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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap.22 Generali stabilimenti fatti in Diocesi da Alfonso, dopo averla tutta visitata.
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Cap.22

Generali stabilimenti fatti in Diocesi da Alfonso, dopo averla tutta visitata.

 


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Fattosi carico Alfonso dello stato di tutta la Diocesi, prevenne il Papa, che pensava convocare un Sinodo, per così dar riparo ai tanti abusi, e stabilire per legge sinodale, coll'approvazione della Santità Sua, ciocchè stimavasi necessario. Godette il Papa di questa sua determinazione.

Volendo rendere gloriosa l'apertura del Sinodo, ut opus tam pium majori cum fructu fiat, a 21 Giugno con altro suo Breve, Cum sicut accepimus, concesse Plenaria Indulgenza ad ognuno, che confessandosi, e comunicandosi, visitato avesse la Cattedrale di S. Agata, facendosene l'apertura. Così ogn'anno commemorandosi il giorno anniversario, e pregandosi al solito per l'esaltazione di S. Chiesa.

 

Ritrovandomi in S. Agata, volle, che portandomi in Napoli, consigliato avessi con Monsignor Borgia Vescovo di Aversa, e col P. D. Gennaro Fatigati Confondatore, come dissi, della Congregazione detta de' Cinesi questo suo proponimento. Tutti e due per giusti motivi furono di sentimento contrario. Non altrimenti l'intesero altri Vescovi amici.

Ritornato in S. Agata, e riferendoli i sentimenti del Borgia e del Fatigati, considerandoli anch'esso, mi disse: Quello che stabilir dovrei col Sinodo, lo farò con tanti editti. Così  non starò soggetto a qualche cervello torbido, che potrà inquietarmi, ed impedirmi in Napoli il Regio Assenso.

Avendo tenuto colloquio per più tempo colle persone più cordate del Clero, specialmente coll'Arcidiacono, e le altre Dignità del Capitolo, non omettono ancora di sentire varj Gentiluomini, restrinse in


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sei Notificazioni quanto pel Sinodo aveva preparato, volendo, che come tante leggi inviolabilmente osservate si fossero in tutta la Diocesi.

 

E' diretta la prima Notificazione a Canonici, Mansionarj, e Cappellani. Troppo in attrasso stava la disciplina del Coro così nella Cattedrale, che nelle Chiese Collegiate; che se intervenivasi, non sodisfacevasi all'obbligo dell'officio che troppo trapazzatamente.

Facendosi scorta Alfonso colla Bolla di papa Benedetto XIV al Cardinal Delfino Patriarca di Aquileja, fa intendere che lucrar non si possono le distribuzioni quotidiane, né i frutti delle Prebende, se non si canti, e non si salmeggi come vuole S. Chiesa.

Similmente che in coscienza, e senza grave scrupolo di peccato, non possonsi donare, nè rilasciare i respettivi frutti dagli altri Canonici a chi non assiste in Coro. Raccomanda la pausa salmeggiandosi, e la divozione; e soggetta a stretta puntatura chiunque in Coro non osservi il silenzio.

Vuole, che cominciato l'Officio, non si esca di Coro, se non per ascoltar le Confessioni, o per celebrare i divini Misteri; e che le Messe non escan in truppa, ma tratto, tratto, avendosi di mira il comodo del popolo. Similmente comanda, che sia anche puntato chiunque nel giorno de' Morti, o ne' due susseguenti, che si fa l'Anniversario per li Vescovi, e Canonici defonti, non assiste di persona all'Officio, ed alla Messa.

 

Insiste colla dottrina del Sacro Concilio di Trento sopra l'abuso che vi era di sostituirsi l'un l'altro nel Coro. Facendosi carico anche de' decreti della Sacra Congregazione, non l'accorda che una, o al più due volte in ogni settimana, purchè i sostituti non siano di servizio, e che stia in Città, e nel paese il Canonico sostituente, come con altro decreto della medesima Congregazione.

