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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO I
    • Cap. 18 Contradizione, e somma angustia, che Alfonso soffrì in Napoli, determinandosi a voler fondare la sua Congregazione.
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Cap. 18

Contradizione, e somma angustia, che Alfonso soffrì in Napoli, determinandosi a voler fondare la sua Congregazione.

 


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Le operazioni della grazia se esser sogliono in pace, ed in tranquillità, anche questa volta in Alfonso furono tra mille agitazioni, ed affanni. La luce interna, che l'assisteva, i consigli altrui, e di uomini così illuminati, che maggiormente l'animavano, erano per esso motivi di confidenza: per l'opposto considerando se stesso, le forze sue, e li pochi talenti, che in se conosceva, erano per lui motivi di angustia, e di affanno. Voleva per dar luogo alla luce, che l'assisteva, eseguire quanto credeva, che Iddio ricercasse dal suo ministero: non voleva,


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e vedevasi agitato credendosi ardimentoso, e temerario.

Così angustiato qual'era, giunto in Napoli si portò subito dal P. D. Tommaso Pagano, aprendogli il cuore, e confidandogli quanto in Scala eragli accaduto. Avendo considerato per più giorni il prudente Direttore un negozio di tanta conseguenza, e così delicato, non esitò dire, che l'Opera era di gloria di Gesù Cristo, e di certo vantaggio delle Anime.

 

Diffidando di se il P. Pagano, e volendo procedere con maggior cautela, volle, che Alfonso avesse preso anche il parere di altri uomini più illuminati. Lo rimise intanto al P. D. Vincenzo Cutica, Superiore della Casa della Missione di S. Vincenzo de Paoli, ed al P. Manulio Gesuita, amendue in quel tempo tenuti in Napoli in somma venerazione. Anche questi furono d'accordo col P. Pagano, che l'Opera era di gloria di Dio, e di certo vantaggio per la Chiesa. Furono tutti e due così persuasi del volere di Dio, che animarono Alfonso a voler eseguire, ma senza perdita di tempo, quanto Iddio esigeva dal suo ministero.

Non contento di questo, chiese anche consiglio Alfonso da altri Religiosi di sperimentata virtù; nè vi fu persona, che conosciuto ci avesse dubbio in contrario. Accertato Alfonso della volontà di Dio, si animò, e prese coraggio; e facendo a Gesù Cristo un sacrificio totale della Città di Napoli, si offerse menar i suoi giorni dentro proquoi, e tugurj, e morire in quelli attorneato da' Villani, e da' Pastori.

 

Non poteva l'Inferno non contradire una opera così santa, ed opposta a' suoi interessi. Uscito fuori il secreto, e vociferato per Napoli un tal disegno, si vide subito in campo contrario Alfonso una tempesta assai fiera. Chi diceva, che era impazzito e stravolto di senno; chi avevalo per infanatichito e visionario; e chi dicea, che gonfio di se stesso, eragli dato in testa il troppo fumo, che da ogni ceto di persone tuttogiorno riscuoteva. Furono di sentimento opposto per primo tutti i Compagni, che con esso convivevano nel Collegio de' Cinesi.

Ritrovavasi il P. Ripa in Roma, ed avendo inteso, ripatriato che fu in Napoli, una tal novità, spina gli fu questa, che gli trafisse il cuore; maggiormente, perchè sopra di lui, come sù ferma base, poggiar credeva l'edificio tutto di sua nuova Congregazione. Non potendolo dissuadere, e credendolo travolto di mente, non mancava rimproverargli in pubblico, ed in privato le stravanze così credute. Con questo si univano ancora i continuati rimbrocci degli altri compagni, e chi mottegiavalo per un verso, e chi deridevalo per un altro.

 

Fatta anche nota la visione della Monaca, credevasi da tutti, ma s'ingannava ognuno, che sopra di quella si facesse da Alfonso tutto l'appoggio. Con questo supposto maggiormente incalzarono i dolori, e chiaramente avevasi da tutti per illuso.

Nel tempo istesso si mossero contro di Lui anche i Fratelli tutti della rispettabile Congregazione di Propaganda.


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Di questi più, che ogn'altro, sotto colorito pretesto, servissi il Demonio per attraversar l'Opera, e rendere Alfonso disanimato, e vinto. Avendo a sommo scorno questi illustri Congregati, che si desse in tali ciampanelle da un Fratello così illuminato, e che da tutti stimavasi il miglior membro della loro Adunanza, maggiormente se gli accanirono.

 

Venivano stimati in quel tempo, come due luminari in tutta Napoli, il Canonico D. Giulio Torni, ch'era attuale Superiore della Congregazione, ed il Canonico D. Matteo Gizzio Rettore del Seminario, e Zio di Alfonso.

Non vi fu contradizione più amara, nè più violenta di quella, che Alfonso soffrir dovette da questi due sì degni Soggetti: soprattutto dal Zio, avendo questi maggior autorità sopra di lui. Opponevasi il Canonico Torni, credendolo di certo stravolto di capo, e, quello ch'è più, da una donnicciuola. Perchè amavalo, più che figlio, avendogli fatto da Maestro nelle dottrine Dogmatiche, e morali, rincrescevagli vederlo perduto, e reso inutile per la gloria di Dio, e per lo bene delle Anime.

