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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Libro 4 Cap. 1 Alfonso, ritirandosi da Arienzo, in Nola dà la vista ad un cieco; venerazione con cui fu ricevuto in Nocera: nuovi travagli della Congregazione; e benevolenza di Pio VI verso di lui.
Abbiamo di nuovo Alfonso in Nocera. I desiderj delle Anime sante non manca Iddio secondarli. Quivi Egli desiderava, e quivi ottenne depositar le sue ossa. Accinto a partire da Arienzo, sperimentossi in lui un misto di dolore, e di allegrezza: dolore di vedersi diviso da una Sposa, per tanti anni teneramente amata: allegrezza, vedendosi sgravato da un tanto peso, ed andar incontro alla sua cella: non avrebbe voluto partire, e nel tempo istesso contava i momenti per mettersi in cammino. Fatto giorno la mattina de' ventisette di Luglio 1775., avendo dato l'ultima sua benedizione alla diletta Chiesa di S. Agata, e ad un immenso popolo, che se gli fe' presente; e dispensata a' tanti poveretti, ivi concorsi, una grossa limosina, ajutato da' familiari, si pose in carrozza in unione del P. Villani. Esprimere non è della penna la commozione, che nel popolo vi fu. Piangeva il Clero, e piangevano i Gentiluomini, ma più amaramente proruppero in pianto i poveri, che con esso perdevano un Padre, un protettore, ed in qualunque bisogno, il comune rifugio. Quest'afflizione del popolo fu per Alfonso la maggior pena. Piangevano questi, e piangeva anch'esso. Posto in cammino, oltre delle solite preci a' suoi Santi Avvocati, raccomandò in particolar modo a Gesù - Cristo, ed a Maria SS. una costante tutela per la Terra di Arienzo, e per tutta la Diocesi di S. Agata; e proseguì il cammino, recitando col P. Villani il SS. Rosario, ed indi le Ore Canoniche.
Ricco al solito, anzi pomposo fu il corredo, che susseguivalo. Se povero e nudo entrò in Diocesi, nudo e povero anche ne uscì. Quello, tra l'altro, che fe piangere gli astanti, e trasse anche le lagrime ai due Canonici, che deputati furono dal Capitolo di S. Agata; cioè il Canonico Albanese, ed il Primicerio D. Nicolò de Robertis, fu il vedersi richiesti dal Venerabile Vecchio, come per limosina, il suo misero strapuntino su cui dormiva di notte, e la sedia ove di giorno ne gemeva. Tutto se gli esibì, e quant'altro avesse voluto. Generosa però che fosse l'esibizione, cosa non vi era, che interessar potesse il Capitolo, e la Cattedrale.
Vedendo accinti molti Preti, e Canonici, e varj Gentiluomini, a volerlo seguire, ringraziò tutti, dichiarandosi tenuto per tanta cordialità. Quattro Canonici bensì de' più ragguardevoli, non ostante la ripulsa, ostinatamente vollero seguirlo. Così il P. Maestro Caputo, e quantità di Gentiluomini, tra i quali D. Salvatore Romano, uomo troppo appassionato per Monsignore. Fatte poche miglia; cioè fino a Cancello, dovettero questi darsi in dietro, accertandoli Alfonso non essergli di sollievo, ma accrescergli pena colla loro presenza.Tuttavolta il Tesoriere Martinelli, ed altri, non dando retta alle sue preghiere, accompagnar lo vollero fino a Nocera.
Ad ora di pranzo fu in Nola. Inimico di complimenti non tirò al Vescovado, ma nel Seminario. Il Canonico D. Francesco Crisci, che vi era Rettore, e che tanto il venerava, non l'accolse come uomo, ma come Angelo. Giunto che fu volle dir messa. Nella mozione degli affetti, che in se provava, non volle dirla in Arienzo. Agonizzando celebrò, assistendovi tutto il Seminario. Ognuno piangeva per tenerezza, vedendo la divozione con cui trattava il tremendo Mistero; e che collo spirito tra i denti anche non mancava alle menome rubriche. Terminata la messa, e celebrando il P. Villani, egli trattennesi facendo il rendimento di grazie. Pregato dal Canonico a voler dare degli avvertimenti, e compiacere della sua benedizione quei tanti giovanetti, Alfonso, ancorché agitato di mente e trapazzato, non mancò compiacerlo. Estese il sermone sopra il quanto gran male sia il peccato, e quanto ognuno è tenuto ad amare Gesù - Cristo. Inculcò amore, e divozione verso Maria SS. Parola non vi fu, come attestommi il medesimo Canonico, che non ferisse, e non isquarciasse i cuori. Rilevò il gran bene, che a noi ridonda dalla frequente Comunione, e dal visitarsi spesso il Divin Sagramento: così, essendo tentati, ricorrendosi con fiducia a Maria SS.. In quest'atto vedevasi il Canonico, uomo venerabile per la sua canizie, anch'esso sedere a' piedi di Alfonso, ed ascoltarlo come uomo venuto dal Cielo.
