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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.55 Savia condotta, che voleva Alfonso ne' nostri Confessori, e gastico di Dio in uno di questi.
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Cap.55

Savia condotta, che voleva Alfonso ne' nostri Confessori, e gastico di Dio in uno di questi.

 


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Prudenza somma, e sofficiente dottrina esiggeva Alfonso ne' nostri Confessori. Animando i nostri giovani allo studio delle cose morali, "voi, diceva, sarete giudici, che dovete decretare su due piedi, e i vostri decreti non ammetteranno appellazione ad altro giudice superiore. Sua unica sollecitudine era esaminar i meriti, ed invigilare sulla condotta di ciascuno. Quest'istesso inculcava a respettivi Rettori; di questo incaricavane i Superiori delle Missioni; nè mancava informarsi, e darvi del riparo, ove vi conoscesse del bisogno.

 

Ascesi i Soggetti al Sacerdozio, lo che non succedeva che terminati gli studj, per ordinario egli soleva dare anche la confessione. Se vedeva in taluno prurito di esser Confessore, e mettersi in aria, non avendo lo spirito, che ricerca l'impiego, arretravalo, e non vi capiva mediatore.

Più circospetto egli era per la confessione delle donne. Non permettevala, se non si avevano gli anni trenta, ed a soggetti di sperimentata virtù; ma per le Monache esiggeva anni quaranta, e non accordavala, se non vi concorreva un merito tutto particolare. Siccome arretrava gli spiriti presuntuosi, così animava gli umili, che diffidando di se medesimi, spaventati restavano per un tale impiego.

 

Inculcava come unica cosa a Confessori, somma carità, e dolcezza somma co' peccatori.
"Lo spirito aspro, ed amaro, ei dicea, è proprio de' novatori, ed oggi giorno assecondato si vede dai già detti Tuzioristi. Questi col Giansenismo adottato, non è tanto il bene, quanto il male, che fanno. Di certo non fu questo lo Spirito di Gesù-Cristo, e di tanti Uomini Apostolici, che noi veneriamo sopra gli Altari. Bisogna dimostrar ribrezzo pel peccato, ma umanità, e somma carità col peccatore. Qualche parola autorevole tante volte è necessaria, per fargli conoscere la gravezza del peccato, ma autorevole, e non disgustante, e nell'ultimo è anche più che necessario addolcirlo con parole amorevoli; cosicchè il penitente nel tempo istesso apprender possa odio al peccato, e confidenza nel Confessore, per esporgli le proprie piaghe.

In altra occasione ci disse: "Se talvolta in Missione state coi flati, alzatevi dal confessionile, perchè colla vostra mala grazia saranno più i sacrilegj che farete fare, che non sono i penitenti, che sbrigate. Dite al Superiore, che state poco bene, e ritiratevi in casa. Questo non è bugia, perchè l'ipocondria è peggiore di qualunque malatia.


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Voleva, ascoltandosi le confessioni, serietà, e compostezza, ma sempre non disgiunta dall'affabilità cristiana.

Colle donne, anzichè avvenenza inculcava maggiore sostenutezza. "Questa razza, dir soleva, attacca come pece; e se non si sta guardigno, volentieri dallo spirito, si fa passaggio alla carne. Aveva a delitto, specialmente nel confessionale, il bacio dell'abito, e maggiormente della mano; ma data l'assoluzione voleva si mandassero per li fatti loro: Mi fa più specie, disse un giorno, un'ombra di femina, che cento mila diavoli".

 

Nel confessionale avea a scandalo qualunque eccezione di persone.
Carità, replicava, ma non particolarità. Avanti a Dio tutti erano uguali per Alfonso. "Le Gentildonne, dicea, si fanno strada da per esse, ma non si deve dar luogo dal Missionario. Noi dobbiamo ugualmente esser esposti per tutti, e ricever tutti con amore".  Molto meno permetteva, ed avevalo a maggior scandalo, il levarsi da sedere, ed andare a sentirle in altro confessionale.

