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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.76 Accettata dal Papa la rinuncia della Chiesa, rilevansi i sentimenti di Alfonso, e l'amarezza sperimentata tra suoi Diocesani.
Troppo prevenuto stavane il S. Padre Pio VI. dello zelo di Alfonso, e del gran bene, che, benché storpio, egli operava nella Chiesa di S. Agata. Ricevuta la rinuncia a 5. del mese di Maggio dall'Eminentissimo Castelli, ancorché il Cardinale anche a voce lo facesse carico dell'avanzata età, e della gravezza de' suoi mali, tuttavolta non era in voto di ammetterla. Erasi Alfonso, come dissi, anche raccomandato a Monsignor Calcagnini per averlo mediatore, ma questi, anzi che aggevolar l'affare, eragli in contrario. Considerando il savio Prelato il gran bene, che Alfonso in Diocesi aveva fatto, e faceva, e che solo bastava la di lui presenza per governarla, e tener tutti nel dovere, stimava non accettarsi la rinuncia, mentre, indisposto qual'era, disimpegnava il proprio impiego.
Essendo capitati tra questo tempo in Roma due de' nostri, che colle Missioni trattenuti si erano negli Abruzzi, cioè i PP. Capuano, e Rastelli, ed essendosi presentati per il bacio del piede, il S. Padre, sentendo Alunni della Congregazione, chiese come ne stesse Monsignor Liguori. I Padri, credendo far cosa grata ad Alfonso, ed ansiosi di vederlo in Congregazione, non mancarono contestare, e maggiormente esagerare i di lui acciacchi. S. Padre, dissero, sta in uno stato, che fa compassione, sordo, e cieco, e così oppresso da tanti mali, che non sembra più uomo. Volgendosi il Papa a Monsignor Calcagnini: Vedete, disse, ciò che questi dicono. Essendo così, non bisogna contristarlo. Determinossi ammettere la rinuncia, e nol fece che con suo sommo rincrescimento.
Rescrivendo ad Alfonso per parte del Papa a' 9. del medesimo mese l'Eminentissimo Giraud: "Ha ricevuto, disse, nostro Signore la lettera, che VS. Illustrissima ha fatto pervenire, per mezzo dell'Eminentissimo Castelli, colla rinuncia del Vescovado, ed ha la Santità Sua sentito con vera amarezza di cuore lo stato infelice di sua salute. Persuaso, com'è, il S. Padre de' di lei meriti, e pastoral vigilanza, soffre di mala voglia il suo ritiro dal governo di cotesta Chiesa: ma convinto altresì de' motivi giusti, e reali, che ha di farlo, non vuol metter in angustia il di lei spirito, ond'è che accetta la sua rinuncia, quale per altro dovrà poi farsi nelle solite legali forme; che è quanto devo per comando di Nostro Signore, partecipare a VS. Illustrissima, in risposta della di sopra enunciata lettera da lei scritta a sua Beatitudine. E coi sentimenti di distintissima stima, resto baciandole di tutto cuore le mani".
Accertato Alfonso dall'Eminentissimo Giraud, e dall'Eminentissimo Castelli del compiacimento del Papa, per la bramata rinuncia, respirò, e diedene parte al P. Villani, che ritrovavasi colla S. Missione in Capua. Avrebbelo desiderato in Arienzo, e non potendolo avere, così li scrisse a' 13. dello stesso mese: "Sia sempre fatta la Divina Volontà, che in questo mentre V. R. rattrovasi impegnata in cotesta Missione, mentre, per non restare con scrupolo, dovrei consigliarla di più cose, dovendo lasciare la Diocesi. La lascio senza pena, perché la lascio per ubbidienza. Temo però, che non vi venga qualche Milordo, giacché tanti la pretendono, ed allora bisogna dire addio a tutte le fatiche fatte. Prego Gesù Cristo, che n'abbia compassione, e prego V. R., e tutti a non parlarmi più della Diocesi, per non farmi vivere angustiato.
Tal notizia essendosi divulgata, lutto vi fu da per tutto. Ceto non vi fu, che addolorato non si vide. Avendone Alfonso data parte al Capitolo in persona dell'Arcidiacono D. Francesco Rainone, e non sottoscrivendosi più Vescovo di S. Agata, ma Alfonso Maria del Santissimo Redentore, questa lettera, e questa firma commosse non solo il Capitolo, ma tutta S. Agata. Questo è gastigo di Dio, disse l'Arcidiacono Rainone, perché non si è saputo conoscere.
