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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap.26 Alfonso si vede infermo a morte in S. Agata: amarezza de' Diocesani; dà la loquela ad un muto, e convalescente portasi di nuovo in Nocera.
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Cap.26

Alfonso si vede infermo a morte in S. Agata: amarezza de' Diocesani; dà la loquela ad un muto, e convalescente portasi di nuovo in Nocera.

 


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Troppo critico fu per Alfonso l'anno 1764 in 65. O che siano stati i trapazzi sofferti nella passata carestia, o che Iddio per altre cause avesse così disposto, sorpreso si vide da tal febbre ardente, che già disperavasi di sua vita. Fu munito del santo Viatico, ed anche se li diede l'estrema Unzione; In questo stato era a tutti di tenerezza il vedere un Vescovo di S. Agata morire sulla paglia, con lenzuola di telaccia, e con coverta di rozza lana, quasi straccio da mendico.

Assistendolo il P. Maestro Caputo da un lato, e dall'altro il Decano D. Evangelista Daddio, Monsignore, quasi agonizzando lor disse, ma con voce moribonda, ditemi qualche sentimento. Tentò suggerirgli cosa il P. Maestro, ma soprafatto dal pianto, non potè profferir parola. Avendoli detto il Decano, Monsignore, la preghiera di S. Martino, vedendosi moribondo, fu questa: Domine, si adhuc Populo tuo sum necessarius, non recuso laborem, Alfonso, appena movendo le labbra, anch'esso ripetette, non recuso laborem.

 

Non ci fu Padre pianto così amaramente da' proprj figli, come si


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piangeva da' Santagatesi la perdita di Monsignore. Troppo appassionato erasi veduto pel suo popolo nell'anno antecedente. I poveri in ispecialità assordivano il Cielo, volendo restituito in salute il proprio Padre.

Non vi fu luogo della Diocesi, ove non facevansi pubbliche preghiere, e non ci fu persona, che non fosse sollecita per la di lui vita. Anche in Napoli tante comunità Religiose non mancarono adoprarsi presso Dio con Novene, ed altre preci in comune, ed in privato, per vederlo in salute a beneficio della Diocesi, e di tutta la Chiesa.

 

Vedendosi sulle prime quello, che il male minacciava, se li progettò farsi venire qualche Medico da Napoli. In sentirlo Alfonso si ci oppose, dicendo, che la sua vita non meritava tanto, e che avvaler si doveva de' Medici di Santagata, e non di Napoli, perchè Iddio in Santagata avevalo destinato. Saputosi non però il suo stato da D. Ercole suo fratello, vi si portò subito con due Primarj Professori.

 

Non solo i Vescovi vecini furono a visitarlo, ma accorsero ancora, ritrovandosi in Napoli, Monsignor Borgia, e Monsignor Pallante Vescovo di Sansevero. Anche tanti Signori e dentro, e fuori Diocesi si viddero interessati per esso. Il Cavalier Negroni non mancava spedire da Caserta una e due volte il giorno un'Ordinanza per saper di sua salute. Bisognando la china, egli stesso lo provide della migliore, che si aveva per uso del Re. Se evitò la morte, si attribuì da tutti alle lagrime de' poveri, e ad un tratto di special Provvidenza; e ben si vide, che Iddio lo volle in vita in beneficio di quella Diocesi troppo bisognosa di spirituale sussidio.

 

In questa infermità non mancò Iddio autenticare con un prodigio la santità di Alfonso. Persistendo in letto, per la sua convalescenza, un giorno il Canonico D. Carlo Bruno, avendo ucciso nella caccia alcune ficedole, stimò portarcele a regalare. Aveva questi un Nipotino di anni quattro meno qualche mese, che era muto, e tale, che ricorrendo al Padre, o alla Madre, non esprimevasi che con dire O. Portandosi da Monsignore, fe presentargli da questo figliuolo le ficedole in un panerino.
In atto, che Monsignore ordinò al Fratello Laico di regalarlo di dolci, chiese al canonico come il figliuolo si chiamasse. Tommaso, disse, ma che era muto, ed in quell'età non ancora aveva profferito parola. Se ne afflisse Monsignore; ed avendo segnato il figliuolo nella fronte, prende un'immagine della Madonna della Potenza, avendone un fascicolo a fianco del letto, e dandocela a baciare, li domanda come quella si chiamasse. Il Figliolo la bacia, e con lingua spedita risponde, la Madonna. Da quel punto non ebbe più nella lingua veruno impedimento, articolò perfettamente ogni parola, e chiese quello li bisognava.

