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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap. 34 Promuove Alfonso la divozione nelle Claustrali; abusi vecchi estirpati, e suo zelo per impedirne i nuovi.
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Cap. 34

Promuove Alfonso la divozione nelle Claustrali; abusi vecchi estirpati, e suo zelo per impedirne i nuovi.

 


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Con ugual zelo Monsignor Liguori, che si adoprò per li Ministri dedicati al culto Divino, adoperossi ancora per la santificazione delle Monache Claustrali, come persone anch'esse consacrate a Gesù - Cristo.


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Se rimetter non poteva, come desiderava, le Comunità Religiose nella pristina osservanza, cercò per lo meno infervorarle nella pietà, e non vederle decadute dallo stato, in cui si trovavano. "Se facciamo questo, ei diceva, non è poco". Così spiegavasi; ma non lasciò togliere quegli abusi, che poteva, ed impedirne de' nuovi.

 

Subito, che pose piede in Diocesi, avendo chiamati il P. Villani, ed anche altri Missionarj da Napoli, fe dare gli santi Esercizj ne' rispettivi Monasteri. Questi fece indispensabilmente perplicare ogn'anno dai nostri, e da altri, e non essendoci Missioni, servivasi dei PP. Cappuccini, Samuele, e Cipriano, o da altri riguardevoli Religiosi.

Stimava Alfonso gli santi Esercizj il mezzo de' mezzi, anzi l'unico per santificarsi le Anime. "In questo fuoco così vivo, qualunque ferro, diceva, irruginito che sia, rendesi molle, e purificato. Ritrovandosi in Arienzo, e non volendo aggravare di spesa qualche comunità, complimentava esso in Palazzo, e teneva presso di se il Predicatore. Questa cultura mancava nei Monisteri, o se avevasi, non era che di rado, e passagiera.

Grande fu il frutto, che ritraevasi; e se erbaccia allignar vedevasi in questi giardini di S. Chiesa, con questo mezzo inaridiva, e sbarbicavasi.

 

Spesso spesso cogliendo l'occasione, portavasi di persona ora in uno, ed ora in un altro Monistero, e per tre, o quattro giorni rilevava alla grata le comuni obbligazioni. Facevalo con a fianco un'immagine di Maria Santissima, animando le Monache all'amore di Gesù - Cristo, e ad una speciale confidenza verso la Vergine.

Soprattutto invogliavale alla frequente Comunione, facendo vedere i tanti beni, che si ricavano da questo Divin Sacramento. Questo è un fuoco, ei diceva, che consuma in noi ogni lordura. Con questo mezzo si viddero anime innamorate dell'Orazione, e dell'annegazione di se stesse, e da una vita ordinaria, elevate a vita più perfetta.

Un giorno in Airola, avendo caricata la mano sopra certa materia, li fu detto, essersi lagnate le Monache, che erasi spiegato di soperchio. Ne sorise Monsignore; "e che doveva dirle, rispose, che erano sante? quando si predica, si predica a tutte, e si deve sopporre quello che non v'è".

 

Considerando le Claustrali come porzione la più cara di tutto il suo gregge, non solo non trascurava mezzo, per vederle santificate, ma invigilava, come buon pastore, che i lupi ne stassero lontani. Le grate per esso erano tante spine, che li trafiggevano il cuore. Grata chiusa, e non frequentata, ripeteva, Monistero santificato; grata aperta, e frequentata, Monistero dissipato, e Dio non voglia di peggio. Inculcava, che le Badesse, e molto più i Vicarj vi avessero invigilato.

Qualunque inconveniente, benché menomo, voleva saperlo, e davaci subito il riparo. Fuori de' parenti in secondo grado, non voleva frequanza di altre persone. Soprattutto era egli ritenuto per gli Ecclesiastici, e molto più


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se Religiosi. Posto in salva la grata, ei diceva, poco ci resta da fare colle Monache.

 

Se guardigno, e sommamente cautelato era in permettere a chiunque l'accesso a Monisteri, maggiormente lo era coi suoi. Per tutti era delitto l'accostarvi, qualunque ne fusse il pretesto. Solo col Vicario non ci era restrizione.