 

Volendo la libertà de' suffragj in Capitolo, comanda che tutte le cose gravi, che interessano il Corpo, o taluni in particolare, così nella Cattedrale, che nelle Collegiate non si risolvano tumultuariamente, e che far si debba per voti secreti. Sul dubbio, se le cose siano gravi o no, vuole che decider si debba dall'Arcidiacono, o da chi fa capo in Capitolo; e sempre che taluno de' Capitolari ricerchi i voti secreti.

 

E' diretta la seconda Notificazione agli Arcipreti, Parrochi, e Rettori di tutta la Diocesi. L'ignoranza de' figliuoli nelle cose necessarie a sapersi, e l'indolenza de' Parrochi in ammaestrarli, era una spina, che troppo pungevali il cuore. Con questa Notificazione Egli rinnova l'ordine già dato in S. Visita, e vuole, che due volte ne' giorni festivi nelle Parrocchie si reciti col Popolo nella Messa Parrocchiale, e nell'altra, ove vi sia concorso, il ristretto da esso fatto della Dottrina Cristiana. Così comanda, che anche si faccia da ogni Sacerdote dicendo Messa nelle Cappelle rurali.


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Incarica, che ogni Domenica al giorno i Parrochi, oltre dell'anzidetto ristretto, s'interessino per una diffusa istruzione delle cose della Fede, specialmente ai giovanetti, e che in questo si facciano coadjuvare da altri Sacerdoti, e Chierici della medesima Parrocchia. Che non potendo il Parroco, essendo aggravato da qualche incomodo, almeno che assista, e vegga come dagli altri si disimpegna sì sacrosanto ministero. Non contento si sappiano materialmente i rudimenti Cristiani, vuole si faccia capire a' figliuoli, secondo la propria capacità, quello che colla voce proferiscono.

Similmente comanda, che prima di Pasqua, per più settimane, s'istruiscono tutti coloro atti per la Comunione, con farsi loro capire cosa sia mai questo gran Sacramento, l'utile che apporta, e la disposizione che si ricerca. Duolsi aver trovato giovanetti non ancor comunicati, ancorché di anni quattordeci, e quindeci; e vuole si ammettono per ordinario di nove in dieci anni, o al più di dodeci.

 

Ordina, che, con modo particolare, si facciano imparare a' Figliuoli gli atti di Fede, Speranza, Carità, e Contrizione, e si facci loro capire quanto questi atti siano necessarj alla salute. Troppo a cuore era ad Alfonso, che anche si capisse da tutti la necessità che abbiamo del gran mezzo della Preghiera; ed inculca a' Parrochi di render persuasi e giovani, e vecchi che niuno può salvarsi, né ottenersi da Dio l'ajuto per vincere le tentazioni, se umilmente non vien pregato.

 

Volendo andare incontro sempre più alla grande ignoranza, che in Diocesi regnava delle cose della Fede, anche tra persone Civili, incarica che indispensabilmente, ed indifferentemente si esamino tutti li sposi prima di contrarsi le nozze circa le cose necessarie a sapersi.

Anche in questo si fa forte colla dottrina di Papa Benedetto XIV. Vuole si facci sapere a tutti, che niuno, chiunque sia, sarà per aver il permesso a poter sposare, se con giuramento del Parroco non si attesta, che sia ben istruito in tutto ciò, che necessariamente si deve sapere d'ogni buon Cristiano.


Questo fu un punto molto a cuore ad Alfonso; ne sono rare le ripulse, che da tanti si ebbero per questo particolare.

 

In seguito mette in veduta ai Parrochi lo stretto obbligo che si ha di predicare ogni Domenica. Quest'è pascere propriamente, Ei diceva, le proprie pecorelle, replicatamente comandato da Gesù Cristo a tutti i Pastori in persona di S. Pietro, e che tanto è mancare in questo, quanto negar loro il proprio alimento.

Avverte, che non facendosi un mese continuato, o per tre discontinui, come vogliono i dottori, non si possa scusare il Parroco da peccato mortale. Vuole, come comanda il Concilio di Trento, che la predica sia familiare, adattata alla capacità del popolo, se non si vuole come non fatta, e che non passi mezz'ora con tutto l'atto di contrizione.

