione; ed anche di presente, abbondando in maggior cautela, stimò di metterlo al proprio Provinciale. Era tale la probità, santità, e saviezza del Mazzini, che Alfonso non difficultò proporlo per esemplare ai Soggetti, e destinarlo Rettore di una Casa non che bambina, ma nascente.

 

Nel tempo istesso, che fu consolato Alfonso colla veuta del Mazzini, restò afflitto non poco per un Chierico di gran valore, che con violenza li fu strappato. Erasi ritirato in Congregazione il Giovanetto D. Michele de Alteriis di Panecocoli Casale di Napoli: avendolo avuto a male il Padre, sconvolse il Mondo, mancò assalire la Casa de' Missionarj anche con gente armata. Alfonso, volendo salvare il povero Giovane, lo fugò di notte in Cajazzo. Furono tali i risentimenti del Padre, e de' suoi, che, prevedendo di peggio l'Eminentissimo Pignatelli, persuase Alfonso a rimandarlo in Casa. Troppo cara, disse Alfonso, costerà questa vittoria. Difatti non tanto giunse in casa, che il Padre si vide morto il figlio primogenito; e nel colmo dell'afflizione si lasciò dire: Io ne ho tolto uno a Dio,  e Dio n'ha tolto un altro a me. D. Michele non però fu benedetto da Dio, perchè ubbidì alla voce del suo Pastore, fu indefesso Operario, e morì in concetto di Santità, come rilevasi dalla di lui Vita, che ne fu scritta, e data alle stampe.

 

In Settembre si portò in Cajazzo per gli Santi Esercizj al Clero,


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ed a quel Seminario. Indi passò colla Missione a Fondola, ed a Strangolagallo; dovunque si portò fece meraviglie di conversioni col suo zelo, e colle sue fatighe.

 

Non fu meno ammirabile la vita di Alfonso nella Villa, di quello lo fu nella Città di Scala. Oltre tanti altri, abbiamo testimonio di questo, il Sacerdote D. Crescenzo Camardelli convivente allora con Alfonso. "Ogni giorno, così questi, mangiava ginocchione, con un gran sasso pendente dal collo: il suo vitto era di ordinario una sola minestra senza carne, ma condita con lardo, o olio; e se ne' giorni solenni vi si aggiungeva un poco di carne, questa si aveva per limosina dalla casa de' Rossi. Quasi ogni sera si aveva pan cotto, ma il P. D. Alfonso, condivalo, e così condiva anche la minestra, con centaurea, o altre erbe amare. Non vi era vino per esso. Oltre la disciplina comune più volte la settimana, di continuo si flaggellava nella propria stanza, e vedevansi le mura asperse di sangue. Andava così carico di cilizj, che a stento poteva camminare. Dormiva pochissimo: il suo guanciale non era, che un pezzo di tufo, ed il suo pagliaccio era così scarso, che veniva a stare con le ossa sopra le tavole.

Somma era la sua umiltà, così siegue il Camardelli. Prima, o dopo aver mangiato, baciava i piedi a tutti. Non si radeva mai la barba, ma se la tosava esso medesimo con una forbice. La sua sottana era così lacera, e rattoppata, che non si conosceva la prima forma. Non fece mai uso di cavallo, ma o a piedi, o cavalcava un somaro. Essendosegli detto una volta, che un somaro non era atto a portarlo, rispose: questo è buono per me. Il fatto fu, che essendosi incontrato in un pantano carico di acqua e fango, cadde il somaro, ed egli, essendosi ritrovato di sotto, si vide in pericolo di rompersi una coscia".

 

Accenna il Camardelli anche lo spirito di raccoglimento, che vi era tra Soggetti: "Per tutto, ei dice, vi era in Casa un continuo silenzio: solo un quarto prima delle ventiquattro si univa il P. Liguori coi Compagni, e non si parlava, che delle cose eterne, dell'Amore di Dio, delle gesta de' Santi, e dello zelo delle Anime. Anche l'ora della ricreazione dopo tavola, era tra tutti una continuata conferenza di cose divote. Ognuno doveva raccontare ciocchè nel decorso della giornata letto aveva nelle vite de' Santi. Questo tenore di vita esigeva il P. Liguori da' suoi Congregati; ed egli, oltre l'Orazione in comune tre volte al giorno, si vedeva in una continuata Orazione; e non trattava con altri, che per necessità.

 

Questa nuova Casa fu un richiamo in Congregazione di varj Sacerdoti e Giovanetti. Faceva rumore da per tutto la novità dell'Istituto, e molto più la santità di Alfonso: l'uno e l'altro animava ognuno a concorrerci; ma, come si spiega il Camardelli,


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se i soggetti venivano a torrenti, anche a torrenti se ne ritornavano, non potendosi da tutti soffrire una vita così stentata, ed una povertà così estrema, in cui si viveva.

 

Tra questo tempo vi è cosa del Tosquez, e del Mandarini, che non istimo tralasciarla. Essendo morto al Tosquez un fratello, che risedeva Ministro nella Corte di Vienna, dovette portarsi per gli suoi interessi, in quella Capitale. Passando per Roma nel Novembre del 1734 fu da Papa Clemente XII per ottenere con dispensa il Sacerdozio; ma non tanto vi giunse, che fu conosciuta l'abilità, che aveva per le cose politiche, ed economiche. Fattone inteso il Papa, lo fermò; e destinollo Visitatore di tutt'i Porti, che si avevano nell'Adriatico. Ogni settimana lo voleva in secreto alla sua udienza: ed avendo destinato per quei negozj una particolar Congregazione di Cardinali, volle, che intervenuto vi fosse col suo parere. A buon conto da Missionario, e Fondatore, si trovò il Tosquez Finanziere, e Ministro di Stato.

 

In queste date occasioni pentito essendosi delle sue strane idee, parla ed informa il Papa della grand'Opera di Alfonso. Se ne compiacque il Papa; e volendo promuovere l'Opera ditemi, li disse, che posso fare, che tutto farò.

Ritrovavasi in Roma tra questo tempo anche il Mandarini, dolente e pentito anch'esso della fatta divisione; ed essendosi, unito col Tosquez, presentato al Papa, non curando se stesso, fece giustizia ad Alfonso. Rappresentò chi egli fosse, e da quale spirito veniva animato: il suo zelo, e le sue fatiche: il grave bisogno in cui vedevansi in Regno le tante Anime disperse nei Contadi e Villaggi; e come Alfonso abbracciato aveva quest'Opera, aperte più Case, e seguito vedevasi da molti Operai.

Compiacendosi il Papa dello zelo di Alfonso, e dell'Opera intrapresa, si esibì di nuovo per tutto quello in che poteva giovare. Vedendo il Mandarinibelle disposizioni nel Pontefice, presente ad Alfonso quanto passava in Roma; e dove prima voleva, che Alfonso dovesse uniformarsi ai sentimenti suoi e de' Compagni, di presente, mutato il linguaggio, vedevansi esso, e tutti uniformati al sentimento di Alfonso: "Essendoci, gli scrisse, una tal disposizione nel Capo della Chiesa, stimo, e così vi pregano gli altri, doversi degnare riunire nell'ovile le distratte pecorelle, acciò uniti possiamo cooperarci per la gloria di Gesù Cristo, e per lo bene delle Anime".

Si vide confuso Alfonso in vista dei sentimenti del Mandarini: si compiacque delle disposizioni in che era il Papa; ma non istimando utile per se, e per gli suoi l'unione, temporeggiò, e risposta non diede inclusiva, esclusiva.




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