Avvisato, e non essendosi emendato un suo Secretario, che di soppiatto ci andava, ancorché caro li fusse, anzi necessario, solo per questo motivo se ne sbrigò. Godette di un altro inviatoli da Monsignor Borgia. Anche questi scappar soleva in un Monistero di volta in volta. Non tanto il seppe Alfonso, che intimolli di partire. Vedendosi licenziato, se li butta ai piedi, pianse, promise, ma non vi fu pietà. Avendo interposto la mediazione dei medici D. Salvatore di Mauro, e D. Nicolò Ferraro, l'uno e l'altro ebbero la negativa.


Le Monache medesime anche avanzarono supplica, ma fu questo per esse il massimo delitto. Se la legge non tiene, disse Alfonso, per li familiari del Vescovo, non tiene neppure per chiunque.

 

Compiacque Alfonso, avendolo pregato un Gentiluomo in Napoli suo divoto, voler ammettere tra proprj familiari un di lui figlio, per così averlo esente da qualunque inciampo. Perché attento il giovine, e costumato, amavalo Monsignore, e compiacevasene. Standosi in Arienzo, s'arbitrò frequentare un Monistero. Corretto, e non emendato, qualunque fossero le riproteste del giovine, e l'amorevolezza, che Monsignore avesse per il Padre; sul punto che seppe, ed erano, nel mese di Luglio le quattro della notte, non mancò incalessarlo, e rimandarlo in Napoli.

 

Cautelato, e sommamente cautelato era in destinarvi i Confessori. Se Monsignor Liguori fosse stato Papa, meno difficoltà avrebbe incontrato in presceglier un Vescovo, che destinare un Prete, o Frate per Ordinario alle Monache. Esame non vi era, che bastasse. Contrapesavane i gesti, le parole, e potendo anche i sensi interni.

Terminato il triennio, dovevano questi cambiarli; e se talvolta, mancando i Soggetti, riconfirmar doveva taluno, nol faceva, che con ritegno, e con sua somma pena. Avendo chi sostituirvi, qualunque fossero le premure delle Monache, mai non condiscese per la conferma.

Aveva a sacrilegio veder frequentata la grata da taluno di questi. Iddio parla nel Confessionale, ei diceva, non già nelle grata. In certi giorni segnalati soffriva per questi qualche discreta attenzione; ma detestava, e non accordava frequenza di regali, e questi dalla comunità, e non in nome delle particolari.

 

Godeva quando sentiva, che qualche giovinetta educanda consecrar volevasi a Gesù-Cristo. Volava, e lasciava tutto, per esser pronto a quella funzione. Vi predicava con piacere; e siccome encomiava i pregi della verginità, ed il gran bene che seco porta lo stato religioso, così


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rilevava il gran conto, che una religiosa dar deve a Dio, non corrispondendo ai doveri della propria professione.

Per queste funzioni non vi era eccezione di persona. Tante volte anche invitato per la professione di qualche conversa, non negò portarvisi. In senso suo tutte erano spose consacrate a Gesù - Cristo. In queste occasioni non è che esatto avesse qualunque danaro per l'accesso, o permesso usarseli qualche attenzione, ancorché picciola. Il Vescovo, diceva, se ha la congrua, l'ha pel suo mantenimento, e per disimpegnare il proprio ministero.

Invitato per la vestizione delle due germane di D.Gio: Manco, Sacerdote, e Gentiluomo di Airola, rispose, che accettava l'invito, sì per corrispondere alla di lui cordialità, che per adempiere al proprio dovere; Appartiene a me, disse, ed è mia obbligazione come Vescovo il consacrare a Dio queste vittime di amore.

 

Un altro solletico per lo spirito ei diede alle sacre Vergini, e fu introdurre nelle loro Chiese alcune sacre funzioni, che vie più eccitar potevano all'amore di Gesù Cristo. In Arienzo nel Monistero dell'Annunciata, introdusse ogni Sabbato, come dissi, l'esposizione del Venerabile, ed il sermone in onore di Maria Santissima: mancandoci esso, supplivasi la predica dai due Padri Cappuccini, Samuele, e Cipriano. Così in quello di S. Filippo il sermone in tutte le Domeniche di Quaresima con l'Esposizione.

 

Voleva, che per la coscienza avessero avuto le Monache tutta la libertà. Ancorché non se li richiedesse, non mancava dar loro ogni quattro mesi lo Straordinario; ed essendo questo di altro Casale, o terra, mentre stiede in Arienzo, con suo piacere tenevalo a tavola.

