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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.27 Tenta Alfonso veder riconfermata dal Re l'Opera delle Missioni: parere del Cappellano Maggiore; e nuovi maneggi per la riunione del P. Mandarini.
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Cap.27

Tenta Alfonso veder riconfermata dal Re l'Opera delle Missioni: parere del Cappellano Maggiore; e nuovi maneggi per la riunione del P. Mandarini.

 


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Non isgomentavano Alfonso le traversie di Nocera, anzi qual saggio nocchiero, che quanto più ingrossa la tempesta, tanto maggiormente si adopera per vedere la nave in porto: così egli quanto più bersagliata vedeva la navicella della sua Congregazione, altrettanto indurivasi vederla ancorata, e fuor di pericolo.
Osservando, che i contrari colla parte volevano distruggere il tutto, egli s'impegnò salvare il tutto, per vedere in salvo la parte. Volendosi distrutta quella Casa, avevasi per base dai Contradittori, che tal Congregazione non vi era al mondo, non essendo stabilita coll'Autorità Reale. Alfonso per togliere di mezzo ostacolo così grave, tenta veder confermata l'Opera dal Re, e munita di suo assenso. Ardua impresa, ma pur volle tentarla.

 

Essendosi dissimpegnato dalle Missioni di Puglia e da quelle dell'Archidiocesi di Conza nell'Aprile del 1747, passò nella Casa di Ciorani. Gran motivo ebbe quì di somma consolazione, vedendo popolato il noviziato di virtuosi giovanetti, e tra questi anche Sacerdoti eminenti in dottrina, e santità, com'erano il Margotta, ed il Sacerdote D. Geronimo Ferrara.

In Nocera pianse per tenerezza, rilevando lo stato, in cui ritrovato aveva quella Casa, e ne rese a Dio i dovuti ringraziamenti. Si consolò vedendo accorsata la Chiesa di ogni ceto di persone; stabiliti, con sodisfazione de' Cittadini, i nostri soliti esercizj, ed eretta una fioritissima Congregazione di cento e più artieri e bracciali, tra' quali vi erano delle Anime di una non ordinaria perfezione.

 

Essendo passato in Napoli nel mese di Giugno, sulle prime fece capo dal Marchese Brancone suo amico, e Segretario di Stato. Questi, troncandogli la parola in bocca, si spiegò volerlo Vescovo. Inorridì Alfonso a tal progetto e così inaspettato. Non ci fu motivo umano o divino, che per renderlo persuaso, non si affacciasse dal Marchese. Se mi amate, disse Alfonso, non mi parlate di Vescovado. Ho lasciato casa mia, e fin d'allora esecrai qualunque onore in questo mondo. Amaro fu il conflitto; ma se non si arrese Alfonso, dovette arrendersi il Marchese; e diedegli parola di non più angustiarlo.

Avendo a cuore il negozio della Congregazione, oltre averne impegnato il medesimo Marchese, impegnò ancora, per aver udienza secreta dal Re, D. Bartolommeo Rossi suo amico, e Gentiluomo di Camera.

Trattendedosi un giorno nel Chiostro di S. Caterina, detta a Formello,


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recitando l'Ufficio, venne avvisato inaspettatamente, che nella prima ora di quella sera era appuntata l'udienza. Come ritrovavasi con barba sconcia e con un centone di pezze, che ricoprivalo, così in fretta portossi a Palazzo.

Ammesso alla presenza del Re, fece presente co' sensi i più vivi il bisogno delle Anime coll'interesse dello Stato, e l'Opera, che intrapreso aveva in sollievo di questi. Rappresentò lo zelo de' suoi Compagni, e la riforma che già vedevasi nel costume in tante Diocesi, e Provincie. Pose in veduta l'ingnoranza e così grande, in cui vivevasi ne' villaggi, de' doveri verso Dio, verso l'uomo, e verso il proprio Principe, colle conseguenze che troppo triste risultavano da tale ignoranza a danno dello Stato, e delle Anime.

Espose la necessità dell'Opera. Disse, che questa non poteva sussistere, se non formandosi un Corpo stabile, e supplicollo, che siccome erasi compiaciuta con quattro dispacci approvarla in Diocesi di Salerno, di Nocera, di Bovino, e di Conza: così degnar si volesse riconoscerla in formale Congregazione, sull'andare de' Padri di S. Vincenzo de Paoli, soggetta in tutto alle ordinazioni sue, e de' Vescovi. Presentò la Regola, e pose in veduta del savio Monarca il piano dell'Opera.

