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Cap.
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3. Dono dei miracoli.
Il
dono di far miracoli appartiene all'operazione delle virtù ed alla grazia delle
guarigioni: alii gratia sanitatum, alii
operatio virtutum. Imperocché secondo la distinzione che ne fanno i
teologi, allorquando i miracoli superano affatto le forze della natura,
appartengono alla grazia, che chiamasi operazione di virtù; avvegnaché sono i
più portentosi, e manifestano la grandezza della divina onnipotenza. Che se i
medesimi non trascendono assolutamente la virtù della natura, ma soltanto in
quel caso particolare, ovvero in quanto al modo, allora debbono riferirsi a
quella grazia gratis data, che si appella grazia della sanità.
Or
degli uni e degli altri causa principale è solamente Iddio, e l'uomo non è che
una causa istrumentale per la virtù straordinaria della sua fede, giusta la
dottrina inconcussa dell'Angelico dottore: Dicendum,
quod operatio miraculorum attribuitur fidei propter duo: primo, quia ordinatur
ad fidei confirmationem; secundo, quia procedit ex Dei omnipotentia, cui fides innititur a
; mentre Gesù Cristo nostro Redentore ci assicurò con la sua parola
infallibile, che tutto fia possibile a chi ha fede: omnia possibilia sunt credenti b.
Ciò
premesso, Alfonso fu dal Signore dotato di ambedue queste grazie gratis date,
cioè dell'operazione delle virtù in
quelle bilocazioni sorprendenti avvenute nella sua persona varie volte nel
corso di sua vita, le quali trovansi descritte - 331 -
dal p. Tannoia. Ma in quanto alla grazia della
sanità furono così molteplici e frequenti i miracoli operati da lui in sua vita
che si contano fino a cento de' più strepitosi; e le guarigioni poi erano tanto
continue che niun infermo gli si presentava specialmente negli ultimi anni di
sua vita, che al segno della sua benedizione non ne sia stato risanato; potendo
dirsi a gloria di Alfonso, che il Signore gli aveva assoggettati tutti i
malori, affinché li curasse, secondo la promessa del divin Salvatore ai suoi
fidi discepoli.
Prima
però di descrivere alcuni miracoli fra quelli, che sono rapportati nei processi
di sua beatificazione, per far constare, che Alfonso fra le altre grazie gratis
date fu altresì fornito del dono dei miracoli, stimo essere mio dovere a gloria
del Signore e di questo santo narrare due miracoli operati in beneficio di sua
nipote D. Teresa de Liguori religiosa benedettina prima nel monastero di s.
Marcellino, e di poi in quello di s. Gregorio Armeno, dove finì santamente i
suoi giorni.
Dalle
lettere del santo si raccoglie, quanta cura egli riponesse nel coltivare coi
suoi savi consigli la vocazione di lei allo stato religioso. Inoltre, si sa,
che dovendo la medesima entrare nel noviziato, e vestire l'abito religioso,
uscì dal monastero per alcuni mesi a sperimentar meglio la sua vocazione, e che
essendo priva dei genitori, per impegno di Alfonso si prese cura di lei la
signora duchessa di Bovino, la quale tennela in sua casa, e la condusse a
vedere suo zio in Pagani già decrepito, e storpio sulla sua sedia a ruote. Ora
avendo di già la medesima vestito l'abito religioso, e stando nel noviziato le
si sviluppò una piaga nella gamba, la quale resistendo a tutti i rimedi
dell'arte medica si manifestò di umore maligno, e quindi rendevala inabile a
proseguire la carriera dello stato religioso. Già si vociferava fra le monache,
che non sarebbe stata ammessa alla professione dei voti, e già le si
consigliava di ritornare al secolo. Afflitta oltre modo per tale disavventura
pensò dirigersi con lettera al suo santo zio, narrandogli il suo male, ed
implorando il soccorso delle sue preghiere per - 332 -
non essere costretta ad abbandonare il chiostro. Il
santo in risposta le inviò una piccola immagine di Maria santissima addolorata,
inculcandole di raccomandarsi a lei con fervore, e di applicarla sulla piaga.
Ed ecco che appena ve l'applicò, scomparvero tutti i fenomeni del male, si
rimarginò la piaga, senza lasciarle mai il menomo dolore nella gamba; e così
assicurate le monache della guarigione, fu ammessa alla professione.