Volendo Monsignore occultar la grazia, non è vero, disse al canonico,


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ch' è muto: ha bensì una lingua bovina, ma questa a poco a poco si và a sciogliere. Fu troppo patente questo miracolo in Santagata; e maggiormente si fece da tutti un'alta idea della santità di Monsignore.

 

Vedendosi scabrosa la convalescenza, e dubitandosi da Medici, che sopravvenendo l'Autunno, e non essendosi ristabilito, avrebbe potuto in tutto l'inverno passarla male, consigliarono l'aria di Nocera, sperimentata per esso molto più salubre. Questo fu un tuono, che spaventò Monsignore. Come posso io, disse, star fuori di residenza: mettiamoci in mano a Dio, che Dio provvederà. Ritrovandosi in S. Agata il P. Villani, fu animato da tutti a volerlo obbligare. Così si fece, e così Alfonso s'indusse a portarsi in Nocera.

 

Convalescente non mancava, come uno de' Nostri ai soliti atti della comunità, né desisteva al solito dalle sue applicazioni letterarie. Momento di sollievo non vi fu per esso.

Pregato un giorno a voler toccare il cembalo dal sacerdote D. Giuseppe Messina suo confidente, che si ha da dire, rispose, che Monsignore in vece di pensare alla Diocesi, se la divertisce col suono. La mia applicazione si è, ed è chiunque è Vescovo, il dar udienza a tutti, orazione e studio, non già il cembalo. Ciocchè produsse qualche rileviamento furono le visite continuate di Ecclesiastici, e gentiluomini, chi per consiglio, e chi per godere di sua conversazione.

Spesso dalla Cava era da lui Monsignor Borgia, e più spesso era a trattenervisi Monsignor Volpe Vescovo di Nocera; cosicché rubar doveva il tempo, per applicarsi alle opere, che aveva per le mani. Similmente ogni sabato non mancava sermocinare al popolo nella nostra Chiesa in onore di Maria Santissima; e di volta in volta era anche chiamato per sermoni familiari ne' monasterj delle Monache.

 

Qualche particolarità nel vitto se li usava dal rettore, non come Vescovo, ma come infermiccio. Questo faceva il martirio di Monsignore. Avrebbe voluto non altrimenti esser trattato, che uno de' nostri; ed ogn'ombra di distinzione eragli pena, ed affanno. Iddio però volendo assecondare i suoi desiderj, permise cosa, che stentasi a credere. Mangiava Monsignore in una stanza soprana. Non facendo uso del vino, chiede acqua per bere.

Un Fratello Laico vedendo un vase, ch'era pieno d'acqua, ce lo presenta. Monsignore beve, e non si dà per inteso. Collo smuoversi del vase, il P. Apicella, che stava assistendolo, sente un cattivo odore: guarda, e vede ch'era un'acqua corrotta, in dove giorni addietro, come poi si seppe, ci erano stati riposti varj fiori. Non si risente Monsignore col Fratello, né disse veruna parola.

 

Celebrando nella Cappella domestica di Maria Addolorata, al cominciar del salmo Judica me Deus, avendo fissato gli occhi in faccia alla Statua, si vide interrompere, e non proseguire. Il P. Siviglia che servivalo, credendolo dimenticato, e non sapendo il mistero suggeriva


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il versetto. Non sentendolo ripigliare, cel suggerisce la seconda, e terza volta; ma alzando la testa, vide Monsignore elevato in estasi e così starsene per un pezzo, ancorché replicatamente lo scotesse, e li stirasse il camice.

 

Anche di lontano avea presente Alfonso i bisogni della Diocesi. A momento, pe dir così, esser voleva informato di tutto. Corrieri spedivansi da Nocera, e corrieri venivano dal Vicario, da Parrochi, e da Vicarj Foranei di varj luoghi. Anche tanti Secolari Diocesani facevano capo da lui. Ci fu giorno, che giunsero a venire sino ad otto corrieri. A tutti dava provvidenza Alfonso; e come una cosa maturava, così l'altra era spuntata.

