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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap.73 Alfonso, morto Clemente XIV, ed eletto Papa Pio VI animato dal proprio Direttore, umilia la rinuncia della sua Chiesa.
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Cap.73

Alfonso, morto Clemente XIV, ed eletto Papa Pio VI animato dal proprio Direttore, umilia la rinuncia della sua Chiesa.

 


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Morto Clemente XIV, e non ancora eletto il nuovo Papa, si determina di nuovo Alfonso a voler rassegnare la sua Chiesa. Troppo senso facevali essendo ottuagenario, e così stroppio, il peso del Vescovado. Tuttavolta non era esente dalle solite angustie, cioè di essere inetto, o no, e se per comodo suo desideravalo, o per utile della Diocesi.

Non mancò aprire al solito, tra queste perplessità il proprio cuore al P. Villani. Ritrovandosi questo colla Missione in Taranto, ed a' 9. Novembre 1774. così li scrisse: "Mi è ritornato il pensiere della rinunzia. Leggete questa mia lettera con attenzione, e raccomandate l'affare a Gesù - Cristo, perché non voglio operare di capo mio, ma voglio fare quel, che piace a Dio, e perciò voglio dipendere dall'ubbidienza. Per ora non se ne potrà parlare, ma se ne parlerà quando è fatto il Papa".


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Si spiega, e dice: "Per una parte sono troppe le angustie, che patisco nel governo, malato, cionco, non posso girare attorno, in ogni cosa faccio scrupolo, e sto continuamente angustiato: cosicché vorrei andare a morire nella Congregazione, giacché sono pochi i giorni, che mi restano. All'incontro è vero, che non posso girare colle visite, ma mi pare, che il Vicario bastantemente supplisca.
Di più benché sono cionco, e cadente, la testa però mi sta bene, e mi pare, che bastantemente supplisco colle lettere, vigilando ad ogni guajo, che si ha da rimediare. Sto attento a togliere tutte le male pratiche, ajutandomi colla Corte, e con gli Sbirri. I Preti tremano di me, perché castigo come si deve. Sto attento al Seminario, ed all'esame degl'Ordinandi, e tutti gli Ordinati da me sono abili a confessare, ed essere Parrochi. Nelle proviste provedo, dopo mille diligenze, i più degni. Sto con rigore co' Monasteri delle Monache, acciocché tutte camminino dritte.
Dico queste cose non per vanità, ma per mettere tutto alla sua considerazione. Inoltre penso, che le cose della Congregazione meglio posso ajutarle stando nella carica, che stando fuori. Quì viene l'angustia. Da una parte vorrei andare a riposarmi, e per l'altra stando a riposo, mi pare che non farei neppure la metà di quel, che fò essendo Vescovo. E' vero, che venendo alla Congregazione potrei ajutare i soggetti, e specialmente i Giovani, e questa è la confusione.

Conchiude, e dice: Ora mi raccomando a Dio, e V. R. anche raccomandi a Dio quest'affare, perché quando ritornerete, e sarà fatto il Papa, consiglieremo il tutto anche con Monsignor Borgia, ed allora si risolverà quello si ha da fare. Frattanto in quest'inverno io attenderò a far terminare tutte le Missioni per la Diocesi, e quando ritornerete, parleremo, mentre io voglio fare solo quello, che vuole Iddio. Benedico V. R.  e tutti".

 

Agitato qual era preponderava in lui il pensiere della rinunzia. Essendoseli consigliato con altri Vescovi zelanti, e moriggerati specialmente con Monsignor Puoti Arcivescovo di Amalfi, e con Monsignor Fusco Vescovo di Lucera, tutti furono di parere, che senza scrupolo sgravar potevasi della Chiesa.
Non contento di questo, volendo operare per ubbidienza, ed essere più sicuro della volontà di Dio, non si determinò a cosa senza sapere la nuda risoluzione del proprio Direttore; ed ove questi per lo passato non approvava la rinunzia, di presente vedendolo così malridotto, convenne anch'esso, che senza scrupolo doveva, ed era tenuto a farla, mentre persistendo nel Vescovado, ed in mezzo a tante angustie, abbreviavasi la vita.

Così stimavasi dal P. Villani. Tuttavolta titubava, che al solito non si ammettesse dal Papa la rinunzia. Un giorno, ed eravi anche presente il nostro D. Giammaria di Agostino, Non dubitate, disse Monsignore, che si accetti, io sono sicuro,


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che morir devo in Congregazione, e morirò da suddito. Lo vedrete; e replicollo due volte, che morir doveva da suddito. Profetizzò, ma non si capì il mistero, come altrove farò per dire.