Ma
non finiscono qui le circostanze stupende di un tale miracolo; mentre è a
sapersi, che la virtù portentosa di questa grazia ebbe la sua durata per il
corso di anni settanta, cioè dall'età di anni quindici e sei mesi fino all'età
di anni ottantasei, epoca della morte di detta nipote del santo. Difatti
avendola io confessata per vari anni, e conoscendo il miracolo fattole dal
santo, appena intesi alcuni mesi prima della sua morte, che erasi di nuovo
risvegliata l'antica piaga nel medesimo sito, feci tosto un cattivo prognostico
sulla vita di lei, ed argomentando, che l'umore canceroso, il quale per la
virtù del santo aveva sospeso la sua azione malefica pel corso di settanta
anni, ora che accostavasi il termine della vita di lei, ritornasse a riprendere
la sua attività, per toglierle quella vita, che in forza di un miracolo le era
stata ridonata nella sua prima gioventù.
Nè
punto m'ingannai nel mio prognostico, diffondendosi nella massa del suo sangue
il detto umore maligno; e laddove per tutti gli anni decorsi aveva sempre
goduto florida sanità, in poco tempo la condusse al sepolcro.
L'altro
miracolo operato dal santo anche a favore di questa sua nipote è il seguente.
Aveva la medesima già professato, allorché fu sorpresa da una raucedine tale,
che non solo le impediva l'uffiziatura nel coro, ma nè anche le permetteva di
parlare se non che a fiato. Durò lunga pezza un tal malore, e minacciava
divenire cronico, attesoché niun rimedio aveva potuto guarirlo. Ricorse di
nuovo al suo santo zio, rappresentandogli l'impotenza di adempire uno dei
doveri principali dello stato religioso col recitare il divino uffizio, e
cantar le lodi del Signore. Il santo parimente le mandò alcune cartelline - 333 -
dell'Immacolata
ordinandole di prenderne ogni giorno nell'acqua col pregare fervidamente la
Vergine santissima. Ma appena incominciò a praticare tal divozione prescrittale
dallo zio, che in un subito le ritornò la voce più chiara e acuta di prima, in
guisa che fino alla morte poté cantare liberamente il divino uffizio; anzi è
cosa ammirabile, che nella sua decrepita età era tuttavia assidua al coro, dove
la voce di lei spiccava a somiglianza di quella di una giovanetta senza avere
sofferto alcuna variazione o alterazione a cagion dell'età.
Questi
due miracoli oltre di essere riferiti nella loro sostanza nei processi della
beatificazione di Alfonso mi constano altresì per certa cognizione, giacché mi
furono riferiti varie volte dalla predetta religiosa; ed ella non mai li
raccontava senza una grande emozione di spirito, e senza spargere molte lagrime
di tenerezza alla rimembranza del suo santo zio, e dei salutari ricordi di lui.
Ora mi è d'uopo descrivere una porzione al meno di quei tanti, che vengono
registrati nei detti processi di sua beatificazione, e che non sono stati
inseriti dal Tannoia nella sua storia.
Ricorderò
da prima quello stupendo miracolo operato dal santo stando in Roma per la sua
consacrazione. Dimorava nella casa dei PP. Pii operari detta la Madonna dei
Monti, e trovandosi in un giorno di venerdì aggravato dal suo solito affanno,
il P. Panzuti superiore di quella casa gli fece preparare il pranzo di carne.
Mangiò Alfonso poche cucchiaiate di minestra fatta col brodo, perché non se ne
accorse; ma essendogli presentato un pollo in allesso, appena lo vide, esclamò:
oggi è venerdì e volete farmi mangiar
carne? Lo esortavano a mangiarne tanto il suddetto P. Superiore, che il P.
Villani suo compagno di viaggio sul riflesso della sua non leggiera indisposizione
di salute. Ma il santo contorcendosi, e dando una benedizione al pollo, di cui
il solo servitore se ne avvide, cangiossi immantinente il pollo in pesce detto
cefalo ben cotto. Non sapendo frattanto i suddetti padri, donde fosse venuto
quel pesce, ne interrogarono il servo, il quale attestò, che egli non mai aveva
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riportato il pollo in
cucina, e né tampoco in cucina erasi preparato quella mattina verun pesce: ma
disse ciò essere avvenuto per la benedizione, che il santo aveva data al pollo
senza farne loro accorgere.
