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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap. 57 Condotta di Alfonso coi Religiosi discoli, e sua fortezza coi medesimi.
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Cap. 57

Condotta di Alfonso coi Religiosi discoli, e sua fortezza coi medesimi.

 


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Ebbe Monsignor Liguori un sommo rispetto per gli Ordini Regolari, e godeva dell'ajuto che da tanti Religiosi esemplari, e dotti prestavaseli nel suo disimpegno; ma soffrir non poteva, se tralignar vedeva taluno dal proprio Instituto, ed esser ad altri anche d'inciampo. "I Religiosi, ei diceva, essendo di edificazione sono il sollievo de' Vescovi, e de' Parrochi. Se sono imperfetti, e discoli, sono di peso a' Vescovi, e di tracollo alle Popolazioni".

Zoppicando taluno mezzo non lasciava per vederlo ravveduto. "Se questi non si addirizzano, diceva, il lor zoppicare si comunica ad altri". Era anche suo detto, che accader suole nelle Comunità, come tra le frutta, che il fracido con contatto anche danneggia le buone, e per non veder queste marcite, bisogna buttar via le fracide a

 

Entrando in Diocesi troppo male, come dissi, la passarono i discoli. Non vi fu Casa Religiosa, ove o colle buone, o colle brutte non avesse fatto l'espurgo. Qualunque però fossero state le sue sollecitudini, il terreno non per questo esente si vide da tali erbacce così nocive.

Non fermavasi egli ai primi rapporti. Informavasi de' loro portamenti, non solo dai Parrochi, e da' Preti costumati, ma avendo a cuore il decoro


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dell'abito, faceva anche capo ai medesimi Religiosi più esemplari. Quest'opera fu spinosissima per Alfonso, ed il suo zelo volevavi per venirne a capo.

Oscurava il decoro di una illustre Religione, giunto egli in S. Agata, un rispettabile Sacerdote, ma discolo, e sfacciato. Informato Alfonso, sollecito lo chiama, e fraternamente l'ammonisce. Non vedendoci emenda, l'esorta, che da se si situasse fuori Diocesi. Venendo protetto il Religioso dal Superior Generale, non mancò questo impegnarsi, per veder quietato Monsignore. Anche s'interposero personaggi di sommo riguardo. Costante Alfonso non si spostò, e dovette il Religioso esser fuori del Monistero, e della Diocesi.

Ritrovandosi in Napoli Monsignore nel 1767 impegnato venne per il di lui ritorno, ed il Duca di Maddaloni impegnato anch'esso, di persona portossi a pregarlo. Dato che sia vero, disse il Duca, quanto si vociferò, di presente sono tanti anni che più non tratta, ed è avanzato in età. La risposta fu questa: "Per fintanto che io sarò Vescovo, esso non vedrà mai la mia Diocesi" nè di fatti la vide per tutti i dodici anni che vi fu Vescovo.

 

Avendo odorato uno attacco in persona di un Cellerario con una donna, chiamatosi l'Abbate, fe sentirli, che il Monaco non stava bene in Diocesi. Prese questi le parti del Cellerario, e sostenendo non esser colpevole (ma era tale) protestavasi non poterlo rimuovere. Questa resistenza dispiacque a Monsignore; e postosi in contegno "Se non lo fate voi, gli disse, ma in tuono altitonante, lo farò io". Tal petto dimostrò, che l'Abbate, vedendolo risoluto, dovette cedere, e senza perdita di tempo sloggiato si vide il Religioso.

 

Pervenutogli all'orecchio, che un Religioso teneva scandalosa pratica con una donna, volendosi far carico di ragioni, volle che il suo Vicario segretamente da persone probe se ne informasse. Comprovato il tutto ne diede parte al Provinciale. Questi se non difese il suddito, né anche lo destinò altrove, anzi non diede risposta a Monsignore. Non se ne offende Alfonso; e replicando altra lettera, fe sentirgli, che se non vedeva dato il conveniente riparo, egli era per dare de' passi, che graditi non li sarebbono. Questo tuono smosse il Provinciale; ed in risposta fu destinato il Frate in altro Convento fuori Diocesi.

 

Praticando un Religioso in una casa di riguardo; ed essendovi dell'ammirazione nel Paese, insistette Alfonso col di lui Superiore, che tolto si fosse da quel Convento. Cantò al sordo; e non convenendoli altri passi per giusti riflessi, se altro non poté per allora, tolse in pena al Superiore la facoltà di confessare. Come volete zelare nella mandra altrui, gli disse, avendolo chiamato, se nella propria vedete i Lupi, e tacete. Ma non per questo si addormì Monsignore. Trovò egli modo di vedersi il Religioso sbalzato dalla Diocesi.


