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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.56 Replicati espedienti presi da Alfonso contro i Preti dissoluti, e sue amorevolezze cogli emendati.
Abbiamo Alfonso al termine del suo Pontificato. Prima però che si licenzj dalla sua Chiesa, stimo non omettere altre particolarità di quel zelo, che nel governo reselo singolare, anzi ammirabile. Essendo il Clero la sua cara porzione, altro in quello non ebbe in mira, che la santità dello stato, e quell'esemplarità, che il pubblico esige. Qualunque cosa in contrario eragli pena. Chiamava, insisteva, e non lasciava mezzo per veder corretto qualunque traviato. "Suo sistema fu questo, così il P. Maestro Caputo: La prima correzione facevala Monsignore con tutta dolcezza, e con termini i più umili. Non vedendoci emenda, replicava la seconda tra 'l dolce, e l'amaro. Se poi la persona vedevasi incorrigibile, si può dire, che prima d'intimare il castigo, facevalo sperimentare. In questi casi, così soggiunse, non vi erano interposizioni. Anche il Re, ed il Papa, se interposti vi si fossero, avuta avrebbero la ripulsa".
Due vizj estremamente odiava, tra tutte le sregolatezze nel suo Clero, ubbriachezza, e disonestà. "Avevalo a sommo scandalo, così l'Arcidiacono Rainone, vedersi tra questi Casali, e molto più in Città, un Ecclesiastico in qualche cellajo, o taverna giuocar al vino, ed ubbriacarsi. Questi, in senso suo, erano delitti, che non meritavano pietà. "L'ubbriaco non è uomo, ma bruto, diceva Alfonso; anzi sperar si può dal bruto quello non si ottiene dall'ubbriaco. Aveva per massima esser l'ubbriachezza l'unica sorgente dei vizj i più infami. Come sentiva un prete nella taverna, uno o più curiosi erano pronti a complimentarlo. Non contento del carcere, mandar soleva per mesi interi questi tali o nelle nostre Case, o in Napoli in quella de' PP. della Missione. Se collo star lontano dalla taverna, e colla santa meditazione, diceva, non si concepisce il gran male, che sa fare il vino, e quanto disconvenga ad un Ecclesiastico, il caso è disperato. Essendo entrato da lui un giorno uno di questi Preti, dimandogli, chi fosse, (fu questo nel principio del governo). Avendo risposto, essere il Preposito dell'Annunciata, Alfonso, che avevalo in nota, voi non siete Preposto, ripigliò tutto fuoco, ma sproposito; ed entrando a rinvancarli i perniciosi effetti del vino, amorevolmente, ma con fortezza lo corresse. Ma non vi fece capitale, perchè vecchio, ed abituato.
Sollecito nel veder sbandito questo vizio tra i suoi Preti, non inculcava solo vigilanza, e cattura sul fatto, ritrovandosi nelle bettole, ai Vicarj Foranei, ma tenevene incombenzati nei Casali i respettivi Governatori. Tenendolo avvisato di questi tali inconvenienti, non rari nella Terra di Real Valle, D. Tommaso Brigante, Gentiluomo di Francavilla, ed ivi Governatore, e Giudice, "Ho letto con sommo piacere, li rescrisse, la sua stimatissima, la ringrazio, e la prego, quando di notte si trovino i Preti, o altri Ecclesiastici nelle taverne, farli prendere, e trasportare a me. Questa è la via per vederli emendati". In un'altra al medesimo. "Quando i Soldati avranno preso qualche Ecclesiastico, V. S. Illustrissima faccia portarlo a S. Agata al mio Vicario il Signor Arcidiacono, che da me sarà fatto inteso, che lo castighi, mentre a S. Agata sono le carceri". Il medesimo Signor Brigante, così mi scrisse da Francavilla. Avendo saputo, che un Sacerdote di Real Valle frequentava le bettole, mi diede le più forti premure per ridurlo al dovere, e qualora le ammonizioni non fossero giovate, avessi passato a cercarlo con rimetterlo al suo Vicario.
