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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap. 50 Alfonso, vedendo in grave travaglio la Congregazione, richiama i suoi da Sicilia: tenta di nuovo la rinunzia dalle sua Chiesa; ma viene animato da Clemente XIV volervi perseverare. Anima i nostri all'osservanza della Regola, e dà altre opere alle stampe.
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Cap. 50

Alfonso, vedendo in grave travaglio la Congregazione, richiama i suoi da Sicilia: tenta di nuovo la rinunzia dalle sua Chiesa; ma viene animato da Clemente XIV volervi perseverare. Anima i nostri all'osservanza della Regola, e dà altre opere alle stampe.

 


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Il fuoco acceso in Sicilia, anziché estinguersi, vieppiù si accese così in Napoli, che in Palermo. Se ammettevansi le giustificazioni di Alfonso, e veneravasi il nome, non è che ributtavasi la calunnia. Tutti erano equivoci in senso del Contraddittore. Egli attizzava di persona la fiamma in Napoli, e gli aderenti in Palermo. Tali furono i loro sforzi, che già dubitavasi di nostra sincerità.
"Chi non vede, diceva la Giunta di Palermo, che l'accortezza dei Missionarj ha con tale fagacità cambiato le cose, che se la loro permanenza in Girgenti non è una vera fondazione, ha bensì indirettamente, e per vie obblique tutte le proprietà di un vero stabilimento". Questo capo, di permanersi in Girgenti senza permesso Reale, faceva senso alla Giunta; e con questo, unendosi tutto giorno calunnia a calunnia, sempre più dubitavasi di qualche tracollo alla Congregazione.

 

Questa tanta contraddizione in Sicilia non poteva non animare in Regno, e rendere vieppiù impegnati il Maffei, ed il Barone. Replicati si videro i carichi con nuove aggiunte. Fallita al Maffei la trappola della mediazione, e volendo snervati i ricorsi del popolo, da mediatori che volevaci, capi ci fece di partito. Non con uno, ma con più ricorsi fe carico il Sovrano, che quanto asserivasi contro di lui, tutto era opera de' Missionarj suoi nemici.

Non potevano tali imposture, nel credito in cui era presso il Marchese Tanucci, non far senso. Caricando con questo i nostri di altri delitti, snervava il popolo, e metteva in salvo se stesso. Qualunque aggravio rappresentavasi da' Cittadini, il Marchese, troncando la parola, più volte lor disse: so che i buoni Padri vi tengono bene salariati.

 

Questo istesso, che rappresentavasi al Re, vociferavasi da per tutto dai loro aderenti, e di altro non parlavasi nei Caffè, e nelle conversazioni, che de' nostri scandali, dell'erroneità delle dottrine, e del quanto eravamo perniziosi alla Chiesa, ed allo Stato. Era così certa la nostra ruina in senso di tutti, che vedevansi in un continuato timore, nonché la Casa di Iliceto, e quella di Sicilia, anche la Congregazione tutta per esser dismessa. Volta vi fu, che letto non si prese per più notti nelle Case di Iliceto, e di S. Angelo a Cupolo, accertati i nostri di vedersi, in tal tempo accerchiati da Birri, e discacciati.

 

Vedendo Alfonso attaccato il fuoco a due capi, e temendo, che se


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canzavasi il riverbero di uno, forse evitar non potevasi quello dell'altro, usando prudenza richiamò i suoi da Sicilia, "Se Iddio ci vuole, ei disse, non gli mancherà modo di farci ritornare, e ritornando lo farete colla benedizione di Dio, e del Sovrano".

Questa ritirata toccò sul vivo Monsignor Lanza. Chi non vede, disse, che la vince l'inferno, e se ne ha da gloriare un misero pretazzolo.

"Viva Iddio, esclamò: voi partirete, ma a dispetto dell'inferno sarete di nuovo in Sicilia; e se altro mi manca per Dio, per voi, e per questa opera, mi venderò il pastorale, e la mitra".