 

Troppo fausto fu per Santa Chiesa l'anno 1775. A quindeci Febraro, con comune applauso, eletto venne Papa l'Eminentissimo Braschi, col nome di Pio VI. Sortita l'elezione, maggiormente si avanzò in Alfonso il desiderio di vedersi sgravato del Vescovado. Accertato di non far cosa di disgusto di Dio, e che maggiormente, colla rinuncia, giovar poteva alla sua Diocesi, sospirar vedevasi il momento di vedersi nella sua cella. "Ora cominciasi a tasteggiar l'acqua, così scrisse il 1. di Marzo 1775. al medesimo P. Villani: Ho parlato già con Puoti, e tra breve si dà principio all'affare". Come però si avanzano i passi, così in Alfonso si risvegliavano le solite angustie.

 

Trattavasi vedersi diviso, anzi abbandonare una sposa, che con tenerezza amato aveva, e non sapeva chi era per succederli. "Dio sa come sto angustiato, così a' 9. dello stesso mese al P. Villani; la mia agitazione di coscienza di lasciare la Chiesa, per sottrarmi dal peso della croce, mi si è risvegliato. Avrei molto desiderato, che V. R. di nuovo ne avesse parlato con Monsignor Borgia. Temo, che questo timore di aver operato per amor proprio, non mi abbia a tormentare in tutti questi pochi giorni, che mi restano di vita".

 

Avanzato il passo in Roma, e vedendosi in maggori angustie: "Datemi animo, scrisse al medesimo a' 14. di Maggio, che io fò la volontà di Dio, con lasciar la Diocesi, acciocché la lasci con tutta la mia pace. In senso di Alfonso avrebbe voluto, che siccome il papa motu proprio avevalo eletto Vescovo, così che di per se, e senza opera sua ne l'avesse sgravato.

La supplica fu presentata al Papa fin dal principio di Maggio, ed è questa:

 

BEATISSIMO PADRE.

 

Rappresento a Vostra Santità, come io qui fatto Vescovo in S. Agata de' Goti nel Regno di Napoli, sono in età avanzata di settantanove anni. Ho tirato coll'ajuto del Signore per tredici anni a portare il carico del Vescovado, ma di presente mi vedo inabile a più portarlo. Mi ritrovo in età cadente, giacché nel mese di Settembre entro agl'anni ottanta. Oltre l'età, ho molte infermità, che mi minacciano vicino la morte. Patisco mal di petto, che più volte mi ha ridotto all'estremo; patisco di palpiti di cuore, per cui anche più volte mi son veduto prossimo a finir la vita. Di presente patisco di più tal debolezza di testa, che spesso mi fa stare come uno stolido.


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Oltre questi mali, mi assaltano diversi accidenti pericolosi, e debbo rimediare con salassi, vescicanti, ed altri rimedj; e, tra questo tempo del mio Vescovado, quattro volte ho preso il Viatico, e due volte l'Estrema - Unzione.

A' riferiti aggiungo altri mali, che mi impediscono adempire gli obblighi di Vescovo. Mi è mancato notabilmente l'udito, sicché molto ne patiscono i miei Sudditi, che volendo parlarmi in segreto, se non alzano la voce, non posso ascoltarli. Mi si è avanzata la parafilia, in modo che non posso più scrivere un verso, e con istento fò la firma, ma così male, che poco s'intende.
Son divenuto così cionco, che più non posso dare un passo, e bisogna, che due mi assistano per fare qualche moto. Fò la vita mia o sopra del letto, o abbandonato sopra una sedia. Non posso più tenere le Ordinazioni, né più predicare; e quello, che più importa, non posso più girare per la visita, e la Diocesi ne patisce positivamente.

 

Posto ciò ho stimato mio obbligo, vedendomi vicino alla morte supplicare V. Santità, ad accettare la rinunzia del mio Vescovado, come fò positivamente con questa mia supplica, giacché, secondo lo stato, in cui mi ritrovo, vedo, che manco all'officio, ed al governo delle mie pecorelle. Spero certamente, che considerando la Santità Sua questo mio stato così miserabile, mi compatirà, e mi consolerà nell'accettare la mia rinunzia, così per sollevare le mie pecorelle, essendo poco assistite da un Pastore fatto inabile ad ajutarle, come anche per liberar me dalli scrupoli, che mi tormentano, vedendomi inabile al governo.

 

Le fò sapere lo stato della mia Chiesa. La Diocesi fa da 30. mila anime in circa. La Mensa ha di rendita annuale  due mila, e seicento ducati, più o meno, secondo il computo fatto dagl'ultimi quattro anni, fino al presente. La Cattedrale ha 31. Canonici, con cinque dignità. Nella terra di Arienzo vi è Collegiata con altri 24. Canonici. Ci sono tre Monasteri di Clausura, in Santagata, nella Città di Airola, e nella terra di Arienzo, con due Conservatorj, che anche mantengono l'ufficiatura.

Aspetto con molta confidenza la grazia da V. Santità, insieme colla sua benedizione, affinché da oggi innanzi non pensi ad altro, che apparecchiarmi alla morte, che mi sovrasta".

