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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.24 Alfonso ritorna di nuovo in Foggia: passa in Diocesi di Conza; ed accetta un altra Casa nella Terra di Caposele
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Cap.24

Alfonso ritorna di nuovo in Foggia: passa in Diocesi di Conza; ed accetta un altra Casa nella Terra di Caposele

 


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Troppo divota era restata per Alfonso la Città di Foggia. Conoscendone il merito, non mancava ne' suoi bisogni di far ricorso alle sue orazioni.

Una gran penuria di acqua affliggeva, fin dal Marzo di quest'anno 1746 la Puglia tutta. Erasi nel Mese di Aprile, e i sementati si vedevano secchi e perduti. Tra quelle comuni afflizioni, il famoso Avvocato D. Francesco Ricciardi, e tutti que' Signori si determinarono chiamare Alfonso in Foggia, per una solenne novena a Maria Santissima, come persona molto favorita dalla Vergine.

Non ancora Alfonso era libero in Iliceto dalla febbre, che vedendo il bisogno del pubblico, e trattandosi di novena per Maria Santissima, così aggravato ed estenuto, com'era, non mancò avviarvisi.

Lo volle il Ricciardi in casa sua, credendo avere un Angelo alla sua custodia; ed Alfonso vi chiamò pel catechismo il P. Villani, che con altri de' nostri stava facendo la Missione nella Terra di Cella. Appena incominciò la novena, che cessò la febbre. Fu questa novena per Foggia di tal profitto, che fu stimata una seconda Missione. Quanto si volle, tanto si ottenne da Maria Santissima. L'acqua fu in abbondanza, e si videro rimessi i sementati con somma consolazione, non meno di Alfonso, che degli afflitti Foggiani.

 

Mentre Alfonso stava in Foggia, Iddio aprì la strada per un'altra Fondazione nell'Archidiocesi di Conza.

Viveva in una somma afflizione Monsig. Nicolai Arcivescovo di quella Metropoli, vedendo quanto vasta la sua Archidiocesi, altrettanto bisognosissima di spirituale ajuto, e destituta di Operari Evangelici. Un giorno diffondendo il proprio Cuore con D. Giovanni Rossi, un tempo Pio Operario, e poi zelante Arciprete in Contarsi sua patria, e con D. Francesco Margotta Gentiluomo, e grande Operario nella Terra di Calitri, tutti e due eminenti in santità, ed interessati per la gloria di Gesù Cristo, costoro li proposero, come unico mezzo, lo stabilirsi in Diocesi una Casa di Operari diretti dal P. Liguori.

 

Fatto inteso l'Arcivescovo dell'Opera di Alfonso, e di quanto utile era alle altre Diocesi, più non vi volle per abbracciare il progetto. Si fecero varie pensate, ma si determinò, avendosi al di fuori della Terra di Caposele una Chiesa con rendita dedicata a Maria SS., stabilirci in quel luogo i Missionarj.

Stando Alfonso in Foggia, l'Arcivescovo vi spedì sollecito il medesimo Arciprete Rossi. Si disimpegnò


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Alfonso freddamente, contrapesando le circostanze de' tempi; ma animato dal P. Villani, stabilì farsi la Missione in Caposele; e con questo vedere cosa Iddio ne volesse. Se ne consolò Monsig. Arcivescovo, e rescrivendo ad Alfonso, aspettava a momenti la sospirata Missione.

 

Da Foggia passò Alfonso con altri soggetti nella Terra di Accadia: di là in Trevico, ed in Castello; e da Trevico non prima de' ventidue di Maggio si ritrovò in Caposele. Non può credersi, quale e quanta consolazione si sperimentò per il suo arrivo da que' naturali, specialmente dal Clero, e dai Gentiluomini, che già ne stavano prevenuti.

Aperta la Missione sembrò a tutti Alfonso, come tuttavia si decanta, un nuovo Apostolo. Non erano parole, ma tante saette li suoi detti, che non ferivano, ma squaricavano i cuori. In uno de' giorni, e fu a' tre di Giugno, unito con varj Gentiluomini portossi sopra la Chiesa, che se li osseriva, detta Mater Domini. Restò soddisfatto del sito, perchè troppo a proposito, ed il paese in mezzo in quella vasta Archidiocesi, con Diocesi adiacenti anche bisognose. Restò sodisfatto anche della Chiesa, perchè bella, e spaziosa: venerò l'imagine di Maria Santissima, ma non ne restò appagato, perchè di mano non perita. Pregato da quei Signori a voler cantare sull'organo le litanie della Divina Madre, non fu restio a compiacerli.

Tra questo tempo era in visita l'Arcivescovo nella Terra di Calabritto, luogo non più, che due miglia distante da Caposele. Stimò suo dovere Alfonso visitarlo e riconoscerlo di persona. Vi si portò il dopo pranso del secondo giorno da che eravi giunto colla Missione, e ci fu un incontro per esso, che non stimo trasandarlo, per esser troppo grazioso.

