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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap. 9 Si avanza Alfonso colle Missioni in altre Diocesi. Persecuzione insorta nella Villa, e dismessione di quella Casa.
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Cap. 9

Si avanza Alfonso colle Missioni in altre Diocesi. Persecuzione insorta nella Villa, e dismessione di quella Casa.

 


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Oltre delle tante Missioni già fatte da Alfonso nel 1737, che non sono poche, prima di ogni altro luogo si vide obbligato dal Superiore della sua Congregazione di Propaganda a portarsi in Napoli per la Missione, che aprir dovevasi a 26 Ottobre nella gran Chiesa dello Spirito Santo. Troppo premeva aver Alfonso per questa Missione. Temendo il Superiore per li passati anfratti restarne deluso, si adoprò presso Monsig. Falcoja suo Direttore, per averlo con maggior sicurezza. Come mi si disse, ci vorrebbe un volume a parte, se registrar si volessero le tanti conversioni, che in questo tempo si videro in Napoli operate da Dio per mezzo di Alfonso.

A stento essendosi disbrigato da questa Missione passò nella Costa di Amalfi. In Maiori specialmente vi è peranche memoria del gran profitto, che vi fece. Tra l'altro vi fu una povera Madre, cui barbaramente era stato ucciso un figlio. Questa, qualunque mediazione, e preghiera adoperate si fossero anche da persone di sommo riguardo, sempre si era dimostrata in non voler perdonare l'uccisore. Intervenendo alla predica, fu così tocca nel vivo da Alfonso, che non ebbe difficoltà portare in Chiesa


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una sera a vista del Popolo, la remissione per l'uccisore, e posarla con tenerezza di tutti a i piedi del Crocifisso. Avendo dato gli esercizj a' Preti, ed essendoci intervenuta quantità di Ecclesiastici da i luoghi vicini, vi stabilì in beneficio delle Anime una Congregazione di ferventi operaj, che fece in seguito un gran bene ne'rispettivi luoghi della Costa.

 

Passò da poi Alfonso nel Casale di Pandoli in Diocesi di Salerno, luogo di secento, e più anime. Anche in questa picciola Missione lo benedisse Iddio, con vantaggio di quel Popolo, e di altri Casali, che sono dintorno. Avendo inteso le Monache Carmelitane del Monistero di S. Giorgio, Feudo de' Signori - Sarno -Prignano, le rare qualità del Missionario, e come per suo mezzo comunicavasi Iddio alle Anime, anch'esse lo vollero per comiune consolazione. Vi fu Alfonso, e coi Santi Esercizj vi operò del gran bene in quel sagro luogo. Vi erano, non v'ha dubbio, in quel Monistero delle Anime, molto elevate in santità: ma con questi Esercizj si vide in quella rispettabile comunità un fervore tutto singolare. N'è così viva la rimembranza di quello, che operò la Grazia per mezzo di Alfonso, che tuttavia se ne raccontano i prodigj.

 

Da Sanseverino, chiamato da Mons. Liguori suo Zio, si portò Alfonso nel Casale di S. Lucia in Diocesi della Cava. Era molto bisognosa di ajuto quella popolazione; ma dove sovrabbondava il peccato, ivi fece la Grazia i suoi soliti portenti. Quanti abusi vi erano, tutti si videro diradicati. Remissioni di gravi offese, restituzioni grosse, e senza numero, scandali tolti, tutto fu a fascio. Tra l'altro pose Alfonso in tale aspetto l'eccellenza della Castità, e rese così invogliata quella numerosa gioventù, che cinquanta e più zitelle, di per se si tosarono i capelli, protestandosi tutte non volerne più sapere di marito; anzi tra queste ve n'erano molte, che anche avevano data parola di matrimonio. Lo dissero, e l'attesero, e fu così grande il fervore di queste, e di altre non poche giovanette, che Alfonso eresse con compiacimento comune, una fioritissima Congregazione, sotto la guida di un santo Sacerdote.

