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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.33 Gravi affronti sofferti da Alfonso dagl'ingiusti Pretensori de' Beneficj, sua equità, e somma sofferenza coi medesimi. Tale, e tanta imparzialità in Alfonso, e giustizia così esatta ricercata nella collazione de' Beneficj, gradir non poteasi dagli ingiusti pretensori. Ebbe egli molto che fare con questi, e molto da soffrire; né mai erasi trovato in angustie così gravi, ed in cimenti così critici, come in queste occasioni. Uno, che non fa che cerca, e non comprende quello li conviene, se si fa lecito ogni trasporto, non si arrossisce averlo fatto. Quanto più questi erano Gentiluomini, tanto maggiormente avanzavansi ne' rimprocci, e facevansi anche lecite le contumelie: Il dirgli in faccia, sei un ingiusto, non conosci Dio, non hai coscienza, vergognati di essere Vescovo, queste e simili, in tali occasioni, furono per esso le convenienze più ordinarie. Ogn'uomo accigliato si farebbe, e risentito. Alfonso né disturbato si vide, né punto alterato. Tutto ricevette in silenzio. Compativa il trasporto, e non apriva la bocca, che per benedire chi malmenavalo. Bontà così singolare, se attirava l'ammirazione de' buoni, di certo non confondeva i presuntuosi pretensori.
Un Sacerdote avanzato
in età, ma senza verun merito, attrassato peranche dal Vescovo antecessore,
presentossi per esser provisto di un Canonicato. Voglio darvi pane, li disse Monsignore, ma voglio, che vi abilitate per la Confessione. Così dicendo, li diede
un libro della sua morale. Non voleva il Prete sentir questo, ma esser voleva
anteposto a tutti, per li meriti che non aveva. Non posso in coscienza promuovervi, li disse Alfonso, se per lo meno non vi abilitate per la
confessione.
Restato addietro un Sacerdote nella provista di un Canonicato, che pretendeva, e nol meritava, calunniando Monsignore, ricorrette al Re. L'iniquità ha questo di proprio, che benché poco spera, temeraria non si dà in dietro. Non essendo ignota al Sovrano la giustizia, ed imparzialità di Alfonso, la provvidenza fu: Episcopus utatur jure suo. Tra questo tempo, succedendo un'altra vacanza, Monsignore dimentico dell'ingiuria, ne provvide questo medesimo
ricorrente.
Non vedendosi provveduto un Sacerdote, ebbe lo spirito esporre al Sovrano varie imposture, e rubricare Alfonso, come ingiusto. Rimesso a lui il ricorso per il discarico, se giustificò se stesso, non offese, ma scaggionò il ricorrente. Era carico il Prete di varie mancanze. Essendosi detto a Monsignore di far attirare contro di quello la Curia, non solo che l'ebbe in orrore, e nol permise, ma riguardò sempre il Prete con occhio di Padre. Essendo scaduto un Canonicato; ed essendo in egual bilancia i meriti di questi con quello di un altro, credeva ognuno, anzi venneli insinuato voler posporre il ricorrente, come temerario. Monsignore conoscendo eguali i meriti di tutti e due, antepose il ricorrente all'altro Sacerdote.
Ancorché falliti si vedessero i colpi, e niente si conseguisse presso del Sovrano, essendo questo troppo persuaso della rettitudine di Alfonso, tuttavolta i malcontenti non lasciavano inquietarlo. Prefisso avevasi Monsignore, dovendo provvedere un Mansionariato, passarvi un degno Sacerdote, perché anziano e meritevole. Volendo concorrerci un
Diacono, che studiava e profittava in Napoli, Alfonso si spiegò, ed egli l'ebbe
a grazia, che ammesso l'avrebbe al concorso, ma per farli un requisito, sicuro
di provvederlo in altra occasione. Avendo ottenuta il Diacono l'approvazione,
si diede a pretendere per giustizia il Mansionariato. Vedendosi escluso,
prorompere non lasciò in un mondo d'improperj contro Monsignore. Tutto sopportò Alfonso con invitta pazienza. Credeva il Diacono, facendosi i conti, non aver più che sperare da Monsignore; anzi ritrovandoli in Napoli, sfuggiva farli vedere in Diocesi. Monsignore se prima amavalo, perché di talento: complimentato così, scusava i trasporti, ed amavalo di vantaggio. Altrove vi farà cosa di più rispetto a questo.
