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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.39 Il Re progetta ad Alfonso la riforma di un Ordine antico; suo disimpegno col Re: Missioni fatte in varj siti reali; e nuova Casa stabilita nello Stato di Benevento.
Godeva sempre più il Re Carlo dello zelo di Alfonso, e del gran bene che operava tutto giorno a beneficio del Regno, e della Chiesa. Questi sono, disse un giorno al Marchese Brancone, i veri Missionarj, che non curano se stessi, e non vanno appresso né a roba, né a denari. Spesso spesso voleva esserne informato: e non finiva compiacersi, sentendo i progressi delle nostre Missioni. Volendo far giustizia al di lui merito, entrò nella più ardita risoluzione di eriggere la Congregazione in grado di Religione, e così perpetuare ne' suoi stati l'Opera delle Missioni.
Era in tal tempo in qualche dicadimento in questo regno un Ordine rispettabile, ma molto antico. Avendo di mira un'anima santa lo zelo di Alfonso, ne progettò la riforma alla Maestà della Regina Amalia. Rappresentando questa al Re Carlo suo Marito, non mancò il pio Monarca abbracciarne il progetto con somma sua sodisfazione, e fare impegno suo particolare, quanto dalla Regina veniva rappresentato. Avendo comunicato tutti e due questa loro risoluzione al Marchese Brancone, vollero che in loro Nome progettato l'avessero ad Alfonso. L'idea del Re, e della Regina, era questa: Che Alfonso, ed i suoi Compagni, senza lasciare la propria Regola, vestissero l'abito, ed assumessero il nome del consaputo ordine, e nel di più, che si mantenessero le Missioni, e si operasse in ogni altra cosa, secondo i suoi dettami.
Restò confuso Alfonso, per tanta degnazione del Principe. Volle il Re non però, che ritenuto avesse sotto profondo secreto, quanto in proprio nome se li comunicava. Non dipendendo l'affare da se solo, chiede Alfonso al Marchese, per poter dare al Re accertata risposta, di potersi spiegare co' compagni più anziani. Troppo vantaggioso era il progetto; e si ammirò da ognuno la pietà somma degli Agusti Regnanti; ma riflettendosi a quanto ci poteva essere di scabroso, si rilevò, che qualunque fosse la protezione del Re in loro favore, non ci poteva esser riforma senza contraddizione: che così era sortito a tanti Santi Riformatori, che tali opere avevano intraprese; che altri non vennero a capo, benchè protetti dai Sovrani, e da i Papi; e che in mezzo ai disturbi, essendo pochi i soggetti, che si avevano, l'opera delle Missioni, anzicchè propagarsi, si sarebbe dismessa. Oltre di ciò rifletteva Alfonso, che la Religione stimar dovevasi quasi eterna, e che la vita de' Sovrani era come ogni altra in mano a Dio, e che mancando questa, e sussistendo la Religione, un giorno i Soggetti non si sarebbero ritrovati nè Missionarj, nè semplici Religiosi. Aggiunse di più che tra i suoi, non tutti avrebbero cambiato la sottana pretile, colla tonica Religiosa, e che molti con isfiancamento dell'opera, sarebbero stati di ritorno in propria casa. Questi, ed altri motivi, essendosi stimati troppo ragionevoli, così dal Re, che dalla Regina, fecero sì, che si dassero indietro, nè più si parlò di questo affare.
Nel mese di Luglio invitato in Saragnano per la Novena del Carmine dal Medico D. Francesco Mari, ancorchè defatigato per il corso fatto dell'antecedenti Missioni, e per altre disimpegnate in Napoli, in sentir Novena di Maria Santissima, non fu lento a portarvisi. Oltre il gran bene, che operò in quella Terra, ci fu cosa che fe a tutti conoscere quanto il Missionario fosse caro a Maria Santissima. Una mattina di Giovedì pervennero, passato mezzo giorno, all'ora della tavola il Padre Fiocchi con altri dieci compagni, e poco dopo altri due Padri da Ciorani. Sorpreso il Mari per
l'inaspettato arrivo, non avendo potuto aver carne anche ne' Casali vicini,
pregò Alfonso di voler permettere i polli: nò
nò, disse Alfonso con un sorriso, non
vi sgomentate: portate a tavola quello che ci è, che Iddio provvederà.
