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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap. 55 Somma afflizione di Alfonso vedendo Papa Clemente XIV e la Chiesa in gravi angustie: assiste in ispirito alla di lui morte, sua lettera intorno all'elezione del nuovo Papa, e nuovo travaglio in cui vede la Congregazione.
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Cap. 55

Somma afflizione di Alfonso vedendo Papa Clemente XIV e la Chiesa in gravi angustie: assiste in ispirito alla di lui morte, sua lettera intorno all'elezione del nuovo Papa, e nuovo travaglio in cui vede la Congregazione.

 


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Troppo scabroso fu il Pontificato di Clemente XIV. Considerando Alfonso i tanti torbidi, che da per tutto vi erano, colle conseguenze, che ne prevedeva, agonizzava anch'esso. Non in altro, tra questo tempo, raggiravansi le sue preghiere presso Dio, che per la quiete del Pontefice, e della Chiesa. Questo istesso insinuava a noi, e voleva si facesse dagli altri. Viveva anche afflitto, e sentivala amaramente per la general tempesta, che in ogni dove soffrivasi dai Gesuiti. Non vedendosi principio di calma, non ne parlava che con sensi di somma amarezza.

"Tutto è trama, ei diceva, de' Giansenisti, e di tanti miscredenti. Se questi ottengano veder distrutta la Compagnia, non hanno più, che pretendere. Rovesciato questo baloardo, in quale sconvolgimento colla Chiesa non si vedrebbe anche lo Stato? Rovinati


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i Gesuiti, in maggiori travagli si vedrebbe il Papa, e la Chiesa. I Giansenisti non hanno in mira la sola Compagnia, ma colla Compagnia la Chiesa, e lo Stato".

 

Alfonso così pensava, e così temeva; ma imperscruttabili sono i segreti di Dio. Clemente XIV, stimando far cosa grata a Dio, e di vantaggio alla Chiesa, non che sostenerla, soppresse la Compagnia. Troppo fatale fu questo colpo per Alfonso. Gelò, e non ebbe più senso, in che fu noto il fulmine, che a 22 di Luglio 1773, uscito era dal Vaticano.

Benché non parlasse, manifestava nel volto la grave amarezza, che provava nel cuore. Ricevendo il Breve della soppressione, adorò, per un pezzo in silenzio, i giudizj di Dio nelle disposizioni del Papa; e ripigliando la parola, Volontà del Papa, disse, volontà di Dio; né più s'intese dalla sua bocca anche parola, che indicato avesse il suo interno rammarico.

Un giorno, ed io eravi presente, malignandosi dal Vicario, e da persone di riguardo, un tal passo del Pontefice, "Povero Papa! disse Monsignore, che far poteva nella dura circostanza, che ritrovasi, se tutte le corone concordemente hanno voluto questa soppressione. A noi non spetta, che adorare in silenzio i profondi giudizj di Dio, e quietarci. Dico bensì, che un solo Gesuita, che resta, questo solo è capace a poter rimettere la Compagnia".

 

Profetizzò; e son note le maggiori angustie tra le quali si vide il Papa dopo soppressa la Compagnia. Se tali furono pel Pontefice, minori non furono le afflizioni di Alfonso, vedendo il Papa, e la Chiesa in altri nuovi imbarazzi. "Pregate per il Papa, scrisse in Frosinone a 27. di Giugno 1774. al P. de Paola: Mi ha detto il Superiore de' Cinesi, ch'è venuto da Roma, che il Papa sta mesto, ed ha ragione; mentre non si vede luce per questa benedetta pace". In fine replica:
"Pregate per il Papa, che sta così afflitto: Dio sa quanto lo compatisco; e scrivendo in Nocera al P. Villani, "Pregate Iddio per il Papa, disse, come fo io continuamente. Pregate per il Papa, che come mi è stato scritto dalla Romagna, sta così afflitto, che si desidera la morte, per più cose avvenute contrarie al bene della Chiesa".

Così a 12. Giugno al medesimo. "Le nuove della Chiesa vanno di male in peggio. Son cose da piangere, per quello che mi ha detto Monsignor Rossetti venuto da Roma. Il Papa sta afflittissimo, sta sempre chiuso, non dà udienza quasi a niuno, e non isbriga negozj;" e scrivendo a 23. di Luglio al P. de Paola, dice; "Il Papa sta afflittissimo per le traversie, che passa colle Corone, e specialmente con Venezia. Sta ancora col timore della morte, profetizzata dalla Monaca carcerata in Castel S. Angelo, che doveva morire a 16. di Luglio. Ora son passati li sedici, e non è morto; e così speriamo, che Iddio ce lo mantenga per l'anno Santo, e per appresso. Io non so altro che dire: povero Papa,


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povero Papa, afflitto da tutte le parti. Prego sempre per lui, che il Signore l'ajuti".

