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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap. 46 Richiesta fatta ad Alfonso dalla Congregazione di Propaganda per le Missioni dell'Asia; fondazione in Sicilia; e riforma intrapresa nel Real Orfanatrofio di Gaeta
L'anno cinquattottesimo di questo secolo fu per Alfonso una catena di non ordinarie consolazioni. Varj Popolo nell'Asia di Setta Nesteriana, avendo aperti gli occhi alla verità, esposero al S. Padre Clemente XIII , volersi unire alla Chiesa Romana, ed essere istruiti nella Fede Cattolica. Persuasi gli Eminentiss. Porporati di Propaganda dello zelo di Alfonso, e de' valenti Missionarj, che aveva, li fecero presente questo bisogno, e lo richiesero de' suoi Alunni. Se ne compiacque Alfonso; ed in data de' I8 Luglio del medesimo anno, così scrisse a tutte le Case: "Ecco già aperto, PP. e Fratelli in Gesù Cristo, un vasto campo, ove la messe si fa vedere già pronta, e non aspetta che zelanti Operarj per esser recisa. Io vi presento quella povera gente da una parte cogli occhi bagnati di lagrime in atto supplichevole alzar le voci al Celeste Padrone, che si degni mandarceli, e dall'altra colle braccia aperte verso le RR. VV. che vi pregano sgombrarli da quella ignoranza, in cui con perdita tanto considerabile vivono da più di mille, e trecento anni. Non vogliono ricorrere
a' loro Maestri per timor di restar ingannati, ma si portano alle RR. VV., che
considerano veri Ministri della Divina Sapienza. Vi cercano sol quanto gli
basta per ricoverarsi nel seno della S. Chiesa. Cose che agli altri con
tant'abbondanza donate, e di cui essi vivono in una estrema penuria.
Fu questa tal richiesta
di consolazione non solo ad Alfonso, ma sì bene a tutti li Congregati. In
sentirsi per le Case un tale desiderio de' poveri Nestoriani, e la premura, che
dimostravano de' Nostri gli Eminentiss. di Propaganda, non vi fu soggetto, che
non si offerì a partire, e di voler dare la vita per Gesù Cristo.
Sommo fu il compiacimento di Alfonso, vedendo tanto zelo, specialmente ne' giovani. Volendo sperimentare la costanza, e frenare con prudenza un tanto fervore, così rescrisse ai medesimi nel giorno decimosettimo di Luglio: Fratelli miei, mi son consolato nel ricevere le vostre lettere, e non pensate, che io finga. Io ho tutto il desiderio di veder andare più giovani de' nostri agl'Infedeli, e dar la vita per Gesù Cristo; ma bisogna, che mi assicuri dello spirito, e della perseveranza di ciascuno. Perciò vi prego attendere allo studio (perchè si hanno da terminare gli studj), mentre prima di andare, dovete essere esaminati in Roma. Ma prima di tutto vi prego di unirvi con Gesù Cristo. Chi non va agl'Infedeli ben provveduto di amore a Gesù Cristo, e di desiderio di patire, sta in pericolo di perdere l'Anima, e la Fede. Chi poi persevera in questo desiderio, è di bene, che ogni tanto, cioè ogni nove, o dieci mesi mi rinnovi la richiesta. Frattanto stringetevi con Gesù Cristo, e pregatelo ogni giorno, che vi faccia degni di questa grazia. Così Alfonso ai nostri Giovani studenti. Come, e perchè poi non fu effettuata questa tale spedizione, non mi è noto.
Occasione diede ad Alfonso questo fervore de' Giovani per insinuare, particolarmente a Padri anziani, maggior fervore nell'osservanza, e per riscuotere più esattezza nel ubbidire. "Raccomando Padri miei, così scrisse per
le case, specialmente a voi la santa ubbidienza, non tanto a me, quanto a
Superiori locali, e delle Missioni. Si tratta, che ora i Superiori hanno da
ripetere mille volte una cosa, per esser ubbiditi; e poi alcuni ancora, son
tante le scuse, e le repliche, che portano, che finalmente i Superiori sono
obbligati per non disturbarli, ad esimerli dall'ubbidienza. Non era mai soddisfatto Alfonso, e ricercava sempre maggior perfezione come quei creditori esatti, che esigono, e ripetono sempre più da debitori. Questa virtù dell'ubbidienza eragli estremamente a cuore; ma benchè fiorisse tra Congregati, e si adorassero i cenni de' Superiori, egli replicava sempre lo stesso, per non vederla decaduta, e per vederla maggiormente perfezionata.
L'anno susseguente non fu per Alfonso di minor consolazione. Monsig. Lucchese Vescovo di Girgenti in Sicilia, preintendendo in gran bene, che l'Opera di Alfonso promuoveva ne' Popoli, li fe richiesta de' suoi Missionarj. Siamo tenuti per tal richiesta alla furberia di un Galantuomo Napoletano . Questi facendo abuso del venerato Alfonso, scrisse in nome di lui a molti Vescovi di Sicilia, ed anche in altri luoghi, chiedendo sussidio per le opere di pietà, che aveva per le mani. Tutti per la somma stima, in che si aveva Alfonso, li corrisposero con grosse somme di danaro. Ancorchè sollecito fosse il buon Galantuomo in prendere le lettere alla Posta, una volta però (e disposelo la Provvidenza) fu prevenuto dal nostro Fratello Francesco Tartaglione, che assisteva in Napoli al disbrigo de' comuni affari. Apre Alfonso la lettera in Nocera; e ritrova con istupore, che Monsig. Lucchese incaricato aveva il suo Agente, per somministrargli docati venti. Ringraziò Alfonso Monsig. Lucchese della cortese esibizione, e fecelo carico che non esso, ma un qualche marioncello avevalo cercato in suo nome. Più cortese li rispose Monsignore: volle, che ricevuto si avesse il contante, ed impiegato a sua disposizione.