Capitato
in casa della signora Taiano di Vietri un gentiluomo di S. Ruffo del Vallo di
Diano fu sorpreso da grave infermità, poiché assalito dalla febbre maligna, e
però destituito di sensi e privo di parola, non poteva nè pur sorbire l'acqua,
avendo la bocca chiusa e i denti serrati. Ora la sopradetta udendo, che era
pervenuto il nostro santo in Vietri mandò subito a pregarlo, che degnasse di
una sua visita un povero infermo, il quale trovavasi in sua casa. Alfonso vi andò
subito, ed entrando domandò più volte, come l'ammalato si chiamasse; e dettogli
chiamarsi Domenico, si recò nella stanza di lui, e lo chiamò a nome. Cosa
maravigliosa! l'infermo, che da tre giorni non parlava, rispose. Indi il santo
fece recitare l'Ave Maria e le Litanie
lauretane, e l'infermo rispondeva: finalmente fattagli bere dell'acqua con
una cartellina dell'Immacolata, la trangugiò; dimodoché risanato perfettamente,
potè restituirsi alla sua patria dopo quattro giorni.
Nel
medesimo paese di Vietri era anche infermo in altra occasione un giovane per
nome Vito Infante. Avendo ricevuti gli ultimi sacramenti, spedito dai medici,
era di già senza loquela e destituito di sensi. Passò a caso per colà il nostro
santo, mentre andava in Amalfi, e fu pregato dal fratello del1'infermo
moribondo a visitarlo. Nell'entrare in casa ripeteva: I parenti degl'infermi vogliono sempre grazia. Pure si avvicinò
all'ammalato, gli diede la sua benedizione, e partì. Appena partito il santo,
il moribondo aprì gli occhi, cominciò a parlare, e dicendo di non sentirsi
alcun male si alzò tosto dal letto. Non può ridirsi qual fosse la gioia dei
parenti a tale subitanea inaspettata guarigione, per la quale magnificarono il
Signore ed il suo servo Alfonso.
Una
donna di Raito per nome Emmanuela di Cesare andava ogni giorno fino a Salerno
per ascoltare le prediche di Alfonso - 335 -
il quale faceva la missione: anzi confessossi con lui. Ora le sopravvenne in
quel tempo un grosso tumore sotto il palato, onde non poteva inghiottire un
sorso di acqua; ed era tormentata da tale dolore, che non poteva lavorare
affatto col suo telaio. Ma in un giorno mentre riposava un poco, e stava fra la
veglia ed il sonno, videsi comparire davanti il nostro santo vestito da missionario,
come lo aveva osservato sul pulpito, il quale portando nelle sue mani un
piccolo fiasco di acqua del colore di latte, le disse queste parole: Emmanuela, bevi quest'acqua, perché è
l'acqua di s. Luigi. Ubbidì l'inferma, bevve di quell'acqua, e risvegliandosi
pienamente sentì essere sparito il tumore, e trovossi sana. Chiamò immantinente
tutta giuliva la propria madre, le raccontò la visione avuta e la guarigione, e
tosto poté mettersi al suo telaio a lavorare.
Mentre
ancora stava in Pagani Alfonso prima di essere vescovo, avvenne in una sera,
che appiccatosi il fuoco in un pagliaio poco lungi dalla nostra casa,
minacciava di comunicarsi la fiamma ad una casa contigua ripiena di lino e
canape. Al grido della gente accorsa per ismorzare l'incendio, stando il santo
nel coro della chiesa ad orare, affacciossi alla finestra, e veduto lo
spettacolo ed il pericolo di incendiarsi la casa, chiamò subito il fratello
Leonardo, e dandogli una immagine di Maria santissima: Va, disse, e getta questa immagine in quel fuoco.
Ubbidì velocemente il fratello serviente, e non sì tosto la gettò
nell'incendio, che le fiamme si estinsero.
Dell'istesso
modo eruttando una volta il Vesuvio dalla sua bocca una enorme quantità di
cenere e sassi con torrente impetuoso di fuoco, il quale minacciava le
sottoposte campagne, il santo a questo spettacolo inorridì, e ripeteva: Gesù, Gesù, Gesù. Indi animato dalla sua
fede fece un segno di benedizione verso la montagna, perché ne fu scongiurato
dai suoi congregati ivi presenti. Chi il crederebbe? A quel segno portentoso
della nostra redenzione il fuoco arrestossi, ed il gran vortice del fumo e
della cenere piombò nella bocca della montagna.