Vedevasi notte, e giorno un Sacerdote di Frasso perduto nelle botteghe, giuocare al vino colla più vile plebaglia, ubbriacarsi, venire anche alle mani con simili persone, e non aver ribrezzo presentarsi all'Altare, e celebrarvi ogni mattina. Pianse Monsignore sentendone lo stato. Che non fece per vederlo emendato! Avendo perduto anche il rispetto al Governatore, nell'atto dell'ubbriachezza, lo ristrinse nelle carceri; e non contento di questo, per più mesi lo sospese dalla Messa, e lo rinchiuse in Casa Religiosa.
Non minore era l'abbominio per l'impurità. Era suo detto, che non vi cape divario tra un porco involto nel loto, ed un uomo infancato in queste lordure. "Qualunque delitto, mi disse l'Arcidiacono Rainone, anche un omicidio era compassionato da Monsignore. Chi sa, diceva, come si è trovato; poveretto, bisogna compatirlo. Ma pervenendoli all'orecchio cosa lubrica, specialmente nei Preti, o Religiosi, perdeva la pace, e si accendeva; né vi era scusa, o compassione per chicchesia".
Egli bensì distinguer soleva l'attacco dalla caduta. Compativa chi per debolezza erasi veduto in qualche inciampo; ma non soffriva chi per volontà vedevasi attaccato, ed ostinato nel vizio. Coi primi, avendo alla mano de' salutari rimedj, non usava un gran rigore. Il mezzo de' mezzi, per far rientrare in se taluno di questi, erano li santi Esercizj. Ove poi vedeva radicato il vizio, non riposava, e veniva ai mezzi i più forti, per darvi del riparo. "Se un Sacerdote sta in disgrazia di Dio, disse un giorno, ma tutto agitato a D. Nicola Ranucci, Missionario Napoletano, ne ho io da dar conto a Dio. Cercando quello sollevarlo, Monsignore enfaticamente ripigliò: io, D. Nicola mio, io, e non altri ne ho da dar conto a Dio.
Non sapendo più che fare con uno di questi, avendolo fatto chiamare, mi disse D. Agnello Sgambato, Economo nella Parrocchia di S. Agnese, fe trovarli disteso a terra, all'entrare della stanza, il suo gran Crocifisso. Inorridendo il miserabile a tale spettacolo, davasi indietro; No, disse Monsignore, entrate, e calpestatelo; è forse questa la prima volta, che posto ve l'avete sotto i piedi. Rilevandoli, animato da zelo la gravezza di un tal peccato, si vide il Prete così confuso, e compunto, che proruppe in pianto: promise emenda delle sue dissolutezze; e di fatti, come mi contestò il medesimo Sgambato, fu fedele a Dio, ed a Monsignore.
Usando avendo con taluno di questi i mezzi di carità, e di dolcezza, non vedendoci emenda, i rimedj ordinarj non erano che l'esilio, e la sospensione: l'esilio per troncare l'attacco, e la sospensione, come indegni dell'Altare. Un Sacerdote vivendo con scandalo nel casale di Luzzano, oltre averlo tenuto nelle carceri, e ristretto ne' santi Esercizj, vedendolo incorrigibile, diedeli l'esilio per anni sei. Con un altro, non avendo profittato né col carcere, né con altri mezzi, lo esiliò per anni dieci, e non morì, che fuori Diocesi. Avendo carcerato un Sacerdote recidivo nelle sue laidezze, questi avendo scassate le carceri, fuggendo portò seco un grosso catenaccio, che custodivane la porta. Monsignore in sentirlo non ebbe pena, perché erasi liberato da un travaglio; ma mi dà pena, disse, che debbo rifare il catenaccio. Volontario fu l'esilio; ma non vide più la Diocesi, vivendo Alfonso nel Vescovado.