Tempo innanzi Monsig. Lucchese, essendo Vicario delle Monache in Palermo, aveva avuta notizia da Monsig. Martinez, Vicario di Monsig. Cusani, e di poi Vescovo di Avellino, della nuova Congregazione fondata da Alfonso. Eletto Vescovo di Girgenti, e passando per Napoli lo volle conoscere. Si compiacque dell'Opera, e se restò invogliato, per averla in Diocesi, attraversandosi alcuni intrighi, nol pose in effetto. Rinnovata la memoria con questo incidente, non solo offerì ad Alfonso una rendita conveniente, ma anche un Collegio bello, e fatto. Non fu alieno Alfonso dal compiacerlo; ed essendosi convenuto per la sussistenza de' Missionarj, sospese l'esecuzione per aversi il contesto anche dal Principe.
Un'opera segnalata per mezzo de' suoi, tra questo tempo, anche s'intraprese da Alfonso. Nella Città di Gaeta
vedevasi ridotto in uno stato assai miserabile il Reale Conservatorio delle
figlie esposte, dipendente da quello dell'Annunziata di Napoli, e col temporale
ci andava di sotto anche l'eterno. Le figlie così mal guidate non erano meno di
quattrocento. Affidandosi le piccinine alla cura delle grandi, ognuna di
queste, chiamata maestra, avevane sotto di se le dieci, e dodeci. Col corpo ci pativa anche l'anima. Mancavano li primi
rudimenti cristiani: idea di onestà non vedevasi tra tutte; ed essendo il
luogo aperto ad ognuno, non vi era nè rossore, nè vergogna. Le parolacce erano
comuni; vi regnavano le bestemmie; nè sapevasi, anche dalle più vecchie, cosa
fosse confessione. Più volte eransi impiegati per darvi del riparo, ma inutilmente, varj zelanti Operari. Vedendo disperato il caso il Presidente d'Anna, e l'Avvocato Mirra, ne resero informato il Re Carlo. Restò commosso il savio Principe in vista di un tanto male. Ben sapendo il zelo di Alfonso, ed il fare de' suoi Missionarj, volle che Alfonso se ne incaricasse, e che disponesse con tutta autorità a suo arbitrio il bisognevole. Anche Alfonso pianse in sentirne lo stato. Abbracciò l'opera; e fatto il piano, destinò in Gaeta li soggetti più ragguardevoli in santità, e prudenza, cioè i PP. Mazzini, Fiocchi, e Gaiano. Si diede riparo, per prima, all'onestà delle figliuole, vestendole da capo a piede. Si pulirono dalle scabie, e da altre lordure, e si ebbero da Napoli pagliacci, e lettiere per farle riposare. Porte, e finestre, che pregiudicar poteano l'onestà, si chiusero, ed altre se ne aprirono giusta il bisogno; nè si stentò poco per igravar il pio luogo dalle tante immondezze. Scabrosa fu l'opera, e più scabrosa, perchè l'anziane prevedendo il proprio discapito, apprender fecero i Missionarj alle figliuole altrettanti tiranni. Come si risolvette somministrarsi il vitto a tutte in comune, e stabilirvi il Refettorio, con togliersi alle Maestre il dipartimento de' cibarj, vi fu rivolta tra tutte. Le anziane, perchè perdevano li giornalieri provecci, e le figliuole non capendone il vantaggio; Non vogliamo il calderone, gridavano tutte da disperate. Mutarono bensì linguaggio, vedendosi i Padri far da cuochi, e da serventi a tavola, ed esse ben trattate, e con vitto sovrabbondante. Si diede forma al pio luogo di regolato Conservatorio. Due volte il giorno si fissò in comune l'Orazione mentale, la visita al Sacramento, ed il Rosario a Maria Santissima, e si fece l'orario giornaliero così per il lavoro, che per gli Esercizj di pietà. Anche le più vecchie si dovettero istruire nè Misteri più necessarj. Essendosi dati gli Santi Esercizj, sgravò ognuna la propria coscienza, e si stabilirono per ogni anno. Varj cordati Sacerdoti si destinarono per assisterci giornalmente, e per dare al pio luogo un sesto costante, si fecero venire dal Conservatorio di S. Vincenzo di Napoli, quattro di quelle savie donne, per regolare le figliuole nello spirito, e nella fatica. Non fu questo un giuoco di mesi, ma di anni; ed Alfonso far dovea ritornare i suoi, e trattenervicisi i cinque, e sei mesi per volta. Il pio luogo da inferno, che era, addivenne un patente paradiso. Tra poco tempo vi si viddero anime di orazione, e di special mortificazione: prese piede il silenzio, e il raccoglimento: frequentata la santa Comunione; e poste in pratica tra quelle Vergini, con consolazione di Alfonso, e soddisfazione somma del Re Carlo le virtù Cristiane.
Non è che questa sia la sola opera, che Alfonso intraprese, o per se, o per mezzo de' suoi; ve ne sono molte, e segnalate. Comunità di Religiosi si viddero riformate, e Monasteri di Monache, o Conservatorj santificati. Molti Seminarj, che vedevansi dissipati, rifiorir si viddero nello spirito, e nelle lettere. Così centinaja di Popolazioni pacificate tra di se, o con i proprj Baroni. Avendo io di mira la brevità, tralascio queste opere per dar luogo a chi farà per impinguare maggiormente la storia della di lui vita.
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