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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.29 Si rilevano varj altri sentimenti di Alfonso tra le sue maggiori angustie; ed altre nuove iniquità del Procuratore a suo danno.
Se la lingua esprime i sensi del cuore, col cuore su le labbra manifestò sempre Alfonso, tra le maggiori angustie, la sua uniformità al divino volere. Grave che fosse il travaglio che soffriva, vedendo scisso l'Istituto, e queste Case di Regno così angustiate, considerandolo come permesso da Dio, e preordinato dal Papa, ne adorava le disposizioni. Compassionando il Padre de Paola l'amarezza che Alfonso provar potea, vedendo scissa la Congregazione, ed egli deposto, non mancò, ottenuto il Presidentato, giustificarsi, e che costretto erasi veduto in dargli questo grave disturbo, perché così comandato dal Papa. Alfonso sentendo amarezza e disturbo per cosa preordinata dal Papa, egli che ne venerava i pensieri, quasi risentito gli rescrisse: "Per grazia di Dio io tengo il cervello giusto; e mi rallegro che V. R. sia fatta Luogotenente. Tutto va bene, e tutto dovete accettare, essendo volontà del Papa". Con indifferenza soffrì specialmente il suo discapito. Essendo stato a visitarlo il Padre Emanuele Caldera Filippino, e seco condolendosi per la sortita divisione, sommo dispiacere dimostrò, tra l'altro, per l'eletto Presidente. Alfonso non ascoltollo che in silenzio, ed aprendo la bocca altro non disse: Che mi hanno levato da Rettore Maggiore a me non preme: basta che non mi hanno levato Gesù Cristo mio, e Mamma mia.
Malignando taluni come ingrati i Soggetti dello Stato, Alfonso anzi che lagnarsi, diminuiva le cose il più che poteva. Ad una Religiosa, che dimostrò voler sapere, se vero fosse lo scisma sortito, rescrisse: "Sì Signora, tra di noi vi è stata qualche cosa di dispiacere, perché alcuni hanno voluto dividersi da noi. Noi preghiamo Dio per essi, ed essi non lasceranno pregare per noi, onde speriamo noi ed essi dar gusto a Dio, e farci santi".
Non consolandosi i nostri per la sortita divisione, Alfonso tutto rassegnato: "Il Papa così ha voluto, lor disse, e tanto ne vuole Iddio. Quelli faranno del bene nello Stato, e voi lo farete qui. Così vanno le cose del mondo, disse in altra occasione: vanno come vuole Iddio. Dio le guida, e chi parla altrimenti, parla allo sproposito. Dobbiamo dire: Iddio così ha voluto".
Il Rettore di Casa avendo rimproverato il Padre Majone, come causa di tanto male, sapendolo Alfonso, gli dispiacque. "Se lo vegga esso con Dio, disse ai nostri. Noi dobbiamo dire, così ha voluto Iddio. Iddio l'ha voluto, perché con questo si sono avute le Case di Foligno, e Gubbio. Se non vi era questo travaglio, non si avrebbero avute queste Case. Iddio ha adombrate queste di Regno per dilatare, e per stabilire la Congregazione nello Stato. Sia glorificato sempre Iddio. La volontà di Dio accomoda tutti cervelli, e tutte le cose storte".
Discorrendosi degli anfratti che anche passavano nelle Case dello Stato il Padre Majone e compagno, Alfonso ripigliò: "Dio gli faccia contenti, e santi tutti e due. Essi stanno più segnati di noi col carbone presso il Papa. Il Papa ha saputo ch'essi sono stati i malfattori. Io non ho gusto del male loro, ma la tempesta è caduta sopra di essi. Dio li faccia santi: se si fossero portati, come Iddio voleva, non si sarebbero inquietati essi, e non ci saressimo inquietati noi. Così ha voluto Dio, così sia fatto".
