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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO II
    • Cap.62 Sollecitudine di Alfonso per li Chierici Professi, per li Novizj, e per li Fratelli servienti.
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Cap.62

Sollecitudine di Alfonso per li Chierici Professi, per li Novizj, e per li Fratelli servienti.

 


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Non v'è tenerezza di Padre, che uguagliar possa la tenerezza, che Alfonso aveva per li nostri Chierici. Voleva che i Rettori ugualmente li amassero, e li trattassero come figli". Questi sono, ei diceva, la speranza della Congregazione, perchè questi supplir dovranno le nostre mancanze". Stando infermo taluno, vedevasi sollecito per rimetterlo in salute; non si badava a spesa; ed eran chiamati i migliori Medici del vicinato.

Maggiormente si meritavano questi il suo amore, se vedevansi umili, rassegnati, e raccolti. "Noi siamo il padre, diceva Alfonso, e la Congregazione è loro Madre. Dopo che questi hanno lasciato Padre, e Madre per offerirsi a Dio, è giustizia, che lor si usi tutta la carità.

 

Godeva vederli profittare ne studj; ma non voleva in essi un prurito di sapere più che non conviene.

"Siccome la discrezione è virtù, ei diceva, così l'ardenza è vizio. Tre erano le regole, ch'ei dava, e voleva si avessero presenti nel corso de studj. Per primo non cercare di sapere, che le sole cose necessarie, ed utili, ma sempre colla debita moderazione. secondo non ostentare con altri più di quello che si sa, e molto meno quello che non si sa. Per terzo aversi sempre di mira il crescere nelle virtù, e specialmente nella santa umiltà.

"Scrisse, ei diceva, il Cardinal Tarucci al nipote, ch'erasi fatto Francescano, che sopratutto atteso avesse a farsi santo, essendo più nel suo Ordine i Santi, che erano stati ignoranti, che i dotti.

 

Aveva a male, che si andassero leggicchiando altri libri, persistendosi sotto la disciplina del Lettore, e voleva, che ruminassero bene, e s'impossessassero di quella lezione, che loro si dava. "Voi dovete considerarvi, come tanti bambini, diceva Alfonso. Il boccone, che potete fare, ve l'imbocca il Maestro, e questo è quello, che vi sazia, e v'incrassa. Taluni per troppo voler sapere restano ignoranti".

 

Maggiormente aveva a male qualche anzia di scartapellar libri in tempo de studj, e fare ammasso di materie predicabili. "Questa è pura tentazione, ei replicava, perchè si trascuri il proprio per l'appellativo. Questa materia non si può unire con frutto, che terminati gli studj, e facendosi in questo tempo, nè questa giova, ne si studia a dovere".

Un Chierico ammaliato per questo, corretto, e ricorretto, anzi penitenziato non diede segno di emenda. Vedendosi incorrigibile, Alfonso si vide in obligo rimandarlo a casa sua: previde un fine assai infelice, e ce lo preconizzò. Di fatti mal veduto da tutti, vagando di quà, e di là, si ridusse il disgraziato a morire dentro una taverna, ove da disperato, e non conosciuto, erasi dato a fare un tal mestiere.

 

Compiacevasi, e voleva tra i Chierici una santa emulazione ne' studj, ma non disgiunta dalla scambievole carità. Porzione de' Chierici, che facevano il corso de' studj nella casa di Caposele, entrando in gara con gli altri, che stavano in quella di Ciorani, inviarono una lettera critica, ed erudita, ma framischiata con qualche sale. Alfonso avendolo saputo l'ebbe a male, e scrisse subito in Caposele al P. Cajone, che era Rettore, "dite in capitolo, che io non voglio queste cose; ne lo vuole lo spirito di carità. Gli uni, e gli altri sono una medesima cosa;


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cioè fratelli, e figli della medesima Madre".

 

Non finiva di compiacersi, quando tra i Chierici vi scorgeva un'umile subordinazione, ed un basso sentire di se medesimi, con l'amore alla mortificazione cristiana. Essendo per partire alcuni giovani per la casa di Nocera, altro loro non incaricò, che umiltà, soggezione, e mortificazione. "Umiltà, fratelli miei, ripetè più volte, umiltà, che così diverrete dotti, e santi".

 

Ordinariamente in Missione si pavoneggia più il Predicatore di sera, che chi fà da Istruttore. Alfonso volendo disingannare i giovani, e distoglierli da tale ambizione. "Figli miei, lor disse un giorno, non fate che entri nel vostro cuore aura di vanità, o ambizione di predicare. Le massime evangeliche restano più impresse per mezzo de' Catechismi, che per mezzo delle Prediche".

