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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap.40 Opere Apostoliche esercitate da Alfonso trattenendosi in Napoli.
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Cap.40

Opere Apostoliche esercitate da Alfonso trattenendosi in Napoli.


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Se l'Inferno vedevasi impegnato a danno di Alfonso, anche Alfonso, trattenendosi in Napoli, non mancava adoperarsi a danno dell'Inferno. Ancorché occupato per la Congregazione in cose così interessanti, anche impegnato vedevasi in varie opere di gloria di Dio, e di profitto per il prossimo.

 

Grave disturbo da molto tempo era insorto nel Conservatorio, che dicesi la Monaca di Legno. Non avendosi del rispetto per la Superiora, tumultuando tra di loro le Monache, anche più volte erano venute alle mani.

Monsignor Targianni, Correttore del luogo, unito con quell'uomo tutto apostolico D. Giuseppe Jorio, vedendosi Monsignor in Napoli, e non essendoci venuti di sopra, lo pregarono volervi adoperare l'opera sua. Più volte vi fu, e vi predicò. Quello, che ottenuto non aveva il Jorio, e molto meno il Targianni coll'autorità, lo conseguì Alfonso colla sua umiltà e dolcezza.
Tolto di mezzo ogni animosità, e rimessa videsi nel luogo la pace, e con questa l'orazione, e la frequenza de' Sacramenti. Monsignor Targianni non finiva di consolarsi. Avendo Alfonso rilevato nel governo delle varie mancanze, avvertito il Targianni, vi diede del riparo con sodisfazione sua, e delle Monache.

 

Volendo profittare anch'esso in quest'occasione il Canonico Mazzaccara, Superiore in quel tempo della Congregazione di Propaganda, risolvette invitarlo per la Novena di Maria Assunta, nella Diaconia di S. Restituta. E' celebre in Napoli questa novena.

Vedendolo affollato, ed incomodato di salute, temeva la negativa. "Sel volete, li disse l'Avvocato D. Carlo Melchionna, posponete qualunque mezzo. Essendo fratello della vostra Congregazione, avvaletevi del carattere di Superiore, che sarete ubbidito". Così fu. Ricevendo il comando non ho, che dire, rispose Alfonso; calò la testa, e stringendosi nelle spalle, pregate la Madonna, disse, che mi dia forza. Qui non ho né scritti né tempo d'applicarmi: contentatevi di quello, che Iddio, e la Madonna mi mettono in bocca.

Vedendosi incomodato dall'asma, stimavalo un'azzardo. Pregato ancora da S. E. Sersale, comincerò, disse, la Novena, ma non so, se potrò continuarla. Cominciatela Voi, soggiunse il Cardinale, che se l'asma vi si aggrava, subentrerò io.

 

Divulgato per Napoli, che Monsignor Liguori faceva la Novena, ripiena si vide la Chiesa, fin dalla prima sera, da un mondo di Preti, e Regolari; nè ci mancava anche l'eminentissimo Sersale con tutta la sua Corte.


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Dovendo la prima sera portarsi nell'Arcivescovado, e non ritrovandosi pronta la sua carrozza, cioè quella venduta al Fratello D. Gaetano, per essersi data ad accomodare, il Secretario prese un'altra di D. Ercole, ma ricca e di veduta. In vederla Monsignore si diede indietro. Dicendoseli che niuno era per ammirarsi, conoscendosi esser carrozza del Fratello. Ma il cocchiere, disse Monsignore, porta la livrea mia e non quella di mio Fratello.

 Per quietarlo, e non farlo andare a piede, si posero ai cavalli de' guarnimenti vecchi, e sopra la sedia del cocchiere anche si sovrappose una vecchia gualtrappa. Così si arrese; ed un bel misto di vecchio, e nuovo fu una comparsa assai speciosa.

 

Sparsa maggiormente la voce, ci concorse anche il fiore della Nobiltà, ed oltre tante gentildonne, anche Dame le più principali. Rendendosi angusto la Chiesa, vedevansi innanzi tempo i primi Signori a prendersi il luogo. Fu tale, e così eccessivo il concorso, che per evitarsi la confusione, ordinar si dovettero degli Alabardieri alla porta di S. Restituta, e situarsi la moltitudine a traverso del Duomo, non restandovi luogo fino alla Cappella del Tesoro. La sua voce faceva meraviglia, che in età avanzata, risuonar sentivasi da per tutto, con sodisfazione di ognuno.