 

Un giorno essendo a visitarlo Monsignor Volpe, e trovandolo soprapensiere, "Che c'è, li disse, vi vedo in angustia". "Lo sono, rispose Alfonso, perchè sono Vescovo. Ho dato lo sfratto ad una donnaccia, che non voleva finirla, ed ora sento, che di nuovo è ritornata tutta fiocchi, e fettuccie". Fu tale quest'angustia, che non badando a se, accelerò il ritorno, per riparare in S. Agata un tale scandalo.

 

Circa un mese stiede in Nocera. Avendolo pregato Monsignor Volpe a trattenervisi qualche altro gliorno, Monsignor mio, li disse, uxorem duxi. Dio vuole, che io sia in S. Agata, e non in Nocera. Insistendo il Volpe, non posso, non posso, ridisse Alfonso; e ripetettelo quasi mezzo alterato, non posso, perché sto pieno di scrupoli sino alle ciglia, e più non ce ne capono. Di fatti partì per S. Agata; né prevalesero per trattenerlo le preghiere de' nostri, e degli amici.

 

Consigliato da Medici, avendola passata male l'inverno antecedeute in S. Agata con catarri, ed affanni di petto, ritirossi in Arienzo, comecché in clima più salubre. Troppo male l'intesero i Santagatesi questa sua lontananza. Quest'istesso affliggeva Alfonso, e molto più, che da Medici volevasi, che a lungo vi si fosse fermato.

 "A S. Agata dispiace assai, così Egli al P. Villani a 25 di Giugno; che io nell'inverno futuro stia in Arienzo, ed a me anche dispiace, perchè ivi sta la Cattedrale, la Curia, e quello che più importa, il seminario. All'incontro nelli due inverni passati ci sono stato male; onde mi hanno consigliato a stare in Arienzo in una casa a S. Maria a Vico, in dove l'aria non è così umida, come quella di S. Agata. L'angustia mia maggiore è che lasciando S. Agata per tanti mesi, ch'è un paese infetto, s'infetterà molto più con tale mia lunga assenza. Voglio il consiglio di V. R. per rimaner sicuro".

Tanto il P. Villani, quanto Monsignor Borgia, Monsignor Volpe ed altri, che anche consultò, furono tutti di parere, che si levasse da scrupolo, e che persistesse in Arienzo.

 

Ripigliate le forze uscì in Visita. Considerando il P. Villani i suoi gravi acciacchi, l'età, e le replicate malatie, non volle, che più in fosse di quel letto, che la buona sorte li preparava. Ubbidì Alfonso, ma con suo sommo rincrescimento. In senso suo, perchè esente da febbre, credeva aver salute da vendere.

Da S. Agata a 25 di Settembre, così scrisse al P. Villani. "Per grazia del Signore, io mi sono totalmente ristabilito, e Domenica passo in Arienzo. Non tanto si vide in salute (dico in salute, ma relativa a suoi acciacchi), che ripigliò la crocefissione di se medesimo. In questo bensì ammirar dobbiamo la sua scrupolosità, con cui anche da Vescovo dipendeva dal suo direttore.

"Io non dormiva più sopra la paglia, così a 28 Ottobre al medesimo P. Villani, ma coll'uso del latte mi sento meglio assai: se vi piace, vorrei ripigliar la paglia. Similmente è stato necessario chiudermi un emissario, essendo restato l'altro. Ho cominciato a portare la catenetta a quella parte d'onde s'è tolto l'emissario: vi prego darmici la benedizione".

Ed in un'altra lettera. Io prima la mattina prendeva solamente il bollito, lasciando l'antipasto. Essendomi ridotto a mangiare una volta il giorno, mi consigliai col Padre Majone, e mi disse, che prendessi la seconda pietanza. Dimando, in caso che il bollito mi potesse bastare, e fosse tenera la carne, perché molte volte è dura, e non posso usare molto pane, perché mi nuoce, nel caso dico, che la carne fosse tenera, e bastante, dimando a V. R. come mio principale direttore, di lasciare l'antipasto, se li piace, se no farò l'ubbidienza.

 




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