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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.2 Sensi di Alfonso con suo fratello D. Ercole: sue umili disposizioni per equipaggiarsi; sua grave infermità, e sentimenti del Pubblico per la sua subordinazione al Papa.
Fatto inteso in Napoli D. Ercole di lui fratello d'aver Alfonso accettato il Vescovado, non mancò seco rallegrarsi a venti di Marzo, ed esibirsi per l'occorrente in Napoli, ed in Roma. Ringraziandolo Alfonso, così li rescrisse: "Fratello mio caro, io sono restato così stordito da questo precetto, che ho avuto dal Papa, ad accettare il Vescovado per ubbidienza, che stò come uno stolido, pensando che ho da lasciare la Congregazione, dopo esserci stato trent'anni. Del resto vi ringrazio, che volete improntarmi i danari per le spese. Se voi non volevate, io già avevo pensato scrivere al Papa in ultimo caso, che io non avea come fare per le Bolle, e per tante altre spese che bisognano. Chi sa, se forse per quest'impotenza, mi avesse liberato dal Vescovado. Aveva scritto, che il Cardinale Spinelli mi aiutasse a liberarmi, ed esso ha fatto tutto il contrario. Che voglio dire? mi sagrifico alla volontà di Dio. Dopo altre cose soggiunge: Voi vi siete rallegrato, ed io non fo altro, che piangere. Dove mi stava apparecchiato il Vescovado nella vecchiaja! Ma sia sempre fatta la Divina Volontà, che mi vuol martire in questi ultimi anni di vita. Ho perduto il sonno, l'appetito, e son diventato stolido, pensando, che il Papa non dà mai tali precetti, ed a me l'ha voluto dare. Stammatina mi è venuta la febbre, e questa sera che scrivo, non mi è passata ancora.
Pervenuta in Venezia la notizia di sua elezione in Vescovo, anche il Signor Remondini non mancò seco rallegrarsene. "La ringrazio, li rescrisse Alfonso, dell'officio, che sa meco di congratulazione, ma per me l'unico conforto, che in ciò ho ritrovato, è stato il precetto del Papa, che mi ha obbligato ad accettar questo peso: cosa, che ha fatto stordire Napoli, e Roma.
Accettato il vescovado, non passò per capo ad Alfonso stabilirsi in Napoli, come si suole, una qualche abitazione di suo decoro. "In quanto alla casa, scrisse al Fratello, io non vorrei caricarmi di spesa. Penso, che quando vengo in Napoli, mi basterà una, o due camere dentro lo stesso quarto vostro di basso, dove posso ricevere qualche nobile che verrà a trovarmi, perché il quartino di sopra resterà per i miei Compagni. Anche il Fratello Francesco Tartaglione li scrisse per qualche mobile, che nel nostro ospizio doveva prepararsi: Io, in Napoli, li rescrisse, spero non venirci più; ma se ci vengo, mi bastano quattro sedie di paglia.
Essendoseli detto dai
nostri, che bisognava pensarsi per la carozza, e per le livree; se per ubbidienza ho accettato il Vescovado,
disse Alfonso, debbo imitare li Santi
Vescovi, e non mi state a dire carozze, e livree. Che ho d'andare facendo il
Bagascio per Napoli? essendo stato obbligato da Monsignor Borgia, e da
Monsignor Volpe, e molto più dal suo direttore il P. Villani a voler far uso
della carozza, per lo meno s'industriava averne una usata, e di meno spesa: e parleremo. Ma per ora, che starò in Napoli, non mi bisogna comprar subito la carozza, e le mule: mi servirò (cosa, che non si crede) della carozza di Forcella per le visite, che ho da fare.
Qualunque fosse stata l'uniformità di Alfonso in sottomettersi al volere del Papa, fu tale però la violenza che fece a se stesso, e tale lo sconvolgimento, che soffrì nello spirito, che fu per lasciarci la vita. La mattina de' 20 si ritrovò con febbre. Sulle prime si credette una qualche flussione. Spiegati li sintomi, ed essendo questi cattivi, si dubitò subito di sua vita. Monsignor Volpe, e Monsignor Borgia non si davano pace, né sapevano come ajutarlo. Si conosceva la causa, ma non si ritrovava il rimedio. Qualunque motivo di consolazione era inutile. La spina, che sopra tutto trafiggevali il cuore, era, che stimava il Vescovado come in castigo de' suoi peccati. Giusti giudizi di Dio, spesso esclamava, Iddio mi caccia di Congregazione per li peccati miei. Tra queste angustie eragli solo di qualche sollievo la speranza di vedersi un giorno rimesso in Congregazione. "Tengo per certo, disse a Monsignor Volpe, e lo spero, che placato Iddio con me, almeno a capo di anni illuminar voglia il Papa ad elegger per S. Agata altro soggetto meritevole, e voglia per sua misericordia rimandarmi a morire in queste medesime mura di dove sono per uscire.
