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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.29 Altri negoziati di Alfonso per la Congregazione in Napoli: altre Opere a prò del Prossimo; e pace stabilita nella Casa de' Pagani.
Nell'entrata del 1748. Alfonso si portò di nuovo in Napoli. Essendo stato dal Marchese Brancone, questi gli disse, che il re erasi formalizzato della negativa ricevuta dal Tribunal Misto; ed insinuogli, a riflettere, e mettergli in nota sopra quali altri luoghi potevaseli fare, in sussidio de' suoi, un annuo assegnamento. Alfonso anzicchè questo, li presentò altro memoriale per la sussistenza della Congregazione. Si ricevè il memoriale il marchese, ed animollo di nuovo a voler parlare al re per lo mantenimento de' Soggetti. Non curando Alfonso il temporale, tutto va bene, rispose, ma io intendo parlarvi dell'Approvazione: questo è quello, che unicamente desidero dalla Maestà del Sovrano. Restò edificato il Marchese del suo disinteresse, ed animollo a presentarsi al re, ed esporgli ciò, che desiderava.
Viveva impegnato per
l'opera della nostra Congregazione anche il canonico D. Matteo Testa, che fu
poi Arcivescovo di Reggio, ed in Napoli Cappellano Maggiore. Amicissimo questi
del Marchese Tanucci, non mancò informarlo della opera intrapresa da Alfonso, e
del gran bene, che questa produceva nelle Provincie. Avendolo pregato per
l'approvazione, e con quelle condizioni, che si avessero volute a beneficio
dello Stato, non si dimostrò renitente il Marchese. Come temette, così fu, nè più si vide nel Marchese Tanucci una tale disposizione.
Non erano passati dodici giorni da ch'era giunto in Napoli, che sorpreso si vide da un asma sì fiera, che l'impediva la parola, ed in seguito lo pose in forse della vita. Si riebbe, ma non fu in istato a poter celebrare, se non a' cinque di Febbrajo. Anche in letto, benchè così travagliato, non mancava co' suoi consigli sollevar le Anime nello Spirito.
Inviato di nuovo da' suoi Confratelli delle Apostoliche Missioni, c'intervenne con suo compiacimento. Molti punti si rinvangarono colla sua presenza, che troppo interessavano la Congregazione, e molte cose stabilironsi, che facevano il maggio profitto delle missioni. Col suo parlare investì di un nuovo zelo specialmente i nuovi candidati. Raccomandò soprattutto, e lo fece con impeto di spirito, che non si alterasse nel predicare la semplicità Apostolica, come caratteristica della loro Congregazione: Io, disse, non iscusarei da grave colpa chiunque se ne abusasse. Che ne cavano i villani, e le donnicciuole, che fanno il maggior numero nelle Missioni, de' periodi intrecciati, e del parlar pretto toscano. Non potette compromettersi, come si voleva, di essere nelle loro Missioni, perchè troppo occupato negli affari della nostra Congregazione.
Sin da che era giunto
in Napoli, era stato prevenuto Alfonso dal Parroco di S. Maria delle Vergini D.
Giuseppe Coppola per la Missione in quella Chiesa, e di non posporla a
qualunque altra. Si compromise; e benchè convalescente aprì la Missione in
quella Chiesa nel giorno undecimo di Febbraio, e terminolla il decimonono. Egli
faceva la predica, ed il Canonico Sersale, che fu poi il Cardinale di Napoli,
il Catechismo. Vi susseguirono altri tre giorni di meditazioni pratiche sulla
Passione di Gesù Cristo, come costumar soleva in tutte le Missioni. Chiamava
egli questo esercizio la calamita de' cuori, vedendosi in Chiesa fiumi di
lagrime.
Contemporaneamente fu di nuovo invitato dal Parroco D. Giuseppe Porpora, anche per gli Esercizj al popolo nella sua Parrocchia di S. Giovanni Maggiore. Sorprendente fu il concorso, specialmente di Dame, e Cavalieri. Tutti facevano a gara per ascoltare, com'essi dicevano, un Apostolo redivivo.
con sommo compiacimento di quel Parroco, così zelante dell'onore di Dio.