Restò non poco commosso il pio cuore del Re Carlo per tali rimostranze. Troppo interessato egli era per l'onore di Dio, e per lo bene de' suoi vassalli. Avrebbe egli da se accordata la grazia, se la ragion di stato non avesse dettato altrimenti. Fattosi carico di tutto, con biglietto di proprio pugno, rimise la Regola colla supplica a Monsig. Celestino Galiano suo Cappellano Maggiore, che esaminati i rispettivi interessi, dato avesse il proprio parere.

 

Non furono tardi a sapersi questi maneggi dall'ottimo Padre D. Vincenzo Mandarini, già Superiore della Congregazione del Sacramento. Avendo a cuore la sospirata unione, di persona portossi ne' Ciorani, offerendosi in nome di tutti i suoi Congregati a voler abbracciare senza eccezione la sua Regola, e riconoscer lui per Superiore.

Qualunque fossero le rimostranze del Mandarini, Alfonso fu sempre restìo a compiacerlo. Stringevagli il cuore una sì sincera esibizione, ma troppo convincenti erano i riflessi, che lo determinavano in contrario.

Dubitava, che l'unione non fosse per giovare a quella Adunanza, e fondatamente temeva pregiudicata la sua. Chi è avvezzo, diceva, di possedere, e disporre, mal volentieri potrà vedersi povero, e privo di libertà; e chi oggi, senza il voto di ubbidienza, ha giocato di propria volontà, dimani se non oggi, si pentirà essersi soggettato. Son persuaso, gli disse, della risoluzione di tutti, e la credo sincera; ma raffreddato l'impegno, non si mancherà far ritorno all'antico. La libertà, che piace, si può insinuare anche ne' miei; e così potrò vedere danneggiato me medesimo ed i miei, senza giovare nè a voi, nè agli altri.


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Così sentivala Alfonso; ma non si diede in dietro il Mandarini, Riflettendo, che in Napoli tutto dipendeva da Monsig: Cappellano sollecito frappose presso di questo la mediazione di persone autorevoli.

Avendo esaminato Monsig: Cappellano l'Opera del Mandarini, e l'utilità che coll'unione, poteva risultarne, non mancò dichiararsi in suo favore. Troppo stretto si vidde Alfonso. Contradirlo non conveniva, prevedendolo contrario al suo intento; e compiacendolo, prevedeva confusione, e disordine tra' suoi. Espose, e pose in veduta i suoi motivi; ma un così voglio di Monsig. Cappellano scioglieva qualunque dubbio.

Non si arrese Alfonso ancorchè in somma costernazione. Tuttavolta, dubitando de' proprj lumi, ricorse all'orazione, protestandosi avanti a Dio di non volere che la gloria sua, ed il vantaggio dell'Opera. Chi sa Iddio che ne vuole da questo impegno, e così fermo di Monsig. Cappellano, scrisse ai Padri Sportelli, e Villani, e noi dobbiamo far prevalere il volere di Dio ai nostri riflessi. Se Iddio vuole l'unione, anche noi dobbiamo volerla.

Così passando le cose vedevasi sollecito Alfonso, per avere in Corte presso il Principe, e presso Monsig. Cappellano, la meditazione di persone autorevoli. Troppo caro gli costò questo tentativo. Il Padre de Robertis, che con esso trattenevasi in Napoli, mi dice, che non mangiava nè dormiva, e che vedevasi nelle ore le più canicolari, tutto affanno e grondante sudore, battere il selciato di quelle strade, e passare, senza tregua di respiro, da un palazzo all'altro. Un giorno ritornando nel fior di mezzodì, divenuto un pezzo di fuoco, dall'udienza del Marchese Brancone, e non era poco il tragitto da Palazzo alla Parrocchia de' Vergini, mena Gesù Cristo mio, esclamò, che avete ragione di prendervi piacere.

 

Se Alfonso non badava ad incommodo, e non lasciava pietra da smuovere, per veder garantita l'Opera di Dio, l'Inferno anch'esso non lasciava occasione per vederlo scoraggiato.