Col Vescovo vedevansi impegnati in sostenere la dimora de' Padri, anche i più rispettabili del Clero, e della Città. Tutti avevano a male, che si dasse per vinta a pochi malevoli. Alfonso però fu costante, volendo che i suoi si ritirassero.

Partirono i nostri, e non furono in Napoli, che in Luglio 1772. Ancorché la partenza non fosse che di soppiatto, ed in ora non propria, pianto, ma troppo amaro, vi fu in Città. Avvedutosi il popolo; uno dando voce all'altro, se violenza non vi fu per arrestarli, stimossi un patente prodigio. Moltitudine grande accompagnolli fino al mare, piangendo non la disgrazia de' Padri, ma della Città, che restavane priva. Al vederli in mare tutti alzando le grida, chi benediceva i Missionarj, ed altri esecravano chi causa lo era di un tanto male.

 

Non ancora partirono i nostri, può dirsi, non esserci stato in Girgenti ceto di persone, che non umiliasse supplica al Real Trono per riaverli. Ricorrette il Clero. Tutti gl'Ordini regolari non furono discrepanti. I Cavalieri, le Dame, le Persone civili, le Manstranze, tutti rispettivamente presentarono le loro suppliche.

Anche presso Alfonso vi s'interessarono per lo ritorno i divoti Girgentini. Trentotto Dame specialmente, e ventotto Cavalieri esposero con supplica l'amarezza sofferta per la partenza de' Missionarj, ed il danno spirituale, che tutto giorno, per l'assenza, sperimentavasi in Città. Siccome da noi, essi dissero, si è fatto un serio ricorso al Sovrano, implorando la sua Clemenza: così forzati dalla necessità dello spirituale alimento imploriamo da V. S. Illustrissima, e Reverendissima il loro ritorno. Commossero Alfonso queste tante dimostrazioni, e spiegossi, che chiarite le cose, non avrebbe mancato consolarli.

 

Vedendo Monsignore tra questo tempo bersagliata così la sua Congregazione, ed in procinto di esser distrutta un'Opera, che tanto utile era alla Chiesa, credendo non poter giovare alla sua Diocesi, perché stroppio, e carico di anni, ed esser di sollievo ai suoi, si risolvette alla rinunzia del Vescovado; ma gl'incidenti tra questa Corte di Napoli, e quella di Roma per l'elezione de' Vescovi, sul dubbio che la sua


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Chiesa non restasse con grave detrimento priva di Pastore, sospender li fecero ogni passo.

 

Bonacciata la controversia tra le due Corti, così scrisse al P. Villani fin dai 5. Gennaro 1770.

"Sento che i Vescovi fatti dal Papa già ottengono l'exequatur; onde io voglio incamminar tra breve le cose della mia rinunzia; ma nel modo, che vi dissi, senza proponere alcun soggetto, e senza mandare rinunzia formale. Rappresenterò al Papa lo stato in cui mi trovo, e dirò, che voglio sapere da esso quel che vuole Dio da me; e stimando accettare la mia rinuncia, subito ce la manderò. Ma prima di dar questo passo, voglio parlare di nuovo con V. R., perché non voglio dar passo, del quale poi avessi a pentirmi".

 

Avendo rappresentato al Papa in quest'anno 1772. pro et contra per mezzo dell'Eminentissimo Castelli, quanto stimavasi innanzi a Dio, protestossi non voler fare la volontà sua, ma in tutto voler dipender dal di lui volere. Così esser pronto a rinunziare la Chiesa, se voleva; ed anche pronto, se non voleva, di soccombere sotto il peso della sua carica. Sommamente restò edificato Papa Clemente di questa sua subordinazione al Capo della Chiesa; ma informato del gran bene, che anche in questo stato operava, confortandolo a portarne il peso, li rescrisse un Breve di somma consolazione, che anche manca.