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In Amalfi facendo Alfonso la missione tal fu la venerazione che riscosse
quel santo, che un chierico gli tagliò una falda del mantello, affine di
conservarla per sua divozione. Vantandosi la sera nella sua famiglia del furto
fatto, e molto rallegrandosi, i parenti di lui lo sgridarono fortemente come di
azione non buona, e volevano, che almeno gliel'avesse restituita per mezzo di
qualche confessore. Ma qual fu lo stupore, allorché la mattina seguente
osservando il mantello del santo lo rinvennero intatto specialmente dal lato,
ove il chierico avevane tagliata la falda? S'informarono destramente, se mai
Alfonso se ne fosse avveduto, ed avesse cambiato il suo mantello: ma si conobbe
essere ciò avvenuto per un prodigio tutto singolare.
Il
canonico Bruno della cattedrale di Sant'Agata mentre un giorno ritornava a sua
casa dopo il divino uffizio, per istrada sentissi un influsso di sangue alla
testa, e tosto cominciò a vomitar sangue dalla bocca. Giunto a stento in sua
casa, benché si praticassero molti rimedi per vari giorni, il male lungi dal
decrescere sempre più si aggravava, dimodoché cominciava a disperarsi di sua
salute. Ciò saputosi dal segretario di Alfonso, D. Felice Verzella, ne diede
parte al santo vescovo, il quale disse voler pregare per lui. Difatti il
medesimo scrisse all'infermo dandogli coraggio, perché il vescovo pregava per la
guarigione di lui. Postosi frattanto sotto il capezzale un manoscritto del
santo, ed animato da gran fiducia di guarire per le orazioni di lui, si
addormentò: quando nello svegliarsi sentì molti tocchi sotto il suo cuscino:
chiamò tosto la propria madre la quale a questo segno prendendo lena lo animò a
confidare vieppiù nella preghiera del servo di Dio. Di fatti avendo nella notte
seguente riposato dolcemente, nello svegliarsi la mattina si trovò libero dallo
sputo sanguigno, e migliorando sempre risanò perfettamente. Essendo poi andato
a baciare la mano al santo suo vescovo, al primo incontro fu interrogato, come
stesse in salute: al che avendo risposto di essere guarito, il santo lo
assicurò di avere pregato il Signore per la sua guarigione.
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Parimente essendogli presentato
in Amalfi un fanciullo, il quale soffriva di mal caduco, nell'udire il racconto
dalla propria madre, la quale implorava la sua benedizione, il nostro Alfonso
si sentì tutto commosso, e dopo di aver fatto un segno di croce sulla fronte
del ragazzo disse rivolto alla madre: Sta
di buon animo, che il fanciullo sarò sano, sarà sacerdote, e porterà anime a
Dio. Da quel momento non fu mai più sorpreso dal solito male, e risanato
perfettamente, a suo tempo si fece sacerdote: quindi fu parroco, e primicerio
nella chiesa di San Pancrazio in Conca, e veramente fu sempre un ecclesiastico
zelante della salute delle anime.
In
Nola vi era un gentiluomo, il quale, stando colà per l'esercizio del suo
ministero il nostro santo, gli presentò un suo figlio sordo, affinché lo avesse
benedetto. Lo compiacque Alfonso con la sua solita benignità; ed appena
ricevuta la benedizione del santo, il ragazzo acquistò in un subito l'udito.
Nella
medesima città trovandosi pure con la missione il nostro santo, fu sorpresa la
signora Angela Maria Pisani da una colica, per la quale era in pericolo della
vita. Fu chiamato Alfonso per confortarla, ed appena le fece un segno di croce,
l'inferma fu libera da ogni dolore, e si vide sana.
Un'altra
donna, che lavava le biancherie dei missionari, assalita da un fiero dolore di
testa pensò applicarsi alle tempie un pannolino del santo non ancora lavato, e
tosto cessò ogni dolore. Nella stessa città, durante la missione, altra donna
essendo in pericolo di vita per un difficile parto, le fu portata una camicia
del santo, ed immantinente partorì felicemente.
Nel
monastero di Scala spasimava per dolore fierissimo di denti una religiosa.