Non tutti erano uguali i complimenti. Perchè trattavasi di cosa ecclesiastica, e stabilire nello Stato una nuova Congregazione, molti o non gli davano udienza, o freddamente lo ricevevano, e se ammettevasi la prima, di certo era escluso la seconda volta.

Essendosi portato da un Cavaliere, che prevaleva in Corte, questi gli fece sentire che non ci era: passa alla casa dell'altro fratello, e gli succede lo stesso; non altrimenti gli accadde la medesima mattina, essendosi portato da un Arcivescovo zio de' medesimi. Di questi complimenti, e ripulse ce ne sarebbe un fascio.
Più saporito è quello, che gli accadde in casa del Principe Jace. A stento dai servidori se gli diede luogo nell'anticamera. Uscendo la Principessa, lo conobbe; ma vedendolo così povero, e rattoppato, con disprezzo gli disse, come sei succido: non capisco, rispose Alfonso; e quella, eh! che sei un Calabrese;


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e così dicendo voltogli le spalle.

Vi furono, non vi ha dubbio di que', che fecero giustizia al suo carattere, ed alla sua virtù. Il Principe di Sannicandro, tra gli altri, lo ricevette co' segni di somma stima: si compromise di sua mediazione, e licenziandosi, non ebbe difficoltà accompagnarlo per un tratto di scala. In una parola: passavala Alfonso per infamiam et bonam famam, ma sempre sereno, e con tutta pace.

 

Tra questo tempo non mancarono per Alfonso nuovi batticuori, e troppo amari.
Monsig. Cappellano, esaminando meglio le cose, vedevasi tra l'incudine, ed il martello: voleva compiacere Alfonso, e mancar non voleva al proprio dovere. Considerando arduo il negozio, a' ventuno di Agosto dichiarossi in contrario per l'approvazione, e disimpegnato per l'unione col P. Mandarini.

Afflitto restò Alfonso per questa dichiarazione, ma non iscoraggiato. Unito col Mandarini, avvalorando le respettive speranze, cercano ottener da Dio quello, che dall'uomo venivagli negato. Tutti e due a questo effetto applicarono la Messa il giorno susseguente. Riscontrati i nostri nelle Case di ciò che passava in Napoli, anch'essi coi loro gemiti penetravano il Cielo: ogni sera l'orazione comune facevasi col Sacramento esposto; e vedevansi tutti combattere tra la speranza, ed il timore.

Era interessato per noi, come se fosse opera sua, il Canonico D. Niccolò Borgia, che fu poi Vescovo di Aversa, e prima della Cava. Unito Alfonso col Canonico a' dodici di Agosto fu da D. Marcello Cusano per la mediazione presso Monsig. Cappellano.

Sopratutto fece capo in Napoli e fuori, a varj Monisteri di Sacre Vergini, ed a molte Anime sante, affinchè coadiuvato l'avessero presso Iddio. Molte messe si applicarono per questo affare, e non furono poche le mortificazioni, e le opere penali in comune, ed in privato in tutta la Congregazione.

Essendo stato col Mandarini la quarta e quinta volta da Monsig: Cappellano, altrettante volte non ebbe udienza. Non per questo si disamina Alfonso, nè si dichiara offeso. Costante nella sua intrapresa, faceva a gara co' disprezzi: questi in prevenirlo, ed egli nell'incontrarli. Fu di nuovo da Monsig: Cappellano. Ammesso, tanto disse, e seppe perorare, rilevando il merito dell'Opera, che Monsignore non potette negare di volerlo favorire.

Avendo in mira Monsig: Cappellano lo Stato, e l'Opera, non mancò mettere in veduta del Re ciocchè sentiva in contrario, e quello, che risultar poteva in vantaggio dello Stato, e della Chiesa.

Per primo accerta, che la Regola, avendola tutta osservata, conduceva di per se al fine dell'Opera: poichè vi era tra l'altro di doversi fondare le Case nè Paesi distanti dalle Città, per essere a portata, i Missionarj di poter istruire la gente ignorante dispersa per le ville e campagne. In seguito entrando Monsignore ne' sentimenti politici per ciò che riguarda gli acquisti,


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e la molteplicità de' Regolari, scrive:

"Dovendo io umiliare il mio parere alla Maestà Vostra, mi conviene con profondo rispetto sottoporre alla sua Sovrana comprensione, che riguardo allo Stato, ed al Pubblico, tanto è fondarsi una nuova Congregazione, quanto il volersi fondare una nuova Religione. Che i Padri della Missione, per ragion di esempio, sieno una Congregazione di Preti Regolari, e non una Religione, come sono i Domenicani, ed i Francescani, questo allo Stato nulla importa, perchè gli uni, e gli altri si moltiplicano, ed acquistano nuovi beni, i quali passando in manus mortuas, sono fuori di commercio.