 

Anche i primi Letterati non ci mancavano. Spiegavansi, che non erano per aspettar frasche, e fiori, ma per ammirare in Monsignor Liguori il nerbo di sua eloquenza tutta apostolica.

"Piacesse a Dio, disse uno di questi, e tutti predicassero così, che vilipeso non si vedrebbe il Vangelo; ed un altro: si vede che la parola di Dio in bocca di Monsignor Liguori acquista altro peso". Vedevansi in Chiesa fiumi di lagrime. Anche Sua Eminenza, che mai non ci mancava, non poteva non singhiozzare a vista del Popolo. In fine del discorso, specialmente nella mozione degli affetti, non si doveva aver cuore, per non piangere. Erano così teneri i suoi estri amorosi verso Maria Santissima, e verso Gesù - Sacramentato, che stemprar vedevansi in pianto anche i cuori più duri.

Confessò il Canonico Sparano, che dieci Missioni, non avrebbero operato tanto di bene in Napoli, né fatte tante conversioni, quante furono quelle, che in questa Novena operò Iddio, servendosi di Monsignor Liguori; e quello ch'è più, come disse, in persone culte, e signorili.

 

L'ultima sera della benedizione slargò maggiormente il cuore di tutti colla predica del patrocinio. Questa fu tale, e così divina, che anche di presente con ammirazione se ne parla. Oltremodo fu in tutti la commozione; e se nelle altre sere il Cardinale ritirandosi faceva, terminata la predica, un inchino a Monsignore, quella sera non usandogli verun atto, se ne sbrigò, ritornandosene piangendo, e singhiozzando, e col fazzoletto agli occhi.


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Tutto era sforzo di spirito in Alfonso. L'apparecchio nol faceva in casa, ma in Chiesa avanti l'Altare di Gesù Sacramentato.

Terminato il sermone, ancorché zuppo di sudore, vedevasi estatico avanti il Venerabile, e non usciva di Chiesa, se non ricevuta la benedizione. Vedevansi in folla Canonici, Cavalieri, e Titolati a baciarli la mano; e tanti buttarseli ai piedi, ansiosi di esser benedetti. Anche di soppiatto, non mancavasi strapparli qualche ritaglio della veste. Ci fu chi li tagliò pezzetto della mantelletta.

Monsignor Bergamo, allora Parroco, e poi Vescovo in Gaeta, stimavasi fortunato, avendoli cambiato biretto. In casa fecelo anche con la corona. Avvedutosene Alfonso, se ne dolse, e volle se li restituisse, per non perderci l'indulgenze.

 

Sapendosi il motivo della dimora in Napoli, non finivasi ammirare, come, tra le sue angustie, e così gravi, avesse di mira le anime. "Scorno de' Vescovi! dicevano i più Saggi. Questi sono i veri motivi, per star lontano dalla Diocesi, non come tanti, che colpabilmente vengono in Napoli, e non attendono, che a darsi bel tempo. Monsignor Liguori anche ruba i momenti ai negozj, per guadagnar anime a Cristo".

Un Sacerdote di considerazione, incontrandolo per strada slanciavasi a baciarli la mano. "Mi vedo mosso, disse, vedendolo povero, e dimesso; ma non meritano, nè presto quest'ossequio a quei Vescovi, che vestono alla ricca, e si veggono per Napoli con seguito di servitori, e camerieri". Questa sua comparsa fu per tanti Vescovi una censura troppo amara; e se encomiavasi la condotta di Alfonso, vituperavasi quella degli altri.