Canonico non vi fu, ed anche Gentiluomo, che non portossi in Arienzo, per dolersi con Monsignore di questo passo già avanzato. Anche quei che da lui erano stati mortificati, disingannati, e facendo giustizia al suo merito, intesero con pena la rinuncia. Il Primicerio D. Francesco Petti, benché amareggiato per l'addietro ei fosse stato in persona del Canonico suo Fratello arrestato, e portato in Montefusco, e per la lunga sofferta prigionia, portandosi in Arienzo, piangendo, disse: "Monsignore, che avete fatto! Dio vel perdoni. Il male, che cagionate a tutta la Dicesi, colla vostra rinuncia, è irreparabile".
Non minore fu l'amarezza che sperimentossi in Arienzo. Questo Clero specialmente, che prima di tutti n'ebbe la notizia, e che per tanti anni goduto avevalo in questi ultimi tempi, non videsi, che estremamente afflitto: maggiormente, che quasi tutti erano stati educati da lui in Seminario, e prescelti per Canonici di quella Chiesa. Canonico non vi fu, o Sacerdote, che portandosi in Palazzo, piangendo non si dolesse del passo avanzato.
Se comune fù il pianto, più sensibile la perdita sperimentossi dai Parrochi. "Chi di noi da oggi innanzi, dicevano questi, potrà impegnare la carica, ed esser sostenuti, come facevalo Monsignor Liguori. A noi altro non spettava, essendoci disordine, che informarlo, ed egli prevaleva e per li Preti, e per li secolari presso i Baroni, e presso il Sovrano". Altri; ove troveremo la borsa aperta per impedire il peccato, e per soccorrere i miserabili? Anche l'Arciprete di Frasso, che tanto eraglisi opposto e per le Decime, e per la Chiesa Coadjutrice della Parrocchia, che stabilir voleva in quella Terra, sentendo fatta la rinuncia, ne piangeva la perdita. Ritrovandosi in Napoli, non davasene pace: ed essendoseli detto, che perché decrepito, e cionco, più non era nello stato di governar la Diocesi. "Non è così, rispose, Monsignor Liguori governavala col solo suo nome".
Essendosi portati da Monsignore, il giorno antecedente alla partenza, il Parroco D. Pasquale Bartolini, ed il Canonico Truppa non finivano di piangere, considerandone la perdita. "Che credete, ei disse, che non mi dispiaccia il partire. Troppo mi dispiace, perché lascio i figli miei. Rinuncio, soggiunse alzando la voce, perché Dio così lo vuole. Lo stato in cui sono mi ha obbligato farlo presente al Papa, e col Papa mi sono spiegato, che se la Diocesi era per soffrire il menomo danno, io era pronto tirar questo carro fino alla morte. Ma se parto col corpo, non vi lascio col cuore".
Più di tutti se ne dolsero i poveri. In sentirsi la trista nuova, le donne o pentite, o pericolanti, e così le zitelle povere, che speravano sussidio, tutte, sentendone la perdita, vedevansi inconsolabili: maggiormente tante famiglie bisognose, che da lui secretamente erano soccorse. "La rinuncia di
Monsignor Liguori, dissemi un degno Sacerdote, è stata sensibile, specialmente
ai poveri, non solo in S. Agata, ed Arienzo, ma per tutta la Diocesi. Ho veduto
io, ed attestar si può da tutti, che ogni povero, portandosi da lui, non
ritornavasene vuoto con le mani; e tutti chi più, e chi meno vedevansi
consolati".
Piangevano, e non finivano rammaricarsi anche i tanti o che infermi si videro visitati, o altri che nelle carceri furono sollevati. "Non avremo più Monsignor Liguori, essi dicevano, o che mandava, o che di persona era a consolarci. Chi s'interporrà per noi, dicevano altri presso i creditori; e chi farà le nostre parti coi Governatori, se per delitti, o per debiti saremo arrestati? Tutto poteva Monsignore, perché era santo, e tale stimavasi da tutti". L'afflizione comune era anche afflizione per Alfonso. Se con pena erasi egli unito con questa sua sposa, con maggior pena di presente soffrivane il divorzio.