Soggiunse di nuovo in fine della lettera: "Il Papa sta sempre chiuso, e non vuol sentire niuno. Bisogna per tanto, così conchiude, pregare con modo speciale per il Papa, e per la Chiesa". Similmente a 25. di Agosto: "Sento da più parti, che il Papa sta afflitto, sta chiuso, e non negozia. Preghiamo Iddio, che tolga il Papa da questa gran malinconia". Così a 5 di Settembre al medesimo "Il Papa sta afflitto e non negozia".

 

Un giorno, e fu la mattina de' 21. di Settembre 1774. Alfonso, terminata la Messa, si vide fuori del solito, su la sua sedia di appoggio, abbattuto, e taciturno. Non si smuoveva, non parlava, né chiese cosa a veruno. Così stiede tutta la notte seguente senza aver preso cibo né di mattina, né di sera, e senza cercare chi lo spogliasse. Stavano sossopra i domestici, non sapendo cosa fosse. Avevasi a veduta, ma niuno ardiva entrarvi.

 La mattina susseguente de' 22. vedendosi tuttavia taciturno, non sapevasi a che pensare. Il vero si è che stava in una continua estasi. All'improvviso verso tardi, come se risvegliato si fosse, toccò il campanello per voler celebrare. Non vi accorse, come soleva il solo Fratello Francescantonio, ma tutti. Vedendoli Monsignore sbigottiti, maravigliandosi, Che cosa è, lor disse; e quelli: che ci vuol essere, sono due giorni, che non parlate, non mangiate, e non ci date verun segno. Dite bene voi, rispose Alfonso; ma non sapete, che sono stato ad assistere al Papa, che già è morto. Eravi presente Agata Viscardi, serva delle Monache del Redentore. Avendo questa portato tal notizia in S. Agata, fu presa per sogno, come per sogno si prese in Arienzo. Ma non tardò molto, e si seppe, che a 22. di Settembre Clemente XIV. ad ore 13. era passato all'altra vita, cioè in quel momento, che Alfonso si vide ne' sensi.

 

Ben sapendo l'Eminentissimo Castelli il gran credito, che presso tutti godeva Alfonso per lo spirito di Dio, che l'animava, e di qual peso fosse specialmente presso i Cardinali la sua autorità, volle, essendo per chiudersi nel Conclave, che in una lettera, come richiesto da persona zelante, ed amica, un dettaglio facesse degli abusi che vi erano, e che tolti si volevano nell'Ecclesiastica Gerarchia.
Volle così il Cardinale, per far presente questa lettera nel Conclave, affinché un Papa si fosse eletto, che fosse per darvi del riparo. Restò raccapricciato Alfonso per questo comando. Tuttavolta, perché imposto da un Eminentissimo, che Egli tanto stimava, a 23. di Ottobre 1774. raccomandandosi a Dio, spiegò così i suoi sentimenti.

"Amico mio, e Signore: Circa il sentimento, che desiderate da me intorno gli affari presenti della Chiesa, e circa l'elezione del Papa,


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che sentimento voglio darvi io miserabile. Dico solo, che vi bisognano orazioni, e grandi orazioni; mentre per sollevare la Chiesa dallo stato di rilasciamento, e confusione, e in cui universalmente si ritrovano tutti i ceti, non può darvi rimedio tutta la scienza, e tutta la prudenza umana, ma vi bisogna il braccio Onnipotente di Dio.
Tra Vescovi pochi sono quelli, che hanno vero zelo della salute delle Anime; le Comunità Religiose quasi tutte, e senza quasi, sono rilasciate, e nella presente confusione l'osservanza è mancata, e l'ubbidienza è perduta; nel Clero Secolare vi è di peggio. Sicché vi è necessità precisa di una riforma generale per tutti gli Ecclesiastici, per indi darsi riparo alla grande corruzione de' costumi, che vi è ne' Secolari. Perciò bisogna pregar Gesù - Cristo, che ci dia un Capo nella chiesa, il quale, più che di dottrina, e di prudenza umana, sia dotato di spirito, e di zelo per l'onore di Dio, e che distaccato sia totalmente da ogni partito, e rispetto umano. Se mai, per nostra disgrazia, succede un Papa, che non ha solamente la gloria di Dio avanti gli occhi, il Signore poco l'assisterà, e le cose anderanno di male in peggio".

   "Le Orazioni possono dar rimedio a tanto male. Io non solo ho imposto a tutte le Case della mia minima Congregazione, che preghino Dio, con attenzione maggiore dell'ordinaria, per l'elezione del nuovo Pontefice; ma nella mia Diocesi ho ordinato a tutti i Sacerdoti Secolari, e Regolari, che nella Messa facciano la Colletta pro eligendo Summo Pontifice. Questo è il sentimento che posso darvi io miserabile; e per quest'elezione non lascio pregare più volte il giorno. Ma che possono le mie fredde preghiere. Con tutto ciò confido nei meriti di Gesù Cristo, e di Maria Santissima, che, prima che mi arrivi la morte, quale mi è molto vicina per l'età cadente, e per l'infermità, in cui mi trovo, il Signore abbia a consolarmi, con farmi vedere sollevata la Chiesa".