 

Taluni però, che corteggio volevano, e sussiego, non la sentivano così. Essendo entrato per far la visita al Sacramento la vigilia dell'Assunta, in atto, che cantavansi i Vesperi, nel Monistero di Regina Caeli, si pose ginocchioni in un angolo della Chiesa, con una sedia avanti. Celebravasi il Pontificale da tre Abbati Rocchettini. Uno di questi, che lo conobbe, vedendolo sì male in arnese, guardando Alfonso, e rivolgendosi all'altro: , disse, che razza di Vescovo! Costui svergogna il proprio carattere. Questi così pensava; ma non fu così.
Non avendolo appieno conosciuto il Principe di Monte Miletto, che ivi stava, richiese al servidore, chi egli fosse. Accertato che era Monsignor Liguori, se li presenta con rispetto, li bacia la mano, e per un pezzo se la tenne sulla fronte. Il Duca d'Andria, ginocchioni presentandosegli anch'esso, non si levò, se degnato non si vide con una croce sulla testa. Non altrimenti furono gli ossequj di altri Signori.
Confusi gli Abbati presentar gli fecero dal Sacristano, ma non sen servì Alfonso, un cuscino di velluto.

 

Monacandosi una gentildonna nel Monistero de' Miracoli, vi fu invitato per la Messa; ed oltre tanti altri Vescovi, invitati vi furono il Cardinale, e Monsignor Nunzio. Piena era la Chiesa di Gentiluomini,


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e Cavalieri. All'entrare del Nunzio, e del Cardinale, mi attesta il Canonico D. Francesco Razzano, che eravi presente, niuno di questi si mosse dalla sua sedia, e chi sì, e chi nò degnolli di un inchino. Entrando Alfonso, tutti in folla e Gentiluomini, e Cavalieri furono a baciarli la mano. Vale a dire, che nella sua umiltà ei riscuoteva ciò, che non riscuotevasi da altri, ancorché con altra comparsa.

 

Cominciandosi da' PP. Teresiani i Mercordì di S. Teresa, perché sua special Avvocata, ancorché imbarazzato, non lasciava portarvisi. Unito col Popolo si pose a sedere al solito in uno de' scanni. Avvedutisi i Padri, volevano usarli attenzione, ma non volle. Essendoci ritornato nell'altro Mercordì, ritrovar li fecero, ma non se n'avvalse, sedia propria, e cuscino di velluto. Uscendo di Chiesa, li furon appresso con dimostranze di onore, anche comiatandolo fino alla carozza.

 

Minuzia di tempo non aveva in casa, che non impiegavalo per le anime. Di sera concorrevano da lui fino all'ora tarda, Parochi, Confessori, ed altri ecclesiastici, e con questi Togati, Fascie di S. Gennaro ed altri Cavalieri. Anche varie Dame, non potendolo avere al Confessionale, portavansi in casa. Vi furono, tra le altre la Principessa della Riccia, quella di Cassano Serra, la Duchessa di Bovino, e la Sforza Cesarini. Quella di Bovino specialmente vedevasi a suoi piedi, e sforzavasi per baciarli, ed averne la benedizione.

 

Col dono della scienza, e del Consiglio che tutti cercavano, non mancava in Alfonso la profezia. Essendo per uscire di Monistero una figlia alla Duchessa di Bovino, per passare a marito, e non sapendo a qual partito appigliarsi, portandosi da Monsignore, pregollo averla presente nelle sue orazioni. No, no, li disse, non si mariterà: Iddio la distaccherà dal Mondo, e la prenderà per se. Tutt'altro era passato per capo alla figliuola, fin'a quel tempo, che monacarsi. Restò sorpresa in così sentire la Duchessa. Il fatto fu, che giunta in casa, ritrova biglietto, in cui diceva la figlia, che voleva farsi monaca, e non maritarsi. Questa è D. Delfina Guevara, che ora vive con edificazione nel Monistero di D. Alvina.

 

Essendosi sgravato tra questo tempo in Marianella D. Marianna Capano Orsini sua cognata, avendolo partorito un bambino, volle la consolazione il di lui Fratello D. Ercole, che col Battesimo, per mezzo suo, il bambino rinato fosse alla Grazia.
Lo compiacque Monsignore; e volle D. Ercole, per sua maggiore consolazione, che anche Alfonso nominato si fosse. Saporito è quello accadde con quel Parroco. Assistendolo questi, ripetevali l'Eccellenza in ogni voltata di lingua. Soffrillo Monsignore la prima, e seconda volta, per non interrompere la funzione; ma più non potendo, Signor Parroco, li disse, se mi volete dare l'Illustrissimo, fate come volete, o trattatemi da tu a tu, che fate meglio.


