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P. Celestino Berruti
Lo spirito di S. A.M. de' Liguori

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  • Cap. 3 DEL VOTO CHE FECE DI NON PERDER MAI TEMPO.
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Cap. 3

DEL VOTO CHE FECE

DI NON PERDER MAI TEMPO.

 

La vita de' santi chiamati da Dio a risplendere nella sua Chiesa col sacro ministero della parola è stata sempre un complesso di eroiche azioni utili non meno a sé medesimi, che alla società. Coll'esercizio perenne dei doveri, che riguardano il divin culto, con la pratica assidua delle virtù volgenti al perfezionamento della loro santità, e coll'affaticarsi indefessamente a diffondere i doni di grazia sui figli della Chiesa, adempirono fedelmente il fine della loro vocazione.

Inviati dal celeste padre di famiglia quali operai a coltivare la sua diletta vigna, travagliarono coraggiosi fino al tramonto di loro carriera, aspettandosi il dovuto guiderdone dal giusto rimuneratore; né mai obbliando l'intimazione del Redentore ai suoi discepoli: Negotiamini, dum venio, trafficarono esattamente i talenti ricevuti, e custodirono con gelosia il tempo lor concesso al ben operare. Ma se tutti gli eroi della religione fecero grande stima del tempo, riputandolo il più prezioso tesoro, infra tutti, oso dirlo, si distinse Alfonso Maria de Liguori: mentre laddove gli altri fuggirono l'ozio per dovere e per l'incremento


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de' proprii meriti, Alfonso lo fuggì per voto, il che dinota senza dubbio una perfezione maggiore.

E' noto ormai a chicchessia il voto fatto da questo santo di non perder mai tempo: voto quanto nuovo, e caratteristico di Alfonso, altrettanto degno di essere celebrato con eterne laudi, come appunto si esprimono i processi di sua beatificazione: Oh praeclarissimum votum, ac utpote novum, et Alphonsi characteristicum, aeternis laudibus celebrandum!a

In quale epoca poi di sua vita ei facesse tal voto, non si conosce con certezza; ma è comune opinione, che lo abbia fatto fin dai primordi di sua Congregazione, vale a dire cinquanta e più anni pria del glorioso termine de' suoi giorni. Circostanza degna di notarsi per ammirare, qual grave peso siasi egli addossato, e per quanto tempo lo abbia posto in esecuzione, non solo con somma fedeltà, ma con sommo eroismo. Voto, che rese Alfonso in questa terra imitatore perfetto degli angeli del cielo; poiché siccome quei beati spiriti sono interamente ed assiduamente occupati alla divina gloria, essendo Iddio sommo bene l'oggetto immediato della loro beatifica visione; così il nostro santo di altro non poteva o pensare, o parlare, se non di ciò, che alla gloria del suo Dio fosse diretto.

Voto infine, che praticato dal nostro santo con una rigida esattezza, ci manifesta appieno, che anche egli al par dell'Apostolo delle genti poteva dir con ragione, che Gesù Cristo era la sua continua vita: Vivo ego iam non ego, vivit vero in me Christus,b e che era il vivo ritratto, la copia fedele di questo Dio fatto uomo, il quale nel corso di sua vita mortale dirigeva tutte le sue operazioni al nobilissimo segno della gloria del suo Padre celeste: Quae placita sunt ei, facio semperc

In compruova di tutto ciò fa d'uopo sapere, che Alfonso non concesse mai più di cinque ore di riposo al suo corpo affralito


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dalle fatiche e dalle austerità; dopo le quali si alzava, e ponevasi tosto in orazione, che prolungava fino al punto della sveglia comune.

Nel riposo pomeridiano permesso dalla regola in tutte le stagioni, mentre era così sollecito che i suoi congregati ne approfittassero pel vantaggio di loro salute, egli se ne andava nel coro a corteggiare il Re del cielo, per supplire alla mancanza degli adoratori di Gesù Cristo in quelle ore solitarie. Tutto il rimanente della giornata veniva da lui impiegato o nel disbrigo dei doveri del suo stato, o nello studio, o in dettare e scrivere libri utilissimi, o nell'adempimento degli esercizi prescritti dalla regola, o nel meditare: di modo che si osservò che egli, o fosse solo, o accompagnato, non perdeva giammai un minuzzolo di tempo.