Essendo concorsi per la Teologale il Parroco di S. Angelo in Mungulariis, ed il Sacerdote D. Domenico di Cesare, si portò meglio il Parroco. Monsignore, essendo quello più giovane, e ponderando altri requisiti, che aveva il Sacerdote di Cesare, perché più vecchio, Confessore, e Maestro in Seminario, preferì questo al Parroco. Offeso dichiarossi il Parroco, nè mancò insultarlo di persona, anche colla di lui Morale alla mano, chiamandolo ingiusto, e parziale, e condannandolo di peccato. Con umiltà Monsignore non mancò capacitarlo. Avendosi chiamato il Padre, giustificò anche con questo la propria condotta, compromettendosi aggraziar il figlio nella prima vacanza. Ebbelo tanto a male il Parroco, che oltre vilipenderlo, e malmenarlo con tutti, come ingiustamente posposto, lasciò in abbandono anche la Parrocchia. Pregato, non fu capace di rimettersi. Non lasciò mezzo Monsignore per raddolcirlo, e guadagnarlo; ed il Parroco punto non curandolo, più non vide né Monsignore, né la Parrocchia. Tutto soffrì Alfonso. Vedendolo ostinato, si vide in obbligo dar ricapito alla Parrocchia con un Sostituto.
Negò il possesso Monsignore ad un Sacerdote, per un Beneficio padronato; nè poteva in coscienza, venendo informato, che per la nomina, promesso aveva certa somma ad una persona, ch'era povera, e ne aveva il dritto. Corrivato il fratello secolare del Prete, portandosi da Monsignore, non mancò caricarlo di villanie, e maldicenze. Non contento di questo, volendo ricorrere al Re, stavalo rubbricando con tredici capi di accusa. Tutto era falso. Avendo avuto Monsignore da persona amica copia del ricorso, che già erasi formato, ne restò mortificato. Facendone confidenza al Padre Maestro Caputo, Non capisco, li disse, il perché abbia fatto questo ricorso. Tutto è falso, come vedete. "Quanti sono i ricorrenti, ripigliò il P. Caputo"; Uno, disse Monsignore; e quello, "mi meraviglio! Dovrebbero essere cento, che dovrebbero ricorrere ogni giorno, e farsi cento ricorsi da ognuno. Chi nol vede, che colla vostra bontà rendete tutti insolenti: voi accollate, ed ognuno se ne abusa". Il ricorso bensì, non fu presentato in Napoli, avendosi meglio fatti i conti il calunniatore; ed i nominatori al Beneficio, scoperta la trappola del Prete, concorsero tutti in altro soggetto.
Riferendomi questo fatto il P. Caputo, mi scrisse, che cosa di vantaggio in quest'occasione, rilevato aveva in
Monsignore, è forse ignota tra di noi. Rifletteva, e
contorcevasi. Vedendosi alle strette, aprendomi il cuore, mi disse; Io ho proposito fare quello che è meglio, e
questo è quello, che voglio fare. Ripigliando io, Monsignor mio, dissi, per
D. Alfonso Liguori, come persona privata, non ardisco deciderlo, se rinunciar
potete o nò alla propria riputazione, V. S. Illustrissima è Maestro in Israele,
ed io venero i vostri pensieri; ma come Vescovo siete in obbligo giustificarvi,
e questo è il meglio. Per giustizia siete tenuto sostener la dignità del
carattere, e conservarla in quel decoro, che Gesù Cristo comanda. Quest'istesso confermommi in sostanza, anche scrivendomi l'Arcidiacono Rainone. "Non affliggevasi Monsignore per le falsità, che se li addossavano avanti al Re, quanto vedevasi angustiato, se giustificar doveva se stesso, e metter in veduta la propria innocenza". Così regolavasi Alfonso, o per dir meglio, con questo principio vendicavasi de' torti ricevuti, cioè beneficando i suoi offensori, e discolpando la loro perfidia. Centinaja vi sarebbero di questi esempj, ma di nuovo ne parlerò in parte, anche in altro luogo.
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