Stava l'arcivescovo in casa de' Signori del Plato; ed ei vi giunse, cavalcando al solito un somaro, in tempo che quello stavane a tavola. Stimando non incomodarlo, si pose a recitar l'Ufficio in una Cappella, che stava aperta di fianco al palazzo. Essendo calato, per chiudere la Cappella, il Primicerio D. Saverio del Plato, allora giovanetto, in vedere Alfonso lacero e male in arnese, con barba irsuta, e con cappa tutta centoni, credettelo un qualche Prete vagabondo, che aspettasse l'Arcivescovo, per istrappargli qualche limosina.

Dubitando di furto, signor mio, li disse, abbiate la bontà di uscire, perchè debbo serrare la Chiesa. Pazientate un poco, disse Alfonso, quanto dico Vespero, e Compieto. Dico, che uscite, replicogli il Plato, ieri fu rubata una tovaglia: ce ne fosse oggi un'altra di soperchio? Non vi fu pietà per Alfonso: dovette uscire, e si fermò a finir Vespero accantonato in mezzo alla strada.

Fatto tardi, salì sopra. Avuta l'imbasciata l'Arcivescovo, come intese Alfonso Liguori, tutto lieto uscigli incontro con segni di somma stima. Restò confuso il Plato; e più confuso in sentire, che Alfonso


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era Cavalier napoletano, e superiore della Missione. Non se ne diede per inteso Alfonso. Avendo conferito con Monsig: Arcivescovo, e restati in appantamento di vedersi in Caposele, terminata la visita, se ne ritornò, per esser pronto alla predica. Questo fatto, se afflisse l'Arcivescovo, riconciliò non però una maggiore venerazione per Alfonso.

 

Benedisse Iddio con modo speciale questa Missione, come primizia in quell'Archidiocesi; e se fu Alfonso ricevuto, come un uomo calato dal Cielo, egli non mancò dimostrarsi tutto divino co' suoi portamenti. La sua umiltà, la sua modestia, quell'aspro trattamento, che faceva di se medesimo, erano tante prediche, che compungevano ogni cuore.

Proseguì questa Missione, come mi attesta il Dottor Fisico D. Nicolò Santorelli, sempre con ispasimo di denti. Una sera tra le altre rilevando il gran male, che si fa cogli amoreggiamenti, non mi curo, disse, che spasimo: basta che vi dico quando tengo nello stomaco. Tirò la predica circa due ore; ma, come mi disse il Santorelli, non sembrò, che un momento. Increpò le madri, che introducevano i giovanetti in casa; e così i giovanetti per la loro scostumatezza. Tante volte, attesta il medesimo, vedevasi così lasso e defaticato, che ritornando a Casa, sostener si dovea anche da altri.

Riepilogando il Santorelli il gran bene, che vi fece, soggiugne: "Si pose in questa Terra la frequenza de' Sacramenti: fu fatta da tutti la giusta idea della vera divozione: si videro tolti molti scandali, riconciliate tante inimicizie, detestate le bestemmie, abborrito il parlare sboccato, ed infervorò tutto il popolo, specialmente nella divozione di Maria Santissima.

Conchiude, che predicando si vedeva sempre assorto e fuori di se; e che una sera nell'atto della predica, vide in ispirito il gran travaglio, che soffrivasi da' suoi nella Casa d'Iliceto: Noi, disse, siamo quì a fare la Missione, ed il Demonio sta travagliando i poveri figli miei in Iliceto. Di fatti la sera susseguente sopraggiunse di là con triste novelle un Fratello laico, che conferì con Alfonso da circa tre ore.

 

Fu l'Arcivescovo in Caposele, e ritrovossi alla predica della Madonna: pianse anch'esso per tenerezza, nè mancò assisterci ogni sera con suo compiacimento. Contemporaneamente vi furono l'Arciprete Rossi da Contursi, D. Francesco Margotta da Calitri, ed il Dottor D. Pietro Zoppi da Santo Menna, che impegnato per lo bene della Diocesi, prometteva anch'esso ducati trenta annui per questa Fondazione.

Tutto caminava di concerto, ed avevasi per effettuata la Fondazione, ma non poteva l'Inferno non far delle sue. Credendo il Clero, che Monsig. Arcivescovo volesse spogliarlo di ogni suo dritto, a' quattro di Giugno si dichiarò tutto in contrario. Sentendo la rivolta Alfonso, Ho a caro, disse al P. de Robertis, che ci sia opposizione: segno è, che il Demonio provede il suo danno, ma la vincerà Iddio, e non il Demonio.


