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Cap.10
Prosegue Alfonso il corso delle Missioni: abita la
nuova casa de' Ciorani, e dismette quella di Scala.
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Troppo largo Campo si
aprì ad Alfonso in fine dell'anno 1737, e principio del trentottesimo. La prima
Missione fu nel Casale di Carifi, luogo poco distante dai Ciorani; ed indi nel
Casale di Acigliano. In Gennajo si portò nello Stato di Forino, luogo
bisognoso, ma popolato da molti Casali. In seguito fu nella Contrada, alla
Penta, e nella Baronia di S. Giorgio, senza che tralasciato avesse il picciolo
villaggio chiamato Ajello.
Questa Missione di S.
Giorgio fu da Dio benedetta con modo particolare. Tutto fu commozione in questa
Terra, e nei Casali vicini. Non si vide più uno scandolo, nè per un pezzo
s'intese bestemmia, o altra parolaccia: spopolati si videro le taverne, e
popolate le Parrocchie. Piantò la frequenza de' Sacramenti, la divozione a
Maria Santissima, la Visita ogni sera alla Vergine, ed a Gesù Sacramentato; nè
ci era Casa ove non si sentisse recitare il Santo Rosario. Più di tutti ne
profittarono i Preti; e fino a questi ultimi tempi sono sopravvissuti ottimi
Sacerdoti, o convertiti, o migliorati da Alfonso colle sue prediche, e colle
sue istruzioni.
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In questa Missione
diede a divedere la Vergine quanto
Alfonso le fosse caro. Quello che in Scala succedeva di nascosto, quì si fe
palese. Una delle sere predicando Alfonso le sue grandezze, ed animando il
popolo ad ossequiarla, fu sorpreso da tal estro amoroso verso Maria Santissima,
che a vista del popolo elevato si vide più palmi sulla cattedra, e nel tempo
istesso un raggio risplendente, che, uscendo dal volto della statua della
Vergine, andava a fissarli in faccia ad Alfonso. Anni sono, oltre tanti altri,
erano ancora tra vivi il Parroco D. Silvio Corvino, ed il Sacerdote D. Domenico
Sarno, che attestarono al nostro Padre Villani un tal favore. Questo fe fare una
maggior idea di Alfonso, e le sue parole maggiormente penetravano i cuori.
Chiamato da suo Zio
Monsig. Liguori, già Vescovo della Cava, andò in seguito colla santa Missione
nel Casale di Priati. Una Zitella, che la sera doveva sposare, sentendolo
parlare dei pregi della Verginità, restò così presa per questa virtù, che da se
si tosò i capelli, né più volle saperne di nozze. Di là ritornò di nuovo
Alfonso nello Stato di Sanseverino, e predicò la Penitenza ne' due Casali di
Villa, e Pellizzano.
Se tanti Vescovi erano
a parte delle fatighe di Alfonso, giustizia voleva, che si preferisse a tutti
Monsignor Falcoja in Castellammare. Era molto bisognosa questa Città di
spirituale soccorso. I traffichi, che vi sono, i commercj marittimi, il
concorso che vi é di ogni Nazione, non potevano non adulterarne il costume. Vi
si portò Alfonso con altri nove Compagni.
Fu lunga la Missione,
perché grande si sperimentava il bisogno; ma non fu poco il profitto, che si
ricavò da ogni ceto di persone. Vi furono delle riconciliazioni, ma sincere:
molti scandali si videro tolti: tante donnacce, se non lasciarono, sospesero
almeno per un pezzo i loro negoziati, ma tante si diedero di vero cuore a Dio.
Varj traffichi non leciti o furono banditi, o moderati: non vi mancarono delle
grosse restituzioni: certe opere magiche, usuali, ma diaboliche, tra marinari,
si posero in orrore. Tutta la Città spirò divozione; e tra l'altro si vide in
tutti maggior concorso nelle Chiese, e maggior frequenza dei Santi Sacramenti.