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Non fu la sola Novena tutta l'occupazione di Alfonso. Lo zelo ha questo di proprio, come le grosse sorgenti, che trattenute sembrano placide e quiete, sboccando allagano poderi e campagne. Essendosi posto Alfonso ad operare, più trattener non poteasi, senza impiegarsi per le anime.

Spaziavasi sopra tutto, e godeva vedersi impiegato tra la gente povera, e minuta. Il Parroco anzidetto D. Carlo Bergamo l'invitò, e l'ottenne per un sermone, nella sua Parrocchia dell'Avvocata, alla Congregazione de' Cocchieri, Volanti, e Servitori. Così i suoi cari Cappellisti, e tra questi, come dissi, se li presentò, nel cortile dell'Arcivescovato, anche il famoso Pietro Barbarese suo antico penitente, vollero, e godettero di nuovo i suoi santi ricordi.

 

Un Mastro Sellajo, avendolo cercato per un sermone nella Cappella fuori porta Capuana, con suo piacere vi si portò. Concorsovi molta gentaglia, ed essendo angusto il vase, radunolli nella Chiesa del Conservatorio di S. Onofrio. Esposto il Venerabile, animò tutti ad amare Gesù Cristo, ed esser divoti di Maria Santissima. Carità inculcò tra di loro; e di volersi impegnare in reclutar altri pel servizio di Dio.

Un'altro giorno, essendosi radunata questa buona gente nell'Ospedale dell'Annunciata, esposto il Venerabile a capo della corsèa, animò tutti alla pratica delle virtù Cristiane. Invitato per un'altra predica nel giorno natalizio di Maria Santissima, anche rendetteli consolati.

Preintendendo le Figlie esposte, ivi educate, e non erano meno di trecento, la gran compunzione sortita nell'Ospedale, anch'esse fecero premura per averlo, e Monsignore non mancò consolarle nella Domenica susseguente. Non contento il Popolo ascoltarlo in Chiesa, anche di sera era in folla a ritrovarlo in casa. Non essendoci per tutti luogo da sedere, mettevansi a terra. Godeva più Monsignore vedersi intorniato da questa buona gente, che riverito dalle fascie di S. Gennaro. Questa sua degnazione faceva più, che altro il maggior stupore in tutta Napoli.

 

Se il giorno impiegato vedevasi per la Novena di Maria Santissima, o girar doveva per gli anfratti di sua Congregazione, non sapeva di mattina in quale de' tanto Monasteri, che lo cercavano era per portarvisi.

Pochi furono quei di maggior nobiltà, ove non si sentisse la sua voce; ne vi fu Monistero, ove assistito non fosse dalla Profezia, e della penetrazione de' cuori. Fu a D. Alvina, a S. Chiara, alla Sapienza, a S. Marcellino, a S. Gaudioso, a S. Liguori, al Sacramento, a S. Girolamo, a S. Giovannello, a D. Romita, a S. Potito, a S. Andrea delle Monache, e ad altri.

 Perché divoto della B. Giovanna di Chantal, invitato a dir Messa dalle Salesiane in questa festa, vi andò con suo compiacimento. In taluni oltre de' sermoni, che vi fece, ritornar dovette più volte, per sentir alcune al Confessionale. Non badava


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ad incomodo, ove trattavasi animar i cuori alla virtù, ed infervorarli nell'amore di Gesù - Cristo.

 

Ancorché l'Eminentissimo Sersale fin dalle prime erasi con esso dichiarato, che lui, e non egli era Arcivescovo di Napoli, Alfonso tuttavolta, con somma umiltà, non avvalendosi di tanta finezza, come cosa occorreva, mandava dal Cardinale. Volendosi confessare, una Religiosa, spedì il Verzella per la facoltà dal Canonico Caracciolo Secretario delle Monache, e non avendola ottenuta, perché non l'aveva, mandò dal Cardinale.

