Cap.1
CARATTERE DI S. ALFONSO.
Lo
Spirito del Signore uno nella sostanza, molteplice nei doni e nelle operazioni,
unicus et multiplex,a diversamente guida le anime predestinate
a far luminosa comparsa sul teatro della religione. Siccome vari sono i
ministeri nella Chiesa di Dio diretti alla santificazione delle genti, e non
ogni santo vien da Dio chiamato a sostenerli tutti; così per ognuno ha
determinati i doni propri al conseguimento del fine preinteso dalla sua divina
sapienza. Oltreché l'indole negli uomini essendo diversa quasi del pari che il
volto, la grazia si adatta, giusta il linguaggio delle scuole, alle varie
inclinazioni, ed imprime in essi, prevenendo ed accompagnando le loro
operazioni, quegl'impulsi, che si convengono a ciascuno. Dal che consegue, che
fia d'uopo riconoscere nei santi medesimi un diverso carattere, e fia d'uopo
altresì ben ravvisarlo per giudicare della grandezza del loro spirito, delle loro
eccellenti qualità. Alfonso chiamato da Dio a molteplici e sublimi ministeri,
fu arricchito dallo spirito del Signore dei differenti doni propri
all'esercizio di ciascuno di essi: al che aggiungendosi il proprio suo
temperamento, otterremo un'idea esatta del carattere di questo santo, e
giudicheremo sanamente dell' intensità e del merito di sue virtù.
Qual
fosse l'indole di Alfonso, ce lo attestano tutti gli scrittori della sua vita.
Dotato dall'autor della natura di un - 2 -
temperamento vivace, sanguigno e collerico, mentre era naturalmente propenso
alla compassione e bontà di cuore, era in pari tempo inclinato alle opere
sublimi con prontezza, energia, e costanza. Da ciò derivava, che, preso una
volta il suo partito, mantenevasi fermo ed immobile come uno scoglio in mezzo
alle onde: ma non determinavasi giammai ad alcuna risoluzione senza la maturità
dello esame, e senza pria consultare il volere del cielo con assoggettarsi
umilmente al parere di savi direttori, e con lo spargere al cospetto dell'Altissimo
incessanti preghiere.
Quindi
le opere da lui intraprese andarono felicemente a termine, senza ch'egli punto
si sgomentasse per le opposizioni che in gran numero riceveva dagli uomini. Or questo
carattere osservasi mirabilmente in tutte le azioni di sua vita: carattere
dolce, compassionevole, mansueto, affettuoso, ma costante del pari, e fermo a
tutte le prove: Spiritus benignus, stabilis, securus.b
Una
prova luminosa di questo suo carattere l'abbiamo nella grande missione, che la
Provvidenza gli affidò, e che egli con ammirabile fedeltà ed universale
edificazione compì nel secolo scorso. Spuntava il secolo XVIII, in mezzo alle
famose controversie sostenute dalla Chiesa per gli errori di Giansenio, e suoi
seguaci. Le rovinose ereticali teorie del progetto di Borgofontana formulate in
cinque proposizioni dal vescovo d'Ipri avevano provocati i fulmini del
Vaticano, ed esercitata la penna de' più valenti teologi.
Ma
come avviene, allorquando si sparge il veleno nella massa del sangue, benché si
procuri dissiparlo interamente con opportuni rimedii, ne rimangono tuttavia per
lunga stagione gli effetti funesti, che fan risentire il male incorso; così il
veleno sparso nel corpo della Chiesa dalla eresia di Giansenio non poté
interamente dissiparsi dalla vigilanza del supremo Gerarca, sicché il malefico
influsso della Francia non si tramandasse nelle altre parti del mondo
cattolico, e molti spiriti non ne restassero alquanto infettati. Anche il bel
cielo - 3 -
d'Italia fu
annebbiato da sì neri vapori, e la Chiesa pianse su non pochi suoi figli
assaliti dal pestilente contagio sotto il velo apparente di una morale severa.