Essendosi saputo in Nola il suo arrivo in Seminario, varj Gentiluomini con D. Gio: Battista Santoro, anziosi di baciargli la mano, furono ad inchinarlo. Anche in Nola volle Iddio autenticare la santità di Alfonso. Erano mesi e mesi, che, per una flussione negli occhi, era divenuto cieco, e conducevasi a mano D. Michele Menichino - Brancia. Varie cure in Napoli, ed in Nola eranglisi tentate, anzi peggiorò in maniera, che restò cieco. Sentendo Alfonso in Seminario, animato dalla di lui Santità, unito cogli anzidetti Gentiluomini, si fe guidare ai suoi piedi. Giunse in tempo che era per incarrozzarsi; e piangendo lo prega volerlo degnare di una Croce sù gli occhi. Si commosse Alfonso; e tanto fu il segnarlo, quanto dargli la vista. Non contento il Sacerdote D. Bartolomeo de Luca, allora Lettore, ed indi Canonico, e Rettore del Seminario, della benedizione ricevuta con tutti i Seminaristi, avendo avuto di soppiatto il bastone di Alfonso; ed essendosi con quello segnato in varie parti del corpo, ora, disse, non temo di alcun male, e son sicuro, che Monsignor Liguori mi ha da proteggere.
Appena ebbesi rifocillato, e preso un breve riposo, benché applettato a voler partire l'indomani, non fu possibile. Come fu in carrozza, ripigliò subito col P. Villani la recita del S. Rosario; e tutto il tempo fino a Nocera non fu impiegato, che in recitar parte dell'officio, ed altre orazioni vocali in onore di Gesù - Cristo, e di Maria SS. Giunto in Nocera, Monsignor Sanfelice, che altamente lo stimava, volle, che da tutte le Chiese ricevuto si fosse col festoso suono delle campane. Grande fu l'allegrezza de' Paganesi, vedendolo di nuovo tra di loro. Piangevasi per tenerezza, vedendolo così storpio, e così male in arnese; ma molto più eccitò il pianto, vedendosi verificata la promessa, che tredici anni addietro, partendo per S. Agata, aveva lor fatta di voler venire a morire tra di loro. Una moltitudine di popolo, calando di carrozza, circondollo avanti la nostra Casa. Soprattutto se gli presentarono i Parrochi, e i capi delle Chiese, Preti, e Regolari, e quantità di Gentiluomini, anziosi tutti di baciarli la mano, e di godere di sua benedizione.
Salendo le scale, quasi snello si vide sormontarle. Gloria Patri, disse rivolto al P. D. Diodato Criscuoli: questa Croce, che porto in petto, salendo le grada in Arienzo, mi pesava al non più: ora qui si è fatta leggiera; e di nuovo replicò: Gloria Patri. Entrando nel Coro, che ivi corrisponde al primo piano della scala, buttandosi di faccia a terra, ma vi cadde come sacco di ossa, esclamò: Dio mio vi ringrazio, perché mi avete tolto da sopra un si gran peso. Gesù Cristo mio, non ne poteva più. Tra questo mentre i nostri intonarono il Te Deum, ringraziando anch'essi Iddio, per esserli riacquistato il comun Padre. Conflitto vi fu per la
stanza. Vedendosi portato dal P. Mazzini in una più commoda, solita destinarsi
a' forestieri, egli nel vederla, che nel piede eravi un fregio, o sia fascia di
nero, e nella soffitta l'incartata, ammirandosi: come qui, disse, debbo star
io in mezzo a' fregi? voglio la mia solita stanza.