Soddisfatta
Castellammare, passò Alfonso nella Costa di Amalfi. Predicò la Penitenza in
Conca, e nel luogo detto il Furore; e con questo diede fine alla Campagna nella
Primavera di quest'anno.
La fabbrica della nuova
Casa ne' Ciorani, uopo é dire, che non fu fatta a martello, ma a getto, tanto
fu la sollecitudine del P. Rossi, e molto più quella de' Cittadini, che n'erano
invogliati. Stimavasi da tutti un miracolo, come in poco tempo si vedesse
perfezionata; ma graziosamente il P. Sportelli ad un Gentiluomo, che non finiva
di meravigliarsi: Questo vi fa
meraviglia, disse, il miracolo si è,
che non rovina, - 118 -
e si mantiene; ed un miracolo ci voleva
per una fabbrica acciabattata alla peggio, ed architettata da tal maestranza.
Gioiva Alfonso, perché vi signoreggiava la povertà, e la miseria; e perché a
portata di abitarsi dai suoi, e dare ad ognuno una cella.
Perfezionata la
fabbrica, e postasi in affetto una piccola Chiesa, si lasciò quella di S.
Sofia, e s'incominciarono le funzioni nella propria. Corrispondeva la Chiesa al
totale della fabbrica, ma nella sua povertà, si risplendeva la pietà e la
divozione. Situò Alfonso a capo di quella sua diletta, ma bellissima statua di
Maria Santissima, sotto il titolo del Patrocinio, quell'istetta, avanti di cui
nella casa di Alteriis in Napoli si tratteneva coi primi Compagni ne' suoi
soliti ritiramenti.
Sopra del quarto, anche
col permesso di Monsig. Arcivescovo, adattò una spaziosa, ma povera Cappella,
per porgere in tempo delle sacre Ordinazioni gli santi Esercizj a' Chierici
ordinandi, ed a tanti Secolari, ed Ecclesiastici, che tuttogiorno
intervenivansi.
Il comodo della casa
accrebbe il concorso de' Forestieri, e per ogni dove di altro non si parlava,
che del gran frutto, che ricavavasi ne' Ciorani delle meditazioni di Alfonso, o
di altro Congregato. Era tale il concorso, che Alfonso, ed i nostri spesso
spesso vedevansi costretti, massime nelle Missioni generali, col pagliaccio in
spalla, situarsi, e dormire o sopra una cassa, o al più a terra nella stanza
del forno. Maggiormente si accrebbe in questo tempo il concorso de' penitenti
ne' Ciorani. Essendo stato eletto, per la morte di Mons. Fabrizio di Capua,
Vicario Capitolare di Salerno l'Arcidiacono D. Francesco de Vicariis, questi a
30 Marzo 1738 destinò Alfonso Penitenziere Maggiore di tutta l'Archidiocesi.
Autenticato l'impiego della santità del Soggetto addivenne Basilica di S.
Pietro la nostra Chiesuola di Ciorani.
Respirò, e videsi quasi
in Paradiso, Alfonso in questa nuova Casa. Rimise subito in tutto rigore
l'osservanza, che l'angustia del luogo non aveva permesso. La Nitria, e la
Tebaide non videro forse ne' loro cenobj simili contemplativi, come si vedevano
nella nuova Casa di Ciorani. Una parola soperchia, non che in fallo, non si
sentiva, nè si vedeva un soggetto fuori di stanza senza necessità. Tutto era
umiltà, e somma soggezione tra tutti. La volontà di Alfonso regolava il volere
di ognuno. Non vi erano pretenzioni, né ripugnanze, ma tutti, senzachè uno
invidiasse l'altro, erano soddisfatti del loro impiego.