Era suo sentimento, che quante volte richiesto avesse la Religiosa un Confessore, altrettante se le dovesse dare. "Quando la Monaca cerca lo Straordinario, diceva Alfonso, segno è, che non ha confidenza coll'Ordinario; e se la coscienza le rimorde, può fare mille sacrilegj". Non davasi pace, avendo inteso, che un Vescovo era ritenuto in questo, e che in un Monistero vi erano Monache, che per mesi e mesi, ed anche per anni  attrassavano la Confessione.

Attestava egli medesimo, che stando moribonda in un Monistero una Religiosa, e persistendo il Vescovo in negarle un Sacerdote, che quella desiderava, disse negli estremi, io me ne muojo dannata, e che disperata se ne morì. Avevasi per regola in un altro Monastero di non scrivere fuorchè all'Ordinario. Monsignore avendosi chiamato la Superiora, volle che negato non si fosse, sempreché facevasi a Confessori probi, e da essa conosciuti.

 

Ove potette, non mancò con maggior profitto riordinare l'osservanza. In Airola, per le circostanze de' tempi, e per la rigidezza della Regola, molte cose non erano in osservanza tra le Monache Francescane. A che serve, disse Alfonso, tener scritto di una maniera,


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ed osservarlo in un'altra. Riformò la Regola, e diedela alle stampe. Vi tolse tutta la rigidezza, così mi scrive Suor Maria Felice Lucca; e fecelo il Servo di Dio per nostro maggior bene spirituale, e perché ora tutto si osserva, quanto da esso fu stabilito.


Vedesi Alfonso, in questa Regola riformata, un altro S. Francesco di Sales. Ammirasi specialmente la gran prudenza che possedeva, adattandosi ai bisogni comuni, e non stirando la corda più, che non conviene. Recitar solevano la mattina quelle Monache matutino con le Laudi, ed indi per un'ora attendevasi alla meditazione.

Considerando Monsignore il tedio, che seco porta una lunga applicazione, e che le Converse, ritrovandosi incaminate nelle proprie faccende, restavano per lo più senza il beneficio della meditazione, stabilir voleva di sera la recita dell'Officio, per ritrovarsi la mattina Monache e Converse all'Orazione comune. La novità dispiacque; e suddivise si videro le Monache in opposti sentimenti. Non volendole contristare, condiscese, che per lo meno recitato si fosse di sera dai 4. di Ottobre, fino a tutto Aprile. "Fo come volete, lor disse, ma ve ne pentirete"; e sento che di fatti se ne siano pentite.

 

Gemevano queste Monache Francescane sotto un giogo, che col corpo opprimeva lo spirito. L'amministrazione delle rendite, e la compra de' generi non stava presso le Monache, ma presso i Governatori, che loro si davano. Questi provveder dovevanle di quanto bisognava. Sciagurate erano le provviste, e per lagrima di Somma computavasi l'aceto. Alfonso, fattosi carico dell'inconveniente, e tale che talune pentivansi di essersi monacate, implorando il braccio del Principe della Riccia, tolse i Governatori, e pose l'amministrazione in mano della Badessa. Respirarono le Monache; comune fu il compiacimento, e maggiore in Alfonso vedendole contente.

 

Avrebbe voluto il piacere veder stabilita in qualche Monistero la vita comune. Riflettendo, che in uno di quelli sistemar si potesse, credeva effettuarlo. Ardua impresa! Essendosi dichiarato, si opposero le Monache con grave risentimento. Non volle obbligarle, vedendo, che risultava più male, che bene: Quietatevi, lor disse; avealo detto per vostro bene; non stimandolo, non sia per detto. Avea per massima, che ove tutto concordemente non convengono, una ch'è scontenta, col tempo fa partito, disordini vi nascono, e con questo va in ruina ogni altro bene. Non si offese per il risentimento; ed il dì susseguente con maggior placidezza fu di nuovo in Monistero.

 

Col bene, che sforzavasi promuovere, impegnato vedevasi in togliere gli abusi, che vi regnavano. Costumavasi tra le Francescane in Airola, che vestendosi, o professando una figlia, quella riceveva il giorno, sedendosi alla porta, i complimenti de' parenti, ed amici.