Alfonso
infatti scriveva ad un suo corrispondente nei seguenti termini: «Io nulla
conosco di più nocivo per le anime e per la Chiesa, quanto l'errore mascherato
sotto un apparente rigore di perfezione evangelica. I giansenisti sono anche
più pericolosi di Lutero e di Calvino, perché sono meno allo scoperto. Tieniti
in guardia contro Antonio Arnaud; egli è un uomo che traffica santità, ed il
quale a forza di esagerare la grande purità e perfezione, con che bisogna
accostarsi alla comunione, non ha altro scopo, se non quello di allontanare i
fedeli da quel sacramento, unico conforto alla nostra debolezza». Ed in
un'altra lettera si esprime così: «L'intenzione dei giansenisti si è quella di
abbattere la Chiesa di Gesù Cristo».
Ma
non si limitò qui il danno gravissimo cagionato alla religione dal giansenismo.
Poiché si attaccò di fronte eziandio il primato d'onore e di giurisdizione del
vicario di Cristo; ed i seguaci di Simone Vigor, e di Sancirano, conforme
all'empio divisamento dei loro corifei, sforzandosi di sciogliere il vincolo di
subordinazione e di ubbidienza, che unisce le pecorelle dell'ovile di Cristo al
supremo pastore, non che il legame di rispetto e di soggezione dei sudditi col
legittimo loro principe, ne surse una filosofia sovvertitrice di ogni dovere,
attribuendo alla ragione il primato sulla fede.
Di
qui il libertinaggio più sfrenato, devastatore della morale evangelica; di qui
il dispregio delle funzioni più sacre della religione; di qui il dileggiamento
delle pratiche più divote di pietà, quali invenzioni dei preti e frati, per
fare mercato, e per illudere le anime semplici; di qui l'indifferentismo
religioso; di qui una colluvie di libri pestiferi; di qui il deismo, il
panteismo, il materialismo... Ma la Provvidenza, che veglia sempre alla
conservazione di ciò che tende al conseguimento del fine ultimo dell'uomo; ma
il sommo pastore delle anime, che custodisce gelosamente dai - 4 -
lupi rapaci l'ovile della
sua Chiesa, non mancò suscitare dei geni sublimi, i quali e con la vece, e con
la penna, e con l'esempio difesero e sostennero la veracità del dogma e la
santità della morale cristiana contro le impugnazioni di tanti spiriti
tenebrosi, quanti ne apparvero sulla scena del mondo settatori del giansenismo
nel secolo scorso.
E
questa Provvidenza suprema fra gli altri, anzi lo dirò senza esitazione, fra tutti
prescelse Alfonso, e gli comunicò la missione di opporsi fervidamente ed
efficacemente a questi mali, col piantare le solide basi della pietà cristiana
sulle massime inconcusse del vangelo. Egli è desso Alfonso Maria de Liguori, la
cui santità incomparabile, il cui zelo ardentissimo per l'onor di Dio e della
religione, il cui attaccamento insuperabile alla suprema cattedra di s. Pietro,
le cui dottrine pure e spiranti celeste unzione, la cui vita di diciotto lustri
consumata nell'evangelizzare i popoli e nel dirigere le coscienze, la cui
sapienza nel dettare libri ripieni di massime fomentatrici di pietà e
debellatrici degli errori dominanti del suo secolo, la cui morale finalmente
basata sui principii della morale evangelica, ne formarono una colonna sostenitrice
della Casa di Dio nel secolo XVIII, un baluardo contro i nemici dell'altare e
del trono, un apostolo inviato dalla divina bontà a conservare ed ingrandire le
conquiste del Salvatore.
Alfonso
dunque è un luminare nel firmamento della cattolica Chiesa, destinato a
proseguire la missione, ch'ebbero dal Signore nei secoli precedenti altri
cospicui eroi prescelti a risplendere nel santuario, per mantenervi la luce
delle dottrine e dei costumi evangelici, secondo quel che di lui proclamò il
sommo pontefice Pio VIII: Beati viri
nomen tum praeclaris gestis, tum voluminibus pietate ac doctrina refertis
ubique gentium diffusum.
Intanto
si osserva, come Alfonso nel compiere questa difficile ed importante missione
sviluppa il suo genio sublime, e quel carattere suo proprio di tenera
compassione e d'irremovibile fortezza. La sua vita privata e pubblica
accompagnata dall'esercizio delle più esimie virtù; la sua vita apostolica ed - 5 -
episcopale rifulgente del
più fervido zelo, e coronata dai più felici risultamenti, altro non manifestano
che questo suo carattere.