La medesima sera fu subito a complimentarlo Monsignor Vicario per parte di Monsignor Sanfelice. Discorrendo con questo, disse, che vedevasi contento, vedendosi sgravato dal peso della Chiesa. Mi ho levato, disse, la montagna di Taburno da sopra la nuca del collo. "Ben lo
credo, rispose il Vicario, che ne stia contenta; ma credo ancora, che
scontentissima, per la sua partenza, ne sia rimasta la Diocesi. Perché, soggiunse il Vicario, ha perduto un pastore, che tanto bene le faceva. In sentir questo Alfonso, videsi perduto. Gesù e Maria, esclamò, divenuto tutto fuoco! che dite Signor Vicario? Io niente ho fatto di bene, e non finiva ripetere, niente, niente, niente. Se vi è cosa di buono, l'ha fatta D. Carlo de Marco, e non io. Dico meglio, ripigliò subito con maggior enfasi: è stato Iddio Signor Vicario: Iddio, e non io ha fatto tutto, tutto ha fatto Iddio.
La mattina susseguente dì per tempo fu a complimentarlo Monsignor Sanfelice. Così parimenti vi furono tutt'i Capi di Ordini, Gentiluomini, e titolati o della Diocesi, o de' luoghi vicini. Monsignor Sanfelice in una parola lo investì, e nella maggior estensione, di tutta l'autorità sua in tutta la Diocesi. Così a vicenda vi furono a complimentarlo Vescovi, e Vicarj circonvicini. Fu tale il concorso, che per molti giorni non gli diedero riposo. Scrivendo ad uno de' nostri in questo medesimo giorno, io, disse, per grazia di Dio già sto a Nocera, scappato da sotto il carro, ed ora mi vedi in Paradiso.
Così Alfonso consolavasi; ma non fu permanente la sua consolazione. La vita de' giusti non è che una vicenda di consolazione, e travagli. Assistendo al Real Trono i nostri Contraddittori, le replicate accuse, e con tanto fuoco, non potevano non far senso al Marchese Tanucci. Vedendo l'ingarbuglio, ed in chiaro volendo mettere le cose, a 3. Ottobre del medesimo anno, fuori ei diede tre Dispacci. Il primo a Ferdinando di Leon, Fiscale della Giunta degli Abusi, il secondo al Commissario di Campagna D. Biagio Sanseverino, ed il terzo al Duca Turitto, Avvocato Fiscale della Real Camera: tutti è tre col medesimo incarico. Comanda, che fatta l'unione di tutt'i Processi, ed accuse, che nella Camera di S. Chiara, in quella della Sommaria, e che nella Real Delegazione contro de' nostri esistevano, il Fiscale di Leon, unito con altri due, esaminato il tutto, informato avesse col suo parere la Maestà del Sovrano, con rimettersi le carte nella prima Segreteria.
Questa Sovrana determinazione fe senso in tutti; e se incoraggì i contrarj, fu un fulmine che abbattette i nostri. Troppo male si presagiva l'evento. Disgusti in quel tempo, e troppo gravi non mancavano tra la nostra Corte, e quella di Roma; e tutto era confusione, e nel Regno, ed in Roma. Successe contemporaneamente ancora l'espulsione de' Gesuiti. Questo istesso presagir
faceva anche vicina la nostra soppressione. Guadagnato erasi il Fiscale; e già
vantavasi i contrarj superato il tutto, soppressa la Congregazione, ed abolito
il nome de' Missionarj. Per distrutti ci avevano gli avversarj, e per rovinati
stimavansi i nostri. Chiusa, e preoccupata ogn'altra strada, altro appoggio non
si aveva, che la pietà del Principe, e la protezione di Dio.
Tra queste angustie disperandosi degli uomini, con maggior fervore Alfonso ricorse alla protezione di Dio. Oltre l'essersi raccomandato a varj Monasterj di sagre Vergini, abbiamo ai nostri una sua de' quattro Novembre, ed è questa: "Fratelli miei carissimi infervorate le orazioni, perché i contrarj fanno più forza per attaccarci. Io fido alle orazioni, che sono onnipotenti presso Dio: non lasciate di pregare, che se si lascia l'orazione, siamo ruinati. Se preghiamo, e ci portiamo bene con Dio, Dio ci mantiene, se nò certamente saremo distrutti". Mette in veduta in questa lettera, volendo animare i suoi alla Preghiera, il divario che passa tra la Preghiera, e la Meditazione; e quanto sia grande presso Dio il merito della Preghiera. "L'orazione mentale si fa, ei dice, per considerare le massime eterne, e per pregare Dio, che ci ajuti. A secolari l'Orazione serve più per considerare le massime eterne, che per pregare. Ma a voi che state intesi delle massime eterne, e più necessario il pregare. Gesù Cristo dice: Si quid petieritis Patrem in nomine meo dabit vobis. Ed in altro luogo: Si quid petieritis Patrem in nomine meo etc. Onde cercate sempre grazie a Dio in nome di Gesù - Cristo; ed Gesù - Cristo in nome suo. Specialmente cercate sempre l'Amore Divino, e la grazia di esser tutti suoi; e replicate più volte: Dio mio in nome di Gesù - Cristo, fateci tutto suo. E poi aggiungete sempre la preghiera alla Madonna: Mamma mia fateci tutti di Gesù Cristo".