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Querelandosi con un Provinciale della scandalosa condotta di un tal altro. Questi, anziché compiacere Alfonso, entra in difesa del Suddito, e taccia per discolo il Superiore del luogo. "Essendo così, mi meraviglio, gli rescrisse ironicamente Monsignore, che sapendolo tale l'avete fatto capo del Monistero". Il vero si è che egli il Superiore ricorso era da Monsignore rappresentandoli lo scandalo. Alfonso conservando il secreto, pace non si dié, se il Suddito non fu fuori Diocesi.

 

Un altro Religioso tenevalo in amarezza, così per la propria scostumatezza, che per lo scandalo degl'altri. Corretto, e non emendato ne diè parte al Provinciale. Fu questi così ossequioso a Monsignore, che non solo lo tolse di Diocesi, ma volendo troncare ogni commercio colla donna, destinollo in un altro Convento, niente meno che tre giorni in distanza.

 

Troppo inquieto vedevasi per un altro Regolare. Lo scandalo era pubblico, e non vedevasi principio di emenda. "Questo benedetto Convento, così scrisse al Provinciale, sin dal mio primo arrivo in questa Diocesi, mi ha inquietato anima e corpo. Io non ho accettato il Vescovado per dannarmi, e per veder gli altri perduti. Se V. P. non ci dà riparo, io, con vostro disgusto ricorrerò al Re, e dal Re mi sarà fatta quella giustizia, che da voi mi si nega". Restò sbalordito per quel biglietto il Provinciale; e più di questo non vi volle per vedersi il Religioso sotto altro Cielo.

 

Queste, e simili erano le intraprese di Monsignore, per veder epurgati i Monasteri, e la Diocesi da quei Religiosi, che colla lor condotta danneggiavano se stessi, e gl'altri. Ma non sono questi gl'effetti tutti del suo zelo. Incontrò alle volte intoppi tali, e tale resistenza nei Provinciali, che obbligato vedevasi a passi forti. Non volendo urtare, con discapito della Religione, faceva capo in Roma ai respettivi Generali. Troppo premevali per le Comunità religiose quel decoro, che si conviene, e molto più la scambievole armonia. Così otteneva da' Generali, senza far chiasso, quello, che in Regno se gli negava dai Provinciali.

 

Scandaloso commercio aveva un Religioso con una maritata. Non potendo ottenere dal Provinciale, che sloggiasse di Monistero, fe capo al P. Generale. Questi non solo lo tolse subito di quel luogo, ma ordinò, che situato si fosse nell'ultimo Convento della Provincia. Protetto il Religioso da un altro Religioso di autorità, situato si vide in Napoli, ed ivi la donna andava a complimentarlo.
Vedendo Alfonso favorito il peccato, mandò persona a dolersene col protettore, minacciando di dar passo in Napoli a' Superiori supremi. "Monsignor Liguori, disse colui, montando in bestia, ne vuole di soverchio. Questi non è più suo suddito". Così egli pensava, ma non pensavala così Alfonso. "Se il Religioso


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non è mio suddito, li fe sentire, la donna è pecorella a me affidata". Rescrisse con tal tuono, che levato si vide da Napoli il Religioso, e tolta l'occasione, che nasceva dalla vicinanza del Paese.

 

Scandalizzava un Superiore con tutta la Comunità un intero Paese. Vedendo inutile ogni rimedio col Provinciale, ne diede parte al Generale. Furono così efficaci i suoi motivi, che con poco suo gusto il Superiore deposto venne dall'ufficio, e situato di stanza in un Convento lontanissimo, cambiata la famiglia, e tolto lo scandalo dal Paese.

 

Anche talvolta contro suo genio venir dovette a passi presso del Re, ritrovando non curanza nei medesimi Generali. Scandalosamente viveva un Religioso. Monsignore avendone data parte prima al Provinciale, e poi al Generale, e non avendo ottenuta provvidenza né dall'uno, né dall'altro, fe presente al Re, per mezzo di D. Pasquale dell'Acqua Governatore in quel luogo, il male, che vi era. Con dispaccio il Religioso fu mandato fuori Provincia, e colla medesima real carta anche alla donna fu dato lo sfratto da quel luogo.

 

Toppo noto era lo scandalo di un altro Religioso. Non avendo Alfonso udienza dal Provinciale, ricorse al suo Generale. Questi, quasi piangendo gli rescrisse. "Già sapete, che noi nel Regno non contiamo più, e che di noi non si fa conto dai medesimi Religiosi. Prego, essendoci un tale scandalo, volervela sentire in Napoli con chi si deve". Pianse anch'esso Monsignore, considerando le circostanze de' tempi. Avendo fatto capo dal Re, ottenne quanto voleva. Lo scandalo fu tolto, e sfrattato il Religioso.

