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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap. 5 Altra opera che Alfonso da alle stampe tra questi tanti dissapori, in beneficio della Chiesa, e delle anime.
Ancorché così oppresso Alfonso nel corpo e nello spirito, sempre però presente a se stesso, come avanzavali spezzone di tempo, impiegarlo non lasciava in salute delle Anime, ed in vantaggio della Religione. Così sereno di mente era egli, anche in questi e così gravi travagli, che sembrava non esser egli contraddetto e la Congregazione, e che altri, e non esso ne fosse interessato. Dati i ripari opportuni, che la prudenza dettava; e fissato avendo in Dio l'ancora della confidenza, comunque ingrossava la tempesta, egli tranquillo nel seno di Dio riposava, e davasi pace.
Terminata l'opera della Vittoria de' Martiri, altra ne intraprese non meno interessante. Non mancando taluni miscredenti, volendo fare gli Spiriti forti, spacciar per favole tante cose della Vita Eterna, come la Risurrezione de' Morti, il Giudizio, l'Inferno, ed altro, contro di questi nel 1776. si armò Alfonso con nove Dissertazioni Teologico - Morali. Egli rileva, colle Scritture, co' PP., e co' Teologi alla mano, le particolari circostanze di ogni Dogma. Tratta del Giudizio particolare , del Purgatorio, dell'Anticristo, specifica i segni della fine del Mondo, individua le circostanze della Risurrezione, e del Giudizio universale. Così tratta dello stato del Mondo dopo il Giudizio, quello de' dannati, e lo stato de' Beati. Ma in quello del Giudizio universale parla de' Bambini morti senza battesimo; essendoci stata persona, che volevoli salvi per la fede de' Parenti. Restringe il tutto in un tometto in lingua Italiana, affinché andato fosse tra le mani di tutti, ed anche capito da' mediocri talenti.
Non finisce ammirare in quest'Opera il Canonico D. Salvatore Ruggiero la pietà e lo zelo di Alfonso sempre più impegnato, in voler istruire, e dirozzare il popolo co' suoi scritti: Summa nunquam satis laudati Episcopi pietas, ac praesertim ferventissimum Christianae plebis constituendae studium, notiora sunt, quam ne monitore indigeant. Non potendo impiegarsi, ei dice, colla voce, perché vecchio, e così mal concio, per l'altrui salute, si sforza farlo comunque può colla penna: Cum per aetatis, adversaeque valetudinis incommoda, voce, ac praesentia proximorum saluti incumbere non possit, scriptis utrumque prospicere contendat.
Per quest'Opera sostenne Alfonso in Napoli qualche contraddizione dal Revisore Ecclesiastico. Parlando egli della Carità verso Dio, nella Dissertazione IX., sosteneva non esservi differenza tra l'amore de' Beati, e quello delle Anime viatrici. Godeva egli di questa sentenza di S. Tommaso,
ed aveva a cuore promuoverla tra fedeli per un maggior conforto alle Anime
buone. Essendosi opposto in questo, sentendola altrimenti il Revisore, Alfonso
non mancò difendersi. Avendo maggiormente assodata la sua opinione con varie autorità di S. Tommaso, soggiunse: "La perfezione sostanziale dell'amore non consiste che nella adesione dell'Anima a Dio: la perfezione poi accidentale sta nell'intenzione, e nella depurazione de' difetti. "Facendo uso però di sua umiltà, per togliere tutti gli equivoci, cambiò quel passo, ed è come già si legge nella medesima Opera. Soggiunge, e dice: Mi pare che posto così, non vi sono più equivoci. Del resto se volessimo indicare tutti gli equivoci, che possono prendersi in mala parte, anche negli Autori più cordati, vi si troverebbero mille proposizioni, che non potrebbero passare".