Questi mezzo infadato rispose: "Monsignor Liguori, che va cercando. Io ce l'ho detto, che esso, e non io, è Arcivescovo di Napoli. Che cresimi, che confessi, che predichi, che tenga i Ponteficali, e faccia quanto occorre, perché tutto è in suo potere".

 

Come dissi, autenticò Iddio, in questi tanti Monasteri, la santità di Monsignore anche con varie Profezie, che, per non dilungarmi, le accenno.

A sua sorella D. Marianna Liguori nel Monistero di S. Girolamo, perchè caparbia, non soggettavasi al proprio Direttore, voi pazza morirete, le disse; e pazza morì. Stando educanda in S. Marcellino la Principessa Zurlo ardeva di farsi Monaca. Rappresentandosi a Monsignore un tal fervore della giovinetta, Nò, disse, non si farà Monaca, ma ritornerà al mondo, e sarà buona secolare.

Come disse, così fu. In S. Chiara raccomandandoli D. Beatrice Folgori una sua nipote, già uscita di Monastero, per indi entrare nel Noviziato; lasciatela andare, le disse: il Monastero non fa per essa. Di fatti non volle più farsi Monaca. Così altre ve ne sono, che tralascio.

 

Non faceva Alfonso eccezione di persona. Come in tanti Monasterj di Dame, così fu in varj altri di Gentildonne. Non negò la sua opera al Rosariello delle Pigne, a S. Margherita, a S. Monaca, ai Miracoli, a Gesù e Maria, a S. Caterina delle Zizze, ed a S Giuseppe e Teresa. Chiamato nel Conservatorio di S. Filippo e Giacomo, o sia dell'Arte della Seta, ed avendoci fatta la predica del Figliuol prodigo, vi fu tra quelle Vergini un frutto copiosissimo, come contestavalo chi n'era Superiora.

 

Maggior compiacimento incontrava soprattutto Alfonso, vedendosi invitato a predicare ne' luoghi di penitenza. Oltre del Monistero detto la Monaca di legno, e del Conservatorio dell'Annunciata, predicò più volte al Pallonetto di S. Chiara, ove vi aveva una donna pentita di Frascio. Fu alle Pentite di S. Raffaele, ove, come dirò, vi situò un'altra pentita di Arpaja. Invitato dal Sacerdote D. Tommaso Fiore, non negò portarvisi alle donne pentite del Crocefisso. Quello che più edificava si è, che siccome ritornò più volte in varj Monasteri di Dame: così, richiesto, ritornava con maggior piacere ne' luoghi i più umili, ed abbjetti.


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Consolò ancora nel tempo istesso in varj luoghi tante Religiose inferme, specialmente se sue antiche penitenti. In questi dati luoghi si vide quant'era egli cautelato per la santa modestia. Prevenendo i baciamani, avendo la sinistra in petto, avvolgevasi la destra con un fazzoletto. Pregato per un segno di Croce ad un'inferma sulla fronte, non la benedisse, che di lontano. Salendo sopra i Monasteri, voleva con se un Ecclesiastico per sostenerlo, come ei diceva, ma in realtà per sua cautela. In questa età, e così piena di acciacchi, anche non lasciava premunirsi con cilizj, e con catenette di ferro, e di sera battersi, e flaggellarsi.

 

Non voglio quì omettere in S. Margheritella un'altra profezia, ma istantanea e saporita. Da più tempo ritrovavasi travagliata in letto Suor Maria Concetta Ronchi.
Sentendo Alfonso in Napoli, desiderò averlo. La sorella, che ritrovavasi Badessa, mandollo pregando volerla consolare; e che volendo, richiesto avrebbe il permesso al Cardinale. Non occorre la licenza, rispose Alfonso; dimani sarò a vederla, e celebrerò per la medesima. Non si capì il mistero. Se ne consolò la Badessa, vedendo assecondare i desiderj della sorella.

La mattina susseguente sollecito Alfonso disse al Secretario, fate mettere in ordine la carrozza, che vogliamo andar a vedere Suor Maria Concetta. La notte era spirata la Monaca. Giungendosi avanti al Monistero, e sentendosi esposta in Chiesa, ne sorrise la servitù. Non così Alfonso. Entra; ed avendola veduta sul cataletto, celebrò per la defonta, come erasi compromesso.