Avendosi avuto il
Sacramento nella propria Chiesa, si faceva a gara di notte, non chè di giorno a
chi più poteva trattenersi in corteggiarlo. Tra tutti segnalavasi Alfonso, come
mi attesta il Parroco D. Andrea Gaudiello testimonio di veduta, perchè
convivevaci anch'esso, e successe al Zio in quella medesima Pieve. La
penitenza, e la mortificazione, come mi attesta lo stesso, era la
caratteristica di ognuno, e segnalavansi - 119 -
tutti in questa virtù, vedendosi Alfonso, che non la perdonava a se stesso.
Siccome Alfonso non
mancava render stabile la sua Congregazione, così il Demonio non lasciava mezzo
per vederla abbattuta. Finora i nostri, non avendosi Casa propria, non erano
stimati nella Città di Scala, che come ospiti e passaggieri. Pensandosi da
Alfonso, e da Monsig. Vescovo erigervi una Casa, e mettersi mano alla fabbrica,
tanto bastò per intorbidarsi la pace. Pervenuta la notizia di quanto era
accaduto nella Villa, anche i Preti di Scala, vedendo fissarsi la permanenza
dei Missionarj, incominciarono anch'essi a risentirsi, e far dello strepito per
lo stesso motivo delle Messe.
L'invidia avendo preso
piede, si avanzò in modo la gelosia dell'interesse, che già i nostri
guardavansi di mal occhio. Scottato Alfonso dai travagli della Villa, senza
perdita di tempo richiamò i suoi anche da Scala. Fu questo un colpo troppo
sensibile a Monsig. Santoro: dispiacque ai buoni; ma ne godettero gl'invidiosi.
Sortì la ritirata dei nostri dalla Città di Scala a 24 di Agosto vigilia di S.
Bartolomeo nell'anno 1738.
Gran festa mi figuro
dovette farsi nell'inferno per questo trionfo. Accertò un'Anima di sperimentata
virtù favorita da Dio, e da me conosciuta tra quei Monasteri, che s'intese in
Città, in quella notte che partirono i Padri, un tripudio di cachinni e danze
tra'spiriti maligni. Non fu picciola la vittoria, che si riportò dalle potenze
nemiche, perchè grande era il bene che s'impediva. In quel tempo e nella Città,
ed in tutta la Costa più non si vedevano i soliti scandali: le bestemmie erano in
orrore a tutti: in ogni luogo frequentavansi i Sacramenti; ed anche i facchini,
ancorché feccia del Popolo, vedevansi confessarsi spesso, e frequentare le
Chiese. Quest'istessi essendo uniti, ed andando carichi coi loro pesi, si
vedevano per istrada cantar Rosarj, o canzoni imboccate da Alfonso. Questo era
lo stato della Costa, dimorandoci i nostri Missionarj.
Anche due anni dopo, da
che i nostri n'erano partiti persisteva nella Città di Scala il gran bene, che
vi avevano operato. Essendoci stato colla santa Missione il Ven. P. D. Lodovico
Sabbatini Pio Operaio, mi attesta D. Andrea Amodio, che dando la benedizione a
quel Popolo, non occorreva, disse, che noi fossimo venuti a Scala: qui non
abbiamo trovato un peccato veniale volontario. Tutto è frutto de' Missionarj,
che se ne sono partiti. Quanto siamo soliti stabilire nelle Missioni, qui
l'abbiamo trovato posto in pratica. Povero chi è stato causa a far partire i
Missionarj, e più povera la Città di Scala, che li ha perduti.
Qualche flagello, anche si vide nella partenza de'
nostri. La rendita di Scala è appoggiata sopra i castagneti. Partiti i
Missionarj, vi fu tal levantina a' ventotto dello stesso mese, che non vi restò
a miracolo una - 120 -
castagna.
Se lasciò Scala Alfonso, non lasciolla di certo col cuore. Ogni anno, o ci
ritornava, o almeno ci mandava i suoi per la solita Novena del Crocefisso, e
per gli Esercizj anche alle Monache.
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