Difatti
Alfonso riceve avviso dal cielo per l'organo di suor Maria Celeste, religiosa
del Ss. Salvatore nel monastero di Scala, che Dio lo ha prescelto a fondare una
Congregazione di operai evangelici specialmente addetti alla istruzione della
gente rurale: e benché egli sperimenti nel suo interno un impulso gagliardo ad
eseguire quanto venivagli suggerito da quella religiosa, perché vedeva tante
anime prive di spirituali soccorsi, disperse e sperperate su i monti di Amalfi,
ed in tante altre parti di questo reame; pur tuttavia quale accorto e prudente
operaio del Signore non vi si determina, potendo quella o essere illusa, ovvero
parlargli per impulso d'orgoglio, ma conferisce da prima con Dio la grande
opera, mercé le fervide e prolungate sue orazioni, indi raddoppia le sue
astinenze, moltiplica ed accresce le sue austerità, affin di muovere il cuor di
Dio ad illuminarlo sulla propria vocazione.
Né
di ciò ancor pago, rivela il tutto al suo insigne direttore monsignor Falcoia
vescovo di Castellammare, abbandonandosi come un bambino nelle sue braccia.
Ancora di più: prende consiglio da altri dotti e santi uomini del suo tempo, e
specialmente dal servo di Dio p. Fiorillo domenicano, il quale vivea a quei dì
in Napoli con gran riputazione di santità; e dopo di essere stato assicurato da
personaggi così insigni per virtù e sapere, che il cielo solennemente da lui
voleva sì nobile impresa, con coraggio la intraprende, sicuro di non
ingannarsi, e di compiere soltanto i divini voleri: così di fatti egli stesso
scriveva alla medesima religiosa: "Sappiate una volta per sempre, sorella
mia, che io son venuto all'Istituto non per esser capo, o direttore, o per
precedere in alcuna cosa, né per piacere agli uomini; ma sono venuto solo per
ubbidire a Dio, e spero di non lasciare mai per quanti ostacoli, o lusinghe mi
diano gli uomini; e sappiate, che in ciò non seguito le vostre rivelazioni,
come vi ho scritto dal principio, ma seguito solo la via ordinaria e - 6 -
sicura della santa
ubbidienza dei miei padri spirituali, come sapete, alla quale sta promessa da
Gesù Cristo quella sicurezza di accertare la volontà di Dio, che non sta
promessa a tutte le rivelazioni del mondo, come dicono tutti i maestri di
spirito, e specialmente s. Teresa nel capo X delle fondazioni " (Lett.
ined.).
Alfonso
getta le fondamenta del suo istituto, ed a lui si aggregano in sul principio
non pochi operai, attirati dall'odore di sue virtù, ed innamorati della
grand'opera ch'egli stabiliva. Fra gli altri il padre Mandarini ed il dottor
Tosques si dichiarano suoi seguaci. Ma nel deliberarsi la forma della nuova
Congregazione, il Mandarini sostiene, che debba adottarsi eziandio l'istruzione
letteraria della gioventù, ed il Tosques pretende una foggia di vestire alla
Nazarena. Resiste Alfonso ad entrambi con ragioni convincenti, ma non ottiene
l'intento di persuaderli, che anzi l'abbandonano con tutti gli altri compagni
già sedotti, fuorché un sol sacerdote a nome D. Giovanni Mazzini, ed un solo
fratello serviente a nome Vito Curzio.
Ecco
il nostro santo solo e derelitto, addivenuto la favola del volgo, il bersaglio
de' più acri sarcasmi, dei più pungenti rimproveri, e quasi ciò fosse poco,
proposto benanche dai pulpiti, qual esempio del divino castigo ai presuntuosi,
che si fan guidare da una monaca illusa, e vogliono erigersi in fondatori di
nuovi Ordini religiosi. Qual uomo di lui men forte, e meno in Dio confidente
non sarebbesi restato dal proseguire l'opera intrapresa?