Incarica, che spesso si faccia memoria de' Novissimi; che si specifichi la gravezza del sacrilegio; e


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che una volta il mese, come altrove già disse, per scemare l'erubescenza, si richiami nella Parrocchia un Confessore estero.

 

Volendo evitare i gravi inconvenienti non rari tra sposi, impone a Parrochi, non prendersi la parola degli sponsali, se certi non sono esser prossime le nozze. Vuole, che anche s'inculchi a genitori non far pratticare in propria casa giovanetti, che possono essere di scandalo alle figlie, e si rammenti essere questo un caso riserbato alla scomunica.

 

In ordine al Precetto Pasquale comanda che tutti, generalmente parlando, non si ammettano alla comunione, senza prima essere stati esaminati dal proprio Parroco circa le cose necessarie alla salute, e che da Confessori non si ammettano al Sacramento della Penitenza, se non quelli che dal Parroco hanno avuto la cartella di essere stati esaminati.

Che facendosi dal Parroco lo stato delle Anime, si dia a tutti la cartella col nome della persona, per ammettersi alla Comunione Pasquale. Che elasso questo tempo, si riscuotino dal medesimo le cartelle, per vedere chi abbia o no adempito al Precetto, e che non da altri si ricevano le cartelle che dal medesimo Parroco.

Vuole si avvisino i Figliani non sodisfarsi al Precetto, e che resta scomunicato chi non l'adempie nella propria Parrocchia, ancorché si comunichi nella Cattedrale.

Finalmente comanda, che scorso la festa della Trinità, essendoci persone, che non l'abbiano adempito, di darsegli nota senza alcun riguardo, e senza fraposta di tempo, per prendersi da esso i dovuti espedienti.


Questi espedienti non furono rari con consolazione de' buoni, e con raccapriccio de' scostumati.

 

Oltre del precetto Pasquale, avendo a cuore veder rifocillati i Figliuoli grandetti, e le Figliuole col pane Eucaristico, impone ai Parrochi che vi siano per questi due Comunioni generali, una nella Domenica fra l'ottava dell'Assunta, e l'altra tra le feste di Natale.


"Ogni sollecitudine per questi non sarà mai soperchia, diceva Alfonso: se da Figliuoli non s'invogliano di questo divin Sacramento, svogliati si veggano avanzati in età. Disponevansi cogli atti preparativi fin dal giorno innnanzi, e facevansi loro comprendere le grazie che si ricevono, e forza che si acquista per non cadere in peccato.

 

Somma trascuratezza avendo rilevato nel Viatico, ed estrema Unzione, incarica i Parrochi doversi dare il Viatico sempre che vi è segno di pericolo di morte: così l'Estrema Unzione, come vuole Papa Benedetto XIVa vedendosi l'infermo gravemente travagliato. Avverte, come spiega il Catechismo Romano, che gravemente peccano quei Parrochi, che non danno l'Estrema Unzione, se non quando l'infermo ha perduto i sensi.

 

Imbarazzo non poco ritrovò nelle Parrocchie, ed altre Chiese per gli obblighi delle Messe perpetue. Ordina a Parrochi, Rettori, ed


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altri che in Sacristia vi sia Tabella coi giorni, ed Altari a quali sono addette, e per quali persone. Li morti, diceva Alfonso, se non possono vedere i proprj interessi, spetta a Noi garantirli.

Vuole ancora che sia a veduta anche la Tabbella di tutti i Beneficj coi nomi de' Fondatori. Similmente comanda, essendoci Legati nelle rispettive Chiese, che tra un mese dalla morte di un Testatore si esiggano dagli Eredi, ed essendo renitenti, che si costringano col competente Giudice: in caso contrario se ne dia parte a lui per gli espedienti da prendersi.

Vuole ancora che non si accetti verun Legato senza prima farnelo inteso, per vedere le convenga accettarsi o nò, e se si possono le Messe sodisfare da' respettivi Cappellani.

Ogni diece anni comanda si rinnovi l'inventario di questi obblighi, e che fattane copia, una sia presso l'interessato, e l'altra in Curia. Così fortendo la morte di qualche Beneficiato, ordina a suoi Vicarj foranei, che subito se ne faccia inteso.

