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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap. 25 Somma afflizione di Alfonso vedendo dagli empj contradetta, e travagliata la Chiesa di Dio.
Varie afflizioni in questi tempi conturbavano, e tenevano in angustia lo spirito di Alfonso. I continui riscontri, che aveva della peste di tanti libri, che tuttogiorno uscivano ne' paesi Oltramontani, e specialmente in Francia, a danno così della Religione, che dello Stato, pace non li davano, ne riposo. Maggiormente piangeva l'intromessione, che di soppiatto facevasi da Libraj in Napoli, e che divolgavansi nelle Provincie. Sopratutto facevanli senso, oltre tanti altri, le opere delle due anime avvelenate Volterre, e Rousseau, tutti e due nemici giurati dello Stato, e della Chiesa. Volendo si dasse del riparo, non lasciava riclamare al Real Trono, impegnandone, per interdirne l'intromissione e la vendita, i due Marchesi Demarco, e Tanucci. Inculcava a Confessori, ed a Missionarj volerne mettere in orrore la lezione. Specialmente incaricavane i nostri, ed altri, che giravano per le Provincie.
Somma pena sperimentava nel tempo istesso, considerando il gran veleno che in se contiene l'Opera di Samuele Basnagio, ed il gran danno che questa cagionata tra meno oculati Cattolici. Non avendo ne tempo ne forza, per discoprirne gli errori, perché vecchio, e col peso del Vescovado, fe sentire al nostro padre D. Alessandro di Meo, che impiegato vi si fosse, almeno per gli errori, che toccavano la Religione.
Maggiormente non davasi pace per quei libri, che affettando Evangelica Purità, vedevansi dar fuori da non sinceri Cattolici.
Ritrovandosi nelle attuali controversie per la sua Teologia Morale, da Palermo li fu scritto dal P. Sapio Gerolimino, che i Padri Patuzzi, e Consalez stavano armati contro di lui. "Facciano ciò che vogliono, li rescrisse Alfonso a 7 Gennaro 1766, io non ho scritto per acquistarmi onore, ma solo acciocché si conosca la verità: se persuade quello che ho scritto, bene; se nò, non intendo restar vittorioso per impegno, come mi carica il P. Patuzzi.
Francia, si è sparso per molti Regni Cattolici, e trionfa; e frattanto le Anime vanno a ruina.
Amareggiavasi, e vedevasi tutto fuoco anche per la Setta, che dicevansi Frammasoni, e che ora diconsi Giacobbini.
Tra questo tempo, animato dal suo zelo, ei compose di proposito a danno de' moderni increduli, la sua grand'opera della Verità della fede, confutandone gli errori, e discoprendone l'empietà.
Non trovava pace sopratutto, tra le tante miscredenze, ove attaccata vedeva, e posta in dubio, in materia di Fede, l'infallibilità del Papa. Preintendendo che la maggior opposizione, che facevasi a suo tempo circa l'infallibilità del Papa nelle definizioni di Fede, rilevavasi dalla dichiarazione fatta nell'Assemblea di Parigi l'anno 1682, si pose di proposito a confutarla con un Opuscolo dato alle stampe, che intitolò: Riflessi spettanti alla dichiarazione dell'Assemblea di Francia circa l'infallibilità del Papa. Aveva questa dichiarazione, come una spina, che trafiggevali il cuore. Compruova l'infallibilità del Papa nelle definizioni di Fede con l'autorità de' padri, e de' Concilj Ecumenici. Dimostra non doversene tener conto della detta dichiarazione, perché l'Assemblea non fu generale, ma di soli 44 Vescovi, radunati per comando di Luigi XIV. Essendo il Re disgustato col Papa, come Alfonso comprova, per esserli state negate le rendite dei Vescovadi vacanti, volendolo amareggiare, ordinò l'Assemblea di detti pochi Vescovi, comandando, che niun Dottore della Sorbona insegnato avesse il contrario, ed a Vescovi assenti impose far'insegnare la medesima dottrina nelle loro Diocesi. Oltre l'autorità de' Padri, e Concilj per l'infallibilità del Papa, dimostra ancora l'erroneità di tal dichiarazione, anche per confessione di tanti dotti Francesi anteriori, e posteriori alla dichiarazione sudetta, che concordemente han sostenuto tale infallibilità; che anzi l'istessi quarantaquattro Vescovi, protestaronsi col Papa, non aver avuto in mira condannare l'opposta sentenza. Quest'opuscolo fu tale, che meritò anche gli elogj del partito opposto.
