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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap. 74 Ultime sollecitudini di Alfonso per li suoi Diocesani; e nuove dimostrazioni di zelo per veder amato Gesù Cristo, e convertiti i peccatori.
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Cap. 74

Ultime sollecitudini di Alfonso per li suoi Diocesani; e nuove dimostrazioni di zelo per veder amato Gesù Cristo, e convertiti i peccatori.

 


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Se colla penna soscrisse Alfonso la rinunzia del Vescovado, non è che soscrissela col cuore. La medesima vigilanza, e zelo per li bisogni della Diocesi, anzi maggiore che prima, videsi in lui tra questo tempo.

Oculato e sommamente oculato specialmente vedevasi per l'onestà de' Sacerdoti. "Giacché cotesto malo Sacerdote, così egli a' 19. Luglio 1775. al Primicerio D. Liborio Carfora, ha afferrato quest'altra mala pratica, VS. ne prenda informazione dal vicinato". Avendoli suggerito il Primicerio, voler far dare lo sfratto all'amasia. "Lo sfratto, dice, a queste male donne non si può dare, se non si prova, che vivono disonestamente. Intanto fate ordine al Prete, che venga quì". Così altri, che tralascio.


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Sollecito vedevasi ancora, se cosa vi fosse di poca edificazione tra Secolari: maggiormente per taluno, che emenda aveva promessa, e dubitavasi di ricaduta. Non altrimenti informavasi, e vedevasi zelare l'onestà per le donne. Così sollecito era ancora per veder espurgati i Conventi da qualche Regolare, che non gradiva.

A' 12. Aprile del medesimo anno, così il Segretario Cintino all'istesso Primicerio: "Dice Monsignore, che state sulla scorta di osservare il Laico N., che sta in cotesto Convento, e se seguita a frequentare la casa di N. con scandalo del vicinato. Dice che ce l'avvisate subito. Poi soggiunge: vuole che stamattina senza meno vi portiate qui, dovendovi parlare a viva voce per l'affare di cotesto Monaco".
Operava in modo, come se fosse per non uscire, ma per entrare al governo della sua Chiesa.

 

Vedevasi specialmente animare i Sacerdoti da esso ordinati a voler faticare per le anime, ed esser di esempio a' Popoli.

Avendo passato a Canonico D. Cesare Michella, Parroco in S. Agata della Chiesa del Carmine, quanto restò consolato, tenendosi il concorso, per esser sortito Parroco D. Vincenzo Testa di Real Valle, educato da esso in Seminario, altrettanto vedevasi afflitto, sentendolo gravemente infermo. Sopra di questo egli fondato aveva le sua speranze per averne un ottimo Parroco.

"Il povero giovane, così a' 30. Gennaro 1775. al medesimo Michella, è stato non solo infermo, ma molto travagliato per un forte catarro di petto, e con pericolo della vita. Io li ho ordinato, che senza mia licenza, non parta dalla Valle, per non metter a pericolo questo buon soggetto; e frattanto prego VS. a seguitare l'officio di Parroco, per cui le do tutti i casi, e tutti le mie facoltà".

 

Vedevasi anche tutt'occhi per il Seminario. Avendo presente tutt'i giovanetti, voleva esser informato di continuo dal Maestro Caputo, e del progresso delle lettere, e della condotta di ciascheduno. Ammiravasi in esso amore, e rigore. Siccome abbracciavasi, ed animava buoni a voler profittare, ed esser di edificazione, così voleva si mortificassero quei tali, che svogliati vedevansi, e di poca edificazione. Tanti, come incorreggibili, non usando pietà, li volle fuori. Inesorabile si vide in metter le mani sopra chiunque, che benché di talento, non fosse esemplare. Non voglio, diceva, lasciar censi passivi a chi farà per succedermi.

 

Rinunciava la Chiesa non stimandosi valevole a portarne il peso, ed operava, come se in forze lo fosse, e mai dovesse lasciarla. Quasi animato da nuovo zelo, cosa non lasciava, che giovar potesse a tutta la Diocesi. Sin dal Settembre dell'anno antecedente videsi in moto, per di nuovo far passar di zappa da valenti Operarj tutta la sua vigna.


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Troppo eragli a cuore l'opera delle Missioni.