 

Nella Messa del Giovedì Santo vuole, si legga al popolo la Tabbella de' Casi riservati da lui. Proibisce il grave abuso di darsi a Chierici, e tanto meno a' Laici la chiave del Santo Sepolcro; e sotto grave precetto comanda non consegnarsi dalla Cattedra e l'Oglio Santo per le Parrocchie, se non a Sacerdoti, o almeno a costituiti in Sacris.

 

Fa carico i Parrochi coll'autorità di Papa Benedetto XIV anche non ostante qualunque consuetudine, o abuso in contrario, ancorché non si abbia sufficiente congrua, dell'obbligo della Messa per il popolo in tutte le Domeniche e Feste di precetto.

Soprattutto, che per giustizia sono tenuti, anche con pericolo della vita, sempre che vi è speranza di emenda, ammonire chiunque vive in peccato mortale, o sia nel pericolo di cadervi, e questo non solo nella necessità estrema, ma anche nella grave; e che mancandosi, son tenuti alla restituzione de' frutti malamente percepiti.

 

Disordine non poco, come dissi, rilevò circa la residenza. Facendo carichi i Parrochi di questo dovere, avverte che star non possono assenti dalla Parrocchia, se non per cause urgenti, e col permesso del proprio Vescovo, e che non possono sostituirvi altri, senza l'approvazione del medesimo.


Che mancandosi, si pecca gravemente, e sono tenuti, giusta la rata dell'assenza, alla restituzione de' frutti o a poveri del luogo, o alla fabbrica della Chiesa.

Così esser tenuto alla stessa colpa e pena chiunque non adempie a proprj doveri; e che per tale si debba avere, in senso della Congregazione del Concilio, chi non esercita per due mesi i principali officj del proprio Ministero, che sono la Predicazione, e l'Amministrazione de' Sacramenti.

Comanda finalmente che i Parrochi indispensabilmente debbono abitare, per esser pronti a' bisogni de' Figliani, o nella Casa della Parrocchia, o in altra vicina.

 

Dirigge Alfonso la terza Notificazione a tutti i Confessori Secolari,


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e Regolari. Rileva la necessità, che si ha per lo studio delle cose morali. Si spiega che non basta per esser Confessore la facoltà ottenuta, se con quella non si unisce la scienza che vi si ricerca. Comanda l'intervento di chiunque alla Congregazione de' Casi morali; e che due volte l'anno il Secretario li faccia notamento in fine di Giugno, e di Decembre di coloro, che vi sono mancati.

 

Impone che non si ometta la dimanda, essendo padri e madri, se fanno assistere i figli alla Dottrina Cristiana, e che ai manchevoli si nieghi l'assoluzione, e si faccino avvertiti del caso riserbato. Che non si ammetta veruno alla Confessione in tempo di precetto, se non costi esser istruito ne le cose della Fede, e non abbia la cartella del proprio Parroco. Vuole che soprattutto s'interroghino coloro che di raro si confessano, o che loro non è nota la Coscienza.

 

Avverte non assolversi, se non si è tolta l'occasione del peccato, chiunque si trova il occasione prossima volontaria; ed essendo necessaria, si differisca l'assoluzione fintantoché da prossima non siasi fatta rimota. Che giovanetti maschi e femine, che amoreggiano e trattano insieme, non si assolvino, ancorché non vi sia del male. Quello che non vi è stato, vi può essere, diceva Monsignore. Sopratutto che si neghi l'assoluzione ai Capi di casa, che permettono simili commercj, ricordandosi la scomunica, che vi è col caso riservato.

 

Impone che siano cautelati i Confessori nel non assolvere i recidivi, o abituati nel peccato, massime nella bestemmia, se non si veggono ravveduti, e non diano un segno certo straordinario della loro disposizione.

 

Non davasi pace coi Medici, per li tanti o che morivano senza Sacramenti, o che destituiti da sensi li ricevevano, divenuti già cadaveri. Impone ai Confessori volersi loro ricordare il grave obbligo, che li assiste, per la Bolla precettiva di S. Pio V. di ordinare i Sacramenti a chiunque dopo la terza visita, conoscendosi grave il male, o che tale possa divenire. Anche questo non basta, diceva Alfonso, Vedendosi restii, specialmente taluni de' Casali, e Villaggi, sono tenuti, secondo il precetto di S. Pio, non più visitarli, se prima non proveggono ai bisogni dell'Anima.