Da questa sua perenne applicazione deve ripetersi quello starsene sempre chiuso nella sua stanza, da dove non usciva, se positivo bisogno nol costringesse: quivi come la colomba nei forami della pietra viveva sempre unito al suo Dio, ed alternando lo studio con la preghiera e la preghiera con lo studio, passava le giornate tutte senza un momento di sollievo, benché fosse sovente trafitto da acutissimi dolori nella testa, e benché gli spasimi che soffriva, lo facessero talvolta agonizzare, singolarmente nella stagione estiva.

Scriveva egli medesimo difatti nel 1778 in una sua lettera: Questo scritto mi costa una fatica straordinaria per il capo, che continuamente mi duole. Dio sa la fatica, che mi costa ogni quinterno, trovandomi in questa età ed ammalato, che in certi giorni mi sento quasi moribondo. Ed in un'altra lettera così si esprime: Sto faticando sopra il libro nuovo, ma fatico a poco a poco, perché le infermità sono cresciute; ma non lascio quanto posso. Ed oh quale risvegliavasi ammirazione in quei, che ebbero la sorte di avvicinarlo.

Vedevano, che quest'angelo in carne a mitigare alquanto il suo male, era solito applicarsi alla fronte una pietra di marmo per refrigerarsi, e tenendo questa con la mano sinistra proseguiva con la destra a scrivere, o a tenere il libro che leggeva. Vedevano, che non intralasciava giammai i suoi laboriosi travagli, benché


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assalito dall'asma penosa, altra infermità che ben sovente lo affliggeva. Vedevano insomma Alfonso, o sano o infermo, quale vittima interamente consacrata al divino onore agognar sempre a nuove ascensioni su i monti eternali, e sacrificarsi al bene dei suoi prossimi per rendersi vieppiù gradito al suo diletto Gesù: Hostiam sanctam, vivam, et bene placentem.

E questa sua costante diligenza nell'osservare il voto a Dio fatto di non perder mai tempo gl'ispirò mille industrie, le quali mentre esaltano mirabilmente l'eroismo di sua virtù, sono una efficace ed utile istruzione a chiunque desideri d'imitarlo. Imperocché sapeva ben egli trar profitto da quel tempo medesimo, che di sua natura sembra escludere qualunque applicazione.

Se viaggiava, sia per recarsi nelle missioni, sia per visitar la diocesi, sia per altra cagione, occupavasi di continuo nel recitar delle preci, ovvero colla mente fissa in Dio esercitavasi nella contemplazione; se permettevasi un po' di moto in carrozza per ordinazione espressa dei medici attese le sue abituali infermità, impiegavasi in simigliante maniera, ovvero facevasi leggere qualche libro dal compagno; se inducevasi a scendere nel giardino per rimettersi un poco dalle sue applicazioni, si rendeva industrioso col raccogliere i fiori per l'altare; se tondevasi la barba con la forbice, giusta il suo costume, non dilungava gli occhi da qualche libro per studiare; se usciva a spasso, essendo vescovo, recavasi a visitare gl'infermi di cui conservava notamento distinto, e così confortavali alla rassegnazione; se riceveva delle visite da persone secolari, destramente introduceva dei salutari discorsi per suo ed altrui vantaggio; sicché tutti partivano da lui edificati non solo, ma accesi dell'amore di Dio: se da persone ecclesiastiche, tosto le esortava all'esercizio esatto dei doveri annessi al loro stato; dopo di che licenziavali francamente, soggiungendo: Orsù, voi pregate Dio per me, ed io pregherò per voi...

Povero chi in tal circostanza si fosse permesso diffondersi in discorsi inutili, o indifferenti alla sua persona! Tosto si sentiva sul viso da Alfonso un orsù, e così troncavagli la parola in bocca; era insomma così diffusa


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la fama della somma rigidezza, con cui osservava questo voto di non scialacquare anche una piccola particella di tempo, che allor solamente si andava da lui, quando urgenza di affari spirituali o temporali così richiedeva.

Niuno però si dia a credere dal detto finora che Alfonso fosse stato di una tempra o ributtante, o fanatica, che s'ingannerebbe all'ingrosso: nessun più di lui fu forse di umor allegro e faceto nelle ricreazioni comuni: il nostro santo non affettava serietà, o silenzio, che anzi la sua conversazione era in pari tempo e santa e piacevole: egli era lieto, quando vedeva lieti i suoi figli, e fomentava la carità con reciproco sollievo: benché fosse superiore, condiva i suoi discorsi con tanta grazia, che si rendeva utile e dilettevole.

