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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.21 Sussieguono altri torbidi ne' Pagani, stando Alfonso in Iliceto. Non ancora soddisfatta ne' Pagani l'animosità de' contrari per quella Casa, altre machine si adoprano per abbatterla. Siccome negli Eletti permette Iddio, per maggiormente esaltarli, che siano malmenati, e posti a cimento, così permette, che le opere di sua maggior gloria, volendo far mostra di sua possanza, anche vengano contraddette, e bersagliate. Ognuno credeva, essendosi ottenute provvidenze, così felici in Napoli, ed in Roma, che tutto fosse superato; ma non fu così. Finora il Contaldi se lanciava la pietra, nascondeva la mano, credendo ottener l'intento per mezzo di altri; ma vedendo, che si resisteva alla Sorella, e che nulla speravasi di guadagnare; tolta la visiera, si manifestò apertamente contrario. Non tanto Alfonso partì per Puglia, che il Contaldi, avanzato l'Autunno del 1744 ritratta anch'esso la sua donazione, ed unito colla Sorella, comparisce nel Sacro Regio Consiglio. Non avendo ove appoggiarsi, si dichiara ingannato, avendosi usurpato i Missionarj il titolo di Congregazione, non essendo così stimati nè dal Re, nè dal Papa, chiamandoli il Re, ed il Papa semplici Sacerdoti. Cerca pertanto, che s'impedisca la fabbrica, protestandosi di aver fatta la donazione, non per una casa laicale, ma per eriggersi un Collegio Ecclesiastico: vuole come caduta la donazione; maggiormente che essi medesimi i Missionarj non aveano fabbricata che una casa laicale, senza forma nè di Collegio, nè di Monistero. Tal fuoco ci fu di riverbero nel Sacro Regio Consiglio, che si destinò di persona da Salerno ne' Pagani il Regio Uditore Bottone, per l'appuramento de' fatti. Essendosi trovate insussistenti le pretensioni del Contaldi, l'Uditore nell'undecimo giorno di Gennaro 1745 confermò, e pose i Nostri nel possesso de' beni donati, anche in nome del Sacro Regio Consiglio.
Questa sconfitta non avvilì il Contaldi; ma animato da' suoi si presenta al Sovrano con un ricorso pieno più di livore, che di parole. Siccome quello spirito rammemorato nel Vangelo diffidando di se; chiamò in ajuto altri sette spiriti più iniqui di lui, così il Contaldi, mancandoli le forze, e volendo ajuto, anch'esso va in giro, e fa sottoscrivere da trenta Preti un'altro ricorso al Sovrano. E' varia la rubrica de' Preti in questa rappresentanza. Vedendosi, che troppo cattivo gioco riusciva per essi il malmenare Alfonso, perchè venerato dal Sovrano, ed in credito presso il Ministero, lo chiamano zelante Sacerdote, e Missionario Apostolico, e caricano di delitti i suoi Compagni. Espongono, che avendo
accordata la Maestà Sua una casa, ma senza Chiesa, per solo ricovro de'
Missionarj, questi in pregiudizio della Città, che consentito non ci aveva, ed
in disprezzo del suo Real Divieto, erigevano Collegio magnifico, e Chiesa
pubblica. Che un ceto di uomini Apostolici, com'essi si chiamavano, anzi che
fissarsi in luogo determinato, vagar dovevano, proseguendo, secondo il Vangelo,
le orme di Cristo, e degli Apostoli. Finalmente, che sotto l'ammanto Apostolico,
questi sedicenti Missionarj tutto giorno procuravansi eredità, legati, e
donazioni in discredito del proprio Ministero, del Sacro Concilio di Trento,
che, com'essi dicevano, anche lo vieta, e delle sue reali determinazioni.