La Chiesa dello Spirito Santo, anche volle godere delle sue fatiche. Sbrigato, che fu da S. Giovanni Maggiore, diede subito di piglio a' nuovi Esercizj in questa Chiesa a' dieci di Marzo. Spazioso che fosse il vaso, rendevasi angusto all'infinito popolo, che vi concorreva. Non mancò il demonio in questi Esercizj, vedendo le sue perdite, armarsi a danno di Alfonso. Encomiando in una di queste prediche, la somma bontà, che dimostra Gesù Cristo verso dell'uomo nel Sacramento dell'Altare, e come in ogni tempo è pronto a dargli udienza, adottando i sentimenti di S. Teresa, disse: Non così i Re della Terra. Questi non danno udienza, che poche volte l'anno, e per averla si deve stentare; nè ad ognuno è permesso parlargli quanto vuole, e con quella confidenza, come si parla con Gesù Cristo in questo Sacramento. Con Gesù Cristo ci parla ognuno semprechè vuole: ci parla da tu a tu, e con confidenza gli espone i proprj bisogni. Chi avrebbe supposto, che sensi così schietti si avessero potuto apprendere come ingiuriosi al Sovrano? Forse non era noto in tutta Napoli quanto Alfonso era ossequioso al suo Principe? Ma non mancò tra l'uditorio, chi, nimico del sangue di Gesù Cristo, volendosi far merito col Re, lo denunciasse con qualche aggiunta della propria iniquità, come mal soddisfatto di sua persona, e che tacciato avevalo come ritenuto nell'ascoltare i suoi Vassalli. Fece senso l'accusa; ed il Marchese Tanucci, che non aveva, perchè forestiere, una giusta idea di Alfonso, brontolò subito, e ci fu chi l'intese, lo sfratto da Napoli. Sparsa la voce, già si aveva Alfonso per bandito dal regno, come poco rispettoso al Principe. Inorridì Alfonso in sentirne dal Canonico Fusco, che lo ragguagliò la sera de' sedici, il cattivo senso, in cui erasi presa la sua comparazione; gelò, e ne detestò l'abbaglio. La sua afflizione fu somma, si perchè vivendo egli ossequioso al Re, e carico di tanti benefici, comparir vedevasi colla maschera di una nera ingratitudine: sì ancora perchè la colpa sua, creduta tale, attribuita si sarebbe, con discapito della Congregazione, anche a' compagni. Così afflitto qual era, fece capo dall'Eminentissimo Spinelli, implorando la sua protezione. Lo rincorò il Cardinale, ed inorridì anch'esso in vista della calunnia. Sul medesimo piede si portò ancora dal Marchese Brancone, informandolo di tutto. Troppo conscio era il Marchese del rispetto di Alfonso verso il Principe: animollo a faticare per Dio; e rendettelo sicuro, che il Re, non era per dare orecchio a simile impostura. Furono tali le parti dell'Eminentissimo Spinelli, e tali quelle del Marchese Brancone presso il Marchese Tanucci, che disingannato, non parlò più di tal cosa; anzi prese Alfonso in somma stima, e venerazione.
Anche tra queste angustie, sicuro del suo retto operare, non intermise le sue Apostoliche fatiche. Essendo stato invitato dal Canonico Fusco a' diciannove di Marzo a voler eccitare de' sensi di pietà con una predica, ne' cento cinquanta Giovanetti, che egli aveva in cura nel Seminario al Rito, lo compiacque, contento di ritornarsene di sera a casa verso le due della notte. Similmente lo vollero per un sermone le Monache Salesiane. Anche il Canonico Fusco l'invitò per un altra predica nella Pietà de' Torchini. Fu tale lo sforzo in questa predica, che non ritornò a casa, che con un'asma assai fiera. In una parola fu così affollato di richieste, e fatiche, che non vi fu momento di tempo, che impiegato non avesse per Dio in salute dell'anime.
Animato Alfonso, come dissi, dal Marchese Brancone, di nuovo si presentò al Re Carlo. L'udienza fu privata, ed ebbe tutta la soddisfazione di parlargli. Avendolo ringraziato di tanta bontà e somma clemenza, che dimostrava per esso e per la Congregazione, rinnovò di nuovo le suppliche per la sua Reale Approvazione. Spiegossi, che altro intento non aveva co' suoi compagni, che di fare alle potenze infernali una guerra permanente, vedendosi tutto giorno congiurate a danno delle Anime. Soggiunse, avendocelo imboccato il medesimo Marchese: Io non posso servire da vostro Soldato in questa guerra, se non ho la vostra uniforme, che solo può rendermi rispettabile. Fece presente quante Missioni si facevano ogni anno nelle rispettive Provincie, e la quantità delle Anime, che si mettevano in grazia. Rispetto all'acquisto de' beni, ch'era l'unico intoppo per lo mantenimento dell'opera, si spiegò Alfonso con dire. Vostra Maestà disponga per lo vitto, e lo tassi come meglio le pare, ed io sarò sempre contento di quello, che sarà per prescrivermi. Non pretendo, disse, che le Case diventino ricche, ma che appena abbiano il puro sufficiente, per così mantenersi l'opera di gloria di Dio e per profitto de' vostri Vassalli. Colla rettitudine del cuore, volendo far presente al Re anche il distacco, ch'esso aveva per la medesima opera, se non mantenevasi nel suo vigore, soggiunse: Supposto, quod absit, che i soggetti mancassero, e l'opera decadesse, in questo caso io, ed i miei Compagni ci contentiamo, anzi preghiamo Vostra Maestà, che col Sommo Pontefice dismetta la Congregazione tutta. Spero, disse, che una tal condizione abbia a servire per freno a' futuri Congregati, per non rilasciarli, e di stimolo per proseguirsi l'opera, come di già si è praticato. Tanto espose nella supplica, con altro, che dallo Spirito gli fu suggerito. Fu graziosa l'udienza. Si compiacque il Re Carlo delle sue rimostranze, e molto più delle fatiche di Alfonso, e de' nostri. Volendolo semprepiù rincorare, licenziandolo li disse: State di buon cuore, certo della mia real protezione: pregate Iddio per me, e per la mia Real Famiglia.
