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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.61 Alfonso rilevando il benefizio della Vocazione, animava i suoi a maggior santità: sua Carità coi tentati, e rigido trattamento con chi non curava la divina chiamata.
Tra tutti li mezzi, mezzo più efficace non ebbe Alfonso per animare i suoi alla riforma dell'uomo vecchio, quanto imprimere in essi una vantaggiosa idea della propria vocazione. In senso suo Vocazione, e Predestinazione non erano, come realmente lo sono, che una medesima cosa; e che escluso ogni altro beneficio, questo solo di esser chiamato da Dio in una nascente Congregazione, esiggeva perfezione, e santità eminente. "Avendoci Iddio chiamati a questo stato, non è grazia ordinaria, ma grande, e singolare; ma bisogna pregare Iddio, che anche ci dia grazia di conoscere il valore di questa medesima grazia; e che tant'è non corrispondere a questa divina chiamata, quanto metterci in pericolo di vederci eternamente dannati. Iddio ci ha chiamati, disse in altr'occasione, e ci ha prescelti coadjutori del Figlio, per riscattar le anime dalle mani del demonio. Tant'è esser chiamati all'Apostolato, quanto averci dato un segno patente di nostra predestinazione. Se mettiamo in salvo un'anima, anche salvato abbiamo l'anima nostra. Che consolazione in punto di morte per un Congregato, vedersi squadrate innanzi al letto centinaja di anime, che festose li dicono: Opera tua sumus! Similmente diceva: ringraziamo sempre Iddio, e preghiamolo, che ci faccia far conto di questo gran beneficio: beneficio non conceduto a tanti altri paesani, ed amici. Che merito avevamo noi più degli altri? forse iniquità, e peccati; e Dio, non ostante i nostri demeriti, ci ha prescelti di mezzo al fecciume di tanti altri, e forse con meno peccati di noi".
Detestando un giorno il gran libertinaggio, che da per tutto, ed in Regno si dilatava, disse: "Noi dobbiamo sommamente ringraziare Iddio, per averci cavati dal Mondo, ed introdotti in Casa sua, in dove le specie delle cose di Dio si conservano sempre vive; per la frequente orazione, letture divote, discorsi spirituali, e buoni esempj. Tutto questo nelle critiche occasioni ci è di sommo ajuto. Ma tra le genti del Mondo, che non pensano per l'opposto, e non parlano, che di cose di mondo, altro non ritrovasi nella loro fantasia, che specie di corruttela, e sono causa in ogni piccolo incontro di nuova ruina.
In una delle sere, parlando nella ricreazione del gran timore, in cui ognuno deve vivere per la sua salvezza, disse: "Il timore nostro è simile a quello di coloro, che, affidati ad una nave, hanno tempesta nel porto, ove con difficoltà si perisce: ma quello de' mondani è simile a quello di coloro, che veggonsi in piccola barchetta, e sono in tempesta in mezzo all'Oceano, ove il naufragio è quasi indubitato".
Sperimentava Alfonso in morte de' nostri un misto insieme di amarezza, e di allegrezza. Amarezza sperimentava perdendo un operario; ma vedendolo morto da santo, questo superava l'amarezza, tenendo per certo averlo avvocato in Cielo; e voleva, che in vece di lutto, vi fosse stata a tavola una comune ricreazione. Rammemorando questo
beneficio, spesso spesso inculcava amore, e gratitudine verso Gesù Cristo, ed
impegno sempre più grande in perfezionare noi medesimi.
In altre occasioni soleva dire: "se avete fatto il più, corrispondendo alla chiamata, non vi resta, che far il meno per farvi santi; ma siccome il venire in Congregazione è stata più opera della grazia, che vostra: così il meno, che vi resta da fare, esser deve tutto sforzo del vostro cuore, quasi che tutto dovete far voi, e niente la grazia". Non era egli contento ne' suoi di una santità ordinaria. Troppo in alto voleva la mira. "Noi non sappiamo, ripeteva, i secreti di Dio, ed ove sta fissata la nostra predestinazione. Chi è chiamato ad una santità sublime, non sodisfa il cuore di Gesù Cristo, se si contenta della mediocre. Se la mira non è alta, colpiremo con difficoltà in quel segno prefisso da Dio.