 

Prosiegue poi, e dice. "Anch'io desidererei, come V. S. Illustrissima, veder riformati tanti sconcerti presenti, e su questa materia mi girano mille pensieri, che bramerei farli noti a tutti, ma rimirando la mia meschinità, non ho animo farli comparire, per non dar a vedere, che voglio riformare il mondo. Bramerei, che il Papa venturo (giacché ora mancano molti Cardinali) scegliesse fra quelli, che li verranno proposti, i più dotti, e zelanti; e che insinuasse preventivamente ai Principi, dando parte della sua esaltazione, che domandando il Cardinalato per qualche loro favorito, non li proponessero, se non Soggetti di provata pietà, e dottrina".

"Bramerei che usasse fortezza nel negare i Beneficj a coloro, che bastantemente stanno già provveduti, secondo quello conviene al loro


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stato. Di più, che s'impedisse il lusso in tutt'i Prelati, e si determinasse il numero della gente di servizio: tanti Camerieri, e non più; tanti Servidori, e non più; tanti cavalli, e non più, per non dare a parlare agli eretici; e che si usasse maggior diligenza in conferire i Beneficj solamente a coloro, che han servito la Chiesa, non già a persone, che non lo meritano".

"Che si usasse tutta la diligenza nell'eleggere i Vescovi, con prendersi da più parti gl'informi della loro buona vita, e necessaria dottrina, per governar le Diocesi. Da questi principalmente dipende il culto divino, e la salute delle Anime. Che si esigesse da' Metropolitani secretamente, e da altri la notizia di quei Vescovi, che poco attendono al bene delle proprie pecorelle.

Bramerei ancora di farsi intendere, che i Vescovi trascurati, e che difettano o nella residenza, o nel lusso della gente, o nelle soverchie spese di arredi, conviti, e simili, che saranno puniti colla sospensione, o con mandarvi Vicarj Apostolici; e darne l'esempio da quando in quando secondo bisogna. Ogni esempio di questo farebbe stare attenti tutti gli altri Prelati trascurati".

"Bramerei, che il Papa futuro fosse riserbato nel concedere certe grazie, che guastano la buona disciplina, come concedere alla Monache l'uscir di Clausura, per curiosità di vedere le cose del secolo. Così di non concedere facilmente ai Religiosi la licenza di secolarizzarsi, per mille inconvenienti, che ne vengono. Soprattutto, che il Papa riducesse universalmente tutti i Religiosi all'osservanza del primo Istituto, almeno nelle cose più principali".

"Non voglio più tediarla. Altro noi non possiamo fare, che pregare il Signore, che ci dia un Pastore pieno del suo spirito; e con ciò le fo umilissima riverenza, e con tutto l'ossequio mi protesto".

 

Se interessato vedevasi Alfonso per il bene della Chiesa, l'inferno non dormiva a suo danno. Attaccate eransi finora dai nostri contraddittori le sole membra, non già il capo. Perché venerabile il nome di Alfonso, anziché attaccarlo, ne canzavano l'incontro. Nuocere non potendo le membra, perché rispettabile il capo, risolvono assalire il capo, per nuocerlo nelle membra. Non sapendo come incolparlo, ne inficiano la dottrina.

Spacciano intanto da per tutto come lassa, e divulgano, per erronea la sua Teologia Morale; e questa, (ed è quello che più facevali gioco), anche infetta di Gesuitismo. Denigrato Alfonso con quella macchia, specialmente presso di Ministero, e nelle Reali Segreterie, anche nella dottrina si attaccano i suoi, come nocivi alla Chiesa, ed allo Stato. Divulgata in Napoli sì nera diceria, tanti e tanti, senza saper neppure se tal Teologia vi fosse al mondo, vedevansi condannarla, come erronea e lassa. Iddio però che mortifica, e vivifica, nell'atto che i contrarj aspettavansi


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vederla condannata dal Re, approvata si vide con gloria di Alfonso.

Essendo capitate in Dogana alcune copie da Venezia di questa Teologia, il Cavalier Vargas, Delegato in quel tempo della Real Giurisdizione, volle, perché prevenuto in contrario, che crivellata si fosse a tutto rigore dal P. Maestro Majone, uomo dottissimo tra Minori Conventuali. Riferendoli questo, esser la dottrina tutta sana, e che proposizione non eravi, che meritasse censura, Vedete, disse il Vargas, ove era giunta l'iniquità! quante cose si son dette! Godo, e ne godo assai, perché rincrescevami amareggiare quel santo Vecchio.

Così operava l'inferno, e così Iddio opponevasi a suoi disegni.




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