Essendo entrato Alfonso per confessare un'inferma, questa gli si fece innanzi,
e pregollo di una sua benedizione. La contentò il santo, ed all'istante cessò
lo spasimo. Inoltre asseriva la medesima, che in virtù di tale benedizione fu
libera per quarant'anni dai raffreddori, cui prima andava facilmente soggetta.
Un'altra
religiosa era minacciata nella vita per uno scirro - 338 -
nel petto. Il fratello di lei, nel sentire che i
medici avevanle ordinato di uscire dal monastero, e di assoggettarsi
all'operazione, corse dal nostro santo, e lo scongiurò di pregare per lei, e si
fece dare dal fratello Francescantonio un poco del pane restato alla tavola di
Alfonso. Cosa portentosa! Non appena la religiosa mangiò con fede viva di quel
pane, che il tumore si andò a poco a poco dileguando senz'altra medicina fino a
risanarsi del tutto, e scomparire ogni pericolo di cancrena.
Nella
missione di Sarno essendo andato Alfonso a ritrovare quelle religiose, mentre
la badessa gli faceva i convenevoli trattamenti, gli manifestò, che da molto
tempo soffriva così fieri contorcimenti di stomaco, che le impedivano il libero
esercizio della sua carica e la recita dell'uffizio nel coro. Il santo se ne
afflisse; ma sorridendo le disse: Mangiate
un poco di questa confettura. Era questa un residuo di quella, che la
comunità gli aveva presentato per complimentarlo. La religiosa se ne rise; ma
avendo meglio riflettuto alle parole del servo di Dio, se ne mangiò un poco
dopo la partenza di lui. All'istante fu sorpresa da un gran vomito, dopo il
quale mai più fu assalita dal dolore di stomaco.
Stava
già in fine di sua vita la signora de Robertis sorella dell'arcidiacono, e già
il nostro P. Maione dovea andare ad assisterla con le preghiere pe' moribondi.
Avvisato di ciò il santo recitò per lei le litanie alla B. Vergine, e nel tempo
medesimo le mandò una immagine, facendo insinuare all'inferma, che per quanto
poteva si raccomandasse all'istessa Vergine santissima. Così fu fatto: e la
moribonda in un istante fu salva dalla morte, perché svanita la febbre
comparvero i segni manifesti della guarigione portentosa.
Un'altra
signora era frequentemente assalita da convulsioni, che oltre di martoriarla
per lungo tempo la riducevano allo stato di morte. Una sera fu sorpresa da una
convulsione nella chiesa cattedrale, mentre il santo facendo la visita al
santissimo Sacramento spiegava al popolo l'amore di Gesù Cristo. Allora facendo
prendere dall'altare un garofano tra i fiori, che - 339 -
colà vi erano, glielo fece portare, ed applicare
alle narici. Cosa mirabile! Appena la signora odorò quel fiore, cessò
immantinente la convulsione, nè mai più in sua vita andò soggetta a questo
male.
Il
signor Giovanni Mango di Airola tanto devoto del santo suo vescovo cadde
gravemente infermo per un'epidemia, che correva allora in Napoli, dove era egli
stato per alcuni giorni. Non eravi più speranza di guarigione. AIfonso se ne
rammaricava sommamente, allorché avendo una mattina detto l'Angelus Domini del mezzodì col suddiacono D. Francesco Carfora da
lui ordinato, si alzò, ed impose al medesimo di andare in Airola, e di ordinare
in suo nome al signor Mango, che stesse bene, e non morisse. Così eseguì il
suddiacono, ed appena intimate queste parole all'infermo in nome del santo
vescovo, videsi libero dalla malattia, e si alzò dal letto.
L'altro
fratello di lui signor Carlo Mango si ruppe una gamba fino ad uscir fuori della
carne le ossa. Già era comparsa la cancrena, ed il chirurgo venuto da Napoli
stimava essere mortale la frattura. Stava allora Alfonso in Arienzo ed i
parenti dell'infermo mandarono tosto a raccomandarlo alle sue orazioni. Ma il
santo in risposta mandò a dir loro, che egli voleva, che guarisse. Difatti da
quell'ora mutò aspetto la frattura della gamba, e si risanò in breve.
In
Pagani gli presentò la Signora Desiderio un suo figlio di otto anni tutto
infermiccio, e che dava poca speranza di poter vivere. Il fratello
Francescantonio disse al santo lo stato del ragazzo e la fede viva della madre,
la quale sperava vederlo guarito per la sua preghiera Allora Alfonso alzando
gli occhi al cielo lo benedisse, e gl'impose di recitare ogni giorno tre Ave
alla B. Vergine. Al segno della benedizione del santo si rinvigorì il fanciullo
infermo, ed avendo poi sempre recitate le tre Ave alla Vergine santissima
seguitò a crescere in ottimo stato di sanità.