Ma
Alfonso ha conosciuto chiaramente il volere di Dio nelle parole del suo
direttore Monsignor Falcoia: Andate, non
temete di nulla: la Congregazione non è opera vostra, ma di Dio, e Dio la
benedirà; per lo che prosegue l'incominciata carriera senza punto sgomentarsi,
e la sua Congregazione in breve si moltiplica, si propaga, e nel suo incremento
confonde, e rende mutoli tutti gli avversarii. Quante fiate non cercò di poi il
Mandarini di riunirsi ad Alfonso! Quante promesse non gli fece! Quante proteste
non gli umiliò! Giunse fino ad interporvi l'autorità di cospicui personaggi, e
del monarca stesso: - 7 -
ma
tutto indarno. Fermo il santo nel suo sicuro divisamento, che le antiche idee
non si cancellano mai del tutto, e che chi ha professato altro Istituto, difficilmente
si adatta a regole diverse, tenace nel suo savio proposito, e negativo ad ogni
domanda, dichiara al mondo, che non gli umani riguardi o le terrene vedute, ma
bensì lo spirito di Dio lo guidava nei passi suoi: Spiritus stabilis, securus.
Alfonso
grande ed instancabile operaio nella vigna del Signore, zelante della salvezza
delle anime proporzionatamente all'amor divino, che lo brucia e lo consuma,
vede con suo sommo rammarico spacciarsi massime di rigidezza da alcuni falsi
zelanti, opposte totalmente alla carità di Gesù Cristo.
"Siamo
in tempi", sono queste le sue parole, "siamo in tempi, che la legge
di Gesù Cristo si dipinge rigorosissima e tormentosa, ma si sbaglia: mettere in
disperazione i peccatori, spaventarli, condannarli all'inferno, non è che dei
moderni novatori, che vogliono distruggere la legge di Gesù Cristo, e tirare la
gente al materialismo, o a l'ateismo pratico: se il peccatore vede disperato il
caso suo, disprezza legge, fede, eternità, e Dio".c
Compassionando
perciò il danno, che cagionavasi a tante anime redente dal sangue prezioso di
un Dio, si applica a comporre la sua morale Teologia, opera che gli costa il
travaglio di due lustri. Fornito qual era di acuto e vivido ingegno, quasi
tutti percorre ed esamina i più accreditati maestri di sana dottrina, e
poggiato sul lume della ragione, dell'autorità, e della lunga esperienza del
suo ministero, facendo tacere ogni pregiudizio di parte, paragona fra loro le
diverse opinioni, assegna a ciascuna quel peso, che le conviene, appiana le
discrepanze dei teologi, tempra il soverchio rigore, scansa la rovinosa
rilassatezza, e porge conforto e speranza ai peccatori, loro agevolando con
mezzi soavi ed efficaci la via al ravvedimento. Quindi nel contrasto delle
opinioni e delle sentenze non dannate dalla Chiesa, mentre lascia libertà - 8 -
all'intelletto di seguire
qual più gli aggrada, si protesta con le espressioni del Crisostomo, ch'egli è
collocato vicario dell'amore di Gesù Cristo coi peccatori: ed attenendosi in
ogni suo giudizio mai sempre al retto, dichiara, che quando pure avvenga di
dovere travalicare i confini, sia meglio eccedere nella misericordia, che nel
rigore.
Né
già difforme dai suoi insegnamenti era il suo operare; mentre nel lungo corso
del suo apostolato tale si appalesò tenero e giusto coi peccatori, che non
allontanò giammai alcuno da sé, ispirando in tutti il fervore della penitenza e
l'amore a Gesù Cristo, e correva per la bocca di ognuno questo adagio: Se vi ha gran peccatore, che disperi della
salute, vada a D. Alfonso Liguori. Egli medesimo era solito dire ai
compagni delle sue missioni: Se vi si
presenta alcun peccatore, che a guisa di mostro vi spaventi, mandatelo da me,
che io lo porterò a Gesù Cristo mercé la sua graziad
In
conformità di questi suoi principii era vigilantissimo, che i suoi compagni
nella scelta delle opinioni morali evitassero il rigorismo, come quello che
allontana le anime dal sacramento della penitenza, ed in conseguenza da Dio; ed
avrebbe voluto, che tutti i ministri del Signore nel dirigere le coscienze
fossero animati da questo suo spirito.