 

Viveva troppo contento Monsig. Vigilante in Cajazzo per la residenza de' nostri nella Casa della Villa. Tutto in Diocesi vedevasi benedetto da Dio con profitto de' Popoli, specialmente nella Villa, e ne' luoghi adjacenti. La fabbrica, essendosi avanzata, già vi si erano aperti i santi Esercizj, ed oltre de' Sacerdoti, e de' Giovanetti ordinandi, che dalle Diocesi circonvicine vi concorrevano, si vedeva piena la Casa, anche in ogni tempo, di Sacerdoti, e Secolari per riveder tra essi, e Dio le partite della propria Anima.

Come Alfonso vi capitava, così si vedeva tutti impegnato nelle Opere di pietà, piantandone delle nuove, e consolidando le antiche. I suoi non mancavano girare


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da per tutto, catechizzando i popoli, estirpando i vizj, ed innestando varj semi di virtù Cristiane. La Congregazione de' Bracciali, ed Artisti era giunta in questa Casa a dugento e più fratelli, che convenivano da varj Casali, e rifiorir vedevasi da giorno in giorno. Era così grande il fervore di questi buoni Fratelli, che facevano anch'essi da Missionarj nelle piazze, e per le campagne, tirando Anime a Dio, e distogliendole dal peccato. Comune era in ogni luogo la presenza de' Sacramenti: Anime di orazione, ma Anime grandi, si vedevano in ogni Casale: non vi erano, come per l'innanzi, amoreggiamenti indoverosi, ma si trattavano i matrimonj con tutta onestà, e decoro.

Questo gran bene, ed altro, che vedevasi piantato nella Villa, e negli altri Casali, consolava Monsignor Vigilante. Soprattutto quello, che più gli slargava il cuore, erano i Giovanetti Cherici, che facevano la speranza della Diocesi, e venivano coltivati nel santo timor di Dio da Alfonso, e dagli altri Missionarj. Se questi, diceva Monsignore, non avessero un tale ajuto, perchè lontani dalla Cattedrale, non sarebbero per crescere, che troppo discoli, e selvatichi.

 

Doveva per necessità un tanto bene esser d'invidia al Demonio, e temendone di vantaggio, prende di mira la Casa, si diede indietro, se non la vide spiantata.

Vi erano taluni in quei Casali, che non soffrivano aver i Missionarj giudici, e censori de' loro vizj. Fra questi, come mi attesta l'Arciprete D. Carmine Festa, vi era un prepotente Sacerdote, che con iscandalo viveva perduto con una donnaccia. Vedendosi attraversato dai nostri ne' suoi pravi disegni, animato dal Demonio, ne cercò la rovina. Tutto il fondo di questa Casa, come dissi, non erano, che quattro misere Cappellanie tassate a carlino. Questi, sotto pretesto di zelo per li Preti paesani, unito cogli altri si diede a borbottare, non esser conveniente, che si mangiasse da' forestieri il pane, ch'era dovuto a' Cittadini; e che essendoci altra Messa nel paese anch'essi se l'attrappassero i Missionarj. Questo punto a poco a poco andò titillando i Preti, i parenti de' Preti, e quei, che potevano aver de' Preti in Casa. Spacciavano anche di continuo, che questi pidocchiosi non eransi situati nella Villa, che per impoverire gli altri, ed arricchire se stessi.

Tratto tratto ingrossati gli animi, si diede di piglio al costume. Spacciavano i Missionarj per tanti ippocriti, che una cosa predicavano, ed altra eseguivano. Che il P. Liguori, era uno di questi, e che poi vendeva santità, e giustizia. Ma non ebbe qui termine l'iniquità. Vi fu chi disse, che di notte i Missionarj si abusavano in Casa di una donna; e questa animata, e pervertita, ebbe la temerità asserire in giudizio averci avuto commercio, non eccettuandone Alfonso; anzi disse che egli più di tutti erasene abusato, e riportavane in contesto le grosse mancie


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ricevute. Queste prime mosse, non fecero senso ad Alfonso, persuaso che le Opere di Dio non vanno esenti dalle persecuzioni: solo inculcò ai suoi maggior cautela nel trattare, e di aiutarsi con Dio colla Penitenza, e coll'Orazione.