Affliggevasi Alfonso, e vedevasi tutto tenerezza con taluni, che costanti erano nella vocazione, e che decaduta per qualche disgrazia la propria casa, obligati si stimavano, per soccorrerla, a ritirarsi di Congregazione. Compiangendo il loro travaglio, e volendo metter in salvo la divina chiamata, ancorchè in gran miseria si ritrovasse, non difficoltava soccorrerli, come lo fece in varie occasioni, rilasciando specialmente, in beneficio e parenti, il provento della Messa. A
taluni sembrava troppo eccessiva una tal carità, avendosi riguardo alla povertà
della Congregazione; ma egli rispondeva: "nella carità non vi è mai cosa
di soperchio, e quello che esce per una strada, Iddio lo fa rientrare per un
altra.
Avendo un idea così alta di questa divina Vocazione, maggiiore afflizione non provava, che veder taluno tentato, ed in procinto di darsi in dietro. In questi spostamenti due cose rifletteva, o che fosse urto di tentazione, o diabolica ostinazione di volontà. Se stimavalo tentazione, compativa il trasporto, e non mancava ajutare il soggetto coll'orazione propria, e con quella degli altri; anzi scusava, e non faceva carico di qualche impertinenza. Sognandosi un nostro Padre, essendo giovanetto, esser stato mandato a castigo nella Casa di Iliceto, chiese con una lettera impertinente, o esser amosso da quella Casa, o che era per ritirarsi dalla Congregazione. Conoscendo Alfonso esser pura suggestione, saporitamente li rispose: "S. Paolo primo eremita a S. Antonio Abbate, che pregava volerli aprire la porta con dire, che altrimenti sarebbe morto all'uscio, questo è un bel pregare, li disse il Santo, pregare minacciando. Lo stesso io dico a voi. Compatisco i stati esaltati. Chi mai vi ha mandato a castigo in Iliceto? e poi: altrimenti cercherò la dispensa. Voi la cercate, e chi ve le dà. Per carità un'altra volta non tanta furia. Replico: vi compatisco, perchè non siete voi, ma i flati, che parlano; ma dite ai vostri flati in altra occasione, che parlino con poco più di discrezione". Con questa dolcezza adattata ad un giovanetto, ma temperata con pochissimo amaro, dissipò Alfonso la tentazione, e pose in pace il soggetto.
Ammirabile era ancora
un'altr'arte, che aveva Alfonso, per far restar delusa la tentazione.
Presentandosegli, e cercando taluno dispensa al Giuramento di Stabilità,
Alfonso conoscendolo tentato, si faceva vedere a prima giunta tutto pronto per
accordarcelo. Questa facilità arrestava il soggetto. Di fatti non vi è cosa,
che tanto ci ostina, quanto il vederci rintuzzati. Ma dolcemente ripigliando,
ponderava quanto falso fosse il passo, e che tutto era una pura tentazione.
Benchè Alfonso con un cuore così caritativo sostenesse tanti di questi vacillanti, non per questo facevaci del capitale. Chiamava questi tali: pietre smosse. "Smossa una pietra, ei diceva, dal cuore della fabrica, non è mai per assestarsi, qualunque perizia si usi, ed incarnarsi come prima. Soleva dire, ed avevalo per moralmente certo, che non vi sono lacrime bastanti, per riaversi una seconda grazia, ove la prima siasi perduta". Non pochi di questi tali, si vide coll'esperienza, che o presto, o tardi anche slogiavano. Ogni ombra era corpo per essi: e persistendo in Congregazione erano più di peso, che di sollievo.