Avendo a cuore veder impresso sempre più ne' popoli un maggior amore verso Gesù - Cristo, con aversi presente la sua Passione, inculca a tutti un atto così fervoroso. "Ora che cominciano le Missioni, non vi scordate sempre nelle Istruzioni, Esercizj, Rosario, Sermoni, ecc. raccomandar sempre, intendo più volte il giorno, l'amore a Gesù - Cristo, e specialmente a Gesù appassionato, e la preghiera di raccomandarci sempre a Gesù, e Maria in ogni tentazione". "Raccomando similmente in Missione la purità d'intenzione, l'ubbidienza, ed abbracciarsi ognuno que' impieghi, ne' quali l'amor proprio non ci trova del suo. State attenti ad offerire a Dio, non solo quelle fatiche, che piacciono, Prediche, Esercizj, ec. ma anche quelle che dispiacciono, e che non vi sia ha del genio, come Dottrina, Rosarj, sentimenti, confessare uomini, infermi, vecchi, ecc. qui sta il merito. Perciò raccomando a tutti una rigorosa ubbidienza, e l'obbligo a tutti i Superiori delle Missioni a darmi notizia di tutti que' Soggetti, che lor facessero qualche disubbidienza notabile. Voglio che il Superiore delle Missioni, sia ubbidito, come sarei ubbidito io, fossi presente". "Questo che impongo per le Missioni, l'impongo ancora per tutti gli esercizj, che si faranno nelle Case, così per li Forestieri che per la Comunità". "Fratelli miei, soggiunse, se ci portiamo bene, Dio ci mantiene, se no, certamente ci distruggerà. A me non tanto dispiace quando alcun Soggetto sta infermo, o pure lascia la Congregazione: dico buon viaggio; ma quando li Fratelli miei fanno difetti, e specialmente di disubbidienza o contro la povertà allora mi sento squarciare il cuore".
Finalmente conchiude. "Benedico tutti uno per uno. Pregate per la persecuzione che passiamo, la quale ora sta in maggior fuoco; ma spero a Gesù Cristo, ed a Mamma Maria, che non ci abbandonino. Preghi ognuno ogni giorno per me, per la morte che mi sta vicina, mentre io non fo altro, che pregare sempre per voi, che vi stimo assai più di tutti i miei Parenti. Siate benedetti, e siano benedette le vostre fatiche, che farete nelle Case, e nelle Missioni".
Ritirato in Congregazione troppo benevolo Alfonso sperimentò in se il Santo Padre Pio VI. Spedendosegli le Bolle della Pensione, memore il Papa de' di lui meriti colla Chiesa, volle che graziosamente se gli mandassero. La grande stima che ha la Santità di nostro Signore di V. S. Illustrissima, e Reverendissima, così l'Eminentissimo Castelli, lo ha mosso a condonarle l'intera spesa dovuta alla componenda, per la spedizione delle Bolle. Tutto è poco, disse il Papa, per Monsignor Liguori. Vi erano oltre ciò scudi cento e cinque, che somministrar egli dovea a Monsignor Rossi suo successore; e che questi ritener dovevaseli nella scadenza del primo termine della Pensione. Anche in questo favorirlo il Papa. Per grazia specialissima di Nostro Signore (così nel primo di Settembre il suo Agente D. Melchiorre Terragnoli) tale somma li è stata condonata. Era così preso per Alfonso il S. Padre Pio VI, che, per dir così, andava in cerca delle occasioni, per contestargli, co' segni di sua beneficenza, l'alta stima, che di lui ne aveva.
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