Altro intoppo si rinvenne nella Dissertazione VI. Entra egli nell'indagine, parlando de' bambini morti senza battesimo, se oltre l'essere esclusi dal Cielo, anche patiranno nel finale Giudizio la pena del senso, e quella del danno. Accenna Alfonso l'opinione di S. Tommaso, cioè che esenti saranno questi dall'una, e dall'altra; l'accenna, e non la convalida, sostenendo l'opposto con S. Agostino. Parlando di S. Tommaso scrive: è di parere; e parlando di S. Agostino scrive: fortemente sostiene. Il Revisore altro che fortemente, voleva che fondatamente si fosse scritto. Questo fu tutto l'incaglio. "Io avea scritto, così egli al Revisore, S. Agostino sostiene fortemente l'opposto, VS. Illustrissima ha mutato, fondatamente lo dimostra. Io non ho voluto difendere la sentenza di S. Tommaso, che perciò semplicemente l'ho buttata senza ragioni, e senza neppure accennare le tante altre autorità de' SS. PP. che la difendono, e tutte le difficoltà opposte per la sentenza di S. Agostino. Il volermi far dire, che S. Agostino dimostra l'opposto, è lo stesso che volermi far impugnare S. Tommaso, e dire, che la sentenza di S. Tommaso evidentemente è falsa; e, per conseguenza, farmi dire una tonda bugia, con dire un sentimento contrario a quello che sento, ma io son pronto prima a perdere la testa, che a dire una bugia". Troppo rispetto aveva Alfonso per la dottrina di S. Tommaso. Soggiunge, e dice: "Ho pregato perciò D. Benedetto Cervone volermi ottenere la moderazione di quella proposizione, fondatamente dimostra; altrimenti si potrà dire, che S. Agostino tiene per certo, e sostiene per ineluttabile la sua opinione. Prego a non volermi obbligare a dire una bugia. Come posso dire, che S. Agostino la dimostra, quando io non posso arrivare a persuadermi, che S. Tommaso tenga una sentenza falsa? Prego, è supplico a non tenermi più angustiato. Si accostano due mesi, che patisco quest'angustia".
Non si arrese il Revisore; e non potendo egli portarsi in Napoli, e vedersela di persona, come ne' suoi primi anni altre volte aveva fatto; né volendo darla per vinta, chiedendo la mediazione del Canonico Simeoli, si rimise al parere di Monsignor Arcivescovo. "Tre volte gli ho scritto, (vuol dire al Revisore) così egli al Simeoli, per la Dottrina di S. Tommaso, che mi contrasta. Torno a dire, che io non voglio aggiustarmi, e dipendere da lui: voglio dipendere dall'Arcivescovo, e farò quello, che l'Arcivescovo mi comanderà. Questa dottrina di S. Tommaso si legge pubblicamente in Napoli nel medesimo Collegio di S. Tommaso, ma il Signor N. dice che non può passare. Basta; io farò quello, che mi comanderà l'Arcivescovo. Impugnar S. Tommaso! Cosa che ha fatto stordire i Domenicani. Bello spirito! "La sentenza di S. Tommaso non può passare! Chi lo dice? La S. Chiesa? La S. Chiesa no, perché la Chiesa venera le dottrine di S. Tommaso. Io voglio dipendere solo dall'Arcivescovo. Se vuole darmi altro Revisore, e se vuol passare la dottrina di S. Tommaso, o non la vuol passare, io farò quello che mi dice, ed avrò pazienza". Con questa delicatezza esaminava Alfonso le autorità de' Dottori: né mai per dir cosa, che non sentivala in coscienza. Finì la briga, prevalendo tra i dotti il suo parere in favor di S. Tommaso.
Un fascio vi sarebbe di queste letterarie discettazioni, che grosso volume farebbe di materie Teologiche, e troppo interessanti per queste controversie. Non curolle Alfonso; ed oggetto sono per noi, e per li dotti di pianto, e di afflizione. Dando fuori quest'opera, anch'esso Alfonso stede per vedersi all'infuori della vita. "Io mi sento malamente, così al P. Cajone, nell'entrata del 1777., che non posso né scrivere, né leggere. Un dolor di capo continuo mi travaglia, ed ho lasciato ogni sorta di applicazione". Congratulandosi con D. Benedetto Cervone, eletto Vescovo dell'Aquila, V. S. Illustrissima è passata, li scrisse, a stato di non poter esser più Revisore delle mie Opere, giusto quando io son passato all'inabilità di poter più stampare.
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