Non
v'ha dubbio tuttavia, che la sua Teologia morale, appena uscì alla luce, mal fu
appresa a quei dì da molti rispettabili dottori in legge; e benché Alfonso
l'avesse dedicata all'immortale Benedetto XIV, da cui fu grandemente encomiata,
pure si scagliarono ben molti contro il suo sistema, proclamandolo quale un
lassismo rovinoso per le coscienze. Pubbliche confutazioni, lettere ricolme
d'insulti e di sarcasmi, opposizioni nelle scuole, tutto si pose in opera
dall'infernal nemico per discreditare quest'opera. Infra tutti si distinse il
P. Patuzzi domenicano, il quale non cessò giammai d'inveire contro Alfonso e
con la voce e con la penna. Ma basta scorrere anche - 9 -
di volo le risposte e le dissertazioni del nostro
santo, per vedere in lui effigiata la mansuetudine e la carità del Salvatore, e
convincersi che Alfonso, nello scrivere la sua Morale, fu guidato dallo spirito
del Signore per ammaestrare i moderatori delle coscienze, e dirigerli nel
promuovere la salute delle anime redente dal sangue di Gesù Cristo. In tal
guisa mentre colla sua piacevolezza e costanza chiuse la bocca ai suoi
contraddittori, con la sua sana dottrina tutto innaffiò di rugiada celeste il
gran campo della Chiesa.
Or
questo carattere di soavità e di fortezza spicca mirabilmente in tutte le altre
operazioni e disimpegni di questo santo; poiché la grazia della sua vocazione
accomodossi al suo temperamento, a guisa della luce, che percuotendo sul fiore
lo fa brillare di tutti quei svariati colori, che esso rimbalza: quindi rigido
mostravasi coll'ostinato, pietoso col convertito, dolce coll'afflitto,
manieroso col tribolato; e se da vescovo, a somiglianza del buon pastore, si
vide andare in traccia della smarrita pecorella, ansante, trafelato dal sudore,
e privarsi del cibo e del sonno, finché non l'avesse ricondotta all'ovile,
videsi da missionario circondato dai miseri, dai languenti, dai pentiti, i
quali in lui ritrovavano il loro sovvenitore, il loro consolatore, il loro
padre.
Questo
medesimo carattere accompagnò il santo nel governo di sua Congregazione. Tenero
amante de' suoi congregati assai più che ogni padre terreno lo possa essere dei
suoi propri figli, Alfonso non risparmiava disagi, fatiche, e spese sia per
erudirli, sia per dirigerli, sia per consolarli, sia per conservare in essi la
sanità. Giunse fino a prescrivere, che si vendessero i vasi sacri per sollevare
gl'infermi, quando mancasse altro mezzo. Ma nel tempo stesso non vi fu giammai
legislatore alcuno più di lui vigilante, e rigido esattore dell'osservanza
delle regole del suo Istituto. Non finiva mai di scrivere lettere alle varie
case per inculcare l'esattezza dell'osservanza regolare, e la pratica delle
virtù proprie di chi a Dio si consacra nel vivere apostolico e religioso; né
trascurava di punire severamente i - 10 -
trasgressori per ogni leggiero difetto, per impedire, com'ei dicea, che si
aprisse la via al rilassamento. E siccome abbracciava con tenerezza di padre
chiunque ravvedutosi delle sue mancanze promettevagli sincera emendazione; così
fu sempre inesorabile nel mandar via dall'Istituto chi era recidivo in esse: le
molte lettere del nostro santo, che conservansi tuttora, o nel proprio
originale, ovvero stampate, ci palesano questa sua condotta.
Questo
medesimo carattere lo rese così attraente sul pergamo nell'annunziarvi la
divina parola, che gli fece riportare frutto abbondevole di conversioni
strepitose. Mentre il suo dire era semplice, non mancava di essere robusto di
sode ragioni, tratte per lo più dalla scrittura e dai padri della Chiesa; e
perciò rendevasi piacevole al dotto e all'ignorante.