 

Condanna Alfonso la facilità, che incontrarsi in tanti Confessori, nel darsi facilmente l'assoluzione sacramentale sopra peccati veniali, se certi non sono del pentimento, e proposito; e in dubbio vuole che dar si faccia in colpa qualche peccato grave già confessato, per così esser certi della materia. Similmente avverte, che non s'imponga penitenza sotto colpa grave, di cui preveggono difficile l'adempimento.

 

Avendo a cuore il gran mezzo della Preghiera, vuole si faccia capire, specialmente a quei penitenti, che spesso sogliono cadere in colpe gravi,


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quanto sia efficace in se stesso, animandoli di spesso cercare a Dio la perseveranza nel bene, e che tentati invochino con effetto, mentre dura la tentazione, i Nomi Santissimi di Maria, e di Gesù Che con carità s'istruiscano brevemente, quei che più disposti si veggono per la pietà, nell'esercizio dell'orazione mentale, massime zitelle, e giovanetti.

Soprattutto che s'insinui la divozione verso Maria Santissima, la recita del Rosario, e far delle novene il suo onore. Similmente che sera e mattina, prima di porsi e levati da letto, se le recitino tre ave, essendo Maria la Madre della perseveranza.

 

Sussiegue la quarta Notificazione. E' questa soltanto diretta ai Sacerdoti secolari. Raccomanda, che tutti intervengano nella Congregazione de' Casi morali, e prescrive il modo, che dovrà tenersi. Che i Confessori, per aver la proroga della pagella, portar debbano l'attestato del Secretario non averci mancato; e che mancandoci i semplici Sacerdoti, si avrà a demerito accadendo la provista di qualche Beneficio, nè saranno ammessi al concorso, vacando qualche parrocchia.

 

Rinnova Alfonso la sospensione ipso facto, terminandosi la Messa, ancorché de' Morti o votiva di Maria Santissima, tra lo spazio meno di un quarto. Ricorda il grave obbligo che si ha di sodisfarsi le Messe piane de' Vivi tra due mesi, e tra un mese quelle de' Defonti. Raccomanda il dovuto apparecchio, ed un quarto, se non mezz'ora di ringraziamento Vieta soprattutto ogni confabulamento, o passeggio in Sacrestia, vestiti cogli abiti sacri: abuso che in tanti non faceva ne' ribrezzo, né rossore.

 

Comanda aversi in Sacrestia dai rettori delle Chiese un libro, ove notati siano in distinti luoghi le Messe di obbligo perpetue coi nomi de' Testatori; e che ognuno, avendo celebrato, vi noti la propria soddisfazione. Avverte ancora i medesimi, che il Crocefisso negli Altari sia, come comanda Benedetto XIV grande, e talmente rilevato, che veggasi non solo dal Celebrante, ma che anche dal popolo vi si possa discernere.

 

Rammenta la sospensione ipso facto, già posta, per chiunque ordinato in sacris si divertisca in giuoco di sorte, come bassetta, primera, dadi, e simili: così ogni altro giuoco in luogo pubblico. Senza suo permisso scritto anche proibisce qualunque sorta di caccia collo schioppo, o colle reti, ma non mai in giorno di precetto festivo. Similmente proibisce il recitarsi in comedia, ancorché sacra, ed in casa privata, sotto pena di sospensione a quei che sono in sacris, e l'inabilità agli ordini maggiori, se sono in minoribus. Un altro abuso interdisse, e fu il prendersi ad affitto le gabbelle, ed altre cose pubbliche, ancorché sotto finto nome, o che si fosse a parte con altri.

 

Esorta finalmente ognuno voler coadiuvare il Parroco nell'esercizio della Dottrina Cristiana, compromettendosi averli presenti nelle proviste de' beneficj, e di ogni altro emolumento ecclesiastico.


