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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap.68 Ospidalità di Alfonso, e sua somma carità coi Forestieri.
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Cap.68

Ospidalità di Alfonso, e sua somma carità coi Forestieri.

 


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L'Ospitalità essendo un dovere, che S. Paolo ricerca nel Vescovo, anche in questo si singolarizzò Alfonso. In buon senso, dir potevasi l'Episcopio, Locanda pubblica, a comune beneficio.


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Capitando da lui Vicarj Foranei, Canonici, e Parrochi, erano tutti a tavola con esso; e capitando di sera eran persuasi, che dormir dovevano in Palazzo, e darsi della biada ai cavalli. I Chierici, nonché i Sacerdoti, portandosi da lui, o da esso chiamati, anche stavan certi, che la casa del Vescovo era il loro alloggio; e portando il bisogno, se sbrigati non erano, con tutta carità, trattenevali di notte.

Gli Ordinandi forestieri, che in S. Agata, o in Arienzo non avevano amici, o parenti, anche erano tenuti a mensa; e se da paesi lontani, che ritirar non poteansi il medesimo giorno, non facevali partire, che il dì susseguente. Così quelli della Diocesi, anche portandosi all'esame, restavano a tavola, non avendo altra corrispondenza. I Corrieri, che da' Parrochi, o da altri se li spedivano, e non era poco il traffico di questi, anche avevano il vitto, e di sera allogar facevali in Palazzo.

Tenendo il concorso delle Parrocchie, ammetter soleva a pranzo così gli Esaminatori, che i concorrenti. "Questo pranzo, disse al Sacerdote Tramontana, debbo farlo a forza, e toglierlo ai poveri, non convenendo mandar taluni di questi alla taverna".

Sempre che chiamava qualche soggetto, o da Napoli, o taluni de' nostri a dare gli Esercizj alle Monache in Arienzo, volevalo in Palazzo, senza interessare le Monache. Spesso spesso D. Pasquale Bartolini portavasi da Airola, per confessar taluna di quelle, o per far da Straordinario, e Monsignore anche voleva, che con esso trattenuto vi si fosse.

 

"Tanti e tanti forestieri Ecclesiastici, o Secolari, che, per regolarsi nella coscienza, spesso spesso vi si portavano, così il Canonico Verzella, non permetteva Monsignore, che facessero capo da altri, o che si portassero alla locanda. Ognuno era accolto con amore; nè mai, come soggiunge il medesimo Verzella, si vide attediato, o che dimostrato ne avesse un qualche dispiacimento".

Sul principio che fu in S. Agata, capitando una mattina sotto l'ora di pranzo l'Arciprete di Durazzano con due altri Preti, e non sapendo l'Arciprete il fare di Monsignore, fe pregarlo di volerlo allogare in Palazzo. Tutto va bene, disse Monsignore, e gli altri due debbono andare alla taverna? La casa del Vescovo è locanda per ognuno; specialmente per li Preti.

 

Frequentavalo spesso da Napoli, perché confidente, e dipendeva da suoi consigli, il Sacerdote D. Salvatore Tramontana. "Andandovi, portar soleva o frutti, o qualche poco di pasta fina. Monsignore vedendo, e volendoli togliere ogni ripugnanza, quando vieni qua, li disse, non ti pigliare soggezione: il Vescovo è tenuto all'Ospitalità"; ed altra volta li scrisse: "Se volete venire qui per quattro giorni, mi darete consolazione, ma senza pensare a volermi pagare quel poco di pane, che vi mangiate. Pensate, che ne alloggio tanti alla giornata".


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Povera era la mensa, e frugale; voglio dire, che non alteravasi l'ordinario, non essendoci persone di particolar rispetto. Essendovi taluni di questi, voleva, che a tavola si desse un piatto di più, anche ai familiari. Le bocche, dir soleva, sono tutte sorelle, e non è di bene, che uno mangi, e l'altro sia spettatore.

 

Essendo stato a visitarlo, e trattato con qualche lautezza D. Domenico Spota, Ciandro della Cattedrale di Girgenti, "Come si accorda, disse, il Ciandro, la vostra povertà, colla lautezza della vostra mensa". L'Ospitalità, rispose Alfonso, è figlia della Carità, e non della Povertà. Vi fu cosa di soperchio, non v'ha dubbio, ma fu opera non di Monsignore, che stava cionco a letto, ma del P. Majone, che dai nostri di Sicilia fu impegnato complimentarlo, come unico benefattore di quella nuova Casa.