Ciocché tra questo tempo anche conturbava non poco, e metteva alle strette il cuore di Alfonso, era la tempesta, che, per ogni dove dell'Europa, mossa vedevasi a danno de' Gesuiti. Preludj di questi travagli, che tempo innanzi eransi intesi, posto aveano alle strette il di lui spirito. "Le notizie circa
la Compagnia, così in una sua al Provinciale de Matteis, non l'ho ricevute
ancora. Io di queste notizie ne sto quasi più anzioso, che se fossero della
nostra minima Congregazione, trattandosi di una Religione, che ha santificato,
per così dire, tutto il Mondo, e seguita tuttavia a santificarlo".
Avanzate le calunnie, e vedendoli sopraffatti, ed in procinto di esser soppressi,
ne moriva di dolore. Un giorno tra gli altri, disse: "I Giansenisti, e tutti i Novatori li vogliono tolti dal Mondo, per togliere un baluardo alla Chiesa. Mancando i Gesuiti, non così facilmente si ritrova chi si oppone ai loro errori. I Gesuiti hanno franco la penna, e la Compagnia si fa gloria di combattere tali nemici". Affliggevasi maggiormente, che ingannati i Regnanti dai falsi rapporti de' miscredenti, ma creduti zelanti Cattolici, anch'essi li guardavano di mal'occhio. "La Religione, e lo Stato, diceva Alfonso, si danno scambievolmente la mano, ove questa vacilla, anche lo Stato tracolla, e va in ruina". Avendo dato fuori Papa Clemente XIII una Bolla, con cui di nuovo confirmava l'Istituto, e la Compagnia, ne fu Alfonso così soprappieno di consolazione, che con sua lettera ringraziò il Pontefice di tanta beneficenza; ed è questa, che sussegue: Santissimo Padre. "La Bolla, che Vostra Santità ultimamente ha data fuori in lode, e conferma della Venerabile Compagnia di Gesù, ha rallegrato tutti i buoni, e specialmente me miserabile, che tanto la stimo, vedendo il gran profitto, che fanno questi Santi Religiosi in tutt'i luoghi dove sono e col loro esempio, e colle fatiche incessanti che impiegano nelle scuole, nelle Chiese, e negli Oratorj di tante Congregazioni che diriggono, così colle Confessioni, e prediche, che cogli Esercizj spirituali, che danno in tante Chiese, e Monasterj di Vergini, con anche affatigarsi nelle carceri, e galere; ed io ne sono testimonio per quello, che ho veduto dimorando nella Città di Napoli. Il Signore in questi ultimi tempi ha voluto provarli con diverse contraddizioni, e traversie; ma Vostra Santità, ch'è il Capo della Chiesa, ed è il Padre comune de' Fedeli, gli ha consolati, consolando ancora tutti noi suoi figli, in aver manifestati da per tutto, colla sua Santa Bolla, i pregi, ed i meriti della loro Compagnia. Così ha chiuse le bocche a malevoli, che han cercato discreditare non solamente i loro portamenti, ma anche il loro Istituto. Pertanto noi altri, che ci ritroviamo al governo delle nostre Pecorelle, che ricevono tanto utile dalle fatiche di questi buoni Religiosi, e singolarmente io, che sono il minimo de' Vescovi, ne rendiamo umilissime grazie alla Santità Sua, supplicandola istantemente a proteggere questa santa Religione, che ha onorata la Chiesa di tanti Operaj, che sono anche morti per la Fede, e che per tutto il Mondo finora han dato tanto frutto di anime presso molti Regni, non solo de' Cattolici, ma anche degl'Infedeli, e degli Eretici; ma maggiormente lo darà in avvenire, come dobbiamo sperare alla Divina Bontà, che humiliat, et sublevat. Prostrato intanto a suoi piedi umilmente li bacio, e le cerco la S. Benedizione.