Ebbe sempre a cuore tra queste vicende che conservata si fosse fra i Soggetti di queste Case, e quei dello Stato il vincolo della carità. Motivi d'irritamento non vi mancavano. Godendosi dai Statisti la grazia del Papa, taluni non parlavano che con disprezzo di queste Case. "Io fatigo qui insinuare a tutt'i compagni lo spirito della carità, così egli al Padre de Paola, e così V. R. faccia lo stesso. Iddio ama quelli che amano la carità". Ferivalo nel vivo qualunque parola che offesa avesse tra di noi e quelli l'unione de' cuori: troncavane il discorso, e prendevane le parti. "Tanti e tanti, disse un giorno, che doveano fare. Il Papa gli ha obbligati a non partire, e per volontà del Papa si trattengono in quelle Case, e fatigano". Altra volta: "Non tutti hanno voluto dividersi da noi. Quanto vi saranno che piangono la divisione. Volontà di Dio per essi e per noi".
Persistendo il Procuratore, ed altri ancora insufflati dal medesimo, nella disunione. "Io confido, disse Alfonso al P. Villani, e profetò, che un giorno quei medesimi che ora si oppongono, questi stessi hanno da cercare essere ammessi in queste Case, ma bisogna fare la volontà di Dio". Ho detto che profetò. Raffreddate le cose, tanti e tanti, detestando il passo dato, con replicate suppliche chiesero il rimpiazzo tra di noi. Due specialmente de' più acerbi sostenitori della divisione protestaronsi voler sedere nell'ultimo luogo. Tale fu il volo a queste Case, che vedendo il Presidente spopolarsi quelle dello Stato, chiese al Papa, se in coscienza permetter poteva un tal passaggio. Fu detto di no. Sanctitas Sua, così con suo Rescritto l'Eminentissimo Zelada, declaravit non licere transitum ad Domos Regni Neapolis, in quibus Congregatio SS. Redemptoris legitime non subsistis. Quest'ultimo Oracolo fu come la feccia del calice, che tranguggiar dovea Alfonso. "Se il Papa stima così, ei disse, anche io così voglio. Benedetta volontà di Dio, che mi rende dolce ogni amaro. Volontà del Papa, Volontà di Dio".
Trattava col
Presidente, come se esso medesimo eletto lo avesse, e quello non fosse che a
sua divozione. Sentendo prosperate quelle Case, e che i nostri favoriti dal
Papa operavano, e s'impiegavano per le Anime, tutto se ne consolava. Qui in Napoli, ed in Sicilia abbiamo avuti molti Soggetti. Tutto sia a gloria di Dio, e con ciò prego Gesù Cristo, che vi benedica tutti con tutte le vostre Case e compagni. Datemi qualche nuova de' vostri avanzi, acciocché ne ringrazj Iddio. Gesù Cristo, e Maria vi benedicano tutti".
In un altra al medesimo de Paola: "Tutti voi di costà non vi scordate raccomandarmi alla Messa per la morte che mi sta vicina. Ognuno di voi io l'ho amato assai. Il Signore ha voluto questa divisione. Sia sempre adorata la sua santissima volontà. Se qualche volta mi potete scrivere per farmi sapere i vostri progressi, l'avrei a caro. Gesù, e Maria benedicano tutti voi: pregateli per me".
Avendogli scritto anche il Padre D. Gaspare Cajone, ragguagliandolo della Missione con sommo frutto fatta in Velletri, applauso del popolo, e compiacimento dell'Eminentissimo Albani; Alfonso godette estremamente delle conversioni accennate, e tale compiacimento ne mostrò, che volle più volte riletta la lettera. "Gesù Cristo mio, esclamò tutto allegro, si faccia la gloria tua, e si facci da chiunque". Così godette della Missione fatta in Frosinone, e della richiesta per cinque Missioni fatta al Presidente dall'Abbate di Montecassino.