All'Eminentissimo Castelli, che premevalo a volerlo sgravare, mi contento, disse il Papa, che governi la Diocesi di sopra al letto. Rappresentandoli il Cardinale la di lui impotenza a poter girare, Vale più, soggiunse il Papa, una sua preghiera da dentro il letto, che se girasse per cento anni l'intera Diocesi. Calò la testa Alfonso, sentendo in contrario il Papa, uniformando il proprio al volere di Dio, in persona del Vicario, che avea in terra.

 

Vedendosi da nostri in uno stato così stroppio, che guardandosi faceva compassione, l'animavano in seguito ad una formale rinunzia. Convenivano in questo altri Vescovi amici, ed Ecclesiastici cordati.

Alfonso ancorché agonizzasse sotto il peso della cura, mai volle appartarsi dalla volontà del Papa. La voce del Papa, diceva, è voce di Dio per me; e muojo contento, se per volontà di Dio io muoja oppresso sotto il peso del Vescovado.

Vedendosi stretto dai tanti motivi, e troppo raggionevoli, che vi erano per la rinunzia, lepidamente un giorno, ma profetizzando, se ne sbrigò: Questo, disse, è monaco capo tosto, se la fo, non l'accetta; pazientiamo, ed aspettiamo l'altro Papa, che viene appresso. Tutti, in sentir questo, smascellarono di riso. Egli era cadente, e stroppio, ed il papa giovane, e robusto, contando anni diciassette meno di lui. Profetizzò. Papa Clemente, con ammirazione di ognuno a capo di anni due si vide sul cataletto, ed Alfonso decrepito e vecchio persistere in vita, e travagliare.

 


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In seguito diedesi in dietro per un altro riflesso, e dir dobbiamo, che come tentazione discacciò un tal pensiere. Pochi non erano i pretensori per la Chiesa di S. Agata. Sortendo la rinunzia, si seppe, che il Papa di necessità era per cedere, assistito da un  forte impegno, in destinarsi Vescovo un soggetto, che non sel meritava. "Io morirei di gotta, disse Alfonso, se vedessi queste mie pecorelle in bocca di un lupo. Era tale il pretendente, che Monsignor Borgia, ove prima era propenso, che anzi premevalo per la rinunzia, essendo andato a ritrovarlo, caricollo innanzi a Dio di colpa grave, se più pensato avesse ad un tal atto.

Non potendo di persona vedersi tra i suoi, volendo animarli a maggiore osservanza, ed a pazientare ne' presenti travagli, spedì per le Case la seguente circolare nel primo di Ottobre.

 

Fratelli in Gesù Cristo dilettissimi.

 

"Sento che già sapete la gran tempesta, che sta passando la nostra Congregazione, per causa delle accuse, che han portate i contrarj contro di noi presso la Maestà del Re. Io non temo delle accuse, perché so che in ciò siamo innocenti; ma temo del poco spirito, che al presente vi è in alcuni nostri Fratelli. Non si ama la povertà, come se le nostre Case avessero la rendita de' Certosini, quando è un miracolo della Divina provvidenza, che ciascuno abbia a tavola semplice pane per saziarsi. Ben sapete le miserie di ogni Casa. Poco si ama l'ubbidienza, e poco si ama la carità.

Quello che più mi ha ferito è stato il sentire, che alcuni Fratelli han preteso esser preferiti a predicare. Come Iddio ci vuole ajutare, quando vi è la superbia? Questo difetto non ancora lo avevo inteso. Pretendere di predicare! Ma che profitto possono fare le prediche di quel soggetto, che predica, perché esso ha preteso di predicare?

Per carità! Non mi fate sentire più tali cose. Questo è un difetto, per cui merita il soggetto esser cacciato dalla Congregazione, o almeno di mettersi eternamente in un cantone, senza farseli aprire più la bocca. Per carità stiamo uniti con Dio, non gli diamo disgusto, perché noi non abbiamo per noi altro che Dio; ma Dio, se seguitiamo a far così, ci abbandonerà, e distruggerà la Congregazione; ed io molto ne temo, se non ci emendiamo. Ognuno pensi a se, e cerchi di emendarsi. Ed a chi non li piace la Congregazione, e l'osservanza, che se ne vada con Dio. Io sto molto contento di quei Fratelli, che se ne sono usciti, perché le pecore infette, infettano le altre. Non importa che restiamo pochi. Dio non vuole che siamo molti, ma che siamo buoni, e santi".