Così, confessandosi uomini, non approvava si insinuasse cedersi il luogo a qualche Galantuomo. Solo, richiesto da qualche Sacerdote, come dissi, voleva si andasse a sentirlo, ma in luogo proprio, e meno esposto.

 

Andandosi per confessare donne inferme in propria casa, impose, come dissi, che almeno si portasse un qualche Sacerdote per compagno; e non finiva d'inculcare cautela, e modestia. Avvertiva sentirle con un santo contegno, colla porta aperta, e col compagno a veduta. "Sono troppo noti, ripeteva, i funesti accidenti; ne vi è cautela, che basti trattandosi colle donne.

 

Se ricercava in tutti, confessandosi persone di diverso sesso, serietà, e contegno, maggiormente esiggevalo ne' giovani Confessori. Non soffriva in questi ombra di avvenenza, massime colle giovinette. In casa, se vedeva taluno troppo accerchiato da queste nella nostra Chiesa, cambiavalo subito di stanza. Era sua massima, che nei giovani quello che sembra zelo, e carità, col tempo si scuopre passione, e marciume.

Erasi egli molto adoprato, per situare un giovinetto in Congregazione, non avendo il patrimonio. Lo amava Alfonso, perchè ricco di talenti. Fatto Confessore, il concorso di zitelle, e la di lui avvenenza nol sodisfaceva. Prevedendo di peggio, lo destinò di stanza in altra Casa. Fu restio il giovine, ma fu in pronto il dilemma: o che ubbidisca, o che se ne vada. Non vi fu pietà, e fu fuori di Congregazione.

 

Minor circospezione non inculcava, sentendosi le confessioni de' figliuoli. Non altrove ordinò si sentissero, che in Chiesa, o in luogo aperto, e pubblico. Proibì per questi ogni carezza, o allettamento. Sono Angioletti, soleva dire, ma nelle date occasioni possono diventar demonj.

Avvertiva starsi attenti alle dimande, e non esser troppo scrupolosi in materia turpe, potendosi imparar loro, ciò che non sanno,


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e questo specialmente confessandosi zitelle. "Non và bene, diceva Alfonso, a chi non ne sa, farne saper di più, perchè in tal materia dal sapere al fare non vi è molta distanza: meglio è che si lascino semplici, ed ignoranti nella cognizione imperfetta, che addottrinarli di vantaggio, e solo in generale farli concepir stima della castità, ed abbominio al peccato opposto.

 

Cautela, e sommo ritegno inculcava, ritrovandosi abituati, o recidivi.
"Con questi tali badate, ei diceva, ad alzar la mano. Il loro pianto, se si veggono piangere, è anche ingannevole. Piangono non per odio al peccato; ma piangono per strappar l'assoluzione, e per cominciar da capo. Voleva bensì, che non si spaventassero, o si licenziassero di mala grazia. Io stento più, ci disse un giorno, a mandarne uno senz'assoluzione, che assolvere dieci ben compunti.
Se si spaventano, diceva, e si fanno vedere indegni delle divine misericordie, invece di emendarsi, disperati s'imperverseranno nel mal fare". Inculcava doversi abbracciare questi disgraziati, commisserarli, e far loro conoscere lo stato infelice in cui sono: che si animassero alla confidenza; e far vedere, che si può superare il mal abito colla grazia di Dio, e di Maria Santissima.

Se non si trattano così, ripeteva, e questi non si fanno carichi del loro stato, mal volentieri si vedranno disserita l'assoluzione, ne si risolveranno a mutar vita.

 

Esecrava il costume di taluni, che sentendo un peccato grave nell'apertura della Confessione, subito inarcano le ciglia, ed anzichè affezzionarsi il Penitente, lo dissanimano. Non approvava sul principio veruna correzione, ma che dimostrato si fosse affabilità, e dolcezza, animando il Penitente a vomitare le sue colpe; e che fatta la Confessione, si fosse ripreso, e fatto carico del suo stato: sempre bensì in ispirito di dolcezza, per così far accettare con piacere la giusta penitenza.