Colla predicazione entrò nella sua Chiesa, e colla predicazione ne volle uscire. Non poche lettere fece in Napoli a quelle Congregazioni, per aver soggetti sufficienti a poter per intiero girar tutta la Diocesi. Fece capo anche in Roma al Generale de' PP. Domenicani, per aver dalla Sanità di Napoli un distaccamento di Missionarj.
Cercando al Principe della Riccia il Palazzo in Airola in tempo della Missione, a' 19. Settembre li scrisse: Questa sarà verisimilmente l'ultima Missione generale, che farò fare nella mia Diocesi, mentre in questo mese entro nell'età di settantanove anni, e sto aspettando da giorno in giorno la morte, così per l'età decrepita, come per l'infermità, che mi annunzia vicino il sepolcro.

 

Entrato il mese di Novembre ebbe da Napoli il P. Maestro Gessari, con altri nove celebri Domenicani. Questi avendo terminato, con sommo frutto, e con somma sua consolazione, la Missione nella Città di S. Agata, porzione, suddivisa la compagnia, passò nella Parrocchia di S. Tommaso, e 'l dippiù, sopraggiungendo altri soggetti da Napoli, fe capo nella Terra di Frasso. Riunendosi, furono nella Città di Airola, ed in seguito nel popolato Casale di Mojano. Affaticavansi, nel tempo istesso in altri luoghi, i Padri di S. Pietro a Cesarano: così scorrevano da per tutto i nostri Congregati, e con questi godeva Alfonso veder uniti anche i Missionarj da esso addestrati in Airola, Arienzo, e Durazzano.
In una parola, non vi fu in Diocesi, terra, villaggio, o casale, che coltivata non restasse. Anche la taverna di Cancello, quattro miglia distante da Arienzo ebbe la sua Missione.

 

In questo stato, e così agitato di spirito qual'era, anche regolava le circostanze delle Missioni. Erasi determinato il P. M. Massana, Prefetto delle Missioni della Sanità, esser in S. Agata la sera dei dodeci Novembre.

"Con allegrezza ricevo la carità, così al P. M. Gessari; ma ho scritto al P. Prefetto, che se la Missione s'incominciasse il giorno dodeci, che è Lunedì, sarebbero perduti tutti quei giorni fino alla Domenica, perché quando si comincia la Missione in giorno di lavoro, in quelli che restano fino alla Domenica, poca gente accosta alla Chiesa. Io ci sono incappato: ma poi feci voto, non incominciar le Missioni in giorno di lavoro". Egli pregò per trovar le case ai Missionarj, e farle trovare apparecchiati i letti, e quant'altro bisognava.

"Tenga apparecchiati due letti, così in Bucciano a' 24 Gennaro al Parroco Diodato, con qualche utensile di cucina, e per la casa, prego parlarne da mia parte a quel buon uomo, che a Pastorano tiene casa vicino alla Chiesa". Anche come dissi, incomodò il Principe della Riccia. "Ho bisogno preciso delle grazie di V. E. La prima per la Missione della Città di Airola, ove la supplico imprestarmi il palazzo,


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o parte di quello, dovendo venire a far la Missione i Padri di S. Domenico Maggiore, che per farli venire ho stentato due anni. La seconda grazia è ancora per la casa di Arpaja, ove vi manderò i Padri della mia Congregazione.

Così pensò per ogni altro casale, e villaggio. Consolavasi vedendo sorpreso il peccato, non che nelle piazze, ma ne piccioli fortini, che vi erano in Diocesi.

 

Se generale fu la sollecitudine di Alfonso, per veder coltivata tutta la Diocesi, anche il raccolto fu generale, e copioso. Trovandosi disposto il terreno, non vi fu grazia dal Cielo, che a vuoto ne andasse. Confessavasi da tutti i Missionarj, non esser di ritorno, che carichi di manipoli. Piccioli disordini non vi mancavano, ma tutto fu riparato in questa general Missione. Si svelse il cattivo, ed il buono maggiormente si vide stabilito.


Riscontrato Alfonso, non finiva consolarsene, e vi concorreva anch'esso, colla solita liberalità in sollievo de' poveri, o di donne pericolanti, o pericolate. I Missionarj, che non avevan legati, girar feceli a suo interesse. Vale a dire, che licenziandosi dalla sua Chiesa, espurgata lasciavala, e santificata.