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Essendo salito lo stesso giorno sopra il Romitaggio Monsig. Arcivescovo cogli anzidetti Rossi, Morgotta, e Zoppi con quantità di Gentiluomini, vi salì per sostenere le ragioni del Capitolo, e per la totale negativa il Sacerdote D. Salvatore Corona, uomo dotto, e Gentiluomo prepotente nel Clero, e nella popolazione.
Se l'Inferno faceva i suoi sforzi per opporsi all'Opera di Dio, la Vergine anch'essa volle far mostra di sua possanza. Entrando il Corona in Chiesa per visitare la Vergine, ma pieno di mal talento per la Fondazione, non sì tosto fu avanti l'Altare, che sorpreso si vide da un foriero apopletico, e tale,  che li contorse la bocca.
Nell'istante conobbe il Corona il giusto castigo, che se li dava in pena del suo assunto; e rivolto alla Vergine: Madre di Dio, disse, mi protesto, che non intendo più contradire la Fondazione. Così dicendo si vide libero dall'insulto, e rimessa la bocca nel suo stato. Sessionandosi col Clero, e l'Arcivescovo, il Corona non fece il Fiscale, ma l'Avvocato dell'Opera, e tale fu poi in ogni tempo.

Per l'opposto un altro colpo di tentazione assalì anche l'Arcivescovo. Benche questi fosse tutto zelo per la Fondazione, tutta volta sperimentar voleva prima i Padri, e poi sbilanciarsi per lo di più, che contribuir ci voleva. Questa rendita in spe non soddisfece Alfonso.

Vedendo i Preti restii a rilasciar in parte i beni della Chiesa, e Monsig: Arcivescovo ritenuto anch'esso in assegnar cosa del suo, io non son venuto quì, disse a Monsignore, per fare la Fondazione, ma per la Missione, e per servire V. E. Avendo adempito a questo, non ho altro che pretendere. Considerando l'Arciprete Rossi, quali sciolto il trattato, si butta tutto lagrime ai piedi dell'Arcivescovo, supplicando non darla per vinta al Demonio.

 S'intenerì l'Arcivescovo, e pianse anch'esso vedendosi ai suoi piedi un uomo canuto, e così venerabile. Tutto quello che posso, disse, tutto voglio farlo. Fattoseli presente dal Rossi, e dagli altri non esser rendita competente, la rendita della Chiesa, e quello, che somministrar voleva il Margotta, ed il Zoppi, Monsignore per unire la rendita di docati cinquecento, vi aggiunse del suo altri docati due mila. Così a' quattro di Giugno, con finirsi la Missione, restò anche conchiusa la Fondazione di questa nuova Casa.

 

Sparsa la notizia in Caposele di essersi effettuata la permanenza de' Missionarj, tutto il popolo diede in estri di allegrezza: vi fu illuminazione la sera per tutta la Terra, sparo  e falò per ogni strada: anche i Regimentarj si segnalarono in nome del Pubblico con altri segni di comune compiacimento. Similmente il Principe D. Innico Rota, e la Principessa D. Cornelia Sanfelice, essendone riscontrati, si congratulorono con Alfonso, ed esibirono per la fabbrica i loro boschi, e tenute.

 

Un'altra consolazione si sperimentò in questo giorno tra Cittadini; e fu l'essersi avverata fu questo particolare una profezia già fatta venti


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anni prima dal B. Gio: Giuseppe della Croce Religioso Alcantarino.

Essendosi portati in questo Feudo con un Padre Alcantarino loro Confessore, il Principe D. Innico, e la Principessa D. Cornelia, il Padre in vedere sopra un'altura la Chiesa di Mater Domini, disse: Questo luogo sarebbe a proposito per un Convento di Alcantarini. Piacque il pensiere, e si fissarono in questo tanto il Principe, che la Principessa. Essendone data parte al Beato, allora Provinciale, rispose: non occorre, che V. E. s'impegni ulteriormente: per ora non si compiace il Signore che cotesto luogo venga abitato dai nostri Religiosi; ma da quì a venti anni sarà Casa di altri Religiosi, molto zelanti della gloria sua, e del bene delle Anime. E venti anni in punto erano  scorsi da che il Beato profetizzato aveva un sì felice successo.

 

Sistemato il tutto col Clero, e con que' Gentiluomini, richiesto Alfonso per la Novena della Nascita di Maria Santissima, Titolare della Chiesa di Mater Domini, se ne compromise, come poi sodisfece con suo compiacimento. Di là destinò due Padri per la rinnovazione di spirito nella Città di Trevico; e due altri per la Missione rurale in S. Maria di Anzano subborgo della medesima Città.

Da Caposele passò in S. Andrea. Ivi finì di assodare con Monsig: Arcivescovo gl'interessi di questa nuova Fondazione, e nel dì ventiquattro dello stesso mese fu di ritorno in Iliceto.




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