Non eravi in questo vizio eccezione di persona. Avendo inteso, con sua grave amarezza, che anche un Parroco vedevasi intinto in quei Casali, entrò subito nella risoluzione di toglierlo da Parroco, e dare in questo un memorabile esempio. Quis custodit custodem, diceva tutto agitato. Fatto l'avrebbe, e non speravasi si desse indietro. Persone cordate vi si frapposero, sul riflesso di non accrescersi lo scandalo con un pubblico castigo. Fu per un pezzo inesorabile; ma furono tali i segni di emenda, e di umiliazione, e tale lo spavento, che ne concepì il Parroco, che Alfonso, benché a stento, li accordò la grazia. Fu costante nel suo ravvedimento, e fu un tuono, che spaventò più d'uno. Per questi Preti in
questo genere scandalosi specialmente raccomandavasi Alfonso ai respettivi
Governatori, massime se persone cordate, e timorate di Dio. "Per castigare, ed aver nelle mani questi tali, contesta ancora il Vicario Rubino, non badavasi ad interesse. Teneva a quest'effetto anche più cursori, e servivasi de' birri, che anche teneva ben pagati. Mi disse il Fratello Francescantonio, che, per ordinario, ogni carcerazione di Preti in quei Casali costavali i cinque, ed i sei ducati. Con questo suo zelo pose Alfonso il terrore tra Preti; ed il peccato, o per amore alla virtù, o perché spaventati dal castigo, veniva detestato, o se commettevasi, non era che tra le tenebre.
Essendosi stato riferito, ritrovandosi colla Missione in Arienzo, che un Prete della Cerra frequentava la casa di una certa bagascia, sollecito, di notte lo fece cercare dai birri, e legato, ed accompagnato da suoi cursori lo rimise al proprio Vescovo. Esiliato, che aveva taluno, per siffatto motivo, speranza non vi era di aggraziamento. Avendo proibito ad un Sacerdote il conversare in certo Casale, una dura necessità lo strinse a farlo ritornare. Non avendoli accordato, che giorni dieci pel suo disimpegno, vedendo oltrepassato il termine, e che bazzicava in casa sospetta, scrisse subito al Vicario foraneo a' 23. Febbraio 1775. "Fate sentire a cotesto Sacerdote, o che parta subito, o che in risposta manderò per carcerarlo; e riscontratemi, se ubbidisce o no". Abusavasi, e facevasi forte lo sciagurato con un Indulto, che il Re aveva dato fuori. "L'Indulto, scrisse Monsignore, va per li debitori, che hanno da pagare; ma per lui io godo il Dispaccio del Re, uscito prima dell'Indulto".
Era sentimento comune, che ove posto avesse gli occhi sopra taluno di questi disgraziati, non lasciavalo in pace, se certo non era di essersi emendato. Talvolta anche vi si vide una certa specie di abbandono, ma luttuosa per essi. Avendo ritrovato in Frasso, nella prima Visita, un Sacerdote scostumato, paternamente lo ammonì; recidivo lo tenne nelle carceri di S. Agata; castigato, e non emendato, e non potendovi esser di sopra, Lasciatelo, disse al Vicario Foraneo, che lo coglierà Iddio. Qualche tempo non passò, che morì il miserabile ripentinamente, ed in età molto verde.
Anche nel maggior rigore di giustizia non mancava in Monsignore lo spirito di carità. Se dava luogo allo zelo, non perdeva di veduta la compassione, anche per maggiormente guadagnarli. Essendo stato un Prete multato dalla Curia in docati quattro; ed esponendoli questi il mandato sofferto in S. Agata, e l'interesse, stando fuori di casa, dimandò in grazia il rilascio de' docati quattro. Monsignore li rimise carlini venti, ed il di più, disse servono per li poveri. Partito il Prete, disapprovando il rilascio il P. Buonopane, che eravi presente, dissegli che meglio sarebbe stato multarlo tutto e darlo a' poveri. Debbonsi castigare i colpevoli, rispose Monsignore, ma lasciarli colla bocca dolce, per così meglio averne l'emendazione.