La
terra di Agerola fondando tutte le speranze della sua raccolta nei frutti, di
cui abbonda, era afflitta da vari anni - 340 -
per la scarsezza di essi. Quei paesani molto devoti della nostra Congregazione
pensarono di mandare in dono al santo vecchio un paniere di frutta, implorando
la sua benedizione sopra le loro campagne. Alfonso allora domandò da qual parte
fosse il paese di Agerola, perché essendo già decrepito non più se ne
ricordava: ed essendogli indicato da qual parte fosse, alzò la sua mano, e
verso quella parte diede la benedizione. Come la benedizione di Giacobbe,
apportò da allora l'abbondanza a quel villaggio, giacché l'anno seguente ed in
avvenire raccolsero molte frutta.
Il
Canonico Villani di Nocera reso impotente a camminare per inveterato dolore
nelle gambe, dopo avere inutilmente adoperato tutti i medicamenti, si fece
condurre in carrozza fino alla nostra casa di san Michele. Quivi giunto, e
trascinato dai suoi servi fino alla stanza del santo, pochi giorni prima del
suo transito alla beata eternità, cioè nella fine del mese di luglio dell'anno
1787, si pose ad orare ginocchioni alla sponda del letto di Alfonso poggiando
il suo capo sul letticciuolo, ove egli giaceva. Così dopo breve tempo senza che
il santo alcuna cosa gli dicesse, perché era moribondo, e senza che l'infermo
potesse manifestare i suoi sentimenti al santo, sentissi svanire ogni dolore
nelle gambe; il vigore successe a quella debolezza, che gl'impediva di stare
liberamente sulle sue gambe, e di poter camminare, ed alzatosi dopo alquanto
tempo se ne calò snello come un giovane lodando e magnificando il Signore.
Ma
non potrebbero tutte enumerarsi le guarigioni miracolose operate da Alfonso in
sua vita, ed i portenti di lui, per i quali è manifesto, che la grazia della
sanità e quella delle virtù furono a lui concedute dallo Spirito del Signore.
Basti il dire, che nel tempo del suo vescovado, come attestarono i suoi
famigliari, e canonici della cattedrale di Sant'Agata e della collegiata di
Arienzo, quanti infermi gli si presentavano nel suo episcopio, o nelle strade
al suo passaggio, tutti erano da lui miracolosamente guariti. Del pari
ritornato in Pagani, ogni qualvolta usciva in carrozza, ovvero scendeva nella
porteria, era sempre - 341 -
circondato da infermi di ogni sorta, che chiedevano la sua benedizione.
E
poiché aveva avuto l'ubbidienza dal suo direttore P. Villani di non negare la
sua benedizione a chicchessia, così tutti se ne partivano guariti e consolati.
Specialmente muoveva a gran tenerezza il mirare le donne, che accorrendo sulla
strada, per dove egli passava, gli presentavano i loro figli infermi, ovvero
altri infermi nel loro letto, o portati sulle braccia, ed Alfonso col benedirli
li risanava tutti.
Quale
splendore di santità non si diffonde pertanto sulla vita di Alfonso Maria de
Liguori contraddistinto dal suo Dio con la potestà illimitata di far miracoli?
Giusta le parole registrate presso l'evangelista san Giovanni, niuno può
operare portenti, se non sia con lui la possanza del Signore, cui solo è dato
di cangiare le disposizioni della natura: Nemo
potest signa facere, nisi fuerit Deus cum eo c.
Avendo
dunque Alfonso spiegato la potenza di Dio nella virtù e nella magnificenza col
fugare i morbi, col prevedere le cose future, col manifestare le cose occulte,
e coll'operare ogni altra sorta di prodigi, è d'uopo confessare, che volendo
l'altissimo Iddio magnificare la missione e la santità del suo servo, lo ha
reso sommamente glorioso in sua vita al cospetto di tutte le genti; e dopo la
sua morte lo ha esaltato nella gloria dei suoi santi: Magnificavit illum in gloria sanctorum.
Posizione
Originale Nota - Libro V, cap. 32e, pagg. 330, 341
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