Principesco che fosse il personaggio, facevano lautezza un pajo di cosette fuori del solito. Così vennero trattate la Duchessa di Bovino, quella della Salandra, ed altre Dame, e Cavalieri, che per consiglio erano da lui.

 

Colla medesima parsimonia, rispetto alla tavola, anche trattava il proprio Fratello D. Ercole. Essendosi per portare la prima volta in Arienzo colla novella sposa, se li disse dal Vicario, e da altri, che come conveniva, bisognava complimentarli. A stento permise, che fatto si fosse un altro piatto di più, contrapesando quello, che meno esser poteva di spesa". Io ci ho scrupolo positivo, ei disse: non posso levarlo ai poveri, e far complimenti ad essi". Questi quanto più si vedranno ben trattati, tanto più vi si trattengono.
Sapendo le Monache il trattare di Monsignore, supplirono esse qualche altro piatto, ma diretto a D. Ercole, e non a lui. Postosi in dubbio, chiamandosi il Fratello Francescantonio, volle sapere se fosse così, o se si apparecchiasse dal cuoco; e, per togliersi ogni dubbio incontrario, volle, che, venendo il regalo, e entrato fosse da esso, chi cel portava.

 

L'Episcopio, in tempo suo, addivenuto era ancora un pubblico Ospedale. Infermandosi qualche passaggiere, non faceva capo da' Padri Buonfratelli, che già sono in S. Agata, o in Arienzo nell'Ospedale, ma dalla carità di Alfonso. Un Romito della Chiesa di S. Nicolò in Ischia, essendosi portato per consiglio da Monsignore, vi cadde infermo. In saperlo, tutto carità volle, che situato si fosse nell'Episcopio. Visitavalo spesso, soddisfacendo per lui e medici, e medicamenti; nè permise che partisse, se non dopo un mese, e non vide totalmente ristabilito.

 

Essendosi portati in S. Agata, per conferire con lui, Monsignor Borgia, e Monsignor Pallante, vi cadde infermo il cocchiere. Alfonso fe subito darli in Palazzo camera, e letto. Divenuta grave l'infermità, ed essendoseli prestati gli ultimi Sacramenti, egli, con viscere di Padre, visitavalo spesso, e sollecito facevalo assistere da' suoi domestici. Accorso


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il figlio da Napoli, compassionando la di lui angustia, anche lo ricevette con amore. Convalescente trattar facevalo con tutta particolarità così nel vitto, che in ogni altro bisogno. Non fu meno la dimora del padre, e del figlio, che di un mese, e giorni.

 

Ancora i Pellegrini, facendo capo da lui, non solo avevano alloggio nell'Episcopio, ma anche facevali ristorare per qualche giorno. Incontrandosi un Calvinista convertito col nostro P. Corrado, ed uscendosi in discorso, non so come, di Alfonso, "Quel buon Vescovo di Monsignor Liguori, disse, mi tenne con se otto giorni con somma carità, e con mia totale soddisfazione".

 

Partendo da Nocera per S. Agata, si spiegò coi nostri, che se con tutti era tenuto all'Ospitalità, maggiormente esibivala per ognuno di noi. "I pagliacci, disse, sono all'ordine, e non vi mancherà una scarsa tavola". Di fatti non eravi particolarità nel vitto.

Come usava con altri, così costumar soleva con qualunque della Congregazione. Godeva vedere i nostri, ma non gradiva, senza necessità, lunga permanenza. Sbrigati che erano, dolcemente licenziavali. Il soverchio, diceva, è un furto che si fa a poveri, e non va bene.

 

Ancorché Alfonso così sovrabbondante lo fosse in soddisfare il dovere dell'Ospitalità, e ristretta questa non fosse a verun ceto di persone, tutta volta invidiosi taluni del suo buon nome, anche in questo non mancavano censurarlo. In buon senso avrebbero forse voluto nell'Episcopio tavola bandita per ogni sfaccendato, con stravizzo, ed allegria. Riscontrato Alfonso di questa malfondata diceria dal Sacerdote Tramontana, non finiva maravigliarsene: "Io non alloggio, li scrisse! Questa spesa è continua.
Stando Arienzo al passaggio di molti paesi, quasi ogni giorno, per dir così, mi spetta ricevere, ed allogar forestieri. Perciò tengo apparecchiati più letti; e più volte, essendovi folla, abbiamo mandato a pigliarli ad imprestito dalle case vicine".




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