 

Similmente non poteva soffrire il fare di taluni, che, prevedendo una coscienza imbrogliata, l'evitano, e non s'inducono a sentire con mendicati pretesti taluno di questi. Alfonso stimavala la massima iniquità. Voleva si sentisse ognuno scellerato che fosse, e non meritando l'assoluzione, se li dassero i mezzi per riaversi, e caritativamente si licenziasse. Sopratutto insinuava animarsi questi tali a far ritorno da esso medesimo, ed accoglierli, ritornando, con tutta amorevolezza. Vedevasegli nel volto il compiacimento, quando vedeva specialmente i nostri giovani andar in cerca di anime imbrogliate, offerirsi, ed esser impegnati in ajutarli.

 

Non approvava che s'imponessero penitenze di lunga durata. "Queste volentieri s'intermettono, ei diceva, e mancandosi, i penitenti anche volentieri si danno di nuovo al mal fare. Voleva penitenze brevi, e salutari, come visitare il Sacramento, e qualche imagine di Maria Santissima;


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sentir la Messa, e nel tempo istesso legger, o pensare a qualche massima eterna, specialmente sulla Passione di Gesù Cristo; recitare il Santissimo Rosario, e simili.

Consigliava qualche cosa afflittiva, ma discreta. Sopratutto però, che fra tanti giorni si fosse di nuovo ai piedi del Confessore. Con questo stimava, che il penitente è per ricevere nuova grazia, volentieri sente il Confessore, e per lo stesso motivo vive lontano dal peccato.

 

Estremamente eragli a cuore, come più volte ho rilevato, che si promovesse nel Popolo la frequenza della santa Comunione, e si facessero carichi i penitenti di quella disposizione necessaria, che i Santi Padri, la santa Chiesa, ed il Concilio di Trento han sempre ricercato.

"Si sa, disse un giorno, che altro impegno non hanno i moderni regolatori delle anime, che allontanare i fedeli dall'uso de' Sacramenti, come se altra strada non ci fosse per andare a Dio, che allontanarli da Dio. Vorrei, disse altra volta quasi piangendo, che quella disposizione, che taluni Confessori esiggono ne' penitenti, essi l'avessero per metà per celebrare degnamente". Inculcava, che si andasse incontro a quest'empietà, così egli la chiamava, e si facessero vedere i vantaggi, che l'anima riceve dalla frequente comunione. "Rotti i canali delle acque, diceva Alfonso, Betulia era in punto di arrendersi: così mancata la frequenza de' Sacramenti, che sono il canale delle grazie, le anime vanno a cadere, arrendendosi alle passioni, ed al demonio, che la tenta.

 

Ciocchè interessavalo, e che sopratutto tenevalo occupato, era la sufficiente scienza, e quelle giuste massime, che ogni Confessore deve avere per disimpegnare senza taccia il suo ministero.

Non voleva nè lassezza, nè indiscreta rigidezza. Il troppo lasso, ei diceva, ed il troppo rigore ugualmente sono di rovina alle anime. Questi due estremi ne' suoi, ei voleva evitati, come due vizi capitali. In qualunque di questi si fosse declinato, mancava subito nel soggetto il giusto requisito per esser Confessore.
Sapendo taluno indulgente più che non conveniva, perdevaci il sonno, nè trovava pace: così se in altri odorato avesse dello spirito rigido, e non conforme alle massime del Vangelo. "Dal lassismo, e dal tuziorismo, ripeteva Alfonso, ne nasce per molte anime il totale rilasciamento. Così scrisse anche in Palermo al P. Nicola Savio prete dell'Oratorio.

 

Benchè in materia morale non stabilì sistema tra i suoi, ma lasciò ognuno nella libertà di appigliarsi ove volesse, non approvava bensì che si seguitasse alla cieca qualunque opinione, ancorchè sostenuta da gravi autori. Più che l'autorità voleva, che signoreggiato avesse la ragione, ove la legge non fosse chiara.