Ritrovavansi tra questo tempo ammessi per Novizi in Roma due Tedeschi, cioè Giovanni Clemente Hoffbauer, e Francesco Hibla, tutti e due di Vienna. Vennero questi in tal risoluzione, mossi dall'esemplarità de' nostri, maggiormente, che Istitutore della Congregazione era Monsignor Liguori accreditato in Germania per santità, e dottrina.
Accesi di zelo questi buoni Tedeschi ardevano veder stabilita anche in Vienna una nostra Casa; anzi la tenevano stabilita, togliendo la veemenza del desiderio ogni ostacolo in contrario. Ognuno di noi ridevasi di questa Casa sognata dai Statisti in Germania. Non così Alfonso. Reso inteso de' santi desiderj di questi due Tedeschi ne godette estremamente. "Iddio, disse, non mancherà propagare per mezzo di questi la gloria sua in quelle parti. Mancando i Gesuiti, quei luoghi sono mezzo abbandonati. Le Missioni però sono differenti dalle nostre. Ivi giovano più, perché in mezzo de' Luterani, e Calvinisti, i Catechismi, che le prediche. Prima devesi far dire il Credo, e poi disporsi i popoli a lasciare il peccato. Possono farvi del bene questi buoni Sacerdoti, ma hanno bisogno di maggiori lumi. Io li scriverei, ma Iddio non vuole, che vi abbia ingerenza. Gesù Cristo mio, confondetemi sempre più, e si facci la gloria vostra". Successe in seguito la Fondazione, come altrove dirò, non in Vienna, ma in Warsavia.
Come le Case dello Stato vedevansi fiorire, così queste di Regno vedevansi languire. Alfonso siccome si consolava per la prosperità di quelle, così era in afflizione, vedendosi queste mancanti di Soggetti, e desolate. Rappresentandogli il P. Villani l'impotenza della Casa d'Iliceto a poter sostenere lo Studentato, e che affacciando povertà e miserie il Rettore de' Ciorani, anch'esso era restio a contribuirvi. "Ora tutte le Case se ne cascono a pezzi, sospirando disse Alfonso. Ah Signore, si faccia la volontà tua, e ne venga che ne venga".
Soddisfatto non era il livore del Procuratore, benché umiliato vedesse Alfonso e queste Case. Atti tali, e così amorosi di Alfonso, se intenerivano i macigni, non mollificarono il suo cuore. Volendo maggiormente avvilirlo, chiese al S. Padre Pio VI che con suo particolar Breve individuato avesse quali e quante fossero le vere Case del Redentore che fossero in sua grazia, e che goduto avessero il favore della Santa Sede. Fu compiaciuto, e con
particolar Breve: Datum Romae apud
Sanctum Petrum sub annulo Piscatoris, die decima septima Decembris 1784.,
il Papa dichiarò, togliendo ogni equivoco in contrario, essere membra della
Congregazione del Redentore le sole Case di Benevento, e S. Angiolo; quelle di
Scifelli, e Frosinone; le due di Spello, e Gubbio, e l'altra aperta in Roma
nella Chiesa di S. Giuliano.
Altro con questa dichiarazione ebbe in mira il Procuratore con tal supplica. Rodevagli il cuore, e non trovava pace per la comunicazione delle Grazie, e Privilegj che fin dall'Aprile dell'anno antecedente il Papa accordato aveva ad Alfonso colle Case dello Stato. Volendo intorbidar l'acqua, chiese ed ottenne quanto volle. Sorprendendo il Cardinal de Comitibus, che distender doveva il Breve, presentandogli i Rescritti antecedenti, inserir fece quanto in quelli eravi stabilito a nostro danno, cioè che confermate restavano alle Case dello Stato della S. Sede, e private queste di Regno, perchè refrattarie: Nec esse membra ejusdem Congregationis, et uti ac frui omnibus Privilegiis, Gratiis, et Indultis, ab hac Sancta Sede eidem Congregationi concessis. Credeva il Procuratore isconpigliare di nuovo le Case di Regno con questa Pontificia dichiarazione; né mancò con sue lettere farne partecipi tanti e tanti, facendoci vedere peranche anatematizzati, e come l'abbominio della Sede Apostolica. Meglio riflettendo, e che troppo male inteso si sarebbe dal Papa, se i nostri si fossero risentiti, soffocò il Breve, e non fecene più parola.
