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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO I
    • CAPITOLO 9 Prende Alfonso l'abito Ecclesiastico: sua assistenza nella Parrocchia: e suo fervore nello Spirito.
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CAPITOLO 9

Prende Alfonso l'abito Ecclesiastico: sua assistenza nella Parrocchia: e suo fervore nello Spirito.


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Denudato, che fu Alfonso degli abiti Cavallereschi, non capiva in se per la gioia; ma non furono tali i sentimenti di suo Padre. Questi dopochè l'ebbe presentato all'Eminentissimo Pignatelli, non ebbe


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il cuore di vedere il Figlio vestito da Ecclesiastico. Per un anno iscanzò l'incontro, non volendo vedere  un oggetto, che per esso era causa di ogni amarezza. A capo di questo tempo, avendolo veduto a caso, e di lontano in una delle stanze, diede D. Giuseppe in un urlo, ma troppo amaro, e schiaffeggiandosi gli voltò le spalle, e ritirossi altrove.

Così per un pezzo passarono le cose tra Alfonso, e suo Padre. Non così colla Madre. Questa, perchè Dama di altra virtù, persuasa del volere di Dio, mitigava per quanto poteva la pena del marito, e coadiuvava il figlio in tutte le occasioni.

 

Anche gli amici ebbero a male, e si disgustarono non poco per questa sua risoluzione. Ove prima Alfonso tirava a se colle sue attrattive i cuori di tutti, fatto Ecclesiastico, addivenne la favola di ognuno. Avvocati, e Senatori, che l'amavano, e l'avevano in istima, nol caratterizavano che per un giovane leggiero, e travolto di mente.

In ispezialità non se ne poteva dar pace il Capo-Ruota D. Muzio di Majo, che, come dissi, lo amava con tenerezza di Padre. Essendo Alfonso andato da lui, per non so che, non solo non volle ammetterlo, ma lo fece bruscamente licenziare, come persona, che non meritava tant'onore. Non pensava però così a capo di tempo, quando, colto dalla morte, era per vedersi presentato al Tribunale di Dio. Avendo saputo Alfonso, che D. Muzio stava infermo, e che il suo male era grave, non mancò visitarlo. In vederlo il Capo-Ruota entrare nella sua stanza, aprendo, ed alzando le braccia si pose ad esclamare: Oh D. Alfonso, tu l'hai indovinata: Beato te! hai fatto molto bene. Io ora mi vedo vicino al Tribunale di Dio, e debbo dare stretto conto di quanti ne ho assoluti, e di quanti ne ho condannati: Povero me, e beato te, che hai preso la giusta strada: ho quanto t'invidio in questo punto. Così dicendo, non finiva encomiare la di lui elezione, e condannar la propria, come difficile alla salute, ed in mezzo a tanti pericoli di offendere Dio, e l'Anima.

 

Curioso, e troppo saporito è quello gli accade con D. Domenico Bruno, celebre Avvocato di quel tempo. Aveva avuto Alfonso, assistendo  ne' Tribunali, un grave interesse di casa sua, e suo competitore per la parte avversa era il Bruno. Questi ebbe molto che fare, in sostenersi avanti Alfonso; ma qualunque fossero stati i suoi sforzi, dovette cedere la palma, e darsi per vinto. Avendolo il Bruno incontrato da Prete: Dio vel perdoni D. Alfonso, gli disse scherzando, se avessivo fatto questa mossa tre anni prima; non mi avreste mandato in pazzia, e defraudato il palmario. Se l'abbraccia, se ne congratula, e dimostrasi invidioso dello stato, che eletto si aveva. Erano varj i giudizi, siccome erano varj i rapporti.

 

Tra i tanti, che restavano edificati, vedendosi Alfonso ancor secolare star le più ore estatico, e ginocchioni avanti Gesù Sacramentato,


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vi fu il Sacerdote D. Giuseppe Porpora Canonico, ed indi Parroco in S. Giovanni Maggiore.

Questi frequentando le Quarantore, non finiva saziarsi in vedere un Giovane secolare così innamorato del Divin Sacramento: ne parlava con tutti, e l'encomiava, ma non sapeva chi egli fosse. Vedendolo Prete; ed essendosi accertato essere quello istesso, non finiva di consolarsi; maggiormente per aver saputo i suoi natali, le doti, che possedeva, gli avanzi, che prospera fortuna gli preparava; e la generosità, con cui sacrificato aveva a Dio quanto il mondo gli prometteva.