Anche fè senso questa sua rinuncia in Napoli, ed altrove. Avutane la notizia il Marchese Avena, Consigliere della Maestà del Sovrano, "Monsignor Liguori, disse, ha fatto male, e gran male. Se stesse a me lo farei restar in Diocesi. Solo la sua presenza bastava per governarla, e tener tutti nel dovere". In sentire accettata la rinuncia dal Papa Monsignor Capece Galeoti, Arcivescovo di Capua, "Il papa, disse, ma con sentimenti di somma amarezza, ha accettata la rinuncia di Monsignor Liguori, che tanto bene faceva nella Chiesa di Dio, ed ha ributtata la mia, che sono inutile". Tale fu il sentimento di altri gravi personaggi, e Vescovi, che io tralascio.
Male l'intese ancora il suo fratello D. Ercole. "Sento che vi lamentate della mia rinuncia, così Alfonso a' 22. di Luglio, ma io non ho rinunciato per andare a spasso, ma perché le infermità m'impedivano soddisfare il mio obbligo. Io ho esposti i miei mali al Papa., e 'l Papa ha voluto che io rinunciassi". Dubitando Alfonso, che vi fosse interesse per lo mezzo, "Voi forse avete timore, disse, che io non abbia da litigare con voi per la mia porzione, giacché, come sento, vi è il dubbio che non mi tocca più la porzione del Collegio, se non risiedo in Napoli. In Napoli non vi posso stare. Del resto non abbiate timore, perché io non pretendo alcuna porzione. Spero che il Papa mi assegni la pensione, e spero che la Corte di Napoli mi ci dia l'Exequatur; ma se mi si nega l'Exequatur, ed il Collegio la pensione, mi basterà quel carlino che mi guadagno colla Messa, per comprarmi quel poco di minestra, che mi mangio".
A' 17. di Luglio la rinuncia formalmente fù accettata in Concistoro. Divulgata tal notizia in Diocesi, vi fu chi scherzando li disse, che accettata la rinuncia, vedevasi colla testa più dritta, e non così curva, come per l'innanzi. Sì, disse Alfonso, perché mi ho levata la Montagna di Taburno da sopra il Collo. Taburno è un monte altissimo, che sovrasta alla Città di S. Agata.
Avendo ringraziato il papa per degnazione sì grande verso di Lui, supplicollo ancora per tutti quei privilegj, che annessi vanno col Vescovado, e specialmente per l'Altare portatile. Rescrivendoli il Cardinale Giraud, disse: "Si è il S. Padre degnato esaudirla nella maggiore sua estensione, onde può, e potrà VS. Illustrissima avvalersene, e starne sopra di ciò tranquillissimo". Ancorché non richiesto, ebbe di mira il Papa il suo mantenimento. "pensa altresì Nostro Signore, scrisse il Cardinale, nel conferire ad altri cotesta Chiesa, riservare a di lei favore una congrua pensione per lo di lei mantenimento, lo che le serva di regola". Non volendo Alfonso aggravar la Chiesa, rescrisse, che volendo il papa degnarlo della pensione, ducati quattrocento erangli sufficienti. Questa moderazione edificò estremamente il S. Padre; ma considerando il suo stato, graziosamente assegnolli scuti ottocento.
Troppo in quest'occasione favorito venne Alfonso dall'Eminentissimo Castelli. Tra l'altro dovendosi spedire le Bolle per l'ottenuta pensione dei scuti 800, non mancò far di nuovo presente al Papa i gravi meriti, che egli aveva con tutta la Chiesa, e quanto sudato aveva colla voce, e colla penna in beneficio delle Anime. Sorpreso vie più Pio VI., dalle tante opere del di lui zelo, facendo idea maggiore di Alfonso, rilasciolli anche scudi cento e cinque, che erano per spettare alla Camera Apostolica. "Mediante i valevoli, e premurosi officj di questo Eminentissimo Castelli, così nel primo di Settembre l'Agente D. Melchiorre Terragnoli, cui deve VS. Illustrissima professare le più distinte obbligazioni, si è ottenuto da Nostro Signore un ribasso notabilissimo sulla spedizione della Bolla della sua pensione".