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La sesta, ommettendo la quinta, riserbandomela ove parlerò degli Ordinandi, raggirasi sulla decenza degli abiti, e tonsura. Grande abuso vi ritrovò, come dissi, sembrando taluni piuttosto ganimedi, che consacrati all'Altare.

Inibisce coll'autorità di Alessandro IIIb i capelli ad uso di chioma, molto meno innannellati, o coverti di cipro. Vuole che siano lisci, e che non giungano a coprire il collo, e gli orecchi. Che dai Chierici si portino rasi, come i Seminaristi; e che usandosi altrimenti saranno esclusi dagli Ordini. Che la Chierica ne' Sacerdoti non sia meno di un'ostia grande, ne' Diaconi più picciola, e proporzionata ne' Chierici, ma non minore particola, e che in tutti si rinnovi ogni giorni quindeci.

 

Proibisce in Città il vestire giamberga, e cappa di colore; permettelo bensì, andandosi in campagna, o essendo di viaggio, ai soli Sacerdoti; ma la giamberga guarnita non sia con assole, come diconsi, e con fila d'oro. Così proibisce per chiunque i manicotti attaccati alla camicia, ed i merletti di seta increspati, ivi chiamati girandole.

Comanda, che tutti i Chierici in minoribus usino in Città la veste talare, non già zimarra, ma tutta chiusa innanzi, e che questi debbano avere attestato del parroco, presentantosi per l'ordinazione, che non altrimenti abbino vestito.

 

Ordina finalmente che di mattina i Sacerdoti dal mese di Maggio per tutto Ottobre, usino la veste talare a tenore de' Canoni, se incorrere non vogliono ipso facto la sospenzione da esso imposta; e da Novembre fino ad Aprile, perché i luoghi della Diocesi sono fangosi e freddi, permette che si vesta di corto, maggiormente che tanti debbono andare a celebrare in luoghi lontani. Comanda bensì che celebrandosi, o assistendosi colla cotta a divini officj, si usi la sottana senza maniche, non già la faldiglia.

 

Questo è quanto, che senza tener il Sinodo, si stabilì in accorcio da Monsignor Liguori pel suo Clero, e per lo bene della sua Diocesi. Non fu amico di aggravare il Clero, e molto meno il popolo di quello non conveniva. Confessa, non esser andato secondo il rigore antico de' Canoni, avendo avuto riguardo, ma con suo rincrescimento, alle circostanze de' tempi. Spiegasi, che quanto è stato indulgente, altrettanto sarà rigido, come lo fu, coi meno osservanti. Qualunque disprezzo in persona mia non mi fa senso, soleva dire, anzi lo benedico; ma totelar non posso qualunque disprezzo per le leggi, che ho promulgate.

 

Aveva Monsignore questi decreti come tante leggi fondamentali, che sostener potevano il bene de' suoi Diocesani, e che ometter non si potevano senza disordine, e senza peccato. In questi raggiravansi in S. Visita tutte le sue sollecitudini. Non contento della fedeltà de' Vicarj Foranei,


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aveva persone, che in secreto l'avvisavano d'ogni trascuraggine. Compativa la debolezza; ma ove vedevaci disprezzo, non mancava venire alle strette, e con castighi esemplari.

Ancora sel ricorda un Parroco. Avendolo trovato manchevole, non sò in quale di questi Decreti, reso inflessibile, privollo ancora in parte de' frutti della Parrocchia.

Un altro avendo trascurato in due disgiunte settimane la Congregazione de' Casi morali, sul punto avendolo fatto chiamare, non mancò caricarlo di una pesante riprensione. Con sgarbo lo ricevette, né li diede sedia, cosa mai praticata da Monsignor Liguori, come mi attesta il Canonico Verzella, allora suo Secretario. Tra l'altro li disse: il maggior dolore che assaggiar posso si è, quando vedo attrassato il Caso Morale, e la predica di Maria Santissima nel Sabbato.

 

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Posizione Originale Nota - Libro 3, Cap. 22, pag.109 e 113

 




a Bull. Tom. II. Bolla LIII. §. 46



b Cap. De Vita, & honestate Cleric.






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