Cresceva in lui la commiserazione, se col peccato univasi povertà, e miseria. In questi tali non cercava multa, ma emenda; anzi vi rifondeva del suo. Un Prete, che nel Casale di Cervino scandalizzava quella popolazione, dopo averlo tenuto per giorni quattordeci col mandato in Palazzo, mandollo per altri dieci a suo interesse nella nostra Casa di S. Angelo. Un altro Sacerdote, ma povero nel Casale di Forchia, anche lo trattenne per lungo tempo, e con suo dispendio nella Casa de' Ciorani. Così tanti, e tanti, che tralascio.
Abbiamo cosa in Monsignore, che farà meraviglia. In certe Curie, esiliandosi questi Preti discoli, non è, che perché poveri, si rilasciano i dritti, ma se li lascia la Messa, come se la Messa fosse cosa indifferente, ed indegni non fossero di salir sull'Altare. Monsignore essendo poveri, se coll'esilio univaci la sospensione, mancando loro lo stipendio della Messa, soccorrevali del suo con un tanto il giorno. Credendoli poi, elasso qualche tempo, giustificati colla confessione, mandava loro la dimissoria. Sapendo, ed ammirando in Alfonso un tanto zelo, e carità insieme D. Giuseppe Sparano, Canonico del Duomo di Napoli, "Quest'atto, disse, è singolare, e forse non vi è altro esempio nei Vescovi moderni". Avendo esiliato, e sospeso, tra gli altri due di questi, mi disse il Canonico Verzella, per darli da vivere, perchè poveri, lor si davano grana quindeci il giorno.
Lagnandosi un Prete, che dopo il carcere vedevasi esiliato, Figlio mio, disseli Monsignore, che lo fo per astio! Voi stesso mi obbligate: emendatevi, e prendetevi il sangue, che anche sta per Voi. Tante volte dimentico di esser giudice, facevala da Avvocato. Essendosi tenuto per tempo notabile qualche Prete carcerato; e non volendolo il Vicario di vantaggio, compassionandolo Monsignore, sentivasi dire: Via, mò, scarceramolo; poveretto, ha patito assai! Quanto vedevasi inesorabile coi pertinaci nel vizio, altrettanto era pietoso, e tutto cuore coi ravveduti. "Ammirabile, così l'Arcidiacono Rainone, fu la carità, colla quale trattava quei stessi, nei quali perseguitato aveva il peccato, se pentiti vedevali, ed emendati". Non altrimenti mi si contesta dal P. Maestro Caputo. Abbracciavasi questi tali con tenerezza di Padre, e con maggior carità non menzionava più i loro trascorsi, e quelle tante amarezze, che ricevute ne aveva. Di varj delitti essendo stato caricato da persona rivale presso il Re, e presso la Curia, un Sacerdote di Mojano, specialmente per l'attacco con una donna; vedendosi a mal partito, entrato in se, si umilia con Monsignore, confessa, e promette emenda. Fu così appagato di sua confessione, che non solo fece più procedere la Curia, ma prese a petto suo anche scagionarlo presso del Re. Non contento di questo, volendo il fuoco totalmente smorzato, chiamatosi il contradittore, (uomo fatto apposta per superare impegni), tanto si adoprò, che volle vederli riappacificati. Fu costante il Prete nell'emenda, e costante Monsignore in guardarlo di buon'occhio.
Tra i tanti, che ci sarebbero di questi fatti, non voglio ometterne uno, che è troppo singolare. Pervertito un
Gentiluomo Sacerdote da una Gentildonna, fu tale la strettezza, che lo scandalo
era già trapelato nel vicinato. Monsignore avendone avuta notizia, ed avendo
chiamato il Prete la seconda, e la terza volta, con disprezzo non ci diede
retta. Vedendo così, ordinò le diligenze al suo Vicario, e disse al Segretario,
che venendo il tale, non si facesse entrare da lui, e che rimesso si fosse al
Vicario. Era Monsignore già
stroppio, e faceva sul letto la meditazione. Sentendo del romore, chiama il
Segretario, raccomandando, non sapendo cosa fosse, un poco di silenzio, e col
Segretario entrò anche il Prete. Monsignore in vederlo, disse, che avesse fatto
capo dal Vicario; ma quello, buttandosi ginocchioni avanti al letto, non
conosco disse il Vicario Rubini, ma conosco Monsignor Liguori per mio Padre. verità, la penitenza datevela voi medesimo". Questa tanta umanità finì di confondere il Prete, e inghiozzando rispose: mi eleggo S. Angelo a Cupolo per mia stanza, e quando Iddio mi farà conoscere avermi perdonato, allora ne partirò. Vedendolo Monsignore compunto, si fe portare il processo, e lacerandolo in pezzi, disse: "Figlio mio, siccome io lacero questo processo, così spero voglia Iddio lacerarlo in Cielo". Ritrovandosi presente il M. Caputo, il Parroco D. Francesco Ferrara, e 'l Sacerdote D. Clemente Crisci, tutti e tre non finivano ammirare una carità così eccessiva. Si portò il Prete in S. Angelo: vi stiede un mese; e con consolazione di Alfonso, fu ancora di somma edificazione nel suo Paese.