 

Come ho detto non mancava, vedendosi il profitto, ritornarci di nuovo, ove veniva desiderato; ma se la visita era riuscita in soli complimenti, volentieri si disimpegnava. Le Monache di S. Giovannello, non contente averlo avuto alla grada, ed assistito alla Messa, insistevano per averlo di nuovo. Non avendolo richiesto taluna per regolarsi, non furono compiaciute. Vedendosi deluse, impegnarono, per averlo, il P. D. Gennaro Fatigati. Anche questo ebbe la negativa; ed insistendo di vantaggio, mezzo infadato li disse: "D. Gennaro, io voglio bene a S. Giovanni, ma non a S. Giovannello. Mi hanno fatto perdere un'ora di tempo, ed io ci ho scrupolo".

 

Altre onorificenze vi furono per Alfonso in Napoli di venerazione e rispetto, che stimo non omettere.

Non potette dispensarsi di esser a tavola tra' PP. Domenicani in S. Tomaso d'Aquino, ritrovandosi Provinciale il P. Cavaliere suo cugino. Istanza fecero, e furono consolati i Giovanetti Cinesi. Se ne compiacque Alfonso, vedendo tanti candidati, tutti armati a danno dell'inferno. Così dovette cedere nel giorno di S. Ignazio al P. de Matteis Exprovinciale de' Gesuiti. Vi celebrò, restò a pranzo; ed il giorno assistè al Panegirico. Questa fu l'ultima festa del


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Santo, che da' suoi in Napoli vi fu celebrata.

Nel Gesù vecchio anche venne invitato dal P. Sanchez ad una teologica conclusione, che sostener si doveva. Il P. Pagano suo parente, e Provinciale, anche lo volle dalla mattina. Vi pranzò, ma la sua consolazione fu aver celebrato nella Cappella del Ven. Padre Mastrilli, da esso tanto invidiato, per la vita, che nel Giappone diede per Gesù Cristo.

 

Invitato da varie Ecclesiastiche radunanze, non mancò compiacerle.
Tra le altre lo vollero in Congregazione, come loro Confratello, i Missionarj del P. Pavone, ora detti della Conferenza.

Pregato volerli ricreare coi suoi sentimenti, si spaziò Alfonso sopra lo zelo, che ogni Sacerdote aver dee per le Anime. Animò tutti nel predicare Apostolico, ed inveì contro lo stile armonioso. Questi, dissero alcuni, sono i veri Vescovi; ed altri: benedetto  Iddio, che a tempi nostri veduto abbiamo uno de' Vescovi antichi.
Vi furono persone, che avanzandosi dissero: è tale, che anche vivente meritasi l'incenso. Licenziandosi, fu comiatato da tutti fino al piano del cortile. Mi attestò il Missionario D. Carlo Zanpoli, che non eravi esempio di altro Vescovo, che veduto si fosse così onorato in Congregazione, come lo fu Monsignor Liguori.

 

Avendo a cuore l'Eminentissimo Sersale veder infervorato il suo particolar Convitto, che formato aveva, per istruirsi i giovanetti in sacris negli esercizj di Missione; vi condusse Alfonso. Piegandosi le braccia, volle, qualunque fosse la di lui umiltà, che da tutti se le baciasse la mano.

Prevenuti que' Giovanetti, recitarono varj componimenti; e i più avanzati, spezzoni di prediche, colloquj, e sentimenti di notte. Questi spezzoni di prediche, gradendo oltremodo, Alfonso animò tutti allo stile apostolico. Avendolo condotto il Cardinale nella Cappella, volle benedetto avesse quei tanti Convittori. Per quasi mezz'ora animò quella gioventù alle virtù Sacerdotali, allo zelo per le anime, e maggiormente nell'amore per Gesù - Cristo, e per Maria Santissima.

 

 Ancorché così operasse in Napoli, e benedette fossero da Dio le sue fatiche, vedendosi lontano dalla sua Diocesi, agonizzava, e contavane i momenti, per esserne fuori.

Se non fosse, disse un giorno, per li travagli, che soffre la Congregazione, che tanto promuove a gloria di Dio, ed il bene delle Anime, lo star qui stimerei un peccato mortale.  Non è però, che tra questi imbarazzi, egli non avesse presente i bisogni de' suoi Diocesani.