Altra messe e più ubertosa ci fu per Alfonso in Napoli. Tra questo tempo s'invogliò ancora, per profittare delle sue fatiche, l'officialità del Presidio a Pizzofalcone. D. Giovambattista di Ruggiero, zelante Cappellano di quel Regimento, c'interpose persona per averlo. Ritrovavasi compromesso Alfonso col Rettore della Misericordiella; ma, pregato a voler bilanciare il maggior bene, che risultar poteva tra' Militari, si arrese. A' ventotto di Marzo aprì questi S. Esercizj. Ci assisteva giornalmente con tutta l'Officialità il Principe di Castropignano, oltre tanti altri Signori e Cavalieri. Il trattenimento non era meno di ore due. Il nostro Padre de Robertis, che vi assisteva, mi attestò, che sommo fu il compiacimento che s'incontrò in tutta l'Officialità, massime per l'apostolica, e somma libertà, con cui spezzava il pane evangelico: Costui parla senza cerimonie, disse un Capitano Spagnuolo. Vedendo compunta l'Officialità il Principe di Castropignano pregò Alfonso per gli Esercizj in seguito agli Officiali minori, e per tutti gli altri soldati. Non avendo tempo Alfonso di compromettersi, contentossi, che, sbrigata l'Officialità maggiore, la medesima sera subentrato avessero i soldati. Così fece da' due d'Aprile in poi, e predicar si vedeva dopo sbrigati i primi, per altre quasi due ore illuminando i secondi. Per il gran caldo che sperimentavasi in Chiesa, se gli alterò talmente la testa, che offeso in un occhio, vedeva come vi ronzasse per davanti una mosca. Non per questo si diede in dietro. Alla predica del Figliuol Prodigo fu anche tocco da tal' asma, che mancavagli il respiro. A' sette Aprile terminò questi santi Esercizj, e sommo fu il profitto in tutti e due i Ceti. Tanti scandali tra' soldati si videro tolti: si prese orrore alle bettole ed alle bestemmie, e bando si diede a quelle donnaccie, che facevan trafico nel quartiere. Generalmente prese piede in tutti la divozione, e frequentar vedevansi le Chiese, ed i Sacramenti. Fece baratto Alfonso di molti libretti divoti, e non avendone più alla mano, situar fece alla porta della Chiesa un libraio con varj opuscoli divoti, massime le Meditazioni per un mese del Padre Paolo Segneri. Non eravi soldato, come mi si attestò che non vedevasi in Chiesa con qualche librettino alla mano, e tutti come tanti Novizi di stretta osservanza. Maggiore fu il frutto, che si sperimentò nella Officialità. Mi attestò D. Alessandro Fiore, che fu il mezzano per questi Esercizj, che cinque Officiali, tra gli altri, si licenziarono in tutto dalla milizia, e ritiraronsi, col permesso del Re, a vivere vita penitente in diversi Chiostri, ed uno vestì l'abito Alcantarino.