La licenza dunque, di cui vien supplicata V. M., che le suddette Case possano eriggersi in una Congregazione governata da un Superiore con proprie Regole, principalmente importa, che le dette Case mediante il Real Beneplacito di V. M., e l'approvazione di Sua Santità, divengono Collegi legittimi, senza la qual condizione non possono ora far acquisto di beni.

Altre difficoltà, rispetto all'Opera, ed altri più forti dubj si fanno innanzi a Monsig: Cappellano, non perchè utile non fosse allo Stato, e proficua a' Popoli, che anzi necessaria la stimava; ma temeva, che intiepidendosi col tempo i Missionarj, non fosse per sussistere il materiale delle fabbriche, e mancar si vedesse lo zelo per le Anime, ed il fervore ne' rispettivi individui.
"Non può negarsi, che il P. Liguori co' suoi Compagni, così egli seguita a dire, non s'impiegano ora utilmente, e con profitto nelle istruzioni de' poveri Contadini, che sono ne' Villaggi più incolti, e sparsi per le campagne, e che la vita de' Preti Missionarj non sia assai esemplare; ma tutti i diversi Ordini, e Congregazioni, Sacra Maestà, di Regolari e di Preti Secolari, anche nel loro nascere sono stati utili ed esemplarissimi; ma indi a poco tempo, spento il primo fervore, son divenuti inutili, e di peso grave allo Stato, senza ricavarsene alcun vantaggio.
L'esperienza del passato, gran maestra dell'avvenire, fa temere che l'istesso farà per succedere alla nuova Congregazione del P. Liguori, e che, morti i primi Fondatori, l'opera pia ed utile, alla quale finora si sono impiegati con lodevole zelo, si anderebbe a dismettere, com'è succeduto in altre simili Congregazioni, che erette per lo stesso fine dell'istruzione de' Villani per le Campagne, o de' Fanciulli orfani, ora le loro Case si trovano stabilite nelle Città, con attendere a tutt'altro, che al fine unico, e principale del loro Istituto.

 

Tali sono i sentimenti in contrario di Monsig. Cappellano. Ma non è, che con questo impugnar volesse l'Opera di Alfonso, e del Mandarini, che anzi avevala sommamente a cuore. Troppo patente era il bene, che per ogni dove ne rifiutava; ma volendo l'intento, e non volendo in tempi così critici, comparir condiscendente avanti


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al Ministero, ed al pubblico di Napoli, fiscalizza, e dimostrasi contrario, per avere il Principe, ed il Senato a sua divozione.

Fissa intanto il parere, e dice così: "Stante tutto ciò, e trovandosi questo Regno  pur troppo pieno di Case Religiose, stimerei, quando non sembri altrimenti al sublime intendimento della Maestà Vostra, di non concedersi il Real Beneplacito al P. Liguori, almeno senza molte limitazioni. Propone al Re, prima di ogni altra cosa, l'unione delle due Adunanze. Le Case fondate ei dice, sono le seguenti: una nella Terra di Ciorani nella Diocesi di Salerno, un altra nel luogo detto i Pagani nella Diocesi di Nocera, la terza nella Terra d'Iliceto nella Diocesi di Bovino, e la quarta in Caposele in Diocesi di Conza. Oltre queste quattro Case, ve ne sono quattro altre abitate da simili Preti Missionarj, sotto il titolo del SS. Sacramento, le quali vorrebbero unirsi a queste del P. Liguori, e formare una sola Congregazione, sotto il nome del SS. Salvatore.

Similmente mette in veduta del savio Monarca Monsig: Cappellano il maggiore bene, che risultar poteva alla Chiesa, ed allo Stato coll'unione delle due Adunanze in una sola Congregazione: "E ben noto, così prosiegue, al sublime intendimento di Vostra Maestà, che alcuni popoli di questo Regno son quasi selvaggi, e commettono in gran numero de' delitti, specialmente omicidi, e latrocini gravissimi, come nel Cilento ne' confini della Provincia di Salerno, verso la Calabria, ed in alcune contrade della Calabria, e della Basilicata.