Non potevasi dar pace il Canonico Gizzio, nè sapeva persuadersi, come un uomo di tanto senno dovevasi veder perduto tra visioni, ed inezie. Più volte tutti e due tentarono distoglierlo da tal'impresa. Saldo Alfonso nel suo proponimento, se ossequiava il Zio, e rispettava il Maestro, non smuovevasi bensì dal sentimento del suo Direttore.

Questa sua costanza, perchè troppo l'amavano, non poteva non affliggere Soggetti così  rispettabili. Non giovando le persuasive, si venne a riprenzioni e rampogne. Non è Iddio che vi guida, irato li disse un giorno il Canonico Gizzio, ma la fantasia di una Monaca, che non credete, e tener dovete per illusa: Io non mi regolo colle visioni, rispose umilmente Alfonso, ma col Vangelo.

Mi disse D. Silvestro Catone Gentiluomo di Vietri, e Missionario Napoletano, che trovandosi un giorno nella camera del Canonico Gizzio, questi dillegiandolo gli disse: che pensieri disperati sono questi; ed Alfonso, chi confida in Dio, Signor Zio, può tutto, e spera tutto. Un altro giorno, e vi erano presenti varii Canonici, essendosi reso ristucco il Canonico Gizzio di più vederlo così ostinato, non mancò sgridarlo avanti a tutti, e chiamarlo senza cervello, Uomo di propria intenzione, ed adoratore di se medesimo.

Anche questo è poco. Essendo entrato una mattina Alfonso nella Sacristia dell'Arcivescovato, o per dir Messa, o per altro, persone di somma autorità non esitarono fargli in pubblico, alla presenza di persone anche rispettabili, una tiritera di rimprocci. Tra l'altro che dovevasi far scorno di sua presunzione, ed ostentare nella Chiesa fondazioni, e nuovi Istituti. Ammutolì Alfonso, si umiliò in se stesso, e col capo chino non ebbe il coraggio di proferir parola in sua discolpa.

 

Regolavasi nello spirito il Canonico Gizzio, e dipendeva in tutto


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dal Ven. P. Fra Ludovico Fiorillo, uomo santo, Maestro Domenicano, e zelante Missionario. Vedendo la persistenza di Alfonso, e non potendoci essere di sopra, perchè, gli disse un giorno, non regolarvi per questo che avete in mente col P. Fiorillo; anzi vi consiglio a prendervelo per Direttore. Io non mi regolo di capo mio, rispose Alfonso, ma dipendo in tutto dal P. Pagano. Sentendo questo, tacque il Canonico. Essendosi Alfonso portato dal P. Pagano, li fe presente quanto col Gizzio eragli accaduto: Io anche l'approvo, disse il P. Pagano, se dice il P. Fiorillo, che Iddio vuole quest'Opera, la voglio anch'io: se dice di no, no dico anch'io.

 

Non ancora si conoscevano di persona Alfonso, ed il P. Fiorillo, benchè tutti e due si stimassero, e si sapessero per fama. Un giorno essendosi incontrati in camera del Canonico Gizzio, chiese il P. Fiorlillo ad Alfonso chi egli fosse; sentendo Alfonso Liguori, con volto a riso, profetizando, li disse, Iddio non è contento di Voi, vi vuole tutto suo; e vuole altre cose da Voi. Quest'incontro, benchè casuale, fu troppo fortunato per Alfonso.

Sentendo così parlare il P. Fiorillo respirò, e s'intese nel cuore, com'ei diceva, una sensibile consolazione. Fattosi animo in segreto gli disse, che aveva premura di abboccarsi con esso, ma voleva l'ora ed il giorno per andarlo a trovare. Convenuto in questo col P. Fiorillo, non mancava Alfonso macerarsi innanzi a Dio, e pregare il Padre de' lumi a volergli far conoscere, per mezzo di quel santuomo il suo santo volere, e quello che più era espediente per se stesso, e per lo bene delle Anime.

 

Contemporaneamente si adoprò Alfonso in far porgere a Dio da varie Anime sante, in varj luoghi, delle fervide preghiere. Si raccomandò in ispezialità alle Religiose del Monistero di Scala. Queste, tra le altre, si posero in una quasi continua orazione. Ogni giorno vi era una mezz'ora di disciplina in comune: continue erano le astinenze, e i digiuni: chi cingevasi di catenette di ferro, e chi usava altra penitenza, e tutte vedevansi impegnate per ottenere da Dio ai Direttori di Alfonso quella luce, che si desiderava.

 

Fra questo tempo abbiamo un caso, che sorprende. Alcune Monache, così capacitate da alcuni Preti, anche non credevano, che quest'opera della Congregazione si volesse da Dio. Discorrendosi colla Serva di Dio, che ricevuto aveva la rivelazione, e raccontandosi quello, che da' Preti si asseriva, una di queste soggiunse, che anch'essa ne dubitava. Ma la Serva di Dio, quasi trasformata e tutta accesa, l'Opera è di Dio, disse, e lo vedrete cogli effetti. Lo crederò, soggiunse la Monaca, quando Suor Maria Maddalena si vede sana, (era questa Suor Maria Maddalena Pandolfi resa pazza da molti anni). Non ancora erasi questo proferito, che la pazza si vide in retto sentimento.

Tanto operava Iddio; ma non per questo si dava per vinto il Demonio, e desisteva l'Inferno dalle sue aperte contraddizioni.




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