Il primo in amicizia con Alfonso, da che vestì l'abito Ecclesiastico, fu il Sacerdote D. Giovanni Mazzini, dappoi suo primo compagno nell'Istituto. Invidiando il Porpora la sorte del Mazzini, anelava anch'esso stringersi in amicizia con Alfonso, ma un certo rispetto lo dava in dietro. Un giorno seguendoli, nell'udire che facevano dalle Quarantore, vincendo ogni ripugnanza, e slanciandosi di dietro in mezzo di essi, anch'io, lor disse, voglio essere vostro amico. Abbraccia Alfonso, si congratula con esso, gli augura dal Cielo mille benedizioni, e fe gli dichiara suo amico, e compagno. Furono infatti col Porpora un'Anima in due corpi, ed uniti ogni sera esser dovevano alle Quarantore, l'uno essendo all'altro di sprone nel servizio di Dio.

Fu incardinato Alfonso dall'Eminentissimo Pignatelli, vestendo l'abito Ecclesiastico, nella Parrocchia, che dicesi S. Angelo a Segno. Subito che calò di casa, si presentò al proprio Parroco, esibendo la persona sua in servizio di quella Chiesa. Vedevasi giornalmente servire alle Messe, e ne' giorni di Festa, colla cotta in dosso, fare l'incensiere, ed il ceroferario, ed assistere a tutte le funzioni. Ivia trovava un Paradiso anticipato. La sua divozione, la sua modestia erano tali, che incantavano ognuno, e dove prima chi approvava, e chi no la sua risoluzione, vedendosi così divoto, e così assiduo alla Chiesa di altro non si parlava, che dell'atto generoso, che Alfonso fatto aveva in consacrare a Dio tutte le speranze mondane.

Molto più faceva sensazione in tutti il vederlo in giorno di Domenica, come il minimo de' Chierici, girare il ristretto della Parrocchia, radunare i figliuoli col Crocifisso inalberato cantando canzoncine, portarli in Chiesa, e catechizzarli ne' rudimenti Cristiani, come se stato fosse un vecchio Parrocchiano, non un Avvocato calato di fresco da' Tribunali. Vedevasi indefesso soprattutto il nuovo Candidato ne'tempi, che precedono la Pasqua, per ammaestrare, e rendere abili i figliuoli più capaci alla Santa Comunione.

 

Fu sommamente a cuore ad Alfonso, preso che ebbe lo stato Ecclesiastico, abitarsi in quelle scienze, che sono proprie di un tale stato. Prese per Maestro, così per la Dogmatica, che per la Morale il Canonico D. Giulio Torni, dipoi Vescovo di Arcadiopoli, uomo a niuno il secondo in questa facoltà, come si vede dalle varie opere, che a beneficio


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comune già diede alle stampe.

Professò mai sempre Alfonso per finchè visse una special venerazione verso un uomo così degno, e nelle sue opere Teologiche non altrimenti lo cita, che col distintivo di suo Maestro. Se nello stato di Avvocato frequentava la Casa del Presidente Caravita per sempre più illuminarsi, fatto Ecclesiastico frequentava quelle de' primi Luminari del Clero Napolitano, ove Accademia vi fosse di cose Teologiche; e tra gli altri quella di D. Nicolò Guerriero, uomo molto illuminato e dotto, che fu poi Vescovo di Scala, e Ravello.

 

Mutando stato Alfonso, mutò anche sistema nel vivere. Benchè prima non vivesse, che da moriggerato Cavaliere, addivenuto Ecclesiastico adottò un'altra vita in tutto singolare. Studio, ed orazione, orazione, e Chiesa fu sistema, che stabilì a se medesimo. Sopratutto si diede a crocifiggere di proposito la propria carne, e nel negare a se stesso qualunque sollievo. Cilizj, digiuni, discipline giornali, istrumenti di penitenza, e varj nell'esecuzione, effusione di sangue, tutto pose in opera per calcare quanto più poteva da vicino le vestigie del Crocifisso. L'astinenza del vitto anche fu somma e singolare; ed il Sabato non passavalo che in pane ed acqua in onore di Maria Santissima.

Umile, e dimesso era il suo vestire: non vi fu più in esso aria cavalleresca, non più distintivi di nobiltà, e di onore. Permise sul principio, per contentare suo Padre, che un Lacchè l'avesse seguitato; ma poi se ne discese, e non compariva per Napoli, che come il più misero tra Preti. Non fece più uso di carrozza; ne si avvalse di qualunque signorile arredo, che casa sua poteva prestargli.

Così Alfonso intraprese lo stato Ecclesiastico con vantaggio non poco dell'Anima sua, e con somma edificazione di tutta Napoli.




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