 

Ripigliando i travagli, che si stavano passando, soggiunse:

"Torno


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a dire, che la tempesta è grande. Ognuno raccomandi a Dio la Congregazione, ed in comune si dicano tre  Litanie il giorno; con tre Deprofundis. Abbiamo bisogno di orazioni, e solamente la Madonna ci può ajutare. Ma le orazioni poco serviranno, se non leviamo i difetti. Io per me ho finito in questa età decrepita, e cionco dentro del letto. Che voglio, e che posso fare? Voi, Figli miei, dovete mantenere la Congregazione; e siate sicuri, che se ci portiamo bene, Dio sempre ci assisterà; e quanto più siamo poveri, più disprezzati, e più perseguitati, tanto più faremo maggior bene, e maggiore sarà il premio, che ci darà Gesù Cristo in Cielo.

Benedico tutti uno per uno, e prego che Dio riempi ciascuno di voi del suo santo amore. Ognuno preghi ogni giorno per me, mentre io ogni giorno li fo per ciascuno di voi, Figli e Fratelli miei. Gesù, e Maria vi benedica".

Fratello Alfonso Maria del SS. Redentore.

 

Anche tra questi tanti suoi travagli di corpo, e di mente non è che Alfonso perduto avesse di mira gl'interessi di Gesù Crocifisso. Volendo vieppiù imprimere le sue piaghe ne' cuori di tutti, quello, che meditando rifletteva, lo pose in istampa a beneficio comune. Ha per titolo quest'opuscolo: Riflessioni sopra diversi soggetti spirituali.
La prima parte contiene delle Riflessioni sulla Passione di Gesù Cristo; ed altre la seconda su diversi punti di spirito, per le anime, che desiderano avanzarsi nel Divino Amore.

Quest'opera venne stimata da tutti come calamita, per attirare il cuore del uomo ad unirsi col cuore di Gesù Cristo. Sminuzzata si vede al vivo tutta la Passione, ed individuati i motivi più potenti per eccitarci ad amarlo. Fa vedere quanto la memoria della Passione di Gesù Cristo sia utile a fedeli, e quanto è necessario il contemplarla. Libellum hunc, così all'Eminentissimo Sersale il Canonico Simioli, quantivis praetii putaverim, Praesul amplissime, sive ad pietatem excitandam, sive ad socordiam, defidiamque excutiendam, inioquissimis hisce temporibus, ubi charitas refrigescit, ubi scandala augentur, pientissimo Actori, et hoc debet aetas nostra, ut ignem, et in frigidis accendat, et in fervidis augeat Opusculis suis.

 

Ancorché, come dissi, combattuto avesse Alfonso con una Dissertazione nel 1756 i miscredenti Deisti, e di nuovo nella sua Verità della Fede, tutta volta vedendo i progressi che questi facevano, gli attacca di nuovo con un altra Dissertazione, che intitolò: Riflessioni sulla verità della Divina Rivelazione contro le principali opposizioni dei Deisti.

Quanto è ristretto quest'Opuscolo, ed a portata di ognuno, altrettanto è tutto zelo. "Se i nemici della nostra Religione, ei dice, non sono mai sazj d'impugnarla con mille libretti, che tutto giorno cacciano fuori,


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perché gli amici non lasceranno difenderla? Avendosi proposto tutti i cavilli, che questi sogliono usare, per togliere dal Mondo la Rivelazione, egli, con mano maestra, fa vedere, che la Rivelazione non solo è utile, ma è necessaria alla salute dell'uomo; e che non è contraria né alla ragione, né alla propria felicità, né alla pubblica tranquillità.




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