Considerando Alfonso il dissipamento, non meno della nuova Religiosa, che


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delle altre, e volendo, che quella, come giorno di grazie perché di sponsalizio, stasse raccolta e non dissipata, ordinò, che non si aprissero dopo pranzo né le grate, né la porta; e volle, che in tal tempo si esponesse in Chiesa il Venerabile, affinché stassero tutte raccolte, e la sposa, con modo speciale, atteso avesse a meritarsi delle nuove benedizioni.

 

Non era meno un altro inconveniente. Professando, o vestendosi Novizia una giovanetta, era in costume darsi pranzo nel parlatorio a' parenti, ed amici. Tutto era taverna. Avendo professato un giorno due figlie di D. Caterina Lucca, Gentildonna di S. Agata, Alfonso preintendendo l'apparato fatto in porteria, inorridì, e sul punto strettamente lo proibì. Ripregato da D. Caterina e dalla Badessa, non fu per condiscendere. Fattoseli presente la grave angustia in cui vedevasi la Gentildonna, ritrovandosi fatto l'invito a parenti, ed amici di diversi luoghi, e non avendo casa propria, non aveva come ripararci. Condiscese, a patto bensì, che ferrate si fossero le grate, e la porta, e che le chiavi si conservassero dalla Badessa. Permiselo per questa volta; nè ci fu mai più esempio in contrario.

 

Dice il Rituale delle Monache Rocchettine in Arienzo, che professando la Novizia, proferir deve la formola de' voti nelle mani del proprio Vescovo. Scioccamente intendendosi, costumansi nell'atto della professione mettersi le mani della giovanetta in mezzo a quelle del Vescovo; come se i voti Religiosi effettuar si dovessero con tatto fisico delle mani, e non col cuore, e colla bocca.
Professando una Novizia; ed essendo quella per profferir la formola de' voti, il Maestro di cerimonie suggeriva a Monsignore, che posto avesse le mani nel comunichino. Non sapendo il mistero, non capiva, nè sapeva che si fare. Insistendo il Canonico, e dicendoli che la Novizia proferendo i Voti, tener doveva le proprie mani nel mezzo delle sue, spaventato non finiva ripetere: Gesù, Gesù: che ha che far questo, ei disse, colla professione: Essa si tenga le sue mani, che io mi tengo le mie. Avendo richiesto, se sempre così erasi fatto, o dettosegli esser antico il costume, e che così erasi inteso il Rituale dai Vescovi predecessori, non finiva ammirare una tanta stravaganza. Spiegò il senso del Rituale, e proibì in seguito sì fatta cerimonia.

 

Il canto figurato interdetto ne' Monasteri con tanti decreti di Roma, era in voga più che non si crede in una della Diocesi. Proibillo Alfonso così in questo, che negli altri, e che fatto si fosse uso del Gregoriano. La Chiesa non è teatro, disse, nè le Monache sono cantatrici da scena. Con maggior vigore nelle festività proibì i mottetti, e potendosi qualche cosa cantare da più, che non si facesse con una voce. Permise bensì le lezioni della Settimana Maggiore. Ciò non ostante qualche


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intercetto non vi mancava.

Una sera cantandosi in Chiesa le Litanie della Vergine a canto figurato da una Religiosa, capitò Monsignore. Avvedutasi la Monaca del suo arrivo, voltò subito a Gregoriano. La finse; ed essendo andato alla grata, scherzando disse: "già mi voleva gabbare; cantava figurato, e subito l'ha voltato a canto fermo. Non va bene; io l'ho proibito, perchè non conviene". Meglio spiegandosi, soggiunse: "il canto figurato è un richiamo di persone libertine, non per divozione, ma per la Monaca, che canta: e chi non vede, che si dà causa a tanti difetti, e peccati".

 

Intorno al canto abbiamo due profezie. A capo di tempo chiese di essere ammessa per Conversa in questo Monistero, una giovanetta figlia di un Maestro di Cappella. Lo gradirono le Monache, perchè maestra nel canto figurato. Esposero bensì a Monsignore che volevanla, per ammaestrarsi nel canto fermo le Novizie, e le giovanette educande. Ve l'accordo, disse, ma non vi dura. Di fatto tra poco tempo se ne uscì. Avendo fatta istanza per un'altra anche addottrinata nel figurato, né anche questa ci persiste, sorridendo disse Monsignore; ed a capo di pochi mesi fe ritorno a casa. Entrate in se le Monache, si vede, dissero, che né Iddio, né Monsignore benedicono la nostra doppiezza. Così fecesi un fermo proposito di non pensarsi mai più al canto figurato.