In Napoli fece le parti
di Monsignore presso il Collegio de' Dottori l'Avvocato D. Gio: Minieri. Anche
questi dimostrandosi graziosi non ebbero difficoltà accordarli anche per
intiera, come presente, tutta la pensione. "Io sono un cadavere, così egli
espose, che non posso dare da me un solo passo; vivo sempre o sopra di un
letto, o gettato sopra una sedia; buona parte dell'anno non posso uscire dalla
stanza, perché patisco di petto, e tante volte vicino alla morte; ogni poco di
vento, o pioggia, o freddo, o umido mi cagiona catarri mortali, e sono in età
vicino agli ottant'anni. Monsignore Testa tra gli altri gli rescrisse, che per l'infermità era scusato dalla residenza, e che altri Collegiati anche di lontano per lo stesso motivo avevano partecipato". Così restò consolato, e per la porzione del Collegio, e per la pensione sulla Chiesa accordata dal Papa. Anche tra la folla di tanti pensieri, e così spinosi ebbe in veduta Alfonso i bisogni de' suoi Congregati. Più volte pregato aveva il proprio fratello D. Ercole, che disposto avesse, facendo testamento, per una gratuita abitazione ai nostri, come per l'innanzi, in un quartino del proprio palazzo. "Di presente a' 29. di Giugno vi prego, li scrisse, ad aggiustare da ora quella carità, che volete fare dell'ospizio ai Padri miei, perché se Iddio vi chiamasse, senza darvi il tempo di lasciar le cose disposte, li Padri miei non avranno niente. Così bisogna lasciare aggiustata quella cosa della Cappellania. Desidero veder aggiustate queste due cose per non pensarci più, mentre da oggi avanti, non vorrei pensar più a cose di mondo, ma solo per apparecchiarmi alla morte, che mi sta così vicina. Prego acquietarmi sopra queste due cose".
Tra questo tempo
abbiamo una profezia di Alfonso, ma troppo lambante. Correvano varie le voci di
chi era per succeder Vescovo in S. Agata. Essendosi i pretendenti senza numero,
tutti della Diocesi anziosi ne stavano per sapere sopra di chi era per cadere
la sorte. Monsignor istesso anche dimandavane di chi fosse più accertata la
notizia. Varj soggetti se li dissero, e ne sentì di tutti con indifferenza. Sollecito, scrisse in Roma, credendo che il Papa era per accordarli il governo a tenore dell'antica disciplina fin'all'arrivo del Successore, non sapendo che preconizzato il nuovo, a tenore dell'odierna, il vecchio lasciar deve la Diocesi. Tanto li fu rescritto. Profetizzò Alfonso, esclamando così. Essendosi impedito in Napoli dal Clero d'Ischia, ma fuori di aspettativa, a Monsignor Rossi l'Exequatur alle Bolle, vedova, e priva di pastore videsi la Chiesa di S. Agata, non per giorni, e mesi, ma per quattro in cinque anni.
In altra afflizione anche grave si vide Alfonso fatta la rinuncia prima della preconizzazione di Monsignor Rossi. Se li disse, che per le note controversie tra la Corte di Roma, e questa di Napoli non era per destinarsi dal papa il Vescovo in S. Agata. Chi diceva, che persistito avrebbe il Vicario Capitolare, e chi che dal Papa era per destinarsi un Vicario Apostolico. Questa notizia ben che svanita, sentendosi eletto Monsignor Rossi, anche afflissero, e posero in costernazione Monsignor Liguori, ma tale che non mangiava, e nè dormiva. Dissi, che se Alfonso lasciava la diocesi col corpo, non lasciavala col cuore. In che seppe preconizzato Vescovo di S. Agata Monsignor Rossi, così li scrisse a 17. Giugno. "Dopo che VS. Illustrissima avrà preso possesso di questa Chiesa, prego, se così le piace, favorirmi due giorni nella nostra casa di Nocera, perché ivi l'informerò a pieno di tutti i soggetti, e nascondigli del Vescovado, per sapere i quali ho stentato tredici anni, ma fra due giorni io la informerei di tutto, e spererei, che Vs. Illustrissima colle mie notizie, e colla sua grande abilità sarebbe per fare un ottimo governo per la gloria di Dio, e per la gloria sua". Vi fu Monsignor Rossi; ed Alfonso quasi piangendo lo fe carico di quanto in S. Agata egli operato vi aveva.
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