Eravi stato qualche incidente, cioè, che taluni nel bollore di subitanea passione, eransi partiti di Casa, per andare da lui; ma allucinati per strada, e vinti dalla tentazione, avevan tirato non da lui, ma in propria casa. Alfonso volendosi opporre, come già dissi, a queste mosse diaboliche, con formale precetto proibì, che niuno fosse partito per portarsi da lui, se prima nol preveniva, e non ne avesse avuto il permesso. Così proibì per lo stesso motivo, che cercato non se li fosse dispensa della stabilità, ritrovandosi il soggetto fuori di casa, senza che di persona si fosse portato da lui. Con questo mezzo preservò, e pose in salvo più d'uno da simili naufragi. Vi fu esempio, che vinti taluni dal demonio, e non facendo conto del precetto formale, anche senza permesso, e senza averne ottenuta la dispensa, ritornarono al secolo. Con questi tali mutava cuore Alfonso. Costante, non ebbe pietà per veruno; nè s'indusse a rilasciar loro l'obbligazione contratta con Dio, e colla Congregazione, se confusi non li vide a suoi piedi.
Conoscendo in taluni non esser tentazione, ma ostinazione di volontà, il volersi ritirare nel secolo; e che mancata la grazia più non curavasi nè l'anima, nè Dio, non stava in forse, benchè facevalo con sommo rincrescimento, in rilasciare il Giuramento di Stabilità; e tante volte nol fece, che con preludj assai funesti. Stimava Alfonso una tal dispensa un vero passaporto per casa del diavolo, e ne piangeva prevedendo le triste conseguenze. Resistette per quanto potè nel non rilasciare ad un Padre il Giuramento di Stabilità. Non cercò questi uscire di Congregazione, se non se per una passione mal regolata verso la propria Madre. Essendosi reso vano ogni ajuto, ed avendo voluto ostinatamente la dispensa: "Io ve l'accordo, li disse Alfonso, ma voi farete un fine assai infelice. Non fu fallace il preludio. Partì lo sventurato, e ritornato in casa sua, ritrovassi bersaglio di Dio, e degli uomini. Non ebbe più pace, maggiormente vedendosi mal veduto dagli altri Preti, e contradetto da ogni ceto. Quello ch'è più, maggiori dissapori provò colla propria Madre. Anche gravemente infermo, si vide da quella discacciato di casa, e non morì, che privo d'ogni sollievo umano, e divino, e derelitto come un cane in una misera casuccia. Per la Madre era uscito di Congregazione, e permise Iddio, che neanche dalla Madre fosse visitato in quell'estremo.
Questi tali, o che si
licenziavano da se, o che erano espulsi non curavansi più; nè vi fu caso, che
taluno riammesso si vedesse in Congregazione. e publicani. Appena rilasciato il Giuramento di
Stabilità ordinava, che quanto presto sloggiassero di casa. Non vi stava scritto sulla porta di casa, ma leggevasi col fatto, non esservi speranza di rientrarvi, per chi ne usciva. Quali premure non fece un soggetto, e quali mezzi non prese per vedersi aggraziato? Non mancò adoperarvisi anche Monsignor Borgia, e Monsignor Basta; ma nè per l'uno, nè per l'altro si piegò Alfonso.
Essendo stato
licenziato, non so perchè, un Sacerdote, entrato in se stesso, e conoscendo la
sua disgrazia, si fe avanti ad Alfonso, e prostrato a terra cercava tutto
lacrime vedersi riammesso tra di noi. Era tale la sua umiliazione, che faceva
compassione alle pietre, ma costante si vide Alfonso, ed inflessibile. Perchè
quegli sapeva, che a riguardo di Maria Santissima egli niente negava, pregò
volerlo aggraziare, anche in riguardo della Vergine. In sentir questo Alfonso
in tuono alto "la Madonna, li
disse, non vuole, che io vada all'inferno
per te. Che non fece il P.
Genovese per vedersi riammesso in Congregazione. Tra l'altro si dolse con una
lettera, tacciando Alfonso nel tempo istesso di troppo severo. Uno di questi avendoli chiesto un attestato, la risposta fu questa; "Io non fo attestati ai traditori della Congregazione".
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