Ed
aggiungendosi a ciò il fervore del suo zelo, che lo infiammava contro il vizio,
ne avveniva, che i peccatori più inveterati non poteano resistere all'efficacia
di sua parola, e davansi per vinti, e si compungevano. Le sue prediche
tornavano quasi sempre sopra le verità eterne, e sì vivamente dipingeva in esse
i severi castighi di Dio contro gli ostinati, che le sue parole erano strali
infocati atti a ferire non meno i peccatori, che i giusti, quelli traendo dallo
stato di dannazione alla vita di grazia, questi infiammando ad un vivere più
fervido e santo. Ma un frutto sì copioso lo ritraeva Alfonso, perché lungi
dall'atterrire solamente la sua udienza con le severe minacce dei divini
castighi, non appena vedeva il popolo compunto e piangente, gl'infondeva tali
motivi, e così teneri di confidenza nella divina misericordia, e
nell'intercessione di Maria santissima, che i cuori di tutti liquefacevansi in
lagrime di sincera contrizione.
Questo
carattere di Alfonso grandeggia finalmente in tutti i suoi libri. Oh ! che in
essi il santo dipinge sé medesimo al vivo, e palesa al mondo, qual egli fu,
l'eroe inviato dal cielo per piantarvi la soda pietà sulle rovine del
giansenismo! Chiunque legge le sue opere, non può non sentirsi soavemente
sospinto ad amare Dio, ed a procurare la propria salvezza: tanta è - 11 -
l'unzione del suo dire, e
tanta la forza, con cui s'introduce nel cuore umano.
Tale
fu il carattere di Alfonso, che lo rese non solo il modello della santità
evangelica, ma eziandio il più bell'ornamento dell'apostolato cattolico; il che
sempre più si renderà chiaro con la narrazione delle sue virtù.
E
poiché il nostro santo era comunemente appellato in sua vita un altro s.
Francesco di Sales, stimo esser molto a proposito di far osservare ai lettori
la perfetta somiglianza ed analogia, che passò nella vita, nelle virtù, e nelle
gesta di questi due insigni eroi della nostra santa religione, onde compiuto
sia il carattere di Alfonso.
Ambedue
questi santi sortirono i loro natali da illustre, antica, e nobile famiglia;
ambedue furono primogeniti, ed ambedue rinunziarono coraggiosi la loro primogenitura
per seguire la divina vocazione, e consacrarsi al Signore nel santuario.
Dotati
entrambi di raro perspicace ingegno fecero grandi progressi nella scienza, e se
il primo per obbedire al genitore recossi a Padova per istudiare in
quell'università le leggi civili e canoniche, il secondo si dedicò al medesimo
studio in Napoli sua patria, con istraordinario profitto ed applauso: ma l'uno
e l'altro serbarono intatta la stola dell'innocenza battesimale, ed in mezzo a
tante seduzioni, con cui il mondo assalisce la nobile gioventù, furono sempre
il modello delle virtù cristiane ai giovani loro pari, e meritaronsi gli
applausi e l'ammirazione di tutti.
Perciò
se il Sales dimorando in Padova, il P. Passerino della Compagnia di Gesù gli
profetizzò il vescovado, e le fatiche, che sostenuto avrebbe con gran profitto
nella conversione degli eretici, Alfonso riceve ancor bambino un simile
prognostico da un santo della compagnia medesima Francesco di Geronimo, che
saria stato vescovo, ed operato avrebbe grandi cose per la Chiesa di Dio.
Quindi non fia maraviglia, che l'uno e l'altro, benché con grande ritrosia dei
propri genitori, abbiano rinunziato alle nozze e speranze terrene per
ascriversi alla milizia ecclesiastica nel fiore di loro gioventù. La vocazione di
Dio compier si dovea su questi due - 12 -
luminari della religione. Eccoli pertanto ugualmente zelanti operai nella vigna
del Signore. Francesco di Sales travagliò da prima alla conversione del
Chablais, e poi tutto si applicò alla cultura delle anime non solo nella
diocesi d'Anneci, ma nelle più cospicue città della Francia, facendosi tutto a
tutti, e tutti traendo a Gesù con la sua mansuetudine, col suo zelo, con
l'orazione, con l'umiltà.
Del
pari il nostro Alfonso si dedicò interamente alla conversione delle anime pria
nella città di Napoli, e di poi per tutte le città e villaggi di questo regno
con tutto il fervore e la pazienza di un apostolo del vangelo. Il Sales accettò
il vescovado per formale precetto di obbedienza; ma s'infermò gravemente al
riflesso del gran peso, che gli si addossava.