 

Abuso v'era in qualche Monistero, per non dire tra tutti, d'introdursi i bambini, e qualche fanciullo avanzato in età. Oltre del Concilio di Trento, che strettamente lo vieta, Alfonso anche ci fe peso con la sua proibizione, rilevando a voce alle rispettive Superiore i gravi inconvenienti. Avendo voluto le Monache della Annunciata in Arienzo Alfonsino suo nipote, volle che dalla grata, e non dalla porta si fosse presentato, avvertendo all'Ajo non fare il contrario.

 

Non tutte le cose però li venivano così prospere, com'egli se le pensava. Visitando una Clausura, sputò che due finestroni del belvedere mal convenivano, perché in faccia ad una casa secolare. Odorarono subito le Monache ciò che dir voleva; e non fu parola detta che si viddero sossopra. Una tra le altre, omettendo ogni riguardo, non ebbe ribbrezzo resisterli e dirli in faccia: Monsignore non ci vogliono tante chiacchiere: noi armiamo la Croce, e ci portiamo ai piedi del Re. A questo inaspettato complimento, Alfonso temendo di peggio, "quietatevi lor disse, siate benedette, non vi inquietate, che non sono per darvi disgusto". Mutò parola, e con tutta placidezza ripigliò altro discorso.

 

Se cercava estirpare i vecchi abusi, maggiormente stava guardingo, che non s'introducessero de' nuovi. D. Caterina Lucca avendo una figlia nel Monistero di Airola confinata in letto, ottenuto avea dal Papa potervi entrare una volta l'anno, e trattenervisi a piacere dalla mattina


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fino a sera. Avendo mandato il Breve a Monsignore, per farcelo osservare, prima di spedirlo in Napoli per il Regio assenso, leggendoci Alfonso la clausola arbritrio Ordinarj, e considerando, che altri, con disordine della Clausura, avrebbero preteso lo stesso, disse all'inviato: "Dite a D. Caterina, che sospenda per ora, e poi faccia ciò che vuole se io muojo, o rinuncio. Vedendosi insistito, non posso, disse, perché ci ho scrupolo. Il Papa, se voleva, poteva accordarlo liberamente; ma rimettendosi a me, non posso, né voglio, perché ci prevedo inconvenienti".

 

Erano nell'impegno alcune Religiose voler aprire altre gelosie, che sporgevano nella strada. Monsignore essendone richiesto, rotondamente fu negativo. Persone di autorità già incominciavano a frapporsi. Vedendosi accerchiato fe sentire alle Monache, se non volean darli grave disgusto, che desistito avessero da un tale impegno, perché

 non era per permettere ciò, che non conveniva. Acchetaronsi e si diedero in dietro le Monache, vedendolo inflessibile, e risoluto.

 

Volendo godere le Monache Rocchettine di Arienzo maggior aria, erano risolute di fare un piccolo belvedere sopra la porta anteriore della Chiesa. Supplicato Monsignore e volendo informarsi, se conveniva, o no, vi destinò il Vicario, i due soliti Architetti Napoletani, che ritrovavansi con lui, i Governadori, ed il Confessore. In sentire, che il belvedere incontravasi colle finestre de' PP. Agostiniani, diede subito la negativa. Avendo anch'esse le Monache conosciuto l'inconveniente; anzi per far vedere, che non restavano amareggiate, essendosi sottoscritte in un foglio, si professarono ubbidientissime a tutti i suoi voleri.

 

In quei tempi facilmente permettevasi dal Papa qualche uscita alle claustrali. Talune in Diocesi, non riflettendo le triste conseguenze, già disponevansi per un tale permesso. Avendolo subodorato Alfonso, spiegossi, che ne facessero a meno. "Rimettendosi il Papa all'Ordinario, io non farò mai, disse, per accordarlo. So io quanto puzzano queste uscite, e per lo meno evitar non si può una somma dissipazione".

 

Aveva Alfonso alla mano una provvista di negative, per quello non conveniva. Essendosi lagnate alcune Monache, che niente permetteva di quanto chiedevano, e già ottenute avevano tre susseguite negative, "Che dimandino, disse, cose giuste, e di decoro, che non farò per negarle; ma se tante dimande mi si faranno di cose non proprie, altrettante volte farò per negarle".




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