 

Avendo a cuore sempre più la gloria di Dio, ed il bene delle Anime; né sapendo come vivamente imprimere ne' cuori di tutti la passione di Gesù - Cristo, esprimer fece in una gran tela la sua immagine nella naturale estenzione, ma così lacero nelle membra, che commoveva anche le pietre. Quest'immagine volle, che per l'ultima sera della vita divota in ogni Missione, portata si fosse in giro per la Chiesa, per così imprimerla nel cuore di tutti, ed animare ognuno ad amarlo. Così, per invogliare le anime a compatire i dolori della Vergine, volle, che la statua di Maria Addolorata anche si esponesse, e si portasse in giro.

"Non vi scordate". Così in una sua circolare de' 16. Aprile 1775. di fare la processione della Madonna in una delle sere, secondo il modo, che io ho praticato. In questa specifica tutto l'occorrente, per far che fortifica con compunzione del Popolo, tanto la funzione della tela di Gesù Crocefisso, quanto questa della statua di Maria Santissima Addolorata. "Quest'è una funzione, ei dice, che muove a tenerezza anche le mura, quand'è fatta, secondo ciò che ho descritto".

Armandosi di zelo nella medesima lettera contro i peccatori ostinati nel male, vuole che non si lascino in pace, e che anche si atterriscano.
 "In qualche paese corrotto, ei dice, ove regna qualche vizio particolare, come la bestemmia, la dissonestà, o altro, fa molto profitto la maledizione dei peccatori abituati.
Il Predicatore, avendosi posta la cotta colla stola negra, dopo l'atto di dolore, prenda una torcia di pece, e dica: io non maledico le persone dabbene, ne i peccatori penitenti, ma coloro soltanto, che non sono risoluti di lasciare il vizio.


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Indi comincia a nominare i vizj particolari; cioè i bestemmiatori, quelli, che portano odio: i padri, e madri, che permettono parlare a loro voglia le figlie cogli innamorati, e peggio se li fanno entrare in casa.

Tutti gli ostinati in questo vizio, Iddio li maledice, ed io da parte di Dio anche li maledico. Mentre così dice, alzerà la voce a terzo tuono, e con l'altra mano, suonerà il campanello, e procuri il più grande che può avere.

Taluno de' nostri ha detto, che questa funzione dà troppo terrore. Dio mio! e perché si fa? Si fa appunto per imprimer terrore a que' vizj. Prima però di cominciarsi questa funzione, convien dire al popolo. Sentite: Davide nella scrittura maledice i peccatori ostinati: maledicti, qui declinant a mandatis tuis : così li maledico ancor io. Così dicendo, faccia suonare a morto colla campana grande.
Questa funzione specialmente giova molto nei paesi grandi. Si astengano i Patri far sapere al Clero che farsi debba questa funzione; acciocché non si mettano a contraddirla, ed a fare i dottori, che non conviene, perché dà troppo terrore. Il terrore si dà solo agli ostinati, o a quelli, che, dopo intese le prediche, non sono ancora risoluti di darsi a Dio. Questa funzione io l'ho fatta fare dai Padri quasi in tutti i paesi della Diocesi, ed ha fatto profitto, e non ha cagionato quel male, che dicono alcuni.

Prosiegue, e dice: Raccomando specialmente a' Predicatori certe cose particolari, che debbono replicarsi più volte, e sono: inculcare quanto sia grave peccato, il lasciare i peccati per vergogna: replicare più volte nelle prediche il fuggirsi quanto più si possono le occasioni di peccare. Il raccomandarsi a Dio, specialmente quando si affaccia la tentazione, particolarmente in quelle di carne. Replicare in ogni predica l'amore, che dobbiamo a Gesù Crocifisso, e la divozione alla Madonna.

Così, quando in un paese vi è qualche vizio usuale, o di vendicarsi, o di impudicizia, o di rubare, bisogna insistere più volte sopra quel vizio. Similmente nell'atto di dolore si faccia tacere il Popolo; ed i motivi del dolore al più siano due, o tre, ma differenti tra loro in ogni predica, che si fa; ed ogni sera, dopo l'atto di dolore, si faccia dimandare una grazia particolare alla Madonna. Se taluno dimanda qualche Ave Maria dal Popolo, si faccia dire prima, e non dopo la predica, acciò il popolo non si raffreddi, e se ne vada piangendo a casa.

 

Questi, e simili mezzi, pensava Alfonso per lo bene delle anime, e per vantaggiare da per tutto la gloria di Gesù - Cristo, e di Maria SS., benché decrepito, e così soffogato tra guai, ed amarezze.




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