Non furono tardi, saputosi il ricorso, a voler smentire il Contaldi e i Preti ricorrenti, il Sindaco de' Pagani, e i tre Sindaci generali. Espongono al Re, che i Preti sedotti da uno spirito non buono, ammassate avevano un mondo di falsità. Dicono, che a torto si lacera la stima de' Missionarj, e che grande era l'utile che apportavano: chè in varj luoghi, ove era inaridita la dottrina evangelica, e non vivevasi poco meno, che da bruti, avevan fatto rinverdire la Fede, ed il costume Cristiano: che ne' Pagani attendevasi di continuo ad istruire la gente ignorante, e che perfezionavano nello spirito, cogli Esercizj spirituali, e con altre Opere di pietà, le persone più culte, e sopratutto animavano la gioventù discola a rimettersi, e far del bene. Che Alfonso , ed i suoi con applauso comune erano stati ricevuti da tutte le sette Università in un pubblico generale Parlamento. Falso essere gli acquisiti asseriti; che anzi violentemente spogliati si vedevano di quello, che, per sussistere, se li era assegnato; e più falso essersi loro accordata la Casa, e non la Chiesa, quando la Maestà Sua sin da' tre di Marzo 1745 si era degnata accordare Chiesa, e Casa. Chiarito il vero, supplicano volersi metter freno all'audacia de' Preti, come perturbatori del pubblico, e che si dia di piglio ai regali economici espedienti, come cosa, che ridondava in onore di Dio, a gloria di Maria Santissima, e di utile non poco al comune di Nocera. Non aveva motivo il Re Carlo, dopo tanti riscontri, che ricevuto aveva, di punto dubitare dell'integrità de' Missionarj, e maggiormente di Alfonso. Volendo non però confondere i loro contradittori, dispacciò a' venti di Febraio al Governatore di Nocera, che unendosi col P. D. Alfonso, e con Monsig: Vescovo, tutti e tre lo rendessero informato, come passavano le cose: vale a dire, che si rimise ad Alfonso medesimo. Essendoseli rappresentato dal Governatore, che Alfonso non era in quel vicinato, e che trattenevasi in Puglia colle sante Missioni, il Re a' ventotto del medesimo mese dispacciò di nuovo all'istesso Governatore, che soprasseduto si fosse, aspettandosi il di lui ritorno. Ciò non ostante fiottavano i ricorsi al Real Trono. Non premeva al Contaldi il ritorno, ma l'assenza di Alfonso, credendo con questo così esso, che gli altri impasticciare a loro volgia la relazione. Stomacato il Re per un tanto fiotto, e venendo informato dal Marchese Brancone suo Segretario del gran bene, che Alfonso operava in Puglia co' suoi compagni, sopratutto in persona de' tanti pastori, che privi di spirituali aiuti, vivevano abbandonati nel Real Tavoliere, facendo Opera sua l'Opera di Alfonso, a' tre di Aprile con altro dispaccio se sentire al Governatore, che nulla si fosse attentato contro i Missionarj, che tutto si fosse sospeso, e che Alfonso stavane in Puglia per suo real servizio.
Questa patente stima del Sovrano per Alfonso, non iscoraggì, ma aizzò i contrari, e per lo stesso motivo, che Alfonso stavane lontano, vie più cercavano aiutarsi con replicate suppliche. Essendosi portato
l'Avvocato Uriglia in nome delle sette Università, rappresentò al Marchese
Brancone, che non potendo Alfonso disbrigarsi così presto dalle Missioni di
Puglia, non era per trovarsi a tempo, e fare di concerto la relazione unito col
Vescovo, e col Governatore, come il Re aveva comandato. Similmente avendo esposto l'Uriglia la prepotenza de' Preti, ed il travaglio, che tutto giorno si dava ai Missionarj: stiano allegri, rispose il Marchese, e non dubitino. La Maestà del Re, disse, resta scandalizzata, che queste parti si facciano da' Preti, quando essi, che sono i mediatori tra Dio, ed il popolo, dovrebbero farsi di fuoco per un'Opera, che ha di mira la gloria di Dio, e la salute delle Anime.
Supplicandolo l'Uriglia di sua protezione, tanto è, disse il Marchese, pregarmi per questo, quanto invitarmi a nozze. A tre di Aprile essendoci stato nuovo riclamo de' Preti, e del Contaldi, il Re di nuovo dispacciò di non farsi la relazione, se non ritornato di Puglia il P. Liguori. Questo dispaccio non afflisse, ma costernò estremamente il Contaldi, ed ogni altro aderente.
Le piazze assalite, e non conquistate, per lo più producono certi estremi, che parti sono della disperazione. Vedendosi inutile ogni attentato, e troppo patente la protezione del Re per Alfonso, e per li suoi, un'Anima nera, unita con altri di simil fatta, volendo dare alla radice, risoluto aveva piantar due barili di polvere sotto le fabbriche della nuova Casa, e mandarla in ruina. Si aspettava il momento; e succeduto sarebbe il gran travaglio in una notte, se nella sera antecedente uno dei congiurati, tocco da rimorso interno, non ne avesse fatto inteso il Padre Mazzini. Si diede riparo in allora, e per appresso, destinandosi gente a dormirci.
Questo attentato non
disturbò Alfonso in Iliceto. Anzi in vista di tanti successi e così critici,
quall'altro Abramo facevasi forte colla fiducia divina contro la speranza
umana. Ancorchè premuto da' suoi per un sollecito ritorno, egli bilanciando il
bisogno di sua persona in Nocera, con quello che eravi in Puglia in vista di
tante Anime, che abbandonate si vedevano, non davasi pena pe' Pagani, e molto
meno per la relazione, che far dovevasi al Re in unione del Vescovo, e del
Governatore.
In queste circostanze così critiche stavano i nostri ne' Pagani, come in un ergastolo in casa del Contaldi. Dovevano convivere, ed incontrarsi a momento: salutarlo, e non esser corrisposti, o se facevalo, non era che con mala grazia. Maggiormente disgustavanli l'incontro de' partitanti. Saletti acuti non ci mancavano: vedevansi i poveretti in un continuato affanno: non vi era atto, che violento non fosse, o far non dovevasi che a punta di spirito. Sospiravano tutti esserne liberati,e sembravano inni ad ognuno i momenti di vedersi presto perfezionato ogni cantone di fabbrica. "Agonizzo di vedermi fuori della casa del Contaldi, scrisse ad Alfonso il P. Mazzini, in cui poco o niente ci discerniamo dai Preti Secolari. Mi contenterei, Padre mio, cibarmi di sole erbe, per risparmiare qualche cosa, ed impiegarla alla fabbrica. Questo non però è moralmente impossibile, non avendo altro di entrata, che la limosina di tre messe, e la provista del grano, che anche è scarsa. Passato a miglior vita,
come dissi Monsig. de Dominicis, si davano a credere i Preti, ed i Regolari
essersi perduta la spalla de' Missionarj. Essendo venuto in residenza Monsig.