Sparsa la voce del motivo per cui vedevasi in pericolo della vita, vi accorse da Lettere anche Monsignor Giannini: così varj gentiluomini, ed Ecclesiastici di riguardo furono a visitarlo dai vicini paesi. Monsignor Borgia, e Monsignor Volpe non partivano dal suo fianco. Anche l'Eminentissimo Sersale non lasciò consolarlo da Napoli, e slargarli il cuore con savj riflessi. Il male non però si avanzava, e sempreppiù si aveva per disperato.
Così passando le cose in Nocera, in Roma Papa Clemente XIII sommamente si compiaceva per la sommissione di Alfonso ai suoi voleri; e con altra lettera, de' 26 Marzo, fecelo accertare da Monsignor Uditore del pieno compiacimento, che ne provava: "Ho il vantaggio di replicare questa mia ossequiosa a V. P. Reverendissima, così Monsignor Uditore, per assicurarla, che Nostro Signore ha inteso con distinto piacere, che ella soggettando la propria volontà alle di lui determinazioni, siasi rassegnata, e disposta ad accettare il governo della Vescovil Chiesa di S. Agata; ed è nella più ferma fiducia, che il merito di questa sua conformità alla divina chiamata, sarà per impetrarle dal Signore abbondanti forze, e li ajuti necessarj, per l'adempimento de' suoi doveri in quella Diocesi. Soggiunse di vantaggio e disse: Questa sicurezza che io le porgo della Pontificia soddisfazione, le serva di conforto per sino che farà ella in grado di meglio per se stessa rivederla nella sua venuta in Roma, quale ha fatto benissimo differire, dopo la corrente rigida stagione; e potrà con suo comodo intraprendere il viaggio, regolandosi secondo le notizie che riceverà dal suo Agente, per essere all'ordine nell'altro susseguente Concistoro. Dal mio canto ambisco di dare alla P. V. Reverendissima effettive riprove della rispettosa mia osservanza, col frequentemente obbedirla; ed intanto riverentemente mi rassegno.
Giunse questa lettera in tempo che Alfonso veniva dalla febbre più che mai afflitto e travagliato. Reso avvisato in Napoli D. Ercole dello stato pericoloso, in cui vedeasi il Fratello, si portò subito in Nocera, portando con se uno de' migliori Professori. Richiesto Alfonso come ne stasse, disse: Sto sotto la mano di Dio. Tra questo tempo non mancarono i nostri, che stanziavano nella Casa de' Ciorani, essere a visitarlo. Non se ne consolò Alfonso; ma in vederli, piangendo lor disse: Siete venuti a cacciarmi dalla Congregazione. E ripigliando D. Ercole a voler stare di buon animo, rispose: Sto per far sempre la volontà di Dio. Fu sì grave la sua infermità, che in Napoli, ed in Roma si credette anche morto. Il Papa se ne afflisse estremamente, ed incerto dell'esito, se muore, disse, noi li diamo la nostra Apostolica Benedizione, ma se vive lo vogliamo in Roma. Tutta la Congregazione si vide agitata; ed in tutte le case si facevano a Dio delle pubbliche preghiere, premendo a tutti la di lui vita, come proprio Padre, e Fondatore.
Un estro di gioja produsse in S. Agata la sommessione di Alfonso ai voleri del Papa. L'allegrezza fu commune in ogni ceto. Più Canonici furono destinati dal Capitolo per andare di persona a seco congratularsi; ma quanto in questi fu grande la brama di riconoscere un Uomo, che loro Iddio destinava per Padre, altrettanto fu doloroso l'incontro, ritrovandolo a letto, ed in pericolo della Vita. Anzichè atti di complimento, furono di condoglienza le loro espressioni. Ritornati in S. Agata, si restò funestato per tal notizia, e dal Clero, e da tutti si avvanzarono a Dio le preghiere, per vederlo in salute, e nello stato di goderlo per loro Pastore.
Troppo senso fece in Napoli così la rinuncia di Alfonso, che l'accettamento del Vescovado. L'una, e l'altro fu presso tutti di somma edificazione. Colla rinuncia si confermò in ognuno il sommo distaccamento che avea dalla Dignità e dagli onori: e coll'accettamento si ammirò la sua somma sommessione al Capo della Chiesa. Non così s'intese dal Marchese Tanucci, perchè forse non seppe tutto. Se ammirò la rinuncia per lo Vescovado offerto, restò formalizzato, e l'ebbe a memoria, vedendolo accettato. Venendo pregato a capo di anni, non sò di che in nome di Alfonso, dal Consiglier Celano, enfaticamente li disse: "Come! Monsignor Liguori rinunciò il Vescovado di Palermo, offerto dal re, e poi accetta quello di S. Agata, offerto dalla Corte di Roma. Ripugnò per quello di Palermo, rispose il Celano, avendo voto di non accettare qualunque dignità. Anche questo di S. Agata lo rinunciò, ma poi l'accettò, perché obbligato dal Papa con formale precetto di ubbidienza: se la Maestà del Re anche l'avesse obbligato per quello di Palermo, similmente accettato l'avrebbe. Questa risposta imbarazzò il Marchese, ma non volle darsi per vinto. Il Sovrano, disse, non forza, ma vuole essere obbedito. Tutta volta il Marchese Tanucci favorì Alfonso in ogni rincontro, e l'ebbe sempre in somma venerazione.
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