Esiggeva per le materie morali uno studio profondo, e continuato. "Questo ci fa conoscere la nostra ingoranza, e non ci fa essere stravaganti. I novelli tuzioristi, diceva, per lo più


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non ne sanno di morale, e perciò sono così strampi, e storti. Vogliono esser tenuti per Maestri, quando non furono mai discepoli". Per due anni voleva si fossero esercitati i giovani nello studio passivo.

"Se non siete dotti in dommatica, ci ripeteva, meno male: quì non siamo grazia a Dio, tra eretici, o confinanti con essi; ma se non sapete di morale, rovinate voi stessi, e mandate all'inferno i vostri penitenti". Oltre lo studio passivo, esiggeva, ed inculcavalo anche ai vecchi, lo studio camerale. "Questo studio, ripeteva, non finisce che colla vita.

 

Scrupoloso, anzi rigido era Alfonso nell'esame de' nostri Confessori. Quest'atto non rimettevalo ad altri, ma era tutto di sua ispezione. Talvolta consumava in esaminare un soggetto i dieci, e dodeci giorni. Trattato per trattato esiggeva conto, e troppo stretto, anche delle cose ovvie. Se in coscienza nol conosceva atto a rettamente giudicare, dilatavalo ad altro tempo.

 

In ogni casa voleva tra Padri, ogni otto giorni, l'accademia delle dottrine morali. Sopratutto, (lo che era un esame continuato), insisteva, che fatte si fossero le confessioni pratiche tra il Confessore, ed il penitente.

"Taluni, diceva, sono ottimi nella speculativa, ma pessimi nella pratica. Esaminati, aggiustatamente rispondono, e sembrano dottori; posti a confessare, non sanno che si dire, si confondono, ed angustiano i penitenti".

Di fatti, benchè taluni fossero capaci nella teorica, posti al crivello pratico, li sospese per molto tempo, proibendo loro un tale impiego. Queste confessioni così fatte, riuscivano di gran profitto non meno ai giovani, che ai vecchi.

 

In uno de' nostri, che appartato lo vide dalle giuste sue massime, abbiamo un caso, ma troppo funesto. Benchè educato in Congregazione, non ebbe ribrezzo, essendo Lettore di morale, perchè giovane di gran talento, impugnare le di lui massime, condannare gli autori più cordati, e parlarne con disprezzo. Volendo fare il tuziorista, formato si aveva un sistema troppo strambo. Confessando faceva un macello delle anime, e dogmatizzando rovinava anche i giovani.
Non lasciò mezzo Alfonso per rimetterlo nel giusto. Non profittando, levollo da Lettore, destinollo altrove di stanza, propibendogli la Confessione. L'ebbe a male il miserabile; e non avendo lo spirito di soffrire nè l'una, nè l'altra mortificazione, altiero chiese essergli rilasciato il giuramento di perseveranza.

Non mancò Alfonso, volendolo disingannare, adoprarvi altri de' nostri, ma tutto si rese in utile.
Persistendo nella sua ostinazione, figlio, li disse, voi lasciate la Congregazione, e volete esser così ostinato, temete, che non vi mancherà un fine molto infelice. Partì; ma non fu lento Iddio in castigarlo.
Molto tempo non passò, che sorpreso si vide da un canchero estremamente orribile nella faccia. Non trovando sollievo,


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usciva ad urlare come un cane in pubblica strada. Conoscendo il suo errore, confuso, e pentito chiama i nostri, si disdice, e cerca scusa ad Alfonso. Vedendosi all'estremo, supplicò, e pianse, che se non si voleva vederlo morto disperato, e dannato, se gli accordassero i voti de' Congregati, e seppellito si fosse tra i nostri.
 "Se non ci ho voluto star vivo, almeno, disse, ci voglio star morto". Considerandosi il di lui stato, ed avendosi riguardo all'eterno, ottenne quanto chiese dal P. Villani, che essendo Alfonso già Vescovo, sosteneva da Vicario le sue veci.




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