 

Se così severo, ed implacabile era Alfonso coi discoli, non è che amorevole non fosse coi buoni. Consolavasi averli in Diocesi, ed avendo per questi una stima particolare, mezzo non lasciava per non vederli allontanati. Questi con suo compiacimento impiegava in varj disimpegni. Tanti li volle non solo Confessori, ma Esaminatori Sinodali. A questi affidava i monisteri delle Monache. Tanti nella Quaresima, ed in altri tempi, girar faceva per le prediche. Spesso volevali a consiglio, e ne magnificava il talento. I Cappuccini specialmente, dai quali non ebbe amarezza, erano come la porzione del proprio cuore; e tra questi i due Fratelli Cipriano, e Samuele da Napoli, che, come è noto avevali sommamente a cuore, e per ordinario servivasene in varj disimpegni.

 

Se in tutti aveva Alfonso in orrore il vizio dell'impurità, ne' Confessori n'esecrava l'ombra. L'uomo che è incostante in se stesso, non si sa di mattina, se è quello di sera. Tanti che stimò aggraziarli per la Confessione, conoscendoli moriggerati, anche di questi ebbe motivo di pentirsene con suo maggior dolore.
Un Benedettino, essendosi presentato per la Confessione, graziosamente restò approvato.


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Monsignore ne godeva perché esemplare, e faceva del bene. A capo di tempo, restando informato di qualche leggerezza, se ne dolse col proprio Abbate. La cosa era tale, che non meritava indulgenza; e l'Abbate per togliere se stesso, e Monsignore da qualunque impaccio, fe subito cambiar Cielo al Religioso.

 

Gradiva Alfonso la conversazione di un altro, sì perché esemplare, che per dichiararsi parente di Monsignor Mastrilli Arcivescovo di Taranto. Aggraziollo ancora per la Confessione.

In seguito essendo stato informato, che frequentava certa casa, che non conveniva, lo sospese dalla Confessione, e tanto si adoprò, che fe rimuoverlo da quel Convento. Tolta di mezzo la graticcia, ei diceva, altra libertà si prende, ed il male, se non è succeduto, succede di certo.

 

Non è che solo aveva di mira Alfonso l'impurità nei Regolari. Qualunque vizio, che offuscar poteva il decoro dell'abito eragli in orrore. Stimava a delitto vedersi un Religioso nei cellaj, o divertirsi a giuochi non leciti, maggiormente se in piazza. Anche di questi non è piccolo il numero, che processò, e bandì dalla sua Diocesi.

 

Ho accennato questi pochi. Se qui individuar volessi quali, e quanti Religiosi mutarono Cielo, persistendo Alfonso nel Vescovado, troppo lungo sarebbe il numero. I soli che sloggiarono dall'anno 1768. che egli urtò in quel suo gran travaglio, mi attestava il P. M. Caputo, che non furono meno di cinquantadue.

"Era così sollecito per l'esemplarità de' Regolari, così il Vicario Rubino, che non prendeva riposo, ove taluno di questi degenerar vedèvasi dal ben vivere. Per esso non vi era tolleranza, o umano rispetto. Qualunque fosse la condizione o del Religioso, o della Religione, dopo aver dato luogo alla prudenza, non aveva riguardo per veruno. I Capi d'Ordine avendo sperimentato il suo fare, tanti di questi, prima che egli si risentisse, da se amovevano taluno, che essergli non poteva di gradimento. Posso francamente dire, che in tempo di Monsignore i Monasteri nella Diocesi non erano che tanti giardinetti di tutta esemplarità, che se erbaccia vi spuntava, era subito diradicata".

 

Abbiamo cosa di più dello zelo di Alfonso. Anche i Romiti furono oggetto di sua special sollecitudine. Non ammetteva nelle Chiese se non persone costumatissime. Se portavansi con edificazione, proteggevali, e dava loro maniera anche da vivere;

ma mal per essi, se peccavano nel costume, e non frequentassero i Sagramenti.

Ben persuaso egli era, che questi esser dovevano gente disutile; ma voleva per lo meno, che edificato avessero con un composto esteriore. Tanti di questi mandò alla zappa, e tanti altri col braccio dei Governatori, sloggiar fece da' Paesi, e dalla Diocesi. Processò, tra gl'altri, due Romiti Calabresi. che convivevano con poco decoro in una Chiesa Parrocchiale de' Casali di S. Agata. Prima furono spogliati, ed indi esiliati.

 

 

Posizione Originale Nota - Libro III, cap. LVII, pag. 293

 




a Varj sono gl'Ordini, che condecorono la Diocesi di S. Agata. Vi sono i Padri Olivetani, e quei di Montevergine, Domenicani, Agostiniani, Conventuali, Riformati e Cappuccini; nè vi mancano i Religiosi di S. Giovanni di Dio. Per l'addietro solo in S. Agata vi erano, ed ora non vi sono, i Padri Verginiani, Basiliani, Benedettini Cassinesi, Carmelitani, e Cistercensi.

Perché cospicua S. Agata ogni uccello Religioso agognato aveva fissarvi il proprio nido. Oggi in S. Agata solo vi è un rispettabile convento dei Padri Conventuali, ed un Ospedale de' Frati Buonfratelli.






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