 

Desiderava che i giovanetti Chierici crescessero anziosi di impiegarsi in sollievo della gente povera, e di villa. Destinandoli nelle Domeniche a fare la dottrina Cristiana per le Parrocchie, una volta tra le tante, lor disse: "Affezionatevi, figli miei, in ajutare le anime più bisognose, ora che siete mandati a far la dottrina. Andateci con gran desiderio di ajutare que' poveri fanciulli; ne vi credete esser questa picciola cosa. Anche Gesù Cristo fu mandato dall'Eterno Padre, per istruire i poveretti ignoranti".

 

Più che il sapere ricercava ne' Chierici santità, ed amore verso Gesù Cristo. "La vera sapienza, così egli discorrendo con questi, è saper solo Gesù Cristo. A che serve la scienza, se non è indirizzata per cercar Iddio. Possiamo dire con sincerità, che il nostro fratello Blasucci già defonto ha avuto la vera scienza, mentre in tutte le cose sue non cercava che solo Iddio, e perciò, come tutti sapete, ha fatto una morte da santo.

"Si deve studiare, è vero, giacchè siamo operarj, ma persuadiamoci, che l'unica cosa importante, che più di tutto Gesù Cristo ricerca da noi, è attendere alla propria salvezza. Bisogna studiare, ma lo studio devesi fare unicamente per piacere a Dio, altrimenti non servirà, che per esser tormentati nel purgatorio, e forse taluno, lo che Dio non voglia, anche tormentato nell'Inferno. Sicchè il vostro fine sia sempre la gloria di Dio, ed il bene delle anime, e presentandovisi occasione di esser tenuti per ignoranti, abbracciatela, che non vi nuoce.

 

Altre volte lor disse: "Noi per cercare in tutte le cose solo Iddio, dobbiamo essere distaccati da tutte le cose anche spirituali. Cerca solo Dio chi sta attaccato alle prediche, ed allo studio? No; nè cerca solo Dio, chi sta attaccato alle consolazioni spirituali. E vero che le consolazioni sono da Dio: ma cercare le consolazioni, e stare attaccato a queste, non è cercare solo Dio, ma cercare se stesso".


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Nell'ultima visita fatta nella casa da Ciorani l'anno 1761, questi sono gli ordini, che vi lasciò.

"Usino venerazione, e si abbia tutto il rispetto, e tutta la soggezione così al Prefetto, che al Lettore. Corretti non si difendano, ne si scusino, ma si riceva con umiltà l'ammonizione. Ogni quindeci giorni non si manchi al conto di coscienza, e si abbia col Prefetto tutta la confidenza.

Fuori del sollievo comune, ricreazione, o altro bisogno, non si vadi passeggiando per i corridori; ma ognuno stia sempre ritirato nella stanza. Così proibisco l'andarsi nel Coro, o in altro luogo fuori dello Studentato, senza licenza del Prefetto. In tempo di riposo ognuno stia ritirato nella propria stanza, senza essere d'incomodo agli altri: così in quello dello studio camerale in commune vi si osservi rigoroso silenzio.

Non vi siano altercazioni improprie per cose scientifiche, ma l'uno ceda all'altro con ispirito di umiltà. Ovunque si vada in commune, si vada sempre a due a due, composti, e modesti. La chiave comune solo si permette al Capo Chierico.

"Rispetto al Prefetto, e Rettore lasciò anche scritto: "Così il Rettore, come il Prefetto non permettano, che i Chierici parlino co' secolari senza necessità; ne il Rettore lo permetta senza intesa del prefetto: e sempre in unione del Capostudente, o di altro. Similmente non si faccino intervenire nella ricreazione de' Chierici, Padri, o fratelli, molto meno forestieri, e mancando il prefetto che ci assista altro Padre. Finalmente stando taluno indisposto, che non si disoblighi totalmente dello studio, e se non può studiare, almeno intervenga alla lezione. "

Queste sono le ultime provvidenze di Alfonso rispetto ai Chierici, primo di esser Vescovo.

 

Anche particolar affezione aveva Alfonso coi giovinetti Novizj. Invidiava in questi la loro forte, che senza saper di mondo in quell'età si ritrovavan alla prim'ora nella casa di Dio, ov'egli, se non nell'ultima, troppo tardi almeno vedevasi chiamato. Ritrovandosi il Noviziato in quella Casa, ove egli risedeva, faceva sempre di sera la ricreazione in unione de' Novizj. Avrebbe voluto il Noviziato sempre vicino a se, ma tante volte, con sua pena, dovè situarlo in altra Casa.

 

Non poteva soffrire maggior dolore, che quando sentiva un qualche giovane tentato, e maggiormente se barcolava nella vocazione, se dai segni stimavalo chiamato con ispeciale ispirazione. Volevalo da se, l'illuminava, e confortavalo quanto poteva. Capacitato il Giovine vedevasi in fronte ad Alfonso l'allegrezza, che sperimentava nel cuore.