A' nove Aprile, sbrigato da Napoli, ma non soddisfatti tanti altri, che ricercato avevano l'opera sua, fece Alfonso ritorno nella Casa di Ciorani. Ben consapevole di quel quiescite pusillum di Cristo a' suoi Apostoli, godette vedersi tra' suoi, per attendere a Dio, ed a se stesso. Troppo travagliata fin ora erasi veduta, tra i vortici di tante tempeste, la nostra picciola barca della Casa di Nocera. Un accidente però, quanto funesto in se, altrettanto glorioso per chi vi soccumbette, rimise Alfonso, e la Casa in una perfetta pace. Non frequentava, anzi non era portato per i nostri, perchè preoccupato da' contrari, D. Domenico di Majo Gentiluomo dell'alta Nocera, e zelante Rettore della Parrocchia de' Pagani, che, come dissi, è servita da quattro Parochi. Vivendo perduto con una donna uno scapricciato giovine della sua Rettorìa, non aveva mancato il zelante Rettore ammonirlo. Offeso il giovine anche
da qualche paterna minaccia, mentre una sera il Rettore da' Pagani ritiravasi
in Nocera, se gli fece incontro il forsennato giovine avanti il Monistero delle
Chiarisse, e dandogli alla vita, con mano armata lo ferisce nel volto, e tutto
lo malmena. Tramortì l'ottimo Rettore, e non essendo nello stato di esser
portato a casa sua, fu posto quasi agonizzante nell'Ospizio delle Monache. Questa dichiarazione del Rettore scoraggiò i contraddicenti Preti, e Regolari. Alfonso rendutone avvisato, maggior umiltà insinuò a' suoi. Esultò Monsignor Volpe, vedendosi guadagnato il Rettore. Tutti e due uniti si diedero di proposito a disingannare i Capi degli Ordini, ed i pochi Preti partitanti. Straccati, e convinti i Capi, s'intromise, e fecesi strada la pace attraverso della guerra.
Verso la metà di Ottobre, vedendo Alfonso sì belle disposizioni, di persona si portò ne' Pagani. In Napoli giorni prima que' savi Senatori del Sacro Regio Consiglio, unanimamente eransi spiegati a favore nostro per la contraddetta donazione, benchè il Contaldi non aveva mancato gravarsene. Alfonso avendo a cuore la quiete sua, e de' suoi, volendo evitare qualunque ulteriore disturbo, fece mostra, con sua gloria, quanto alieno ei fosse dall'interesse. Avendo posto nelle mani della Provvidenza il mantenimenti de' suoi, e tutto il temporale di quella Casa, aprendo il proprio cuore a Monsig. Vescovo, tanto insistette, che lo fece arretrare dall'impegno, che aveva di non cedere per la donazione. Col contento di questi, e di altri, che per lui erano interessati, rilasciò generosamente quanto eragli stato donato, e chiese, ma come per limosina, che soltanto soddisfatti si fossero dal Contaldi ducati novecento, che si andavano in attrasso coll'Appaltatore delle fabriche. Tanto si vide effettuato con consolazione di tutt'i buoni a' trentuno di Ottobre 1748. Quest'atto edificò estremamente Napoli, e Nocera. In seguito, essendosi portato il Rettore, per fare gli santi Esercizj nella Casa di Ciorani, resto così ammirato dell'Opera, e così soddisfatto de' nostri, che non vedevasi sazio magnificarne con tutti lo zelo, il gran bene che si operava, e l'esemplarità della vita. Fu con Alfonso un cuore ed un Anima; e addivenne, come fu sempre in qualunque bisogno, protettore de' nostri, e della Casa.
Per riconciliarci la comune venerazione, conferì molto e non poco anche la gran prudenza di Monsig. Volpe, e quella somma stima che egli dimostrava per ognuno de' nostri. Quest'uomo impareggiabile, quanto oculato, e tutto savio nelle sue intraprese, altrettanto estimatore del giusto, e degli uomini virtuosi, non mancava, come ne aveva l'occasione, e talvolta rintracciavala di per se, mettere in veduta di ognuno, chi fosse Alfonso Liguori; di qual carata la di lui virtù; il credito in cui stava in tutta Napoli, e sopratutto la stima, che ne dimostrava il medesimo Sovrano. Spesso spesso vedevasi in Casa nostra, co' nostri sessionava per gli affari più scabrosi; nè si determinava in cosa senza il parere de' Missionarj. Nella nostra Casa faceva degli appuntamenti co' Preti, Regolari, e Gentiluomini: ivi dava loro Udienza; e vedevansi passeggiare in Porteria i medesimi nostri contrari. Ad arte, e fu notato più volte, ordinava, che per la tal' ora si ritrovassero in S. Michele, e non venendo, vedevansi i poveretti le due, e tre volte restarne delusi. Tanti di questi, o per istruirsi nelle rubriche, o per corriggersi nel costume, li destinava in Casa nostra per gli Spirituali Esercizj, e dovevano, con proprio scorno, mendicare da' nostri l'attestato di essersi approfittati. Questa stima del Vescovo, e di un altro Vescovo così rispettabile, com'era il Volpe, richiamò a poco a poco verso i nostri stima, e venerazione de' medesimi Contradittori.
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