Non contento il buon Prete, ed i suoi aderenti aver adombrato i cuori di tanti, prevenne ancora con falsi rapporti l'animo del Barone. Vedendo Alfonso assecondare i lampi colla tempesta, temendo il tuono, non mancò portarsi dal Barone, e richiederlo di sua protezione, Questi, perchè prevenuto, no 'l ricevette che con sommo sgarbo; anzi volgendosi ai suoi sorridendo disse: oh che puzza di Romiti. Con mal garbo lo ricevette, e con maggior disprezzo lo rimandò di casa. Favorì i malevoli, e si cooperò non poco contro Alfonso.

 

Si avanzarono i passi, e le calunnie. Varj ricorsi vi furono ne' Tribunali di Napoli; e non avendosi, che guadagnare presso il Delegato della Regal Giurisdizione, presso altri Ministri, che ben si sapeva l'onestà di Alfonso, e de' suoi, si venne alle violenze. Essendosi portato il nostro Laico per dare di mattino il segno dell'Angelo del Signore, se li fe avanti con altri facinorosi, uno degli Economi della Chiesa, e con atto violento li strappa di mano le chiavi, serra la Chiesa, e carico di vitupero lo rimanda a casa. Temendo altri di questi, che, unito il popolo a favore de' Missionarj, non violentasse la porta, anche con armi da fuoco si fecero da sopra del campanile, per impedire, se vi era attentato. Non contenti i malevoli del continuato strapazzo, che facevano dei nostri, si diedero ancora a minacciar chiunque si dimostrava interessato. Avanzata la rabbia, bloccarono ancora, diciam così, la Casa, inibendo a tutti, anche con minacce, qualunque commercio coi medesimi.

Reso serio l'affare, tutti in Napoli consigliarono Alfonso abbandonare la Villa. Pianse il Vescovo, pianse il popolo, e tutto fu lutto in quel vicinato. La notte de' dieci Giugno 1737 scuotendosi i Missionarj la polvere dalle scarpe partirono di Villa per Cajazzo, e non furono ricevuti dal Vescovo, che tra lacrime e singhiozzi.

 

Non fu indifferente per questi tanti attentati la giustizia Divina. Se soprabbondò il peccato nella Villa, mi contesta il medesimo Arciprete, soprabbondò ancora la sua indignazione.

Quella donnaccia, che ratificato aveva in giudizio, l'asserita impostura dell'infame commercio avuto con Alfonso, e Compagni, si vide inverminita la lingua, ed in tale stato, che non fu capace di Sacramenti. Conoscendo la gravezza del suo peccato, entrata in se stessa, ritrattavasi con tutti la miserabile, e pubblicò come infamia, quanto detto aveva di Alfonso. Nicola Masucci, anch'esso concorso alla calunnia, morì tra poco da disperato, e latrando come un cane.

Giambattista Ricciardi, anche uno de' principali persecutori, non finì di vivere, che dando urli tra dolori spasmodici. A Pietro Isolda, che andava accattando


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falsi testimonj, ed abbozzava le deposizioni, s'inaridì la mano: un figlio unico, che aveva, li morì poco dopo; ed egli impazzito si vide nell'ultima miseria. Pietro Paolillo, ancorchè giovane e robusto, fu sorpreso da morte violenta, appena partiti i Missionarj.

Similmente un certo Antonio Masello, che, per aver avuto un sacco di grano dal consaputo Sacerdote, aveva più volte ratificato il falso, morì impenitente, senza Sacramenti, e senza assistenza di verun Sacerdote. Attestano tutt'i vecchi, che quanti ebbero mano in perseguitare i Missionarj, tutti furono oggetto delle Divina Giustizia.

Fra tutti questi disgraziati, uopo è dire, che non voleva Iddio la morte del misero Sacerdote, autore di tanto male, ma che convertito si fosse, e vivuto alla grazia.     Appena partiti i Missionarj, essendo insorto un fiero temporale sopra della Villa, un fulmene cascò ai piedi dell'infelice nella propria sua stanza, tramortì, e per un quarto d'ora non ebbe sensi. Questo, che fu avviso del Cielo, non fu curato: restò spaventato, ma non ravveduto.

Essendosi per esso cambiato l'animo del Principe, si vide malmenato e perseguitato: Monsig. Vescovo, per li suoi scandali, lo sospese dalla Messa; ed a capo dell'anno dacchè partirono i nostri, fu ritrovato una mattina quasi sotto del letto, soffocato nel proprio sangue.




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