Volendo che si facesse conto della vocazione, e metter i giovani nella diffidenza di poterla perdere, se non corrispondevano, soleva dire. "Che vocazione, e perseveranza, sono due grazie distinte. Si può esser chiamato da Dio, anche in mezzo ai nostri demeriti, ma non si può avere la grazia della perseveranza, se non ce la meritiamo colla preghiera, e colle buone opere. Questa corona è quella, che vien


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combattuta dal demonio; e Dio permette, che ci tenti, per vedere la nostra fedeltà, e premiarci di vantaggio.

 

Tre cose, ei ricercava ne' Novizj per perseverare, e non esser vinti dal demonio. Umiltà, Ubbidienza, e chiarezza di Coscienza. "Con chi è umile, e conosce la propria miseria, il demonio, diceva, non ci può far breccia; nè può allucinare, chi dipende ciecamente dal cenno de' Superiori; ma maggiormente chi è candido di cuore, e confida al proprio direttore le suggestioni, che sperimenta. La tentazione scoperta o è vinta, o è mezzo vinta; perchè il demonio, ch'è la stessa superbia, avvilendosi in tentarci, non soffre vedersi scoperto ad un fango qual'è l'uomo. "Ove sentiva disposizioni tali in qualche Novizio accertavalo, che non aveva di che temere.

 

Voleva il maestro tutto cuore, e tutto amore per li giovani. Questo m'insinuava sempre in ventiquattro, e più anni, che ebbi cura del Noviziato. Non voleva rigori, e penitenze, ma esortazioni caritative, ed amorevoli, mettendosi avanti gli occhi il bene, ed il male.

"La Congregazione è libera, diceva Alfonso, e Dio vuole sacrifici volontarj, e non forzati. Chi corretto, non si emenda, segno è non esser venuto con retta intenzione, nè la Congregazione fa più per esso. In Iliceto, così mi scrisse: "A principio si sopporta qualche difetto, ma se sono ripresi, e non si emendano, specialmente, se sono difetti che fanno danno agli altri, subito si debbono licenziare, perchè nuoce più un difettoso col mal'esempio, che un eretico.
 E soggiunse: conoscendo taluno così imperfetto, avvertite a non farlo praticare cogli altri, perche la sua conversazione può fare più danno, che cento demonj".

 

Affliggevasi Alfonso, e dimostrar vedevasi tenerezza maggiore, e somma carità con chi si portava bene, e travagliato vedevalo da qualche indisposizione.

Ancorchè i Padri volessero, che si rimandasse in casa sua, egli ne prendeva le parti, e facevali d'avvocato. Non è dovere, diceva, che chi ha lasciato casa e parenti, per consacrarfi a Dio, si debba escludere dalla casa di Dio. Anche quì ci sono medici, e mendicamenti : se non profitta qui, nemmeno potrà ristabilirsi in casa propria; e se Dio lo vuol morto è, che muoja in Congregazione, e non già in mezzo al secolo. Altre volte disse: Ove mai si è veduto una Madre, che discacci di casa un figlio, perchè infermiccio.

Aveva per massima, che gl'infermi pazienti, e divoti, col loro esempio, sostenevano la Congregazione, e guadagnando il cuore di Dio, ci attiravano delle grazie. Venendo a morir taluno di questi giovani ferventi. Alfonso godeva, e non affliggevasi, certo, com'ei diceva, di posseder Dio in Cielo. Se poi il Novizio licenziavasi da se, nol soffriva che con pena.

 

Stabilì, che per li Sacerdoti potevansi dispensare del P. Rettore Maggiore mesi sei di Noviziato; ma in effetto, durante la sua vita, non si


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servì mai di questo privilegio, e se poteva prolongarlo, non mancava per esso. Coll'esperienza conobbe, che questi avevan bisogno di prova, più che gli altri, perchè piu duri di volontà, e meno assuefatti ad ubbidire? Quanto sulle prime, perchè bisognoso di soggetti, era facile a ricevere qualche Sacerdote, tanto in seguito ne fu restìo. Non ammettevali, se non aveva patenti segni di volontà, e di vera vocazione.

 

Come Padre comune minor sollecitudine non aveva per li Fratelli servienti, nè lasciava mezzo per vederli coadjuvati nello spirito.

Alfonso considerava questi come tanti marinari, che mentre il padrone con altri negozia in barca, essi affaticati sono nel remigare. Se si adoperano i poveretti, dir soleva, per sollevar noi nel temporale, giustizia vuole, che loro si somministri lo spirituale. Stabilì, che trattati si fossero, e provveduti ne loro bisogni, com'altro della Comunità.