Troppo caro costogli la situazione di una pentita di Arpaja, nel Conservatorio di S. Rafaele. Essendo stato a pregar di persona il Canonico, che n'era direttore, n'ebbe rotondamente la negativa. Questa essendo vassalla del Principe della Riccia, portossi a Palazzo, per ottenerne la mediazione.

Il Cameriere, non avendo avuto altra volta un qualche pezzo di argento, e non sperandone, disse, che


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il Principe stava per dare la camicia al Re.

Un soldato della Guardia Italiana, che stava di guardia, vedendolo meschino, e con barbaccia, ve', che razza di Vescovo, disse ad un altro, non ha una decinque per farsi la barba. L'intese Alfonso, e ne sorrise. Benedetto Iddio, disse, che dobbiamo dar conto anche ai soldati. Restò bensì confuso il soldato, e guardavalo con ammirazione, vedendolo ossequiato da' primi Signori.

Essendoci ritornato la seconda volta, anche, sotto altro pretesto, venne licenziato. Odorando il mistero il Verzella suo Secretario, con darli la terza volta che vi fu, un sei carlini, il Principe non fu più impedito.

Dispiacque al Principe la ricevuta negativa, ed il suo incomodo; ed esibendosi per qualunque spesa, sul punto fe sentire al Canonico esser sua vassalla. Più non vi volle, per esser ammessa. Non volendo Alfonso far vedere al Canonico aver superato l'impegno, si porta di nuovo a ritrovarlo, cercando scusa aver fatto capo dal Principe. Avendolo avuto a male, nol ricevette, che di mal umore. Alfonso però mutando linguaggio, li parlò con tuono, increpandoli il poco suo zelo, ed il poco impegno dimostrato per quell'anima.

 

Giorno non vi era, che non spedisse, o non ricevesse corrieri dalla Diocesi, per esser riscontrato de' rispettivi bisogni. Non essendo soddisfatto della condotta di un Religioso, fe sentire al Provinciale, che non stava bene in Diocesi. Che ho da fare? rispose quegli, tutto agitato; dite a Monsignore, che non ho dove situarlo. Oh bella! disse Alfonso, esso non ha ove situarlo, e vuole che si pianga da me! Respingendo di nuovo il Verzella, ma con termini più forti, sbalzato si trovò il Religioso prima, ch'egli ritornato fosse in S. Agata. Un altro, ed era graduato, anche sperimentò in altro Convento fuori Diocesi il medesimo destino.

 

Tra questo tempo li pervenne notizia, che un Gentiluomo in Arienzo frequentava una casa. Questa fu spina, che li trafisse il cuore. Vedendolo agitato il Verzella, suggerì poterseli fare una lettera. "Che lettera! e lettera ripigliò tutto acceso Monsignore, facciamo che si prenda informo dal Governadore, se arrivar vogliamo questo zoppo. Sa esso il Governadore che farsi".

Scrisse; ma avendolo penetrato il Gentiluomo, sul medesimo piede, si portò in Napoli da Monsignore, si umilia, e promette emenda del suo trascorso. Contava i momenti tra queste angustie per vedersi in Diocesi.

Importunato dal Jorio, non so per quale novena, che novena voglio fare, rispose, la novena vado a farla in Diocesi, ove Dio sa li sconcerti, che debbo ritrovare. Gesù - Cristo non mi vuole in Napoli, ma in S. Agata. Memore delle grazie ricevute nella Chiesa della Redenzione da Maria Santissima fu più  volte a visitarla.

L'ultimo giorno, che ci fu: Madonna mia, le disse, a rivederci in Paradiso, che in Napoli non ci vedremo più. Tale fu la dimora in Napoli di Monsignor Liguori.

Benché non ritornasse in Diocesi, che carico di manipoli, tuttavolta non ci fu, che con sommo rincrescimento; e non partì, che con volontà di mai più ritornarci. Dite a D. Ercole, scrisse da S. Agata al Fratello Tartaglione, che con libertà affitti il quarto, perché in Napoli, non sono più per venirci.




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