Or se in detti luoghi, ei dice, si fondasse nella Campagna, o ne' Villaggi qualche  Casa di questi buoni Preti, stimerei, per fin che in essi si conserva il presente spirito, che potesse essere di qualche vantaggio, per rendere quegli abitanti più umani, ed impedire i tanti atroci omicidi, che tutto giorno si commettono.

Finalmente entra a fare Monsignore un piano di tutta l'Opera, e rappresenta al Re, potersi accordare ad Alfonso il suo Real Beneplacito, ma con queste condizioni, e non altrimenti. "Che i Missionarj non debbano stabilirsi in altro luogo del Regno, senza prima ottenersene il permesso della Maestà Vostra; che, traviando dal loro Istituto, e non osservando esattamente l'Opera pia dell'istruzione de' villaggi, de' contadini, e pastori, possa la Congregazione essere soppressa ipso facto da Vostra Maestà, e da' suoi Serenissimi Successori, senza esserci bisogno di ottenere licenza o permissione del Papa: che dandosi un tal caso, i beni, che possono avere acquistati, possono impiegarsi da V. M., e da' suoi Serenissimi Successori, in opere pubbliche, e pie, che loro più piaceranno: che non possano accettare eredità, o donazioni causa mortis, quando il Testatore abbia parenti poveri fino al quarto grado inclusivo de jure Ecclesiastico; e che ciascuna delle loro case,


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non possa fare maggiori acquisti, che di tanti beni di qualunque natura, e specie essi sieno, che costituiscono tutto insieme l'annua rendita di ducati mille, ed anche meno, come più piacerà alla Maestà Vostra.

Esso medesimo Monsig: Cappellano, anche stimava arduo un tal piano: "E' vero, soggiunge, che in Roma s'incontreranno forse delle difficoltà ad ammettere alcuna delle suddette condizioni, ma essendosi in limine Fundationis, credo, che le difficoltà non sarebbero insuperabili, e lasciarsi una tal cura all'istesso P. Liguori.

 

Monsig. Galiano in questo suo parere garantiva non solo, come dissi, l'unione delle Case di Alfonso colle Case del Mandarini, e l'erezione delle due Adunanze in una sola Congregazione; ma conoscendo il pregio dell'Opera, stimava, che anzi propagar si dovesse in altri luoghi del Regno. "Volendosi introdurre questi buoni Preti, ei dice al Re, nel Cilento, ed in altri luoghi, dove possono essere più utili, senza che si facciano nuove Fondazioni, potrà ciò conseguirsi mediante la soppressione de' Conventini inutili, che si ritrovano in tal luoghi: cosa non difficile ad ottenersi, quando venga appoggiata dalla Sovrana protezione di V. M.: maggiormente, che anche i Vescovi vi daranno tutta la buona mano.

 

Così pensava Monsig. Galiano; e questi furono i suoi sensi umiliati al Re a' ventidue di Agosto 1747. Non s'intese così nel Consiglio di Stato. Qualunque fossero state le condizioni apposte nel suo piano da Monsig. Cappellano, non sodisfecero i Senatori.

Si encomiò l'Opera di Alfonso, si rilevò il frutto operato colle sante Missioni, e quanto fossero queste vantaggiose allo Stato; ma riflettendosi, che ove scemar si volessero i Regolari, come si pretendeva, vie più caricavasi lo Stato di un altro corpo d'individui, non si volle nè ammettere, nè accordare la progettata unione.
Le condizioni, che proponeva Monsig. Cappellano neppure soddisfacevano; ed il Re non volendo urtare anch'esso, con quelle date riserbe, in novità tali, che offeso avessero il Papa, volle a ventitre di Agosto, che soprasseduto si fosse, e che persistettero le cose nello stato primiero.

 

Non prima de' venticinque seppe Alfonso dal Marchese Brancone la risoluzione del Re. Calando la testa, e restringendosi nelle spalle adora la volontà di Dio nella volontà del Sovrano. Altro non disse: fiat voluntas tua. L'intese bensì così al vivo, che la notte seguente, come mi accertò il P. de Robertis, non prese sonno.