 

Acchiuse questa lettera all'Eminentissimo Crescenzi, che tanto l'amava, e favoriva, pregandolo volerla presentare al Papa, ed avvalorarla colla sua mediazione.
"Ho bisogno, dice, del favore di V. Eminenza, da cui certamente lo spero, per la tanta bontà, che finora ha avuto verso di me miserabile. Il favore si è, che con tutta la sua carità mi ha da procurare da nostro Signore la grazia di accettar la


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rinunzia del mio Vescovado, che qui acchiusa le mando.

Io penso, che V. Eminenza a prima vista mi negherà il favore, riprovando il mio pensiere di voler rinunziare; ma la supplico a voler leggere i motivi esposti a S. Santità, perché leggendoli, V. Eminenza medesima approverà la mia rinunzia, e m'impetrerà la grazia, vedendomi inabile a governare la mia Chiesa.

Io confido nella bontà di V. Eminenza, che si prenderà quest'incomodo di parlare a voce con nostro Signore; giacché in Roma non so trovare altro mezzo più efficace di V. Eminenza; cosicché di nuovo ne la supplico colla faccia per terra a volermi fare questo favore, e farlo quanto più presto, mentre sospiro ogni momento vedermi sgravato dal governo della mia Chiesa, mentre gli scrupoli continuamente mi tormentano".

 

Contemporaneamente rappresenta lo stato suo a Monsignor Calcagnini, Mastro di Camera del Papa, e lo prega per la sua mediazione. "Presto mi è occorsa, ei dice, l'occasione di avvalermi delle grazie di VS. Reverendissima.

La prego voler leggere questa mia supplica, che mando al S. Padre, dove leggendo lo stato miserabile, in cui mi vedo ridotto, fatto inabile a più ben governare la mia Chiesa, avrà compassione di me, e mi farà l'Avvocato, con impetrarmi da N. S. la grazia, che desidero.

Se mai per ottener la grazia è necessario, che io scriva, o replichi questa mia supplica, mandandola all'Eminentissimo Rezzonico, Prosegretario, me l'avvisi. La gentilezza, che VS. Reverendissima ha più volte usata con me, mi ha fatto ardito supplicarla, ed io confido alla sua solita bontà, che senza meno voglia favorirmi; e volendomi favorire, prego a farlo quanto presto, mentre mi sembrano mille anni vedermi libero da tanti scrupoli, che mi travagliano; giacchè il peso del Vescovado non mi lascia star quieto un momento, e l'ultima infermità, che mi ha assalito mi ha reso inabile a poter fare l'officio mio".

 

Non contento di questo, acchiuse la lettera, per Monsignor Calcagnini, all'Avvocato D. Melchiorre Terragnoli, affinché anch'esso si fosse coadjuvato, per ottenersi una tal grazia. Non conosceva Monsignore il Terragnoli, ma sapendolo affezionato de' nostri, così li scrisse.

" Signor D. Melchiorre mio stimatissimo: Io non ho avuto ancora la sorte né di parlare, né di scrivere a VS. Illustrissima; ma sapendo la gran carità, che in Roma ha usata co' compagni della mia Congregazione, spero, che voglia usare con me anche la stessa carità nell'affare, che mi occorre, per accertare la mia eterna salute.
 Io mi ritrovo vicino alla morte in età cadente, e colle tante infermità, che potrà leggere nella supplica, che acchiudo colla rinunzia formale del mio Vescovado. Ho pensato pregare il Signor Cardinale Castelli, che


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più volte mi ha dimostrato una particolar affezione, che mi ottenga da N. Signore, parlandoli a voce, la grazia di accettare la mia rinunzia.

Sicché prego VS. Illustrissima portargli questa mia lettera, in dove sta inclusa la supplica colla mia rinunzia al Papa. Se poi per dar corso alla rinunzia, bisognasse procura, o altra formalità legale, prego avvisarmelo".

 

Non sì tosto penetrossi in Arienzo essersi da Monsignore mandata la rinunzia al Papa, che subito la notizia se ne sparse in altri luoghi della Diocesi. Somma fu l'afflizione di tutti. Rincoravasi bensì ognuno sulla certa fiducia, che dal nuovo Papa ne anche sarebbesi ammessa, come non fu ammessa da' suoi Predecessori.

Lo pingevano i Capi d'Ordini, vedendosi che perdevano un loro Protettore, e che espurgate teneva le Comunità da ogni soggetto non costumato. Le Religiose, che amavanlo con tenerezza di Padre, ove ricorreremo, dicevano, ne nostri dubbj, e nelle nostre afflizioni? Il Clero anche ne pingeva perdendosi l'anima, com'essi dicevano, dello stato Ecclesiastico.

Anche i Secolari si videro in afflizione. Un Fondachiere, sul dubbio se la rinunzia accettavasi, o no: "Se viene la negativa, io tengo preparato, disse, cento mortaletti per fare una salva, ed una scampanata a gloria di Dio, e di Monsignore".

Un altro, che in piazza teneva negozio di acquavite, avendo presente un gran vase: Se la rinuncia, disse, non è accettata, io per allegrezza farò bruciare nel mezzo di questa piazza questo vaso pieno di acquavite. Comuni furono le preghiere presso Dio, perché comune era l'interesse.




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