Non minori furono le
fatiche nell'Autunno, e Inverno susseguente. Anche il Re volle esser a parte
delle fatiche de' nostri Missionarj. Persuaso del gran profitto, che ritraevasi
colle Missioni, coadiuvava anche egli i Popoli a poterne profittare. volle, con suo dispaccio, che fatta si fosse a propria spesa. Altri siti Reali, anche chiesero, ed ottennero lo stesso: così in seguito volle ancora i nostri Padri nella sua Real Caccia di Persano; ma sempre con suo interesse, e con tutta soddisfazione del suo Real cuore. Anche il Marchese Brancone persuaso del gran bene, che colle Missioni operava, spesso spesso soccorrevalo con abbondanti limosine, ed animavalo ad operare; e tanti Vescovi zelanti considerando la povertà della Congregazione anche coadjuvavano Alfonso, volendo le Missioni a loro interesse. Erano tali però le richieste per ogni dove, che differivansi ad altro anno, non potendosi tutti soddisfare.
Godeva Alfonso per questi tanti progressi delle Missioni in tutte le Case, sotto la protezione del Principe, e godeva il religiosissimo Re Carlo, venendo ragguagliato del tanto bene, che dai nostri si operava nelle Provincie. Grande era il profitto colle Missioni, e maggiore era quello, che coi santi Esercizj si operava nelle Case. Fatto noto nelle
Provincie il Dispaccio del 1752; e la stima, che il Re faceva di Alfonso, e
dell'Opera, e 'l tenue sostentamento, che erasi fissato a' Missionarj, non ci
era Diocesi, per così dire, che non volesse a suo bene una Casa de' nostri;
anzi facevasi a gara dalle Popolazioni, per chi goder doveva sì grande
beneficio. Continue erano le suppliche al Real Trono. Quest'istesso consolava il Re Carlo, vedendo un'Opera da esso protetta, così applaudita generalmente da' Popoli, e da' Vescovi. Non faceva premura Alfonso, non avendo tanti soggetti a poter stabilire in altre Case l'osservanza domestica; nè così volentieri condiscendeva il Re, avendo in contrario la Città, ed il Ministero, non così portati per altre Case Religiose. Tanti proponevano la soppressione di qualche Conventino: il Re non sarebbe stato alieno; ma Alfonso fu sempre in contrario, non volendo esser di amarezza a tanti rispettivi, ma rispettabili Regolari.
Troppo sensibile fu per Alfonso in quest'anno la morte del P. Cafora sortita in Caposele ai tredici del mese di Agosto. Amavalo Alfonso e stimavalo estremamente, come esemplare di eroica santità. Uomo inimico di se stesso, non davasene una per vinta. Indefesso nell'operare, spronava col suo esempio anche gli altri a sacrificarli per Iddio, e per le Anime. L'orazione, e la mortificazione in esso non si viddero mai discompagnate. Bastava guardarlo per raccogliersi e compungersi. Tutto per edificazione nel Cafora. Alfonso avevalo come un sostegno, de più principali della Congregazione; non si appartava da suoi consigli, e come dissi, specialmente regolavasi con esso nelle cose di sua coscienza. Che non fece per ottenerli da Dio prolungata la vita: orazioni, e preghiere intimò per tutte le case, e fuori di queste incompensollo ancora a varj Monisteri di sacre Vergini. Sortita la morte, adorando egli i divini giudizi, espresse i sentimenti del proprio cuore in quella sua, ma celebre canzone fu la volontà di Dio, ed in seguito anche diede fuori un compendio della di lui Vita.
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