Volpe sul principio di Febraro, non si mancò prevenirlo a danno de' nostri; ma
restò fallito il disegno. Troppo occhiuto era Monsig. Volpe. Volevano i contrari,
che obbligato avesse i nostri alle pubbliche processioni, e come da ogni altro
Prete esatto avesse pubblicamente l'ubbidienza nella Cattedrale. Dall'uno e
dall'altro esentò Monsignore i Missionarj. Li dispensò ancora dall'intervenire
come si voleva, nell'accademia de' casi morali, quantunque con ordine
rigorosissimo obbligato avesse l'uno e l'altro Clero. Così incominciò a servirsi dell'opera nostra in altri bisogni della Diocesi. Avendo aperto la Visita, rilevò maggiormente il gran bene operato in tutti i Casali, rimesso il buon costume, e promossa la frequenza de' Sacramenti.
Ancorchè si godesse, e fosse così patente la protezione del Vescovo, e maggiormente del Sovrano, tuttavolta rincresceva ad Alfonso il vedersi più nominato coi suoi ne' Tribunali di Napoli, e vivere i medesimi distratti, ed agitati. Degnato della toga il Signor Vitale di Vitale, assumette la protezione de' nostri l'Avvocato D. Geronimo Murano, uomo anche noto per la sua probità, e dottrina. Questi, avendo di mira l'afflizione di Alfonso, progettò accomodo circa gl'interessi cogli Avvocati contrari. Sessionandosi, per parte del Contaldi, c'intervenne tra gli altri Francesco Cajlò Alunno di Pietro Giannone. Sessionandosi, il Cajlò anzi che accomodo, voleva distrutta l'opera, e i Missionarj: questi, disse parlando male de' Regolari, saranno come tutti gli altri: lasciate, che s'impinguino, e si dilatino, e poi vedrassi la brutta generazione, che sono, e se pensano più a se, che alle Anime. Varj motivi si addussero per disporlo in contrario, così dal Murano, che da altri Signori Noceresi, e Paganesi, che v'intervennero; ma non fu per arrendersi il Cajlò. Ci era in questo congresso per parte di Alfonso anche D. Tommaso Tortora, in quel tempo Abate della Terra di Angri, uomo di singolar pietà, e dottrina. "Voi, Signor D. Francesco, disse l'Abate, avete cosa in contrario al costume, e regolarità de' PP. Gerolimini, di S. Vincenzo de' Paoli e de' Pii Operari?" Non signore, rispose il Cajlò; or la buona condotta di queste Congregazioni; ripigliò l'Abate è tale perchè sono libere; e se vi è qualche discolo si licenzia. Questo, e non altro è appunto il sistema di questi Missionarj: come si mantengono in osservanza, e sono di profitto i PP. Gerolimini, così saranno anche questi. Non ebbe che si dire il Cajlò. Ma altro non fu risoluto, e tanto si voleva per parte del Contaldi, e de' Preti, assistenti, che i Missionarj cedessero a tutto, e sloggiassero di Nocera. I loro medesimi Avvocati rimasero sorpresi; e fatti carichi dell'onestà de' nostri, si spiegarono col Contaldi, che se persistere voleva in questa sua stravolta idea, rununciato avrebbero qualunque difesa.
Speranza di bonaccia non ci era ne' Pagani. Vedendosi Alfonso così fieramente attaccato avanti al Re, nel Sacro Regio Consiglio, e nella Real Giurisdizione, volendosi togliere d'imbarazzo, risolvette d'accordo coll'Avvocato Murano sospendere ogni litigio, e mettere le ragioni sue, e della Casa in mano al medesimo Sacro Regio Consiglio. Rifletteva, che benchè fosse per riuscire a suo favore la relazione del Vescovo, e del Governadore, la protezione del Sovrano ristretta non si sarebbe, che circa la condotta de' suoi, e che rispetto alla donazione, anche il Re rimesso si sarebbe all'integrità del Ministero. Tutti i suoi
applaudirono a questo; ma perchè per l'Opera ci andava interessato anche il
Vescovo, si supplicò volerci anch'esso consentire. Encomiò Monsignore lo
spirito di Alfonso, e de' suoi, ma non intese voler mettere in dubbio la
donazione, e darla per vinta al Contaldi, ai Preti, ed ai Regolari. Non rallegrò, ma contristò Alfonso questa determinazione, prevedendo maggior fuoco e maggiori contrasti. Tuttavolta si rimise al parere di Monsignor Vescovo, e seguitò a fare delle Missioni in Puglia, vedendo il bisogno di quelle Anime.
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