Se ne compiacque il
Papa estremamente. "Noi con piacere, li rescrisse, abbiamo ricevuto le tue
lettere, e senza di queste anche eravamo persuasi del vostro compiacimento,
vedendo confirmato da Noi l'Istituto, e la Compagnia di Gesù": Libentissime legimus literas tuas, ex quibus
intelleximus, quod etiam fine literis arbitrabamur, Costitutionem nostram, qua
pium Societatis Jesu Institutum laudavimus, confirmavimus, Fraternitati tuae
jucundissimum accidisse. Gratissimum praeterea Nobis illud fuit eadem te de illa societate honorificentissime praedicare, quae a pluribus aliis Ven. Fratibus Episcopis per litteras Nobis datas singularibus laudibus efferuntur. Loda il di lui zelo, e si compiace della libertà de' di lui sentimenti: Ceterum tuum justitiae amorem, animi tui magnitudinem, libertatemque Episcopo dignam summopere amabus, Ven. Frater, qui nullo rerum humanarum respectu deterritus, nihil veritus es de memorato Istituto, ejusque sectatoribus, per litteras tuas apud Nos profiteri, quid sentias. Conchiude. Et Fraternitati Tuae, quam in nostre Charitatis gerimus sinu, Apostolicam benedictionem peramanter impertimur.
Tra lo sfacelo di tante cose solo consolavasi Alfonso, vedendo benedetta da Dio, e dal Sovrano la sua picciola Congregazione. Anzioso di sempre più vederla avanzata in virtù, non lasciò, con altra sua circolare de' 27 Agosto, animar tutti a maggior perfezione, e renderla utile ai Popoli, ed alla Chiesa. Riguardava quest'opera come la pupilla degli occhi; ed ogni mancanza picciola che fosse facevali senso, e stimavala di peso. "Sento, disse, con mia pena (così in questa enfaticamente si spiega), che lo spirito è molto decaduto ne' Soggetti della Congregazione; e prego ognuno da oggi avanti badare a se, perchè io non posso soffrire vedere in vita mia rilasciata l'osservanza. Come sento, poco piace la povertà, e la mortificazione. Dunque siamo venuti alla Congregazione per star comodi, e spassarci? Meglio era restarci nelle case nostre. L'ubbidienza a Superiori sento, che sia andata a terra. Finita l'ubbidienza, è finita la Congregazione. Perdendosi l'ubbidienza, che cosa diverranno le nostre case, se non ridotti d'inquietudini, di contrasti, e di peccati".
Soggiunge, e dice: "Mi ho chiamato qui il P. Vicario D. Andrea Villani, e gli ho detto, che de' difetti notabili ne voglio essere inteso, perché a difetti notabili si daranno notabili mortificazioni; e chi si conoscerà incorrigibile, anderà fuori. La Congregazione non ha bisogno di molti Soggetti, ma di Soggetti che vogliono farsi santi: basta che ne restino dieci, i quali amino veramente Iddio. E' troppo ingratitudine a Dio, che mentre egli sta sollevando la Congregazione, noi lo paghiamo con difetti, e mancanze. Che vogliamo diventare
come tanti altri, che sono più di scandalo alla Chiesa, che di edificazione. Ho
ammonito il P. D. Andrea, che egli nel suo governo è troppo debole e dolce, e
li ho detto che delle cose più gravi ne voglio io esser inteso. Volendo ammortire nella gioventù ogni prurito di
propria gloria, e nutrirvi lo spirito della santa umiltà, si avanza e dice:
Posizione Originale Nota - Libro 3, cap. 25, pag. 124
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a Uomo di gran talento era il Pad. D. Alessandro, ed appagato avrebbe il desiderio di Monsignore la consolazione di vedere, come lo vide in altre opere, che diede alle stampe, un qualche parto in questo genere di cose. Abbiamo bensì indirettamente una dottissima confutazione contro Antonio Arnaldo circa la frequente Comunione in difesa di Monsignore confutando Cipriano Aristasio. |
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