Anche al Re rincrebbe la negativa; e volendolo rincorare disse al Marchese Brancone il giorno avanti: dite al P. D. Alfonso, che stia sicuro di mia protezione: che seguiti a promuovere col medesimo zelo l'opera di Dio, e dello Stato; e veda in che altro posso compiacerlo, che lo farò. Con questa negativa, se restò afflitto Alfonso, non restò conturbato.

 

Il Demonio per l'opposto non poteva lasciarlo in pace.

La mattina de' ventisette, dicendo Messa nella Chiesa de' Padri Gerolimini, non mancò assalirlo, e metterlo sossopra. Prima della consegrazione, come ei disse, se gli fece presente, che, coll'esclusiva del Re, non più sussisteva la Congregazione; e che sapendosi tal negativa da' suoi Contradittori, pregiudicata restava la Casa di Nocera, e con quella anche le altre.

Incalzando la tentazione, ed arretrando Iddio la sua luce a vent'ore a piede, e grondante sudore si porta in fretta dal Marchese Brancone, volendolo far carico di questo ideato travaglio, prima di stendersi il dispaccio. Non essendosi aperta la sala perchè troppo presto, lasso qual era si pose a sedere Alfonso nel mezzo della scala, in unione della gentaglia.

Avendolo veduto il Marchese da un balcone, restò confuso per tant'abbiezione: sul punto ordina, che s'intrometta da lui, ed impone al Cameriere, che quante volte giungesse, ed in qualunque ora, introdotto ce l'avesse.

Si rasserenò Alfonso, avendogli detto il Marchese, che essendoci i particolari dispacci, tanto bastava per la sussistenza delle Case, e della Congregazione. Il caso, soggiunse, non è così disperato, come vi credete: non mancherà alla pietà del Principe un qualche ripiego, meglio esaminate le cose, per render più stabile la vostra Congregazione.

Avendo veduto il Marchese agitato Alfonso più che non conveniva, fattosi superiore: non vedete, gli disse, che con questo diffidare, date a vedere, che ci è terra per lo mezzo.

Conobbe Alfonso la tentazione, si confuse, e rasserenato di mente, si uniformò a quanto Iddio era per disporre, nè più ebbe luogo in lui una tale agitazione. Così passarono, ma resi inutili, i tentativi, anzi gli ultimi sforzi del P. Mandarini, per vedere unita la sua colla nostra Congregazione. Alfonso bensì non s'ingannava nell'essere opposto di sentimento. Chiaramente fece conoscere Iddio, e manifestossi colla volontà del Sovrano, che non voleva una, ma due distinte Congregazioni, come tuttavia sussistono con vantaggio della Chiesa, e dello Stato.

 

Un altro tentativo fece Alfonso per la sua Congregazione, che anche restò fallito.
Avendo conosciuto la propensione del piissimo Monarca per l'opera, e la somma degnazione, che avea per esso, si fece animo di fargli presente la povertà sua, e de' Compagni. Espose, che non volendo in tempo di Missione, nè convenendo aggravare il pubblico ancorchè per il semplice vitto, vedevasi costretto tante volte attrassar l'opera sua anche a' Paesi bisognosi.

Questa povertà commosse il cuore del Re. Volendo coadiuvar le Missioni, e sollevare i Missionarj, disse al Marchese Brancone: la domanda è troppo giusta. Vedete come potersegli dare qualche sussidio: questi poveretti faticano senza mercede; ma se non hanno da vivere, come potranno faticare, e tirare avanti le Missioni.

Richiesto Alfonso dal Marchese, che pensasse anch'esso,  come


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potersegli agevolare la grazia; consigliato dal Canonico Borgia, propose il sopravvanzo dalle Cappelle di Castel di Sangro in Abruzzo. Il Re, sentendo il progetto, disse: Sì, queste Cappelle sono ricche, e scarse di pesi; perchè non impiegarsi per questa Opera così utile il dippiù, che avvanza?

A' ventisei dello stesso Mese si dispacciò al Tribunale Misto, che facevasi cosa grata al Re, se si coadiuvasse il P. D. Alfonso  in un Opera , che tanto interessava la Maestà Sua per lo bene de' suoi Vassalli. Tanto fece il Re; ma non ebbero effetto le sue piissime intenzioni. Si riferì dal Tribunale Misto, che non eravi sopravvanzo, e che i pesi erano tali, che assorbivano le rendite delle Cappelle.

Non sarebbe stato così, se gli Amministratori fossero stati meno stretti di petto, e meglio intenzionati.




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