Le persone taciturne e sostenute, egli soleva dire, sono come i novatori, i quali affettano gravità e modestia: non così però lo spirito di Dio: esso è piacevole, e si fa tutto a tutti in tutt'i tempi, ed in tutte le vicende: quindi essendo egli molto abile nel suonare il cembalo, divertiva su di esso i suoi congregati insegnando loro le canzoncine spirituali da cantarsi al popolo nelle missioni.

Che anzi ci piace riflettere, come questo rigido osservatore del suo voto fu visto alle volte divenire quasi prodigo del tempo, perché la carità e la prudenza lo esigeva.

Nei primi anni della sua Congregazione assumevasi volentieri l'incarico di accompagnare i giovani novizi o studenti al passeggio; il che faceva per avere occasione di trattenersi con loro più familiarmente, indagarne lo spirito, ed avere l'opportunità di animarli all'acquisto della virtù e della santa perseveranza. Giungendo poi in campagna soleva trattenerli alquanto sotto l'ombra di qualche albero, ove faceva leggere e spiegava loro un capitolo del de Kempis. Né potrebbe abbastanza ridirsi, quale spirituale profitto ne tornasse ai nostri giovani da questa santa e familiare compagnia del fondatore. Questa sua carità e prudenza gli faceva tralasciare qualunque occupazione per dare udienza ad ognuno, onde confortare e consigliare chiunque ne avesse bisogno; questa carità lo induceva a scrivere tante lettere di


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spirituale direzione a persone religiose, secolari, ed ecclesiastiche, come può vedersi nella raccolta delle medesime, le quali sono ripiene di sentimenti sublimi ed utili sommamente alla santificazione delle anime; questa carità nol faceva restio di carteggiarsi lungo tempo con un soldato di Camerino il quale, sentendo fin dal suo paese proclamarsi la santità del Liguori, e la sua dottrina, a lui si diresse per essere istruito su vari dubbi concernenti la salute dell'anima sua.

Questa carità finalmente lo rendette instancabile anche in Napoli, ove essendosi recato non poche volte per puro bisogno della sua Congregazione da missionario, non appena gli avanzava qualche po' di tempo nel disbrigo degli affari, che tosto impiegavalo nel predicare indefessamente in tutte le chiese, ed a tutte le adunanze, ove ne veniva richiesto, senza risparmiar sudori, o fatiche, consumando poi il sopravanzo di qualche ora nei sacri tempii all'adorazione del SS. Sacramento: sicché può dirsi, che la carità e lo zelo regolavano sempre le sue azioni ed i passi suoi.

Essendo andato più di una volta a sentire D. Brianna Carafa nel monastero di S. Marcellino, la quale, come rilevasi da varie lettere del santo, trovavasi in grande desolazione di spirito, nel licenziarsi da lei per l'ultima volta disse rivolto al suo compagno: Io intanto ci sono venuto così spesso, per aiutarla: adesso spero di vederla sposa e vergine nel paradiso.

Da quanto abbiamo narrato finora intorno allo scrupoloso impiego del tempo fatto da Alfonso, e da quel tanto di più che non può esprimersi, ma che ognuno può argomentare dal complesso di sue azioni, si viene chiaramente a raccogliere l'eroismo, con cui adempì il suo voto, e come abbia egli potuto comporre tanti volumi di somma edificazione ed utilità della Chiesa.

Ognuno veramente stordisce nel ripensare, che un uomo solo, aggravato da tante occupazioni, e qual fondatore di una Congregazione, che resse fino alla sua morte, e da vescovo, abbia nondimeno potuto scrivere tanti volumi ripieni di celeste dottrina: ma si rifletta da una parte al voto da lui fatto di non perdere mai un momento di tempo, e dall'altra si consideri


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da quale spirito di carità e zelo fosse animato questo santo, e cesserà tosto ogni maraviglia; perché di lui può dirsi quel che di s. Girolamo sta scritto: Qui cum varie morbis doloribusque tentaretur, corporis incommoda piis laboribus, et perpetua lectione, aut scriptione superabat; gli si può adattare altresì quel che di s. Gregorio Magno sta detto, che operò sempre cose grandi, e di sommo rilievo, benché infirmus semper, et aegra valetudine.

Or se il celeste rimuneratore ha promesso a tutti i suoi servi nell'eternità una mercede abbondante, qual premio avrà riportato questo servo fedele non solo, ma onusto di meriti e di palme?

 

 

Posizione Originale Nota - Libro V, Cap. 3, pag. 26




a Process. Vol. 2 An const. de virtut.



b Galat. 2. 20



c Ioan. c. 8






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