Due vizj, dissi, che aveva in orrore Monsignore, cioè, Impurità, ed Ubbriachezza, ma non è, che tollerato avesse altre sregolatezze. Non eravi mancanza ne' Preti, benché picciola, che oggetto non fosse del suo zelo. Indecenza negli abiti, e nella chioma; scompostezza in Chiesa, strapazzo di Rubriche, amicizia, e tratto con persone sospette; giuochi non leciti; tutto era interdetto, e castigato. Un Prete essendo uscito in piazza, per far compra del bisognevole, anche cogli stessi abiti, che usava in casa, fu stimato a delitto.
In Airola, e propriamente nell'Ottobre del 1768. che Monsignore stava così gravemente infermo, avendosi fatto lecito un Sacerdote recitar in Teatro, ed avendoli ordinato Monsignor portarsi dal suo Vicario in S. Agata, odorando il mistero, non solo non curollo, ma vi recitò altra volta. Facevasi forte colla protezione del Principe, rappresentandosi la commedia nel di lui Palazzo. Sollecito Monsignore, ancorchè in tale stato, ne informò il Principe; "Non merita, disse, toleranza, ma è degno di buona mortificazione per lo scandalo dato; vedendosi la sera in scena, e la mattina sull'altare; ma essendosi fatta la comedia nel Palazzo di V. E., per la venerazione, che le porto, prima di procedere al castigo, ho voluto darlene parte, certo che la pietà sua non voglia permettere, che resti impunito un tal'eccesso". A grazia lo sospese per giorni quindeci dalla Messa, e tennelo col mandato nella Città di S. Agata. Non conviene, diceva, che chi ha fatto da istrione in commedia, si vegga celebrante sull'altare.
Persuaso Monsignore de' soliti intercetti, che far si sogliono ne' luoghi esteri, non solo invigilava in Diocesi per i suoi Preti, ma invigilava per questi anche fuori Diocesi, ne' Casali, e Terre vicine, se trattando davan in qualche leggerezza, e tenevane incombenzati quei Parrochi, ed altri zelanti Sacerdoti. Sopratutto, se vedevansi nelle bettole; se frequentavasi casa di mal'odore, o che divertiti si fossero in giuochi non dovuti. Nella Terra di Paolisi avvalevasi dell'Arciprete Gallo, e così altri Parrochi, o Sacerdoti in Maddaloni, in Caserta, nella Cerra, in Cerreto, ed altrove. Vedendosi corretti i Preti, e non sapendo, come informato ne fosse: O un Angelo, dicevano, o qualche diavolo, che ci tradisce, li sta all'orecchio.
"Con questo suo zelo, che fu instancabile, così il Canonico Rubino, e col divino ajuto, tolse Monsignore tra tutti i Preti della Diocesi, molti scandali, che vi erano; e tratto tratto ridusse il ceto Ecclesiastico ad una riforma convenevole". Un Gentiluomo in Maddaloni avendo inteso Monsignore gravemente infermo, e certo della morte: "S. Agata, disse, ha molto che perdere, se muore Monsignor Liguori. Quei Preti, che sembravano tanti sbanditi, chi non vede a quale regolarità col suo zelo li abbia ridotti".
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