Non volle eccezione nel vitto; e così di mattina, che di sera volevali tutti all'orazione, ed esame comune. Tra il giorno esiggeva, che far dovevano anch'essi particolar visita a Gesù Sacramentato, colla visita, e terza parte di Rosario a Maria Santissima. Volle la Confessione due volte la settimana, ed il Mercoledì, e Venerdì, ed in tutte le feste di precetto la Santa Comunione. Anche per questi stabilì un giorno di ritiramento ogni mese; ed in vece di giorni dieci di Esercizj, prescrisse loro giorni tre di ritiramento nelle Quattro Tempora dell'anno.

Accettato un Fratello voleva, che per mesi sei trattenuto si fosse cogli abiti secolareschi nel noviziato, per apprendere le virtù proprie dello stato, sotto la cura del Maestro de' novizi. Accordavali in seguito una veste di tela oscura, ma questa a grazia, e con chi era di edificazione.

Avendo pregato il P. Cajone Rettore di Caposele per uno di questi, li rescrisse, Sisignore, li potete mettere la veste negra di tela tinta, col collare della medesima tela, ma senza collare bianco. Elassi sei sett'anni di prova, così vestito rimandavasi per altri mesi sei nel Noviziato. Portandosi bene, vestiva finalmente la tonaca della Congregazione, alta bensì un palmo da terra, ed ammettevasi all'oblazione de' soliti Voti, e Giuramento di Stabilità.

 

Anche da questi esiggeva a rigore un'esatta osservanza. I zoppi ajutavali quanto poteva, ma disperato il caso, licenziavali di Congregazione. Troppo bene non portavafi in Caposele un Fratello laico, che sapeva molto bene architettare orologi. Tenerlo costì, scrisse al P. Cajone, non è più cosa. Lo terrò quì sotto gli occhi miei; e se vedo, che seguita a fare, come à fatto, anderà fuori a fare orologj. Non abbiamo bisogni di orologj, ma di buoni Fratelli, che diano buon'esempio.

 

Se in tutti ricercava Alfonso spirito di soggezione, e di umiltà, maggiormente esiggevalo da' Fratelli laici. In questi ogn'ombra di poca umiltà era castigata con castighi severi, ed esemplari.

Nella Casa di Caposele eravi un fratello, che patrizzava, e voleva farla da tu per tu coi


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Padri. Alfonso avendolo saputo, così scrisse al P. D. Francesco Margotta, che era Rettore: Umiliate il Fratello N., e fateli conoscere la sua superbia. Diteli, che se non si emenda, e non si fa immondezza avanti ai Padri, sarà cacciato come un altro Lucifero dalla Casa di Dio. Vi fu tempo, che taluni malcontenti si risentirono nella Casa di Ciorani, e fecero complotto tra di loro. Ad Alfonso non dispiacque tanto la pretenzione, quanto l'unione. Essendo io Rettore in Iliceto, mi scrisse da Nocera: Qui, ed a Ciorani si è fatto giustizia. Se n'è mandato Fratello Crescenzi, che ha parlato, e poi è stato renitente alla penitenza.

 

Altra volta saltò in testa a taluni, perchè Comunità perfetta, voler giocare del pari coi Sacerdoti, e non voler mensa a parte per essi. Questa poca umiltà trafisse il cuore ad Alfonso; e scrivendo in comune ai medesimi, così si spiega: Fratelli miei, Dio sa l'amarezza, che ho inteso in sentire tanti difetti; e quello ch'è più, difetti di superbia, quando voi dovete attendere solamente all'umiltà, virtù propria de' Fratelli servienti. Per ora io vi perdono, ma per l'avvenire non mi obbligate a darvi quel castigo, che può dirarvi appresso un castigo eterno; perchè se mi obbligate a cacciarvi di Congregazione, non sò come anderà, anzi molto temo della vostra eterna salute.

 

Perchè avevansi fatt'uscir di bocca taluni, che se ne sarebbero andati, se non si otteneva l'intento, Alfonso così prosiegue nella medesima lettera: Questa parola di volervene andare, non me la fate sentir più, perchè questa sola parola basta ad obbligarmi, per licenziarvi dalla Congregazione. Il luogo vostro sarà sempre l'ultimo dopo i Padri, Studenti, e Novizi. Che vergogna! sentire i Fratelli servienti, che pretendono precedenza di luogo. Non mi date più disgusto. Io vi amo come fratelli, ma vi voglio santi. Che ha servito venire alla Congregazione, se non vi fate santi; e le virtù a voi più necessarie, sono umiltà, ubbidienza, e pazienza: senza patire non ci è santità. Conchiude, e dice: benedico tutti i Fratelli che hanno buona intenzione; ma non quelli, che anno mala intenzione, che colla loro superbia si meritano, non la benedizione, ma la maledizione da Gesù Cristo.

Non altrimenti regolava Alfonso, ed invigilava di continuo per tutti li Soggetti in tutte le Case, per veder tra i suoi esattamente osservata la sua Regola, e regnare in tutti il vero Spirito di Gesù Cristo.




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