Lo
stesso avvenne ad Alfonso, il quale benché ubbidisse al comando del papa, pure
fu tale lo sforzo, che si ridusse agli estremi di sua vita. Perciò furono
entrambi conosciuti quali vescovi della primitiva Chiesa, in cui lo zelo del
divino onore, e della santificazione del gregge loro affidato occupò
interamente i loro giorni, ripieni tutti di opere vantaggiose alle proprie
diocesi non solo, ma alla Chiesa universale. Difatti se Francesco di Sales
fondò tante opere pie, ed è riputato altresì il fondatore delle figlie della
Visitazione; Alfonso oltre la Congregazione dei missionari, fu ancora il
fondatore del monastero delle religiose del santissimo Redentore in sant'Agata
dei Goti.
E
qui parlando in succinto delle grandi virtù di questi due vescovi, il Sales
governò la sua diocesi con somma sollecitudine, la visitò sovente sormontando
talora a piedi gli aspri monti della Savoia, e tutti ricopiò in sé medesimo i
caratteri, che l'apostolo s. Paolo esige dal suo Timoteo. Del pari Alfonso
Maria de Liguori visitava in ogni anno le sue pecorelle, cavalcando per lo più
un asinello, ed a tutti recava il conforto della divina parola. Quali siano
state le virtù episcopali di lui, l'umiltà, la mansuetudine, la carità, il
disinteresse, la pietà, ben può vedersi da quanto diffusamente ne ha scritto il
Tannoia.
Ma
per proseguire il confronto di questi due rinomati eroi - 13 -
si rifletta, che se il Sales fu grandemente
limosiniere, Alfonso distribuiva ai poveri quanto aveva, e giunse fino a
vendersi la croce e l'anello pastorale; se il Sales era tanto accreditato nella
corte del duca di Savoia, Alfonso per la sua santità godette la stima speciale
di re Carlo III; se il Sales ancor vivente era tenuto generalmente in concetto
di santo, Alfonso riscosse questa medesima opinione presso tutti i popoli non
solo, ma presso i più alti personaggi, i quali come santo il veneravano; se il
Sales fu l'idea della dolcezza e della mansuetudine nelle sue massime e
dottrine, tale si appalesò Alfonso nel suo scrivere e nel suo operare.
E
questa mansuetudine fu da ambedue praticata specialmente coi loro offensori e
contraddittori. Quante avversità non dovette sostenere s. Francesco per opera
degli eretici e di altri mal intenzionati ? Or Alfonso parimente sostenne
innumerevoli, ed anche maggiori traversie; e sempre rendendosi esemplare di
carità perdonò non solo, ma beneficò i suoi avversari e nemici.
Finalmente
il Sales, per universale vantaggio delle anime diè alla luce non pochi libri
pieni di santa unzione e dottrina salutare. Ed Alfonso non solo l'imitò in
questo, ma il superò per la molteplicità delle sue opere; per lo che la Chiesa
nella orazione della messa e nell'ufficio riconosce, che tutti i fedeli sono
stati dalle sue salutari dottrine ammaestrati: Eius salutaribus monitis edocti.
Dal che risulta, che la Provvidenza diede alla Chiesa in
diversi tempi questi due luminari, ugualmente adatti al bisogno del loro
secolo; e se la loro missione speciale si restrinse ad una parte dell'Europa
cattolica, ebbero nondimeno l'uno e l'altro una missione generale a compiere,
qual fu l'istruzione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo colla unzione e
sodezza di loro dottrina e delle loro massime. Francesco di Sales destinato da
Dio alla Savoia ed alla Francia, divenne ben tosto il modello delle virtù
episcopali, ed il maestro di spirito a tutti i vescovi ed a tutti i fedeli
dell'orbe cattolico; ed Alfonso conosciuto da per tutto come autore di libri
utilissimi all'edificazione - 14 -
del cristianesimo, all'istruzione
degli ecclesiastici e dei pastori, se fu da Dio inviato a risplendere nel regno
delle due Sicilie, la missione di lui fu estesa e perpetuata in tutta la Chiesa
cattolica, divenuto così il santo universale.
Posizione
Originale Nota- Libro V, Cap. 1, pag. 1, 2, 7, 8
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