Non contento il buon Padre aver così denigrato ed avvilito Alfonso, spacciarlo non mancava per scimunito e mentecatto. Essendosi portato in S. Giuliano Monsignor Ruffo, ora Cardinale, e chiedendo al Procuratore, non sapendo il di più, come ne stasse Monsignor Liguori. "Povero vecchio, ei disse, fa compassione. E' così debilitato di mente che non è più uomo, e quello ch'è più, anche prorompe in isciocchezze. Parlandosi del Papa, e di cosa che interessava la Chiesa, con enfasi si vide ripigliare: Che Papa e Papa, e che Chiesa e Chiesa. In una parola, è così uscito di mente, che non è più uomo".
Anche non mancò
togliersi la gloria di Fondatore. Avendo recitata con lode un giovanetto
Teatino, nipote cugino di Alfonso, non so che Orazione Panegirica, un Prelato
portandosi in S. Giuliano, ed encomiando il Religioso, si congratulava coi
nostri, come nipote del Fondatore. "Quando mai Monsignor Liguori, egli con
enfasi ripigliò, fu nostro Fondatore. Fondatore fu Monsignor Falcoja, e non
esso".
Invanito per le due Case aperte in Gubbio, e Spello, mutò linguaggio. "Monsignor Liguori, è vero, ei diceva, che fondò la Congregazione, ma esso medesimo l'ha distrutta. Fondatore sono io, ed a me, non a Monsignor Liguori, se la Congregazione sussiste, si ha tutta l'obbligazione, perché io l'ho sostenuta, e la sostengo". Altre sciocchezze non mancano, che io tralascio. a
Conobbe, ma troppo tardi, Pio VI di qual carata ei fosse il buon uomo. Anche nella Corte Pontificia, con disturbo del Papa, non mancò intrecciarvi discordia. Conosciutane l'indole, se gli fe sentire di più non avere ardire accostare in palazzo. Conosciuto fu ancora, ne più ebbe lo spirito metter piede nella Congregazione de' Vescovi, e Regolari. Mutando stato l'infelice, non mutò natura. In altri eccessi egli diede non men lagrimevoli; ed altri travagli minacciava all'afflitta Congregazione. Alfonso fin da che lo conobbe istromento dell'inferno, e favorito, ne deplorava il fine. Un gran castigo, disse, un giorno il Padre N. ha d'avere da Dio. Colto l'anno scorso da grave infermità, e non facendone conto, all'improvviso ritrovossi al mondo di là, e nel medesimo giorno che celebravansi tra di noi i Fasti solenni del SS. Redentore. Non volendo sentir Medici, anzi spropositando, lusingavasi di star bene. Ammonito per il Viatico, disse, non esservi necessità; ma sorpreso coll'estrema unzione, in vedersi chiusa la scena, e falliti i disegni, alzando il braccio in alto, calandolo, e forte percotendo colla mano il letto, dando un sospiro, non disse più parola. Così finì di vivere chi tanto bersagliò Alfonso, e causa fu in Congregazione di tanti disturbi, e rancori.
Posizione Originale Nota - Libro IV, Cap. 29, pag. 150
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a Sortita in seguito la morte di Alfonso, vedendosi da Dio glorificato con segni e prodigi, conservando la stizza il Procuratore, e volendolo perseguitare anche morto, non mancò in Roma attraversar la causa in ordine alla di lui Canonizzazione: cosa che inorridir fece il S. P. Pio VI., ma con disprezzo, e con suo maggior vituperio ne venne ributtato |
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